Depressione e collera

Soffro di una forma di depressione che spesso sfocia nell'ira più furibonda. Qualcuno mi sa consigliare come vincere almeno la collera?

ciao Oudeis,
non saprei. Leggo in un altro thread che hai fatto TCC ma non sei rimasto soddisfatto. Potrebbero esserci diverse cose da esplorare a partire dai tuoi episodi di collera, per provare a isolarne i motivi latenti, magari radicati nella tua vita passata, oppure le cause nel contesto immediato a cui sei più suscettibile, o per capire qual è il bisogno o la funzione di adattamento a cui la collera risponde (malamente) e come la collera potrebbe essere sostituita da comportamenti alternativi più adeguati.
Se avessi un problema persistente di collera, credo che cercherei di risolverlo con l'aiuto di professionisti perché i consigli generici sui problemi emotivi non mi sembrano quasi mai validi, anche perché scontano la difficoltà soggettiva di ciascuno a calarsi nell'esperienza e nei sentimenti degli altri. Ci si sente facilmente titolati a giudicare le emozioni altrui e a fare confronti perché di norma ci si considera sufficientemente esperti, in quanto affetti dalle stesse emozioni, che nella loro manifestazione terminale e più vistosa sono universali. Ma dietro la manifestazione visibile c'è un mondo di aspetti personali, famigliari, culturali ecc che merita di essere preso in considerazione.
Non esiste una teoria psicologica unificata delle emozioni, ma tante angolazioni parziali per studiarle e comprenderle. Per questo io continuerei a cercare professionisti per trattare il mio problema.

Grazie dell'articolata e approfondita risposta, amico. Proverò a intraprendere altri percorsi. Purtroppo la mia collera mi porta a distruggere oggetti (poi me ne pento ma è tardi). Ho distrutto già tre orologi ed un numero incalcolabile di penne e matite. Ho paura che sfoci nell'autolesionismo... sono in una brutta situazione.

ciao

Ciao Oudeis,
c'è stato un periodo in cui anch'io distruggevo un po' di cose: un orologio, due telefoni (funzionavano ma erano rotti dopo i lanci) e tanti tanti piatti della Coop. Ho strappato un libro intero pagina per pagina.
Non ti voglio spaventare, ma in effetti, poi ho avuto degli episodi di autolesionismo, sporadici, ma li ho avuti.
Entrambi, distruzione di oggetti e autolesionismo, sono cose che ho risolto con la psicoterapia e tanta pazienza; mai più capitati, quindi anche io ti consiglierei di riprovare, magari con una persona diversa.

In generale mi è servito anche imparare a osservarmi nella contingenza; so che nei momenti di difficoltà, ad esempio, io inizio a vedere tutto bianco e nero e a non fidarmi di niente e nessuno. Quando mi accorgo di ragionare così, provo a correre ai ripari. Magari si tratta di staccare un po', fare una passeggiata, una doccia, una nuotata, rendersi irreperibili per un po'. L'attività fisica e i lavori manuali per me sono molto efficaci.
È facile che la rabbia esploda perché non ci si è dati il tempo e il modo di fare qualcosa di diverso per tempo, quindi osservarti potrebbe aiutare.
Riciao.

Purtroppo nel mio caso uscire, farsi una doccia ecc. non hanno attenuato neanche un po' l'ira furiosa e distruttiva.

Ciao

Ciao Oudeis,

temo di averti risposto in modo un po' troppo frettoloso, di aver dato qualcosa per scontato e che quindi alla fine la mia risposta sia apparsa abbastanza banale.

"Durante" una crisi di rabbia - almeno durante una delle mie del passato - non sarei riuscita neanche io a uscirne semplicemente facendo una doccia o una passeggiata; non sarebbero state vere e proprie crisi.
Intendevo piuttosto dire che a me è servito ragionare ex post sulle diverse emozioni attraversate per arrivare a quel tipo di collera; sono riuscita ad individuare almeno alcuni stati emotivi precedenti (come un atteggiamento piuttosto borderline o la diffidenza in situazioni o con persone di cui in una certa misura mi fido).
In questo modo, quando mi sono accorta (o mi accorgo) di attraversare quegli stati emotivi che in passato mi hanno portato a quel punto, mi fermo e cerco di introdurre qualcosa che mi aiuta a uscire da quel meccanismo. Nel mio caso, mi aiutano di più attività fisiche, sensoriali o attività che richiedano concentrazione ma poco ragionamento. Leggere un libro o guardare un film no, per esempio.
È un esercizio di pazienza e di autoanalisi, sia per imparare a osservarsi a posteriori, sia per acquisire quel po' di abitudine all'autosservazione da riuscire a cogliere i segni premonitori di una crisi in arrivo. Però aiuta a diventare autonomi di fronte alle proprie reazioni emotive.
Mi spiace se è sembrato che ti dicessi che le potevi risolvere in 5 minuti facendo una doccia o una camminata, non intendevo quello.

Ciao

Grazie delle precisazioni, Merla. Io direi che posso avvertire le avvisaglie dell'ira o dell'anedonia o della distimia ecc, ma l'unico modo per tentare di evitare di cadere nell'abisso è stordirmi, cercare di dimenticarmi, di annullarmi nelle cose, convincendomi che non sono, non esisto, perché è l'io la fonte INESAURIBILE di ogni dolore e frustrazione. Non essere, non essere: questo è il mio scopo.

Sì, indubbiamente l'esistenza (l'io in senso stretto non saprei, forse bisogna definire prima cosa si intenda per io) è fonte inesauribile di ogni dolore. Tuttavia giocoforza l'esistenza è anche l'inesauribile fonte di ogni gioia (effimera, certo, neanche il dolore è eterno). Sono affermazioni che valgono come scelte di campo.
Al di là delle personali scelte di campo, tutte rispettabilissime, temo che - se il punto è la sofferenza psichica - non convenga tanto ragionare in termini assoluti e parlare di essere/non essere, inesauribilità, ecc. ecc.
Conviene concentrarsi sulla dimensione minima alla propria portata, sulla strategia da adottare per evitare la prossima crisi d'ira o per riuscire ad alzarsi dal letto quando proprio non se ne ha la forza, un tentativo dopo l'altro. Il disagio psichico, e in generale le sofferenze della vita, si affrontano così, un passettino alla volta.

Tra l'altro, io non credo che chi, filosoficamente, è convinto dell'insensatezza dell'esistenza debba essere per forza triste e non possa essere invece un allegrone festaiolo, e viceversa.

Parole molto sagge. Per quanto riguarda le gioie, ne posso gustare tre o quattro al mese e durano pochi istanti, mentre il deserto del dolore è immenso. Il dolore non sarà eterno, ma questa sofferenza infernale, inenarrabile, intensissima, acuta, intollerabile, continua, incessante occupa il 99,99999999999999999999999 per cento della mia vita. E' questa disparità che mi distrugge, che mi getta nella più abissale disperazione.

Ciao

Ciao Oudeis,

Per me è un po' difficile parlare così tanto per astratto, ma voglio reiterare il mio consiglio a relativizzare e a inquadrare il problema.
La vita è sicuramente foriera di enormi dolori, in potenza molti di più di quelli che tu o io abbiamo sperimentato nel corso della nostra esistenza; esistono molte persone che hanno sperimentato e sperimentano condizioni di vita meno sostenibili delle nostre, che tuttavia conservano un innato e profondo amore per la vita.
Questo non vuole essere un termine di paragone che rischia di diventare autosvalutante, non lo scrivo con questo intento. Però rendersi conto che la gioia di vivere e l'istinto di sopravvivenza spesso prescindono dalla situazione oggettiva, può essere uno stimolo per non imputare del tutto l'anedonia, la depressione ecc. ecc. a qualcosa di esterno, più o meno assoluto e più grande di noi, e per prendersi il rischio di occuparsene (o il rischio di non occuparsene) nei limiti in cui ci è possibile.
Tra l'altro è un rischio di cui, che ce lo si prenda o meno in modo responsabile, pagheremo comunque le conseguenze.

Riguardo all'altro tuo intervento, la depressione non è l'unica condizione psicologica in cui non si trova conforto. Sentire di essere gli unici a provare una sofferenza, è una sensazione connaturata al dolore umano, una delle sue fasi. Ogni perdita fa sentire per qualche tempo profondamente soli e incompresi; tra l'altro questo è utile perché è quella solitudine che ci mette in condizione di dare un significato non banale a quello che abbiamo perso, è la nostra storia.
E per inciso, tutti, ogni giorno, portiamo la nostra croce da soli, non è un'esclusiva dei depressi, né in generale un'esclusiva delle persone sofferenti.
Semmai è la sofferenza stessa che spinge ad assumere una prospettiva un po' troppo egoriferita, ma non è necessario dargliela vinta a tutti i costi.

Prova a relativizzare e ridimensionare se riesci, un augurio e un saluto

Innanzitutto ti ringrazio per la risposta: sei l'unica ad intervenire e per me è una goccia di rugiada sulla mia anima riarsa e sterile.
Credo di riuscire a relativizzare la depressione e gli eventi negativi che si abbattono su di me, solo pensando alla morte. La mia mente è dominata da una sola idea, quella della morte. Non riesco a vivere, senza proiettare ogni fatto, anche il più insignificante, sullo sfondo della fine. I problemi pratici non mancano. Nondimeno io quasi me ne disinteresso, scorgendo in ogni cosa non un aspetto della vita, ma l’ombra della morte: nelle rose che appassiscono; negli occhi dei bambini le cui iridi mi sembrano  già velate; nella polvere che si accumula sulla suppellettile; nei primi capelli bianchi; nella nuvola che si disfa; nelle rughe di luce che, al tramonto, venano le falde dei tetti. Il costante pensiero della morte non è, però, funereo, tutt’altro. E' per me l’unico conforto: mi figuro – illusione? – un perenne, totale oblio oppure una condizione di pace ineffabile. So che questo mio atteggiamento sarà considerato da molti nichilistico, un tradimento della terra, per parafrasare Nietzsche, ma non mi importa. Chi desidera morire, in realtà vuole vivere, perché avverte che l’esistenza è insufficiente, un volgare succedaneo della vera vita che è luce, letizia, fervore. Io agogno la morte, perché non tollero più la mortale tortura di giorni tutti uguali, cristallizzati nella disperazione. Penso che in Dio anche il buio sia luminoso e, come una corda di violino toccata sapientemente con l’archetto, il mio cuore vibra, ogni volta in cui qualcuno, sgomento, teme che possa scoppiare un conflitto planetario. Al timore altrui si oppone la mia segreta, malcelata esultanza.

Oggi ho avuto un altro impeto d'ira ed ho distrutto due penne ed una matita. Tra un po' se dovrò prendere degli appunti, dovrò usare il sangue, magari quello... a parte lo scherzo macabro, qualcuno sa chi potrebbe aiutarmi a vincere la furia? Non la sopporto più e ciò mi fa infuriare.

Oudeis ha scritto:Oggi ho avuto un altro impeto d'ira ed ho distrutto due penne ed una matita.

Quando passano questi brutti momenti, provi a riconsiderare il tuo corso d'azione e di pensiero precedente e a fare delle ipotesi su quali potrebbero essere i precursori della rabbia?

canterel II ha scritto:

Oudeis ha scritto:Oggi ho avuto un altro impeto d'ira ed ho distrutto due penne ed una matita.  

Quando passano questi brutti momenti, provi a riconsiderare il tuo corso d'azione e di pensiero precedente e a fare delle ipotesi su quali potrebbero essere i precursori della rabbia?

Questi brutti momenti non passano: l'ira per me è una costante con picchi più o meno frequenti.

Oudeis ha scritto:

canterel II ha scritto:

Oudeis ha scritto:Oggi ho avuto un altro impeto d'ira ed ho distrutto due penne ed una matita.  

Quando passano questi brutti momenti, provi a riconsiderare il tuo corso d'azione e di pensiero precedente e a fare delle ipotesi su quali potrebbero essere i precursori della rabbia?

Questi brutti momenti non passano: l'ira per me è una costante con picchi più o meno frequenti.

Riformulo: negli intervalli tra i picchi provi a riconsiderare il tuo corso d'azione e di pensiero precedente, e a fare delle ipotesi su quali potrebbero essere i precursori della rabbia?
Meglio ancora: lasciamo perdere i picchi. Provi a riconsiderare il tuo corso d'azione e di pensiero precedente ecc ecc ?

Non saprei. So solo che passo dall'ansia alla malinconia dall'ira alla depressione dalla depressione alla disperazione etc e non ho requie.

La collera scaturisce da un vissuto intriso di rabbia accumulata mano a mano, che poi esplode di colpo. A te è chiaro come ci arrivi, mentre gli altri non capiscono la sproporzione.
La mia idea è che bisogna man mano smontare la rabbia, cioè non coltivarla, non essere permalosi.
La rabbia è una difesa naturale, ma non si deve tenerla desta quando non c'è più l'offesa. Ma invece noi ricordiamo, ricordiamo, ricordiamo... E facciamo i conti, facciamo i conti, facciamo i conti...
Così facendo , accumuliamo una forza distruttiva-autodistruttiva.
Dobbiamo invece coltivare l'arte di dimenticare.

Facile a dirsi.

È più facile di quello che sembra! Non si deve fare niente: ci si tiene tutta la rabbia. Un giorno passerà.

Passerà, il giorno in cui...

Tutti abbiamo il giorno in cui. Ma perché ci dobbiamo arrivare soffrendo inutilmente? Sai che esiste la terapia cognitivo comportamentale. In realtà viviamo continuamente adattando cognizione e comportamenti.
Tu hai fatto in quantità entrambe le cose: ora non buttare le tue sofferenza in pattumiera! Perché senza di quelle non puoi tornare ad essere felice.
Se uno ha subito 12 interventi di trapianto di midollo, potrà tornare ad essere felice CON tutti quei trapianti, non SENZA!
(Mo' non mi fare una risposta laconica, se no ti disarticolo la sintassi)

Sei simpatico, ma vedo che alla fine parlo solo con te, perché gli altri non scrivono. Domani stacco l'account. Ciao Buona fortuna

Gianlorenz ha scritto:Sei simpatico, ma vedo che alla fine parlo solo con te, perché gli altri non scrivono. Domani stacco l'account. Ciao Buona fortuna

Ciao Gianlorenz,
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