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Messaggio  Lorexxx Dom Giu 15, 2014 9:56 pm

Ciao a tutti è da un po' di giorni che sto frequentando il forum,leggendo e,ogni tanto,anche scrivendo.Vorrei dei pareri riguardanti questo aspetto della depressione(e sofferenze psicologiche analoghe):qualcuno si è mai posto il dubbio sul fatto se questi "dolori dell'anima" ,chiamiamoli così,siano a priori dei mali da evitare e eliminare dalla propria vita?Cioè,al di là della ricerca delle cause scatenanti,la sofferenza secondo voi può avere un suo significato?Non nel senso di farsi domande come "perchè proprio a me?",intendo dire se vi è mai capitato di pensare che la sofferenza psicologica possa essere considerato non"un male",ma un qualcosa che può essere accettato perchè,se c'è,vuol dire che fa parte della vita?Nel senso di mettere in dubbio la tesi (di solito implicita per questi argomenti)secondo la quale nella nostra vita si debba sempre stare bene e esseere felici.Secondo me è un tema interessante sul quale riflettere e mi piacerebbe sentire altre opinioni SmileSmile

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Messaggio  merla Dom Giu 15, 2014 10:21 pm

Secondo me in realtà la depressione e il malessere psichico hanno un aumento esponenziale proprio perché la società/cultura tende a rimuovere la sofferenza psichica.
La sofferenza fa parte della vita, come la gioia e tante altre emozioni, e sano è accettarla in quanto tale, finché si riesce e cercare di imparare quello che ci deve insegnare. Chi si fa male fisicamente prova dolore e nessuno si stupisce, anche sarebbe un segno di qualcosa che non va se non sentisse nulla, allo stesso modo la vita è fatta anche di rifiuti, fallimenti, separazioni, lutti, attese ecc. ecc. e pertanto la sofferenza psichica in sé, è sanissima.
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Messaggio  lorenzobg75 Dom Giu 15, 2014 11:26 pm

merla,bisogna separare la depressione dal dolore: durante separazione,fallimenti,lutti ecc è normale essere parecchio giù e soffrire,questo è il dolore...ma se una persona subisce un episodio depressivo a freddo e senza diciamo"giusta causa" allora secondo me è errato dire che la sofferenza fa parte della vita...
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Messaggio  lorenzobg75 Dom Giu 15, 2014 11:32 pm

lorexxx
il tema è parecchio interessante,secondo me il male non è mai accettato perchè provoca l'impossibilità di avere una mente lucida e neutrale,che è la base di tutto...paragoniamo il cervello ad una centralina di un auto...puoi avere un motore perfetto ma se la centralina non funziona correttamente le prestazioni ne risentono pesantemente
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Messaggio  merla Dom Giu 15, 2014 11:45 pm

Il fatto è che la "giusta causa" (fosse anche solo un problema organico) in genere c'è, solo che la si scopre con il tempo.
O almeno, per non generalizzare, nel caso delle persone che conosco un po' meglio posso dirti che per tutti la "giusta causa" c'era, semplicemente in determinati periodi non sono stati in grado di trovarla e/o di risolverla. A volte continuano a non essere in grado, ma c'è.
Poi, non conosco tutti i depressi del mondo, quindi posso dare solo la risposta valida per me. Smile



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Messaggio  nausiche84 Lun Giu 16, 2014 10:38 am

lorexx questa si che è una bella domanda. E' un argomento su cui io rifletto spesso e la risposta per me valida è questa: il confine tra ciò che è normale e patologico non esiste a prescindere, non è una verità assoluta, bensì è la società-cultura che lo crea e noi, purtroppo, dobbiamo sottostare a questi canoni, convinzioni (chiamiamoli come vogliamo).
Esempio: nella nostra società la psoriasi è considerata una malattia della pelle, mentre in una tribù (non ricordo il nome) non è considerata una malattia, ma una caratteristica estetica di cui vantarsi (come gli occhi azzurri nella nostra società).
Questo fa capire come i concetti di normalità e malattia sono fortemente influenzati da fattori soci-culturali. Se tu hai delle caratteristiche che deviano da quello che la società considera normalità, poveraccio.. devi essere corretto se vuoi restare in quella società. E' come se tutto fosse finalizzato alla buona convivenza.
Gli psichiatri e gli psicologi nella cura delle malattie psichiche si riferiscono a ciò che è scritto nei manuali diagnostici. I criteri presenti in questi manuali cambiano nel corso del tempo adeguandosi al periodo storico-socio-culturale in cui ci si trova in quel momento e così cambia pura l'approccio alla cura di un disturbo.
Noi non possiamo prevedere il futuro e chi ci dice che fra qualche decennio questo malessere che spesso viene etichettato come depressione non verrà considerato una caratteristica normale dello stato psichico dell'essere umano?
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Messaggio  Lorexxx Lun Giu 16, 2014 1:12 pm

grazie a tutti per le risposte.A proposito del discorso differenza tra dolore per lutti,perdite,ecc.. è giusto differenziare:io qui intendevo la sofferenza psicologica e la depressione intesa come non proveniente da cause concrete esterne.(chimiamolo poeticamente il"mal di vivere").Che nella vita poi ci siano episodi oggettivi più o meno dolorosi soggetti al caso,questo è un dato di fatto.
La mia domanda,che secondo me apre temi interessanti,era proprio intesa sul senso dei dolori dell'anima: secondo me,o almeno per mia esperienza,quando si soffre psicologicamente,c'è anche una considerazione di fondo che fa stare ancora più male,cioè che tutto quel dolore non serve a niente,è solo nostro e non ha un fine.Questo,a mio parere,è un paradosso sul quale riflettere,visto che viviamo in una società dove ormai tutto deve avere uno scopo e un fine preciso e tutto si fa in cambio di qualcosa.Mi sono spesso chiesto:non è forse anche la diffusione di quest'otticca consumistica/commerciale dove tutto ha un prezzo a rendere ancora più insopportabile la sofferenza?O,forse,addirittura a crearla?

Per Nausiche84:sono pienamente d'accordo sul fatto che i condizionamenti socio-culturali formino l'individuo e viceversa.Questo fa sì che creiamo dei valori sociali-morali verso i quali pensiamo di essere attivi e liberi,ma in realtà ne siamo anche,per forza,condizionati.
Anche il tema che hai tirato fuori della "relatività" del valore delle malattie psicologiche a mio parere è molto interessante.Per qualificare uno stato come "patologico",bisogna per forza sottointenderne uno "normale" come paragone:ma a questo punto sorge la domanda su cosa sia la"normalità",dato che il mondo è fatto di opinioni,punti di vista ed esperienze diverse.Anche la normalità,dunque,in qualche modo,è fatta da condizionamenti.Detto questo,secondo te è possibile accorgersene veramente fino al punto da comprendere come anche i propri malesseri e il proprio dolore possano essere visti in quest'ottica e,quindi,liberarsene?O,almeno,non considerarli più come problemi reali,ma solo come condizionamenti della propria personalità;e ,riconoscendoli come condizionamenti,quindi dar loro meno peso?
(forse mi sono espresso in modo un po' intricato:)Smile Spero sia abbastanza chiara la domanda)

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Messaggio  merla Lun Giu 16, 2014 1:33 pm

Temo di essermi espressa male, visto che sono stata interpretata allo stesso modo. Smile

Diciamo che io non credo che esista davvero il "male di vivere" fine a se stesso e credo che sofferenza psichica (come altri stati d'animo più gradevoli) sia in ogni caso legata alla relazione tra il nostro mondo interno e il mondo esterno, ma molte volte non siamo in grado di vedere questa relazione.
Esattamente come la "gioia di vivere" è legata alla nostra capacità interna di godere delle bellezze e delle gioie della realtà.

Ragion per cui, secondo me, il "male di vivere" ha un senso e un fine, ovvero il senso e il fine che ognuno gli può dare, con tempi e modi suoi.
Detto questo, secondo me, la sofferenza psicologica in sé è normale perché da sempre, e l'arte ne è decisamente una riprova, ma forse ritenerlo troppo "normale", implica in partenza una resa proprio per quanto riguarda la ricerca del senso da dargli.
Nel senso che prendere atto della sofferenza (anche senza essere in grado di correlarla a dati di realtà) è sano, accettarla come parte della vita anche (e in effetti accettarla la rende probabilmente più leggera), arrendervisi secondo me no, è decisamente innaturale.
merla
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Messaggio  Lorexxx Lun Giu 16, 2014 3:02 pm

merla ha scritto:Temo di essermi espressa male, visto che sono stata interpretata allo stesso modo. Smile

Diciamo che io non credo che esista davvero il "male di vivere" fine a se stesso e credo che sofferenza psichica (come altri stati d'animo più gradevoli) sia in ogni caso legata alla relazione tra il nostro mondo interno e il mondo esterno, ma molte volte non siamo in grado di vedere questa relazione.
Esattamente come la "gioia di vivere" è legata alla nostra capacità interna di godere delle bellezze e delle gioie della realtà.

Ragion per cui, secondo me, il "male di vivere" ha un senso e un fine, ovvero il senso e il fine che ognuno gli può dare, con tempi e modi suoi.
Detto questo, secondo me, la sofferenza psicologica in sé è normale perché da sempre, e l'arte ne è decisamente una riprova, ma forse ritenerlo troppo "normale", implica in partenza una resa proprio per quanto riguarda la ricerca del senso da dargli.
Nel senso che prendere atto della sofferenza (anche senza essere in grado di correlarla a dati di realtà) è sano, accettarla come parte della vita anche (e in effetti accettarla la rende probabilmente più leggera), arrendervisi secondo me no, è decisamente innaturale.

A ok avevo leggermente frainteso.Comunque la mia domanda non riguardava il fatto della possibilità di arrendersi e soccombere alla sofferenza,intendevo,proprio come dici tu,accettarla come parte della vita rendendola più leggera.D'altro canto anche l'arte,come hai ricordato,deriva comunque spesso da un turbamento interiore;anzi senza turbamenti interiori probabilmente non ci sarebbe neanche la vita intesa come la intendiamo.Nel senso che il malessere psicologico comunque è "un moto verso qualcosa,un energia in espressione",a prescindere dal fatto che poi si trasformi in arte,in follia,in genio o altro.
Concordo anche sul fatto che la sofferenza psichica derivi per forza da un nostro rapporto tra interno/esterno;quando dicevo il "dolore di vivere" che non ha uno scopo,intendevo la situazione circostanziata nella quale "l'individuo soffre senza capire perchè e senza trovare uno scopo a questa vita".Per quanto possa durare nel tempo(poco o tanto o a periodi alterni)in quei momenti il dolore è fine a se stesso,anzi direi che la cosa è reciproca,si soffre proprio perchè si percepisce l'inutilità del proprio star male.Intendevo questi come stati del "mal di vivere".Poi,ovviamente,superati questi stati,come dici tu ci si può accorgere di come dipendano dal nostro rapporto interno/esterno.

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Messaggio  roberto66 Lun Giu 16, 2014 5:39 pm

lorenzobg75 ha scritto:merla,bisogna separare la depressione dal dolore: durante separazione,fallimenti,lutti ecc è normale essere parecchio giù e soffrire,questo è il dolore...ma se una persona subisce un episodio depressivo a freddo e senza diciamo"giusta causa" allora secondo me è errato dire che la sofferenza fa parte della vita...
Condivido in parte con quanto detto da te Lorenzo
La sofferenza fa parte della vita in caso di casi normali , come lutti, malattie ecc... ( non puo esistere la felicità senza la sofferenza, come la salute senza la malattia, la luce senza il buio )
Ma come dici tu: a freddo e senza diciamo"giusta causa" o cagionata da altri, o peggio ancora è il male fatto senza un motivo o per futili motivi
Come pure, violenze, stupri ecc...concordo con te che non è una cosa normale della vita, ma cagionata da terzi, è difficilmente accettabile ed è proprio questa difficolta di non poter o essere difficile, per una persona accettata, che causa malesseri, isolamento e depressione
Ho parlato di lutti, ma un semplice esempio
Un lutto per morte naturale e un lutto per omicidio per rapina, danno ovviamente 2 reazioni diverse su una persona ( specie se poi la rapina era per pochi euro )
Ci sono cose che fanno male ma devono essere accettate come cose naturali della vita, e altre che è molto piu difficile riuscire ad accettarle


Ultima modifica di roberto66 il Lun Giu 16, 2014 6:23 pm - modificato 1 volta.
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Messaggio  nausiche84 Lun Giu 16, 2014 5:59 pm

Lorexxx ha scritto:
secondo te è possibile accorgersene veramente fino al punto da comprendere come anche i propri malesseri e il proprio dolore possano essere visti in quest'ottica e,quindi,liberarsene?O,almeno,non considerarli più come problemi reali,ma solo come condizionamenti della propria personalità;e ,riconoscendoli come condizionamenti,quindi dar loro meno peso?

in generale la cura dei malesseri psichici si basa sulla ristrutturazione cognitiva del problema/sofferenza. Infatti, le loro cause (qualunque essa siano) non si possono rimuovere e allora l'unica cosa che si può fare è modificare quegli schemi/meccanismi cognitivi, definiti disfunzionali, ad essi connessi. Se questo è il principio di base, allora una ristrutturazione cognitiva può essere anche quella di riflettere sul confine patologia/normalità di cui stiamo parlando.
Io sono del parere che i disturbi psichici hanno sempre cause multiple, perchè anche quando ci sembra chiara una causa, ad esempio un trauma personale, su questo incide sempre una componente sociale, perchè la società influenza il nostro modo di pensare e pensarsi, affrontare le esperienze, vivere le emozioni.
Quando il dolore è così forte, la persona ne può essere intrappolata e non riuscire a smuovere nuovi meccanismi cognitivi, ed è per questo che esisterebbero degli specialisti che dovrebbero aiutare in questo.

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Messaggio  Lorexxx Lun Giu 16, 2014 8:35 pm

[/quote]
""Nausiche84"" ha scritto:
in generale la cura dei malesseri psichici si basa sulla ristrutturazione cognitiva del problema/sofferenza. Infatti, le loro cause (qualunque essa siano) non si possono rimuovere e allora l'unica cosa che si può fare è modificare quegli schemi/meccanismi cognitivi, definiti disfunzionali, ad essi connessi. Se questo è il principio di base, allora una ristrutturazione cognitiva può essere anche quella di riflettere sul confine patologia/normalità di cui stiamo parlando.
Io sono del parere che i disturbi psichici hanno sempre cause multiple, perchè anche quando ci sembra chiara una causa, ad esempio un trauma personale, su questo incide sempre una componente sociale, perchè la società influenza il nostro modo di pensare e pensarsi, affrontare le esperienze, vivere le emozioni.
Quando il dolore è così forte, la persona ne può essere intrappolata e non riuscire a smuovere nuovi meccanismi cognitivi, ed è per questo che esisterebbero degli specialisti che dovrebbero aiutare in questo.

[/quote]
Mi sembra una risposta molto esauriente:). Per quanto riguarda il fatto di riflettere sul confine patologia/normalità e trasformare questa riflessione in un auto-aiuto,è questo che intendevo e l hai espresso tu in modo più preciso.Anc io sono d'accordo con te che i cosìddetti"disturbi psichici"abbiano sempre cause multiple e spesso amalgamate tra loro;d'altronde viviamo in una società che,volenti o nolenti,influenza il nostro modo di pensare e percepire la vita:la mia domanda riguardava proprio questo;nel senso se sia possibile un progressivo "spogliarsi dai condizionamenti socio-culturali esterni" come via di guarigione.Anche perchè noi,consapevoli o no,siamo comunque un insieme di idee/opinioni/credenze/esperienze/giudizi,ecc..che costituiscono un bagaglio che ci portiamo dietro.Forse più ne diventiamo consapevoli più questo può aiutarci.Mi piacerebbe approfondire questo tema con l'apporto delle tue esperienze o di altri/altre a riguardo.Mi sono formato,col tempo,l'opinione che,su questo argomento,esporre ed ascoltare nuovi punti di vista aiuta ad ampliare la propria visione.Nel senso che,già discutere qui su questo tema,è comunque una forma di comunicazione e arricchimento personale a mio parere.

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Messaggio  nausiche84 Mer Giu 18, 2014 11:39 am

La mia personale esperienza su questo aspetto di cui stiamo parlando non riguarda un qualche disturbo psichico, ma il carattere. Ora mi spiego:
la nostra società pone come canone di persona ideale quella che ha un carattere estroverso, socievole, simpatico, solare. Da questo ne scaturisce che chi ha un carattere introverso e riservato viene fatto senitre quasi come uno che ha un disturbo da curare..un carattere disturbato che necessita di essere corretto se si vuole stare nella società ed essere accettati dagli altri.
Ci sono tante persone che, proprio a causa di questi meccanismi, vivono male il loro carattere introverso, fino al punto di isolarsi.
Io non posso definrmi una persona estroversa e socievole e sicuramente, durante l'adolescenza, ci sono state fasi in cui questo mi pesava, sia per colpa di alcune persone che sottolineavano spesso questo mio carattere (diciamo negativo), sia perchè ci riflettevo e a volte, in certe situazioni, non lo accettavo.
Oggi, sulla base delle mie rilfessioni (che ti ho esposto) penso che un carattere introverso è solo una "tipologia" di carattere, come ce ne sono altre, non un difetto. E' come dire che ci sono tanti colori, ma sostenere che il nero non è un colore (solo perchè alla maggioranza non piace).
A me non pesa questo mio modo di essere e di conseguenza non vedo il motivo per cui devo stare male per via di una società ipocrita e superficiale intrappolata in meccanismi (incosapevolmente) che portano a certe convinzioni e stereotipi banali.

PS: ci sono gli studi di psicologia sociale che aiutano molto a capire come i ragionamenti e le inferenze delle persone si basano spesso su questi meccanismi e influenzamenti sociali.
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Messaggio  Lorexxx Mer Giu 18, 2014 3:49 pm

nausiche84 ha scritto:La mia personale esperienza su questo aspetto di cui stiamo parlando non riguarda un qualche disturbo psichico, ma il carattere. Ora mi spiego:
la nostra società pone come canone di persona ideale quella che ha un carattere estroverso, socievole, simpatico, solare. Da questo ne scaturisce che chi ha un carattere introverso e riservato viene fatto senitre quasi come uno che ha un disturbo da curare..un carattere disturbato che necessita di essere corretto se si vuole stare nella società ed essere accettati dagli altri.
Ci sono tante persone che, proprio a causa di questi meccanismi, vivono male il loro carattere introverso, fino al punto di isolarsi.
Io non posso definrmi una persona estroversa e socievole e sicuramente, durante l'adolescenza, ci sono state fasi in cui questo mi pesava, sia per colpa di alcune persone che sottolineavano spesso questo mio carattere (diciamo negativo), sia perchè ci riflettevo e a volte, in certe situazioni, non lo accettavo.
Oggi, sulla base delle mie rilfessioni (che ti ho esposto) penso che un carattere introverso è solo una "tipologia" di carattere, come ce ne sono altre, non un difetto. E' come dire che ci sono tanti colori, ma sostenere che il nero non è un colore (solo perchè alla maggioranza non piace).
A me non pesa questo mio modo di essere e di conseguenza non vedo il motivo per cui devo stare male per via di una società ipocrita e superficiale intrappolata in meccanismi (incosapevolmente) che portano a certe convinzioni e stereotipi banali.

PS: ci sono gli studi di psicologia sociale che aiutano molto a capire come i ragionamenti e le inferenze delle persone si basano spesso su questi meccanismi e influenzamenti sociali.

Grazie per la risposta.sì per il carattere credo di capire cosa tu voglia dire.Io,però,intendevo in senso più generale;mi spiego meglio:riguardando la mia esperienza,posso affermare che alcuni lati di quello che era il mio carattere(riflessivo,introverso,ecc..)mi proibivano di fare cose che invece avrei voluto fare.Quindi,la mia domanda era più generale nel senso: è possibile che,in qualche modo, il carattere stesso sia,comunque,un condizionamento?
Mettendo tra parentesi un attimo le critiche o meno degli altri(che in certi casi possono cmq essere costruttive),il quesito è :se per esempio uno ha un carattere"chiuso,solitario e pensieroso" e si sente bene così,è possibile veramente che stia davvero"bene"così?O può darsi che sia solo una posizione comoda per evitare di mettere in gioco se stessi ed i propri condizionamenti?Io conosco gente che ha un carattere chiuso,tranquillo e mite che afferma che "quello è il suo carattere" e sta bene così,però non esce di casa,non ha rapporti sociali con ragazze e passa il suo tempo chiuso in casa con una cerchia di 2/3 amici.Una persona del genere,per esempio,si può definire che "vive bene"?(lui ovviamente ti risponderà di si perchè quello è il suo carattere).
Non sto dicendo che bisogna essere come i modelli imposti dalla società(sempre attivi,contenti,e con la battuta pronta),però il mio dubbio è che,spesso,proprio per diversificarsi da questa società ipocrita e banale ci si crei un carattere e una personalità talmente opposta e introversa che è anc essa un condizionamento e che non fa cmq vivere bene..

Lorexxx

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Messaggio  nausiche84 Mer Giu 18, 2014 4:38 pm

Lorexxx ha scritto:è possibile che,in qualche modo, il carattere stesso sia,comunque,un condizionamento?

Si ritiene che una parte del carattere sia geneticamente determinata (alcuni la chiamano temperamento), mentre un'altra parte è condizionata dall'esperienza. Quindi, secondo me, la risposta è si ma in parte. Questo sempre a dimostrazione del fatto che di qualsiasi aspetto parliamo, che sia il carattere, la personalità o un disturbo, le cause sono multiple. Ovviamente c'è chi protende più per una causa (ad esempio gli psichiatri si rifanno a disfunzioni a livello cerebrale, mentre gli psicologi, in generale, propendono più per fattori ambientali). Ma secondo me la verità sta nel mezzo ed è proprio per questo che non è facile modificare un carattere o curare un malessere psichico.

Lorexxx ha scritto::se per esempio uno ha un carattere"chiuso,solitario e pensieroso" e si sente bene così,è possibile veramente che stia davvero"bene"così?O può darsi che sia solo una posizione comoda per evitare di mettere in gioco se stessi ed i propri condizionamenti?Io conosco gente che ha un carattere chiuso,tranquillo e mite che afferma che "quello è il suo carattere" e sta bene così,però non esce di casa,non ha rapporti sociali con ragazze e passa il suo tempo chiuso in casa con una cerchia di 2/3 amici.Una persona del genere,per esempio,si può definire che "vive bene"?(lui ovviamente ti risponderà di si perchè quello è il suo carattere).
Non sto dicendo che bisogna essere come i modelli imposti dalla società(sempre attivi,contenti,e con la battuta pronta),però il mio dubbio è che,spesso,proprio per diversificarsi da questa società ipocrita e banale ci si crei un carattere e una personalità talmente opposta e introversa che è anc essa un condizionamento e che non fa cmq vivere bene..

Secondo me sono possibili entrambe le cose. In alcuni casi il volersi mostrare opposti ai canoni della società può essere un meccanismo difensivo (e quindi ci si trova ad avere una vita solitaria e segretamente sofferente), in altri casi diventa il mezzo per ribellarsi alla società o voler marcare la propria differenza (o quasi unicità) rispetto agli altri. E poi ci sono i casi in cui una persona decide di aderire a se stesso (piuttosto che alla maschera sociale), non per i motivi prima esposti, ma perchè sente che quel suo modo di essere non è sbagliato, sta bene al pensiero di mostrarsi proprio come si è e non come vorrebbero gli altri.
Nel primo caso sicuramente non c'è quel ragionamento sul confine normalità-patologia di cui parlavamo.
Nel secondo casp c'è ma diventa un mezzo per contestare.
Nel terzo c'è e diventa un mezzo per stare bene con se stessi.
nausiche84
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