Genio e depressione

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Messaggio  Death_in_June Mar Giu 29, 2010 12:31 pm

Mi è capitato molte volte di leggere biografie di musicisti, artisti, scienziati... e come molto spesso accade la molla che fà fiorire la creatività è sempre caratterizzata da un'inquietudine di fondo.. io stessa quando compongo o dipingo riesco ad esprimermi meglio nelle fasi "no" della mia esistenza...Possibile che la felicità annienti o non favorisca la creatività? O che la faccia esprimere in maniera poco intensa? Vorrei sapere voi cosa ne pensate...
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Messaggio  anthea Mar Giu 29, 2010 1:24 pm

Penso sia possibile, ma non perchè sia lo stare male che sviluppi certe capacità.
Penso piuttosto che la condizione depressiva costringa il soggetto a rinchiudersi in sè stesso ed acuisca così il pensiero intimo e profondo e/o la riflessione.
Mentre quando stiamo bene, il nostro io si prolunga tutto verso l'esterno e le sensazioni escono disperdendosi negli altri.

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Messaggio  momo Mar Giu 29, 2010 4:29 pm

L'ho notato spesso anch'io. Credo di essere d'accordo con Anthea, secondo me dipende tutto da quanto si pensa e si rimugina. Quando si è sereni, spensierati appunto, cosa vuoi che venga fuori?
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Messaggio  mmm Mar Giu 29, 2010 4:37 pm

Forse una persona felice riesce a esprimere il proprio essere nella quotidianità, mentre una inquieta non ci riesce e quindi usa la scienza e le arti grafiche/scritte ecc... come una valvola di sfogo.

Certi scienziati avranno pure rivoluzionato il Mondo, ma hanno avuto una vita misera dal lato dei rapporti personali. Hanno dedicato tutti loro stessi, in maniera ossessiva compulsiva, al loro oggetto di attenzione. Per quanto mi riguarda non ne varrebbe la pena, ma ognuno fa le proprie scelte...

Forse che una vita felice non sia un'opera d'arte? Secondo me lo è. Una convivenza serena con le persone vicine, crescere dei nuovi individui, forse queste cose non sono arte e non vanno a migliorare il Mondo quanto se non meglio di un'invenzione? Secondo me si.

Possiamo ipotizzare che l'arte e la scienza, quando vanno a discapito della felicità, non sono che contentini, scarti di un'esistenza sacrificata. O anche no :-p

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Messaggio  suggestione Mar Giu 29, 2010 9:51 pm

E' un pensiero che accompagna tutte le persone che hanno problemi psichici, cioè che la malattia alimenti la genialità.
La genialità è stata raccontata in maniera romantica, influenzandoci.
Non c'è nesso tra malattia e intelligenza.
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Messaggio  belzebù Mer Giu 30, 2010 7:17 pm

quella di cui parlate è solo malinconia, la depressione blocca e toglie soltanto.

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Messaggio  canterel II Gio Lug 01, 2010 2:02 pm

in generale, sul discorso del rapporto tra genio e patologia, concordo con suggestione.
e pure nel particolare, non vedo interdipendenze necessarie tra genio e depressione.

la tendenza delle narrazioni biografiche a proporre una marcatura forte del rapporto tra creatività e malessere mi sembra in effetti forzata, a volte superstiziosa, e certamente è figlia dei peggiori cascami del romanticismo.
può darsi benissimo che spiriti geniali e prolifici soffrano di depressione, e anche no. la depressione e il disagio psichico in generale non sono condizione sufficiente né necessaria. di per sé, la malattia è invalidante, è un ostacolo e basta. dipende se mai dalla creatività e dalla dedizione di un individuo, la possibilità di piegare anche la negatività e l'impaccio patologico ai fini dell'autoespressione artistica, dell'introspezione o della filosofia. vi sono, è vero, applicazioni artistiche o scientifiche che beneficiano di una concentrazione e di un impegno che possono ricevere impulso dall'isolamento e perfino da una certa carica antisociale. ciò non significa che l'unico modo, o il modo migliore, per conseguire questo relativo distacco, utile allo sviluppo e al perfezionamento di qualche abilità o al conseguimento di un sapere specialistico, sia ammalarsi. tutt'altro.

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Messaggio  Stef Ven Lug 02, 2010 12:56 am

Ci sono momenti nelle fasi di passaggio tra depressione e normalità (che brutto termine) che il cervello, la fantasia, subiscono un'accelerazione oppure una liberazione. Esce roba inattesa a sorpresa. Poi ci sono i momenti di esaltazione del disturbo bipolare (o ciclotimico, come me) in cui si fanno tantissime cose in pochissimo tempo. Io ho concluso un libro in cui da dodici anni non riuscivo a mettere assieme i pezzi per la sua complessità (qualcosa come 180 pagine che per uno che non è scrittore è un'enormità) in solo un mese compreso l'impaginazione, la formattazione... tutto definitivo. L'esigenza di scrivere (in generale, non quel libro) mi è sorta per una sorta d'inquietudine che penso fosse frutto di un carattere depressivo degenerato nel corso di decenni. Ma devo anche dire che nel periodo (periodi) di depressione non riuscivo nemmeno a scrivere al computer cose da copiare in ufficio, quando ancora ci potevo andare. Poi quando ero più depresso non ero nemmeno in grado di uscire dalla mia stanza se non per andare in bagno, né di lavarmi per tre settimane ad agosto e altro che non sto a dire. Evidentemente dipende dalle gradazioni, quindi c'è un rapporto STRETTISSIMO fra stato mentale e creatività.
Ma voi non siete mai stati in stati simili? (scusate il gioco di parole)
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Messaggio  belzebù Ven Lug 02, 2010 9:44 am

scrivere un libro per fare soldi era il mio sogno, ed è il sogno di tantissimi aspiranti scrittori, ma la depressione appunto toglie la capacità di immaginare, di programmare, di essere costante, la voglia di fare e anche la possibilità di fare esperienze di vita. Anzi rispetto a prima quando non ero così depresso non riesco neppure ad apprezzare la lettura di un romanzo, ad immaginare i personaggi, i dialoghi e i paesaggi, a essere attaccato alla storia e a dimenticare tutto il resto... perchè bisogna leggere molto se vuoi scrivere, non riesco a svagarmi come invece succedeva prima, no la depressione mi ha tolto tutto

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Messaggio  canterel II Ven Lug 02, 2010 12:41 pm

@ stef
porti un'obiezione interessante, e vorrei provare a risponderti dal momento che credo di aver fatto esperienza di stati simili a quelli cui ti riferisci.

anzitutto, se affermi in modo generico che c'è relazione tra stato mentale e creatività, non ho intenzione di smentirti, ma il tuo enunciato è certamente vero in quanto estremamente vago. è come dire che c'è un nesso molto stretto tra condizione fisica e prestazione agonistica.

riconosco che vi sono momenti in cui l'instabilità emotiva, l'esaltazione o la prostrazione forniscono un impulso, una modificazione che agisce direttamente sull'organizzazione del pensiero, sui meccanismi associativi, sulla concentrazione. mi è capitato o mi capita, sotto la pressione di qualche stress emotivo, di sorprendermi e provare una sorta di straniamento: mi sembra di pensare con la testa di qualcun altro, nel bene e nel male. per fare un paragone, posso rimanere sorpreso dai miei pensieri così come a volte, ricordando improvvisamente i dettagli di un sogno della notte passata, mi stupisco della ricchezza e della raffinatezza dei prodotti involontari del mio onirismo, riconoscendo che difficilmente sarei riuscito ad elaborare immagini e fantasie altrettanto vivide da sveglio.
il problema però è già posto, se prestiamo attenzione alla passività di fondo di queste situazioni. voglio dire che i prodotti deliranti dell'immaginazione perturbata, quando anche siano effettivamente complessi e a modo loro interessanti, sono però accidentali come la febbre. non c'è un principio generativo suscitabile a priori sencondo volontà, senza la padronanza. e non c'è padronanza nella patologia. mi spiace di non riuscire a esibire citazioni precise degli studi di psicologia dell'arte che pure ho spulciato in passato, con riferimento a questi argomenti. freud se ne è occupato, nei saggi in cui parla, ad esempio, della capacità mimetica di attori come sarah bernhardt.
il fatto è che anche una mente equilibrata ha accesso al perturbante e fa esperienza di momenti di ispirazione. ma proprio in virtù dell'equilibrio ha di solito più possibilità di incanalare e gestire queste fasi, per sfruttarle in un secondo momento. non le patisce ma le sfrutta.
qualunque produzione speculativa o creativa non si pone come prodotto in sé, ma ipotizza una relazione con interlocutori, fruitori, spettatori, e non si riduce quasi mai a una sorta di espressione catartica e immediata di stati mentali più o meno eccitati. c'è sempre una parte di comunicazione, di mediazione: anzi, il "genio" secondo me abita sovente nel vettore deputato alla comunicazione.
ho vissuto periodi in cui ho cercato di osservare e mettere alla prova la relazione tra i miei momenti di debolezza nervosa e l'accelerazione - che davvero percepivo - delle mie fantasie, congetture e speculazioni. è stato divertente, interessante, forse anche terapeutico. ho preso a scrivere, ad annotare pensieri e immagini che mi colpivano. il risultato di queste registrazioni è riassumibile in due casi.

1. casi di decadenza breve del senso. i contenuti vividissimi, suggestivi e articolati delle mie idee e delle mie fantasticherie, fissati e consultati successivamente, mi apparivano banali, o addirittura oscuri e privi di significato nell'arco di qualche giorno, di una settimana. il demone che credevo di aver imprigionato non li abitava più. dovevo riconoscere che i miei stati di alterazione nervosa, in quelle occorrenze, non mi avevano indotto a produrre pensieri e immaginazioni più vive, ma avevano solo abbassato la soglia della mia eccitabilità. in altri termini: se non dormo consecutivamente la notte di lunedì e di martedì, son sicuro che all'alba di mercoledì mi commuoverò guardando il vento che trascina per strada vecchi fogli di giornale, e troverò che gli scarafaggi in solaio sono più misteriosi e inquietanti del solito.

2. casi di immaginazione felice passiva. l'orologio rotto segna l'ora giusta una volta al giorno, per cui se scombiccherato come sono nel momento x produco una gran quantità di congetture e mi imbevo come uno spugna di tutte le suggestioni e gli stimoli che si trovano nell'ambiente, qualche idea divertente e singolare effettivamente rimane. però, come dicevo sopra, queste idee non sono corredate da un dispositivo generativo che io possa suscitare. è come se avessi le filmine ma non il proiettore, la moviola. senza montaggio e post-produzione, resto con del materiale che si è prodotto in me, ma non mi sembra neppure mio, e non si sviluppa più.

in conclusione, resto convinto che tra creatività e patologia non ci sia alcuna relazione necessaria e sufficiente, ai fini della creatività. questo non significa negare che le esperienze di alterazione di una persona non possano essere anche in qualche modo seminali, folgoranti. continuo a credere però che la creatività felice si produca nonostante la patologia e non grazie ad essa, o quantomeno che la creatività e l'intelligenza debbano prima o poi assogettare le tendenze passivizzanti e maniacali che sono alla base delle esperienze di alterazione. certi stati non si possono coltivare.
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Messaggio  Stef Lun Lug 05, 2010 4:37 pm

Cant dice:
«anzitutto, se affermi in modo generico che c'è relazione tra stato mentale e creatività, non ho intenzione di smentirti, ma il tuo enunciato è certamente vero in quanto estremamente vago. è come dire che c'è un nesso molto stretto tra condizione fisica e prestazione agonistica.»

Stef risponde:
In effetti volevo dire che uno stato a metà (più o meno) tra depressione e normalità, coscienza e veglia, è uno dei più "favorevoli" alle ispirazioni artistiche e alle intuizioni (o alla creatività in generale). Non è una relazione con la depressione conclamata ma con uno stato di "confine" indefinito fra depressione e lucida serenità.

Cant dice:
«... i prodotti deliranti dell'immaginazione perturbata, quando anche siano effettivamente complessi e a modo loro interessanti, sono però accidentali come la febbre. non c'è un principio generativo suscitabile a priori sencondo volontà, senza la padronanza. e non c'è padronanza nella patologia ... il fatto è che anche una mente equilibrata ha accesso al perturbante e fa esperienza di momenti di ispirazione. ma proprio in virtù dell'equilibrio ha di solito più possibilità di incanalare e gestire queste fasi, per sfruttarle in un secondo momento. non le patisce ma le sfrutta.»

Stef risponde:
Dagli stati di confine (che ho detto prima) si deve poi risalire - come giustamente dici tu - allo stato di coscienza, di razionalità, di luce della ragione. Così si può gestire e sfruttare la fantasia, il ricordo, l'ispirazione e tutto il resto.
(insomma, ti sto dando ragione su tutta la linea, che vuoi di più? Quasi quasi faccio il tuo promotore o manager o impresario. Mi accontento di 2.000 euro al mese più le spese di viaggio e gli straordinari che vanno oltre le ore 8,00 - 15,42 dei feriali più tutto il sabato, le domeniche e i festivi - anche il santo patronale del posto dove mi trovo in quel momento).

Cant dice:
«qualunque produzione speculativa o creativa non si pone come prodotto in sé, ma ipotizza una relazione con interlocutori, fruitori, spettatori, e non si riduce quasi mai a una sorta di espressione catartica e immediata di stati mentali più o meno eccitati. c'è sempre una parte di comunicazione, di mediazione: anzi, il "genio" secondo me abita sovente nel vettore deputato alla comunicazione...»
(poi Cant individua due casi di ispirazione)
1 - Casi di decadenza breve del senso. i contenuti vividissimi, suggestivi e articolati delle mie idee e delle mie fantasticherie, fissati e consultati successivamente, mi apparivano banali, o addirittura oscuri e privi di significato nell'arco di qualche giorno...

Stef risponde al punto 1:
Questo è verissimo e verificato nei casi di dipinti sotto effetto di LSD (droga allucinogenza usata negli anni 60 - 70). Gli stati allucinogeni somigliano un poco allo stato mentale del sogno e della schizofrenia perché sono involontari, senza alcun controllo o volontà da parte nostra. L'inconscio, la mente, vanno dove vogliono con tutte le immagini che possono esistere in tutti i mondi possibili e immaginabili. Gli studi sul LSD dimostrano che i dipinti sotto droga non sono buoni manco per il gabinetto. Non così per la schizofrenia perché Ligabue e Van Gogh erano geniali. Evidentemente per la schizofrenia e lo stato alterato di coscienza sotto allucinogeni valgono regole diverse. Però non conosco gli effetti sull'arte di altri allucinogeni.
Quando si sta sotto LSD le cose immaginate sembrano mondiali, mitiche, bellissime, fantastiche etc. etc. ma poi da svegli ci si rende conto che non valgono nulla.

Cant arriva al punto 2:
«2. ... nel momento "x" produco una gran quantità di congetture e mi imbevo come uno spugna di tutte le suggestioni e gli stimoli che si trovano nell'ambiente, qualche idea divertente e singolare effettivamente rimane. però ... resto con del materiale che si è prodotto in me, ma non mi sembra neppure mio, e non si sviluppa più.»

Stef risponde sul punto 2:
Su questo discordo (cioè non sono d'accordo) totalmente.
Anche il peggior materiale può rivalutarsi. Con il sudore del lavorarci su, il riordinare, le correzioni, le revisioni, il confrontarsi con altri e farselo curare etc. etc. può diventare fruibile. Non so se divenga mai valido, commerciale, ma certamente buonariello (non so tradurre, è napoletano - forse "abbastanza" buono).
Ma voglio azzardarmi a dichiarare che è migliorabile a tal punto da non escludere che può diventare anche qualcosa di più (intendo un successo). Semmai deve essere qualcuno competente e con molta pazienza a farne una revisione, ma sono più che sicuro che anche l'autore stesso può farlo dopo anni (di distacco, evidentemente) con una visione critica nuova (e creativa allo stesso tempo) del manoscritto o dell'opera d'arte.

Cant dice:
«... in conclusione, resto convinto che tra creatività e patologia non ci sia alcuna relazione necessaria e sufficiente ... questo non significa negare che le esperienze di alterazione di una persona non possano essere anche in qualche modo seminali, folgoranti ... la creatività felice si produce nonostante la patologia e non grazie ad essa...»

Stef risponde:
Caro Cant, sto cercando di fare di tutto per farti arrivare alla conclusione che la eventuale relazione tra stati psichici alterati e creatività è molto ma moolto complessa. Non credo proprio che si possa concludere con un semplice "non si può escludere" quasi fosse una concessione presidenziale di grazia. Io credo e resto fermamente convinto che una relazione ci sia, che sia graduata dalla gravità della depressione, dal tipo di persona e che - questo sì - non obbligatoriamente "sempre". Ma alla fine voglio solo e sempre dire che il discorso è complesso e per niente scontato.

(N.B. ho tolto molte parti del post di Cant solo per abbreviare il tutto, se ci sono riuscito - ma credo di no)

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Messaggio  merla Lun Lug 05, 2010 5:51 pm

A questo punto mi sembra davvero d'uopo introdurre una variabile impazzita (che peraltro non è una sciocchezza ma una cosa di cui sono fermamente convinta e non soltanto io).

Alcune forme di psicoterapia evidenziano come l'espressione delle proprie inquietudini, l'elaborazione della sofferenza ecc. ecc. attraverso forme diverse dalla parola abbiano un notevole potere terapeutico.
Per cui si può anche immaginare che sia connaturato nell'uomo il fatto di esprimere in forme che possono rientrare nell'arte, dalla poesia, per la musica, passando per lo scretch, i graffiti ed arrivando alla recitazione, le proprie inquietudini per esorcizzarle e rielabolarle.
Quindi, è possibile che ognuno in un momento di inquietudine cerchi naturalmente di chiudersi in se stesso e dedicarsi a qualcosa che per lui in quel momento ha una sorta di valore di autocura, no?
Come dire che per superare il disagio, una persona si dedica maggiormente all'attività creativa che lo fa stare meglio, per cui poi sui grandi numeri è possibile che ci sia un elevato numero di persone che, soffrendo di un disagio psichico, hanno dedicato più tempo a sviluppare un certo tipo di talento proprio per acquietare questo disagio...
Da cui per la legge dei grandi numeri, viene fuori che molte persone con problemi, hanno poi avuto modo di sviluppare il proprio talento.

Il che non significa in alcun modo che tra talento, ispirazione ecc. ecc. e patologia debba esserci per forza un legame particolare, o meglio magari il legame c'è, ma non nel senso che il depresso, lo schizofrenico ecc. ecc. sono più creativi, quanto piuttosto che la creatività ha in un certo senso un valore terapeutico.

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(che è proprio terra terra e priva di qualsiasi sensibilità artistica nonostante la depressione Razz)
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Messaggio  canterel II Mar Lug 06, 2010 5:36 pm

Stef ha scritto:
Stef risponde:
In effetti volevo dire che uno stato a metà (più o meno) tra depressione e normalità, coscienza e veglia, è uno dei più "favorevoli" alle ispirazioni artistiche e alle intuizioni (o alla creatività in generale). Non è una relazione con la depressione conclamata ma con uno stato di "confine" indefinito fra depressione e lucida serenità.
il problema è ancora questa definizione un po' vaga e intuitiva di stato a metà. mi sembra una scorciatoia epistemica che solo illusoriamente individua una condizione ideale (come se dicessi al cameriere: né troppo cotta, né troppo cruda, al punto giusto). ho anche problemi con l'individuazione della dicotomia tra depressione e "normalità" (normalità = tutte le condizioni di spirito non definibili come depressione?), come uno stato A e uno stato B. Soprattutto se poi c'è quell'analogia tra depressione e normalità da un lato, coscienza e veglia dall'altro, abbastanza arbitraria secondo me. Come ho già detto: non trovo ragioni forti per associare in modo privilegiato la depressione ai domini dell'onirismo, dell'iperestesia, della fantasticheria.

Stef ha scritto:
Stef risponde:
Dagli stati di confine (che ho detto prima) si deve poi risalire - come giustamente dici tu - allo stato di coscienza, di razionalità, di luce della ragione. Così si può gestire e sfruttare la fantasia, il ricordo, l'ispirazione e tutto il resto.
è qui che ti voglio, stef: cosa dovrebbe spingermi a credere che una persona depressa possiede in maggior grado questa capacità di risalire alla coscienza e alla razionalità? in altri termini, il punto è che io non sono portato ad accettare l'idea che se una persona possiede ispirazione e riesce a tradurre in modo creativo e/o immaginativo le sue introspezioni, il suo mondo mentale e la sua fantasia, ci riesca in virtù della sua depressione. magari quella persona è depressa, ma io non ho elementi per dire che la sua creatività sia una funzione della sua depressione. i processi a cui ti riferisci per me sono descrizioni accettabili del modo in cui una persona creativa trae ispirazione dalla sua esperienza sensoriale ed emotiva: in tutto questo non vedo un legame di necessità con la depressione.

Stef ha scritto:
(poi Cant individua due casi di ispirazione)
1 - Casi di decadenza breve del senso. i contenuti vividissimi, suggestivi e articolati delle mie idee e delle mie fantasticherie, fissati e consultati successivamente, mi apparivano banali, o addirittura oscuri e privi di significato nell'arco di qualche giorno...

Stef risponde al punto 1:
Questo è verissimo e verificato nei casi di dipinti sotto effetto di LSD (droga allucinogenza usata negli anni 60 - 70). Gli stati allucinogeni somigliano un poco allo stato mentale del sogno e della schizofrenia perché sono involontari, senza alcun controllo o volontà da parte nostra. L'inconscio, la mente, vanno dove vogliono con tutte le immagini che possono esistere in tutti i mondi possibili e immaginabili. Gli studi sul LSD dimostrano che i dipinti sotto droga non sono buoni manco per il gabinetto. Non così per la schizofrenia perché Ligabue e Van Gogh erano geniali. Evidentemente per la schizofrenia e lo stato alterato di coscienza sotto allucinogeni valgono regole diverse. Però non conosco gli effetti sull'arte di altri allucinogeni.
Quando si sta sotto LSD le cose immaginate sembrano mondiali, mitiche, bellissime, fantastiche etc. etc. ma poi da svegli ci si rende conto che non valgono nulla.

qui farei un altro appunto per mettere alla prova la robustezza dei tuoi procedimenti epistemici. perché devo pensare che il brutto disegno prodotto da una persona che ha assunto LSD sia la prova del fatto che l'acido produce pessimi risultati artistici? non potrebbe trattarsi di un individuo che non è bravo a disegnare? siamo sicuri che ligabue e van gogh fossero pittori eccellenti in quanto schizofrenici? dove tu vedi un legame di necessità tra due termini, io non ho elementi se non per notarne la sola contiguità. posso ammettere
(richiamandomi all'utilissimo contributo di merla) che ci sia un legame tra la scelta di van gogh di realizzare molti autoritratti (o di rappresentare la sua camera da letto ad arles) e la sua malattia: per soddisfare un bisogno di controllo, fissazione e giustificazione della realtà. questo però non è un legame forte tra malattia e creatività, ma tra malattia e attenzione selettiva, tra malattia e organizzazione mentale.
infatti questo legame giustifica una scelta di temi e motivi, ma non è un'ipoteca sul valore artistico degli autoritratti, sulla risonanza emotiva della camera da letto di arles ecc.

Stef ha scritto:
Cant arriva al punto 2:
«2. ... nel momento "x" produco una gran quantità di congetture e mi imbevo come uno spugna di tutte le suggestioni e gli stimoli che si trovano nell'ambiente, qualche idea divertente e singolare effettivamente rimane. però ... resto con del materiale che si è prodotto in me, ma non mi sembra neppure mio, e non si sviluppa più.»

Stef risponde sul punto 2:
Su questo discordo (cioè non sono d'accordo) totalmente.
Anche il peggior materiale può rivalutarsi. Con il sudore del lavorarci su, il riordinare, le correzioni, le revisioni, il confrontarsi con altri e farselo curare etc. etc. può diventare fruibile. Non so se divenga mai valido, commerciale, ma certamente buonariello (non so tradurre, è napoletano - forse "abbastanza" buono).
Ma voglio azzardarmi a dichiarare che è migliorabile a tal punto da non escludere che può diventare anche qualcosa di più (intendo un successo). Semmai deve essere qualcuno competente e con molta pazienza a farne una revisione, ma sono più che sicuro che anche l'autore stesso può farlo dopo anni (di distacco, evidentemente) con una visione critica nuova (e creativa allo stesso tempo) del manoscritto o dell'opera d'arte.
Ancora: mi fornisci una descrizione accettabile del travaglio che conduce allo sviluppo creativo di un'idea. non hai reso esplicito quale sarebbe il ruolo privilegiato della depressione in tale sviluppo. riordinare, correggere, rivedere: sono tutte procedure che una persona non malata svolge almeno altrettanto bene. continuo a non vedere un legame efficiente tra creatività e depressione, ai fini della creatività.

Stef ha scritto:
Cant dice:
«... in conclusione, resto convinto che tra creatività e patologia non ci sia alcuna relazione necessaria e sufficiente ... questo non significa negare che le esperienze di alterazione di una persona non possano essere anche in qualche modo seminali, folgoranti ... la creatività felice si produce nonostante la patologia e non grazie ad essa...»

Stef risponde:
Caro Cant, sto cercando di fare di tutto per farti arrivare alla conclusione che la eventuale relazione tra stati psichici alterati e creatività è molto ma moolto complessa. Non credo proprio che si possa concludere con un semplice "non si può escludere" quasi fosse una concessione presidenziale di grazia. Io credo e resto fermamente convinto che una relazione ci sia, che sia graduata dalla gravità della depressione, dal tipo di persona e che - questo sì - non obbligatoriamente "sempre". Ma alla fine voglio solo e sempre dire che il discorso è complesso e per niente scontato.

Anche io mi sforzo di non banalizzare la questione. in questo senso, quando ammetto che si dà una casistica ricca e suggestiva di artisti e pensatori che hanno sofferto di depressione, non sto facendo una concessione teorica: riconosco un fatto. e però lo metto in prospettiva. la prospettiva, secondo me, è quella di un mito moderno sviluppatosi largamente nella cultura pre-romantica e romantica, poi simbolista e decadente, poi in seno alle avanguardie (soprattutto surrealismo). il mito per cui tra genio e follia ci sarebbe quest'aria di famiglia. un mito che per me vale la pena di attenuare, soprattutto perché sopravvive oggi nel completo oblio delle ragioni sociali e politiche che ne hanno costituito la ragion d'essere. senza fare esempi specifici, ma io provo un certo fastidio quando vedo dozzine di autori di canzonette che si accreditano una patente di picchiatelli per pure ragioni di marketing: così, indossando un cappello buffo, spettinandosi, dedicando omaggi a caso ad alda merini piuttosto che a nietzsche o vattelapesca. al di là del mito, per me esiste una apprezzabile ma epifenomenica casistica di talenti malati. in questo senso per me la malattia non è incompatibile con il genio, ma non è necessaria al genio, non è efficiente nel genio.
le ragioni dell'evidenza di questa casistica per me non sono profonde né complesse: sono soprattutto ragioni esterne a qualsiasi rapporto magico (che non riesco a riconoscere) tra gli schemi mentali o gli strumenti della creatività e la patologia. i miei post in questo thread sono troppo lunghi, e ora non ho tempo né voglia per diffondermi, ma io vedo spiegazioni di tipo sociologico alla base del mito del genio malato, e ragioni di ordine pragmatico già ben espresse da merla a giustificazione di una certa introversione e insistenza autoespressiva da parte di molte persone che affrontano una malattia. per me questo non basta a giustificare un legame necessario, ma appunto un legame di superficie, epifenomenico.
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Messaggio  Stef Mar Lug 06, 2010 6:48 pm

E' ovvio che la depressione non necessariamente partorisca opere d'arte o che il genio debba obbligatoriamente provenire da un disagio mentale. Questa è una forzatura bella e buona.
L'organizzazione del materiale embrionalmente artistico di un dempresso può avvenire solo quando poi questi sat bene. La normalità non c'entra in effetti, essa potrebbe essere addirittura un campanello d'allarme per una nevrosi grave come ipotizzava Freud per gli individui freddi e distaccati (ma anche per la neopsicanalisi per es. della Horney). Tutto ciò che di buono - artistico e non artistico, perché a questo punto parliamo di attività e pensiero - esce da un depresso o da una persona con un disagio qualsiasi, è perché è stato elaborato in una seconda fase.
A livello empirico, statistico, matematico... insomma direi che la casistica c'è. Nel senso che sul pratico bisogna riconoscere che spesso nascono manoscritti, musiche o dipinti da certi stati mentali "diversi", originali, particolari, speciali piuttosto che da un sazio-normale consumatore. Ciò nondimeno questo vuol dire una relazione fissa, ma solo una "probabilità". Non avrebbe senso altrimenti accertare tutti i casi nella storia di geni malati. Certamente vale lo stesso metro per le persone "normali" (intese nel senso comune) per cui i buoni emergono. E' la produzione in genere di questi stati alterati di coscienza che è poderosa, non la qualità, ma non si può negare che essa c'è spesso.
Ma io vorrei capire se questo discorso si basa su prove, sulla legge dei numeri o su costruzioni. Né nell'uno, né nell'altro caso si può essere "sicuri". Quindi il discorso diviene mano mano sempre più soggettivo ed individuale. E nel particolare ridotto si perde.
Stef
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