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Messaggio  mareincrespato Dom Feb 24, 2013 2:37 pm

Ieri sera sono andato in un bar "à la page" del paese dove abito. Ho resistito un'ora e sono scappato. C'era tanta gente che conoscevo, ma con cui non condivido niente. Poi la musica era alta e non si riuscivano a fare due parole. Alla fine mi sentivo molto meno solo in casa con un dvd che non si vedeva neanche bene. Oggi finalmente potevo prendermi un po' di tempo libero, ma non sono riuscito a trovare nessuno se non gli amici di dove stavo prima, che almeno rispondono al telefono o al limite richiamano dopo. Altrimenti, deserto totale. Avevo anche pensato di prendere il treno e farmi un giro a Torino, ma per cosa? Per vedere gente felice, coppie che si tengono per mano, libri che tanto non avrò il tempo di leggere? La macchina fa dei rumori strani e le strade saranno messe male, altrimenti andavo a fare un giro in montagna stile "into the wild". Ma è possibile vivere così? Tanto, cose da fare di lavoro volendo ne ho. Noiosissime, ma meglio che sprecare una giornata a rincorrere la farfalla anche solo di un'amicizia.

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Messaggio  -Nessuno- Dom Feb 24, 2013 3:08 pm

Proprio come me hai un mondo interiore di cui alla gente non frega nulla, ma non perché sei tu o sono io il problema, perché è proprio dell'interiorità che alla gente non importa, ma fai bene a provare a uscire. Io esco tutti i giorni. Ho solo un amico nella citta in cui vivo ma se non c'è lui ho molti conoscenti, di cui mi sono guadagnato il rispetto "sul campo", quale che sia il campo, biliardino, scacchi, o altro. Costoro non mi conoscono e mi considerano un "duro". Bene cosi. Ignorano totalmente che c'è una differenza abissale tra "duro" e "resistente". Io appartengo alla seconda categoria.

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Messaggio  Joy Dom Feb 24, 2013 3:15 pm

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solitudine Empty Viaggia "into the wild" da casa nel frattempo...

Messaggio  Anima in pen...ombra Dom Feb 24, 2013 3:16 pm

Conosco bene la frustrazione di una solitudine che non si sceglie ma si subisce,
e l'unica cosa che mi viene da suggerirti è di cercare di sfruttare la situazione per quello che puoi,
dato che al momento non hai il potere di cambiarla...
Se fuori è la situazione è impraticabile
e proprio non hai mezza voglia di tirare avanti con il lavoro,
il viaggio "into the wild" fallo tramite il web, ovunque tu ne abbia voglia:
nel sito di qualcosa che ti appassiona,
in una chatbox tematica,
qui a scrivere sul forum anche solo per esternare...
L'alternativa è quella di leggere un libro "che non hai mai il tempo di aprire",
di guardarti un dvd che magari si veda meglio (che titolo era, per curiosità..?),
o di fare qualsiasi cosa ti impedisca di "stare a lì a rimuginare sulle tue sfortune"
in modo da non farti sprecare energie in modo ineffiace..! Smile ù
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P.S. Lo scrivo a fatica perchè sono una mezza animalista ma...
...con un buon retino, chi sa che prima o poi la farfalla non la acchiappi! Very Happy
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solitudine Empty Teniamoci in "stand-by": non si sa mai..!

Messaggio  Anima in pen...ombra Dom Feb 24, 2013 3:29 pm

Personalmente credo che sia formativo imparare a convivere con chi non può comprenderci,
se non altro perchè spesso (come nel mio caso) non abbiamo alternative sociali "migliori" e quindi
(a meno che non aneliamo ad un futuro da eremiti si intende, ma questo è un altro paio di maniche..!)
siamo, da buoni esseri umani (e quindi "animali sociali"), pressoché "obbligati" ad adattarci..!
Che sia faticoso e frustrante sono la prima ad ammetterlo,
ma credo che ciò che veramente conti davvero in questo caso
sia l'apprendere a non modificare la nostra essenza interiore
in relazione a ciò/chi ci circonda,
ed occuparci di "farla venire fuori" soltanto con chi veramente possa capirla e rispettarla...
Teniamola sempre in "stand-by" comunque (ecologicamente tanto, questo non fa danni...):
non si sa mai che prima o poi (anche se credo la percentuale che ciò accada sia mediamente 1 possibilità su 3.000.000.000),
travestito da "persona standard", non arrivi qualcuno in grado di sorprenderci piacevolmente
col suo modo di essere/vedere e fare!
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Messaggio  Joy Dom Feb 24, 2013 3:33 pm

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solitudine Empty Ok alle compagnie, ma almeno un pochino filtrate..!

Messaggio  Anima in pen...ombra Dom Feb 24, 2013 3:40 pm

P.S. Misia, quanto al "giusto per la nostra situazione", mi è personalmente difficile darti un parere:
esiste qualcosa di veramente ed assolutamente "giusto"..?
Io credo piuttosto che ci siano solo cose più o meno funzionali a determinate situazioni:
il "meglio soli che male accompagnati" è un concetto un po' troppo irrealistico a parere mio
(gli esseri umani, per loro natura, anelano alla compagnia,
quindi possono adattarsi egregiamente a stare da soli,
ma di sicuro non possono trarne lo stesso beneficio che otterrebbero da una buona compagnia..!),
ma all'opposto anche l' "adattiamoci a tutti sempre e comunque" suppongo sia un concetto troppo ingenuo e superficiale
(tutti tutti tutti no dai: ci vuole anche un po' di rispetto per chi siamo..!)...
Tendo ad optare per la via di mezzo:
"cerchiamo di imparare a stare con la gente, ma non buttiamoci propria via con "cani e porci"... "
(in fondo esistono mille sfumature di persone...
Il mondo non si divide solo drasticamente in "compagnie valide" e "compagnie non valide" per fortuna..!
Possono esserci persone "valide" per alcuni motivi e non per altri...)
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Messaggio  Anima in pen...ombra Dom Feb 24, 2013 3:42 pm

Scusami Misia,
non avevo colto che fosse una domanda diretta!
Pensavo fosse una richiesta generale scusa:
non volevo "mettermi in mezzo indiscriminatamente"..! Sad
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Messaggio  canterel II Dom Feb 24, 2013 3:53 pm

vorrei spendere due parole sulla categoria "gente" introdotta da -Nessuno- (naturalmente restando nel campo dell'opinabile e del discutibile, e non per fare proselitismo: giusto per confrontare diversi modelli di ragionamento).
ecco, io ho delle difficoltà ad inquadrare questo concetto di "gente", soprattutto perché non riesco ad associarlo ad alcuna stabile categoria ontologica. detto in altri termini, per me la "gente" non esiste in sé, ed è piuttosto una proiezione sovraordinata rispetto al concetto di "persona". come dire che posso dirigere la mia percezione verso la definizione della foresta o verso la definizione degli alberi. detto ciò, credo che la nostra esperienza e la nostra educazione determinino l'attivazione alternativa di questa o quella modalità di categorizzazione. e credo che per necessità di adattamento, di difesa e di economia cognitiva impariamo a usare spesso e in tante occasioni la modalità percettiva "gente" rispetto alla modalità "persone".
raramente, credo, il soggetto percepisce se stesso come "gente", a meno che importanti influenze socio-culturali non lo inducano a svalutare i caratteri individuali a beneficio di quelli collettivi (caso che non mi sembra quello delle società liberali, tendenti all'entropia e alla trasparenza).
eppure la mia sensazione è che la possibilità di appartenere alla categoria gente sia sempre disponibile per ciascuno, e dipenda assai meno da tratti psicologici e comportamentali costanti che non dalla situazione e dal punto di vista. laddove i comportamenti per me convenienti coincidono con schemi di azione regolari (che ne so, quando partecipo volentieri a un rito: vado al seggio elettorale, vado a sposarmi) più facilmente potrò sentirmi parte della gente. laddove agisco attraverso comportamenti non regolamentati in vista di bisogni particolari e personali, più probabilmente percepirò il mio distacco dalla gente (mentre uno sguardo non coincidente con i miei bisogni sarà dissonante rispetto a questa configurazione e non avrà difficoltà a comprendermi insieme all'altra gente).
insomma per me i passaggi tra persona e gente sono continui e fluidi, e sono inoltre differenziati tra un asse orizzontale (in funzione del tempo e delle situazioni in cui mi vengo a trovare mi trovo più distinto o più amalgamato rispetto alla gente) e un asse verticale (in funzione del punto di vista e dei bisogni dello sguardo che mi osserva, io in una stessa circostanza sono individuabile come gente o come persona: se abbraccio per strada la mia fidanzata, lei vedrà in me una persona, mentre uno che passa ci vedrà magari come una porzione di paesaggio umano, cioè come gente).

sarei interessato a capire se il mio modello di ragionamento è comprensibile o se appare come una fumisteria, e sarei parimenti interessato a leggere contributi diversi, ad esempio se qualcuno di voi riesce invece a codificare una concezione "forte" e non relativistica della distinzione tra persona e gente, con dei tratti discriminanti più netti di quelli che ho proposto.


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Messaggio  Anima in pen...ombra Dom Feb 24, 2013 4:10 pm

Il tuo concetto non mi sembra affatto "fumoso", e lo condivido pienamente Canta,
visto che penso sia indubbio che noi tutti "siamo fatti di percezioni"
e che un "noumeno" oggettivo, come direbbe Kant, non esiste...
Quello che forse non condivido troppo (ma che mi rendo conto che alle volte sono la prima a fare)
è il fermarmi ECCESSIVAMENTE su questo tipo di distinzioni soggettive,
in quanto credo che più chiarirci le idee su "come vediamo il mondo",
esse alterino, nella pratica, il modo con cui interagiamo con quest'ultimo
(non possiamo "vivere attivamente" MOLTO e "fermarci a pensare" MOLTO nella stessa quantità:
è per questo che detesto il mio "eccessivo essere razionale" alle volte...!
Penso di correre il serio rischio di "fondermi il cervello" da sola,
cosa un tantino controproducente... Sad )!
Rimango comunque convinta, al di là di tutto,
che sia estremamente affascinante conversare di queste cose ogni tanto..! Smile
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Messaggio  merla Dom Feb 24, 2013 4:10 pm

Secondo me è molto comprensibile.

D'altro canto mi rendo conto che in situazioni di solitudine o quando si ha un certo timore delle conoscenze "superficiali" (perché ci si può isolare anche se non si è strettamente in solitudine, uscendo sempre e solo con la fidanzata, rintanandosi nel solito storico gruppo di amici o nella famiglia, ad esempio) proprio la paura di nuovi approcci può alimentare questa semplificazione, rendendo così sempre più complicato il rapportarsi all'altro.

Credo, almeno per me, che sia proprio il timore di non riuscire a intrecciare rapporti autentici che ci porta a ragionare in termini di gente o di categorie. Pensare che quel bar è frequentato, ad esempio, solo da fighetti, realizza in partenza una sorta di distacco che in un certo senso tutela dalle delusioni.
Pensare invece che lo stesso bar è frequentato da silvia, sara, gino e pino, ognuno con i propri bisogni e con le proprie ricchezze e ognuno al tempo stesso in grado di farci del bene o del male, di dare conferme o smentite è un po' più difficile, meno tutelante in un certo senso e forse richiede un senso d'identità un po' più forte e più definito.

fumosa?
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Messaggio  canterel II Dom Feb 24, 2013 4:26 pm

Anima in pen...ombra ha scritto:

Quello che forse non condivido troppo (ma che mi rendo conto che alle volte sono la prima a fare)
è il fermarmi ECCESSIVAMENTE su questo tipo di distinzioni soggettive,
in quanto credo che più chiarirci le idee su "come vediamo il mondo",
esse alterino, nella pratica, il modo con cui interagiamo con quest'ultimo
(non possiamo "vivere attivamente" MOLTO e "fermarci a pensare" MOLTO nella stessa quantità:
è per questo che detesto il mio "eccessivo essere razionale" alle volte...!
Penso di correre il serio rischio di "fondermi il cervello" da sola,

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sono d'accordo,
infatti ho anche premesso che la distinzione tra persona e gente mi sembra una funzione dell'adattamento, e in linea di massima ha quindi una sua spiegazione nell'efficacia, al di là della criticabile solidità delle categorie che produce.
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Messaggio  -Nessuno- Dom Feb 24, 2013 6:53 pm

Misia ha scritto:
-Nessuno- ha scritto:Ho solo un amico nella citta in cui vivo ma se non c'è lui ho molti conoscenti

Non ti pesa uscire con i conoscenti?
Cioè, quando sei con queste persone che in pratica non conoscono chi sei realmente, riesci a resistere?
Lo chiedo perchè vorrei essere in grado di farlo anche io, ma non riesco.
E vorrei capire se è giusto o sbagliato per la mia situazione.
Mi pesa ma resisto, fino a quando riesco. Poi taglio la corda e vado a casa. Il fatto è che a me pesa stare da solo a casa sempre, perché da solo sto male, poi però esco e rimpiango il fatto di non essere a casa. In pratica vado avanti alternando due tipi di solitudine: quella casalinga e quella esterna in compagnia.

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Messaggio  -Nessuno- Dom Feb 24, 2013 7:03 pm

canterel II ha scritto:vorrei spendere due parole sulla categoria "gente" introdotta da -Nessuno- (naturalmente restando nel campo dell'opinabile e del discutibile, e non per fare proselitismo: giusto per confrontare diversi modelli di ragionamento).
ecco, io ho delle difficoltà ad inquadrare questo concetto di "gente", soprattutto perché non riesco ad associarlo ad alcuna stabile categoria ontologica. detto in altri termini, per me la "gente" non esiste in sé, ed è piuttosto una proiezione sovraordinata rispetto al concetto di "persona". come dire che posso dirigere la mia percezione verso la definizione della foresta o verso la definizione degli alberi. detto ciò, credo che la nostra esperienza e la nostra educazione determinino l'attivazione alternativa di questa o quella modalità di categorizzazione. e credo che per necessità di adattamento, di difesa e di economia cognitiva impariamo a usare spesso e in tante occasioni la modalità percettiva "gente" rispetto alla modalità "persone".
raramente, credo, il soggetto percepisce se stesso come "gente", a meno che importanti influenze socio-culturali non lo inducano a svalutare i caratteri individuali a beneficio di quelli collettivi (caso che non mi sembra quello delle società liberali, tendenti all'entropia e alla trasparenza).
eppure la mia sensazione è che la possibilità di appartenere alla categoria gente sia sempre disponibile per ciascuno, e dipenda assai meno da tratti psicologici e comportamentali costanti che non dalla situazione e dal punto di vista. laddove i comportamenti per me convenienti coincidono con schemi di azione regolari (che ne so, quando partecipo volentieri a un rito: vado al seggio elettorale, vado a sposarmi) più facilmente potrò sentirmi parte della gente. laddove agisco attraverso comportamenti non regolamentati in vista di bisogni particolari e personali, più probabilmente percepirò il mio distacco dalla gente (mentre uno sguardo non coincidente con i miei bisogni sarà dissonante rispetto a questa configurazione e non avrà difficoltà a comprendermi insieme all'altra gente).
insomma per me i passaggi tra persona e gente sono continui e fluidi, e sono inoltre differenziati tra un asse orizzontale (in funzione del tempo e delle situazioni in cui mi vengo a trovare mi trovo più distinto o più amalgamato rispetto alla gente) e un asse verticale (in funzione del punto di vista e dei bisogni dello sguardo che mi osserva, io in una stessa circostanza sono individuabile come gente o come persona: se abbraccio per strada la mia fidanzata, lei vedrà in me una persona, mentre uno che passa ci vedrà magari come una porzione di paesaggio umano, cioè come gente).

sarei interessato a capire se il mio modello di ragionamento è comprensibile o se appare come una fumisteria, e sarei parimenti interessato a leggere contributi diversi, ad esempio se qualcuno di voi riesce invece a codificare una concezione "forte" e non relativistica della distinzione tra persona e gente, con dei tratti discriminanti più netti di quelli che ho proposto.
Ma guarda, io ti posso dire che per gente intendo soltanto tutte le persone con cui ho avuto e ho a che fare. Quindi le mie generalizzazioni in realtà si riferiscono non al mondo, ma al mondo che passa sotto i miei occhi, sicuramente piu limitato rispetto al "mondo", inteso come l'insieme di tutti gli esseri umani. Per me, comunque, la gente è un contesto, la persona è un elemento. Ne segue che sicuramente una persona puo entrare a far parte della "gente", ma all'interno della gente sarà sicuramente piu difficile trovare una persona, una volta entrata. Una persona è un singolo. Ma oggi non ci sono singoli ma manifestazioni singole di un modus vivendi comune. L'amore, ad esempio, non è della gente, ma dei singoli. Io per amore non intendo quelle cose in cui io e lei andiamo alle cene in compagnia con altre coppie a parlare degli idioti che troviamo al lavoro e a bullarci della nostra saggezza nel non perdere la pazienza. Quello non è amore, quello è un sottoprodotto borghese, io per amore intendo due persone che sono ben consapevoli che la vita è un giro di giostra e che si sono reciprocamente scelte per rendere migliore quel giro, due persone che vogliono fermarsi l'una sull'altra e, per quanto abbiano passato la giornata in compagnia di altri, essi non erano "assieme" agli altri, ma solo lì con gli altri. Intendo due persone che sappiano che quando si chiude la porta di casa il walzer del mondo finisce e tutto quel carrozzone che devono sorbirsi durante il giorno viene sublimato da un eros mai stanco e sempre allegro. Questo è amore. Il resto è manierismo emotivo, lo stesso che ha causato danni a me, per intenderci. Io ho amato persone incapaci. Incapaci a livello emotivo, incapaci a livello umano, incapaci di amare, buone solo a raccontarsi e raccontare favole. Quelle sono persone che quando vanno a dormire, prima di addormentarsi, devono raccontarsi una marea di stronzate per giustificare la loro assoluta mancanza di una sensibilità autentica e la loro assoluta povertà di ambizione. Dagli una moglie figa o un marito pieno di soldi e per loro la vita è "bella che vissuta", questo accade perché hanno cristallizzato in un determinato aspetto qualche delirante idea di perfezione, hanno preso un modello sociale e ne hanno fatto un modello personale, hanno preso l'idea di qualche altro individuo e l'hanno fatta loro, ma non hanno mai potuto e mai potranno dirsi cio che vorrebbero. Perciò, chi invece -nel bene o nel male- sa cosa vuole, viene visto come svago temporaneo o tuttalpiù come bersaglio.


Ultima modifica di -Nessuno- il Dom Feb 24, 2013 7:17 pm - modificato 1 volta.

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Messaggio  Joy Dom Feb 24, 2013 7:10 pm

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Ultima modifica di Joy il Sab Mar 02, 2013 3:27 pm - modificato 1 volta.
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Messaggio  -Nessuno- Dom Feb 24, 2013 7:21 pm

Misia ha scritto:
-Nessuno- ha scritto:In pratica vado avanti alternando due tipi di solitudine: quella casalinga e quella esterna in compagnia.


E lei mi ha risposto che bisogna sempre stare attenti a cosa si desidera, e in effetti questo mi ha fatta di gran lunga pensare.
Guarda, cio che desideravo, tanto tempo fa, condannava pure me. Ma poi...poi con un atto di forza, di pura forza sono riuscito a scegliere davvero cio che volevo. E certo, mi scortico perché ancora non lo trovo, però almeno ho fatto in modo che nessuno mi dicesse cosa dovevo volere.

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Messaggio  -Nessuno- Lun Feb 25, 2013 2:57 pm

-Nessuno- ha scritto: Io per amore non intendo quelle cose in cui io e lei andiamo alle cene in compagnia con altre coppie a parlare degli idioti che troviamo al lavoro e a bullarci della nostra saggezza nel non perdere la pazienza. Quello non è amore, quello è un sottoprodotto borghese, io per amore intendo due persone che sono ben consapevoli che la vita è un giro di giostra e che si sono reciprocamente scelte per rendere migliore quel giro, due persone che vogliono fermarsi l'una sull'altra e, per quanto abbiano passato la giornata in compagnia di altri, essi non erano "assieme" agli altri, ma solo lì con gli altri. Intendo due persone che sappiano che quando si chiude la porta di casa il walzer del mondo finisce e tutto quel carrozzone che devono sorbirsi durante il giorno viene sublimato da un eros mai stanco e sempre allegro. Questo è amore.

Tra l'altro, questo era un messaggio "lirico" e non "logico", per riallacciarmi a quanto dicevo prima, e non se l'è cagato nessuno -cosa prevedibilissima peraltro-, poi hai voglia a dire che non dovrei sottomettere tutto alla logica Very Happy

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Messaggio  canterel II Lun Feb 25, 2013 3:15 pm

-Nessuno- ha scritto:
-Nessuno- ha scritto: Io per amore non intendo quelle cose in cui io e lei andiamo alle cene in compagnia con altre coppie a parlare degli idioti che troviamo al lavoro e a bullarci della nostra saggezza nel non perdere la pazienza. Quello non è amore, quello è un sottoprodotto borghese, io per amore intendo due persone che sono ben consapevoli che la vita è un giro di giostra e che si sono reciprocamente scelte per rendere migliore quel giro, due persone che vogliono fermarsi l'una sull'altra e, per quanto abbiano passato la giornata in compagnia di altri, essi non erano "assieme" agli altri, ma solo lì con gli altri. Intendo due persone che sappiano che quando si chiude la porta di casa il walzer del mondo finisce e tutto quel carrozzone che devono sorbirsi durante il giorno viene sublimato da un eros mai stanco e sempre allegro. Questo è amore.

Tra l'altro, questo era un messaggio "lirico" e non "logico", per riallacciarmi a quanto dicevo prima, e non se l'è cagato nessuno -cosa prevedibilissima peraltro-, poi hai voglia a dire che non dovrei sottomettere tutto alla logica Very Happy


si vede che qui in maggioranza preferiamo il sottoprodotto borghese, consideriamo lirico solo il cartellone degli spettacoli al teatro comunale, e propendiamo per un eros bolso e tetro. Cool
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Messaggio  -Nessuno- Lun Feb 25, 2013 3:34 pm

no no aspetta, il paragone no nera con il resto del mio messaggio ma con una discussione con merla, che mi obiettava il fatto che tratto tutto con logica e mai con metri meno duri. Non ho detto che qui si ama il sotto prodotto ecc, il mio era solo un modo di dire che alla fine della fiera, spesso e volentieri sono altre le cose che decidono della nostra vita, e non cio a cui diciamo di voler dare importanza;)

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Messaggio  Joy Sab Mar 02, 2013 1:13 pm

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Messaggio  piquemal Mar Mag 21, 2013 2:42 pm

canterel II ha scritto:
sarei interessato a capire se il mio modello di ragionamento è comprensibile o se appare come una fumisteria, e sarei parimenti interessato a leggere contributi diversi, ad esempio se qualcuno di voi riesce invece a codificare una concezione "forte" e non relativistica della distinzione tra persona e gente, con dei tratti discriminanti più netti di quelli che ho proposto.

Canterel II, riesumo con colpevole ritardo la tua distinzione tra persona e gente, col rammarico di non poterti proporre come mia quella concezione forte che vede l'individuo uniformarsi alla comunità, quindi allo Stato, visione tipica dei totalitarismi novecenteschi. Piuttosto mi viene da condividere qualche riflessione sulla persona, o individuo, o maschera, o uomo, con le infinite sfumature che una diversa scelta terminologica comporta, ma accettando per convenzione, così come accetto un discorso su quell'entità misteriosa detta gente, che parlando di un tizio abbiamo una rappresentazione immediata di cosa stiamo parlando.

Sarebbe una generalizzazione dire che non si può fare un discorso generale sull'uomo. Ho esperienza di me stesso ma non posso applicarla ad un altro e anche se andasse bene, noi due non descriveremmo meglio un terzo individuo. Tralasciando che l'esperienza di me stesso può essere fuorviante ai miei stessi occhi. Potrei avere idea di un uomo generale ma questo sarebbe diverso da me e da un individuo concreto. Quindi il terzo uomo di Aristotele che comprende il generale e il concreto, il quarto che comprende i primi due e il terzo e così via ad infinitum. Così ogni consiglio sugli stili di vita si riduce al campo della sociologia, ossia un adattamento a modelli comportamentali che valgono all'interno di una cerchia (ceto, classe, sesso, età...). Quello che va bene per me potrebbe essere dannoso per un altro e viceversa.

Ogni individuo a sua volta è costretto dalla sua psicologia a convivere con l'imprevedibilità delle sue reazioni a quello che gli appare come nuovo, alla consapevolezza esistenziale, agli imprevisti spiacevoli, a innamorarsi. Un individuo può sentirsi se stesso più volte nel corso della sua vita senza che ci sia identità tra i diversi momenti. E' la mente come fascio di percezioni, e i miei sforzi vanno nella direzione contraria di trovare ugualmente un centro unificatore delle mie esperienze in barba ai pensieri più dotti. Forse la ricerca di un'identità è soltanto un alleggerimento che la mente si dà per motivarsi, per ricaricarsi di endorfine, ma sarebbe una ulteriore delle mie dipendenze irrazionali di cui apprezzo i benefici.

In questa visione pessimista non c'è alcun modello di riferimento se non in negativo, come a evitare potenzialità che si potrebbero esprimere e che vengono allontanate. Gli individui si affermano negando certe potenzialità e definendosi per opposizione. Come il significato di un termine per gli strutturalisti risiede nella sua opposizione ad altri termine e non in se stesso. Nel cercare di definire l'umano si finisce insomma per trasformarlo in uno scheletro, quando non in un mostro. Mi rendo conto che l'argomento è enorme e la mia esposizione inadeguata mescolando materie affini ma diverse, mi concedo solo di concludere che questa scuola del sospetto è abbastanza infertile nel descrivere come si possano mantenere relazioni, come ci si possa sentire parte di una comunità, è un po' la tana del solipsta.

[riassumo per chi non vuole leggere tutto: l'io non esiste però un po' ci credo lo stesso]

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Messaggio  -Nessuno- Mar Mag 21, 2013 8:12 pm

Io invece credo che l'identità esista e vada ricercata, nel senso che all'inizio non c'è, ma poi si può crearsela. Gli strutturalisti, quando gli chiedi a chi vanno i soldi per i loro libri, dovrebbero poter rispondere "al discorso", ma non possono. Loro hanno costruito una grande bugia attorno al linguaggio, nel senso che hanno estremizzato un aspetto in modo molto furbo. Non sto dicendo che non abbiano ragione su niente, sto solo dicendo che sono ben consapevoli di essere piu "io" di quanto loro ammettano in pubblico.

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solitudine Empty Re: solitudine

Messaggio  piquemal Mer Mag 22, 2013 2:21 pm

-Nessuno- ha scritto:Io invece credo che l'identità esista e vada ricercata, nel senso che all'inizio non c'è, ma poi si può crearsela. Gli strutturalisti [...] sono ben consapevoli di essere piu "io" di quanto loro ammettano in pubblico.

Beh, credo che la missione principale di molti poststrutturalisti fosse quella di entrare in più orifizi possibili, dentro e fuor di metafora. Ma anche tralasciando questi l'idea di un fantasma dell'io ha un lungo corso, da Hume alla mistica, dal buddhismo a Rimbaud (io è un altro). Credo che alleggerire l'ego permetta di avvicinarsi con un diverso tipo di empatia ad altri ego alleggeriti, negarlo del tutto invece mi sembra più un esercizio scrittorio che la traccia di una pratica quotidiana.

Come questi ego individuali diventino agglomerati, gente, mi sfugge. Ognuno ha la propria rappresentazione della gente, di solito sono dei barbari analfabeti, poi ne conosci uno e toh improvvisamente è mutato in un individuo. Magari cretino, ma con diverso statuto.

piquemal

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