Sempre in pista!
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Sempre in pista!
E' una sensazione strana, sarà qualche mese che non mi presto a lagnistei, più o meno da quando ho aumentato la terapia. Ho ripreso un minimo di interesse per le cose e di conseguenza si è allontanata la noia. Certo resto malconcio, però mi sono stufato di molte delle parole che usavo per lamentarmi. E' come se mi fossi annoiato da solo per le metafore ormai trite e ritrite che usavo tirarmi addosso. Ho bisogno di qualcosa di nuovo, una situazione sociale in cui osservare con maggiore consapevolezza come funzionino i miei meccanismi di vittimizzazione.
Eccole le nuove metafore: vittimizzazione, senso di esclusione, sacrificio. Metafore nel senso di modelli linguistici sintetici e generalizzanti di situazioni reali.
Perché se parliamo di psicologia ci stiamo precludendo una lettura sociologica forse più fredda dei fenomeni che coinvolgono un individuo. Quello che voglio dire è che molti malesseri di cui si fa carico un soggetto sono in buona parte risultanti di situazioni famigliari o sociali di esclusione ai suoi danni. Hai voglia a fare diagnosi specialistiche a un individuo inerme, il cui corpo è prestato alla scienza (?) psichiatrica perché non ha i mezzi per opporvisi. Non ha i mezzi dal principio, non è riuscito a costruirsi un'identità salda in una società che a un certo punto la richiede, in particolare attraverso il mercato del lavoro: se non sai offrire una risposta sarai un buon candidato per essere risucchiato nel vortice delle istituzioni per la salute mentale.
Ma le situazioni di esclusione non sono fantasia, sono una realtà. E' il mezzo più potente col quale si replica la coesione sociale di un gruppo. Un filosofo, Girard, ha parlato del meccanismo del capro espiatorio come fondante antropologica della vita in comunità. Si può allora dire che chi si presta alle terapie psichiatrico/psicologiche sia finito spesso inconsapevolmente in questi meccanismi di esclusione più grandi di lui? Si può dire che l'indagine sull'interiorità umana si sia sviluppata usando come cavie questi soggetti, in una sorta di ricompensa simbolica del grande danno che è stato inflitto loro/che si sono inflitti?
Eccole le nuove metafore: vittimizzazione, senso di esclusione, sacrificio. Metafore nel senso di modelli linguistici sintetici e generalizzanti di situazioni reali.
Perché se parliamo di psicologia ci stiamo precludendo una lettura sociologica forse più fredda dei fenomeni che coinvolgono un individuo. Quello che voglio dire è che molti malesseri di cui si fa carico un soggetto sono in buona parte risultanti di situazioni famigliari o sociali di esclusione ai suoi danni. Hai voglia a fare diagnosi specialistiche a un individuo inerme, il cui corpo è prestato alla scienza (?) psichiatrica perché non ha i mezzi per opporvisi. Non ha i mezzi dal principio, non è riuscito a costruirsi un'identità salda in una società che a un certo punto la richiede, in particolare attraverso il mercato del lavoro: se non sai offrire una risposta sarai un buon candidato per essere risucchiato nel vortice delle istituzioni per la salute mentale.
Ma le situazioni di esclusione non sono fantasia, sono una realtà. E' il mezzo più potente col quale si replica la coesione sociale di un gruppo. Un filosofo, Girard, ha parlato del meccanismo del capro espiatorio come fondante antropologica della vita in comunità. Si può allora dire che chi si presta alle terapie psichiatrico/psicologiche sia finito spesso inconsapevolmente in questi meccanismi di esclusione più grandi di lui? Si può dire che l'indagine sull'interiorità umana si sia sviluppata usando come cavie questi soggetti, in una sorta di ricompensa simbolica del grande danno che è stato inflitto loro/che si sono inflitti?
piquemal- Numero di messaggi : 390
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