Depressione e linguaggio "della sofferenza".

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Messaggio  Pavely Ven Mar 27, 2009 11:04 pm

Il depresso si lamenta?

Esiste una depressione silenziosa?

Le parole giuste "liberano" la depressione?

Ho notato questo: chi è veramente depresso scrive moltissimo, impara linguaggi, studia comunicazione, legge libri su libri.

Difficilmente parla. Difficilmente fà uso della comunicazione appresa.

E non fà uso della sua capacità comunicativa altissima, perché è teso ad apprendere nuove capacità.

Ma qual'è la vostra opinione?
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Messaggio  lunatica Sab Mar 28, 2009 11:48 am

Penso che non si possa generalizzare così quando si parla di depressione,è un mondo talmente vasto...
Io ad esempio a volte mi chiudo in un silenzio e mi limito all'ascolto,al ricevere comunicazioni ed altro.
Altre volte invece tendo a far fuoriuscire con le parole una marea di pensieri e lamenti.
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Messaggio  Primavera Sab Mar 28, 2009 5:01 pm

Pavely ha scritto:Il depresso si lamenta?

Esiste una depressione silenziosa?

Le parole giuste "liberano" la depressione?

Ho notato questo: chi è veramente depresso scrive moltissimo, impara linguaggi, studia comunicazione, legge libri su libri.

Difficilmente parla. Difficilmente fà uso della comunicazione appresa.

E non fà uso della sua capacità comunicativa altissima, perché è teso ad apprendere nuove capacità.

Ma qual'è la vostra opinione?

Non penso che lo studio della comunicazione, nelle sue molteplici sfaccettature, sia condizione necessaria alla possibilità di diventare depresso, o meglio un "vero depresso".
Lo studio in generale di materie umanistiche, ma anche scientifiche può portare ad una maggiore comprensione e sensibilità verso alcune realtà, interiori e/o esteriori. Ma una persona può anche essere sensibile di suo a quelle stesse realtà, od arrivarci con l'esperienza a certi presupposti diventando o meno depresso.
Per quanto mi riguarda, durante i primi esami all'università sostenni un esame di psicologia sociale e ricordo molto bene che rimasi un po' scossa da quanto studiai, ma non andai in depressione per questo!
E' possibile che lo status di depresso porti a ragionamenti errati e che determinati studi, in chi studia, possano dare spunti ad elaborazioni e costruzioni, cmq errate, su noi e su gli altri. E' bello appassionarsi a ciò che si studia, ma in taluni casi conviene tutelarsi da ciò che si studia.

Ciò che studio non è ciò che sono, ciò che studio può arricchire ciò che sono, non deve e non può privarmi di ciò che sono o voglio essere. Ciò che studio è un mezzo, e come ogni mezzo se ne può fare un cattivo o un buon uso, utilizzare ciò che studio per uscire dalla depressione non penso si possa annoverare tra i "buon uso del mezzo".
Chi studia psicanalisi per psicoanalizzare se stesso (condizione necessaria per praticare poi la psicanalisi) va da un analista per anni, ed è compito di quel analista sondare la sua psiche e varie.

Il linguaggio e la comunicazione sono fatti sociali, la depressione a volte ha carattere sociale, per causa o conseguenza, e penso sia abbastanza comune che chi soffra di depressione usi ed abusi alternativamente del linguaggio, scritto o parlato e del silenzio (assenza di linguaggio) per esprimere un disagio interiore.

Per quanto mi riguarda, la prima volta che andai in depressione stavo in totale silenzio, nel letto o in piedi, piangevo sempre e fissavo spesso pareti, non mi accorgevo del tempo che passava e mi riprendevo solo quando era strettamente necessario e cmq non al meglio. Le altre volte ho cmq avuto un accentuarsi dell'interiorizzazione del pensiero, ma dopo la prima esperienza, per aiutare me ed anche chi mi stava accanto, tentavo di esprimere il mio disagio a parole, pur sapendo che magari ciò che dicevo, le mie parole, non riuscivano cmq a comunicare il mio effettivo stato d'animo, ma era un inizio. Quando sentivo quelle parole volteggiare nell'aria mi facevano un effetto ben diverso, ovviamente la terapia seguita ha avuto molta parte in questo.
Quando però anche chi mi stava accanto non sapeva più ben che fare o per posizione presa si è deciso di non darmi troppo retta nei miei momenti di depressione o quando non c'era nessuno accanto a me, ho fatto molto uso della parola scritta, il meglio l'ho ottenuto scrivendo frasi così come mi venivano in testa, senza cercare di dargli un senso o una connotazione, senza neppure scrivere chi o cosa, senza usare le mie capacità comunicative; a volte ha funzionato come valvola di sfogo, a volte nel rileggerle poi, nei momenti di equilibrio, mi rendevo conto di quanto infondate fossero le paure, le angoscie, le ansie, rendendomi più forte di fronte a possibili ricadute, che ci sono cmq, anche nella giornata migliore, ma ciò che noto è che son sempre più brevi, e se perdurano tento comunque di trovare soluzioni alternative.
La mia opinione è che se si è depressi penso sia indifferente come lo si comunichi, che tipologia di linguaggio si usi per comunicare la propria sofferenza, penso sia più importante a chi lo si comunica!
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Messaggio  suggestione Sab Mar 28, 2009 10:12 pm

Il depresso cerca il buio, dove nascondere il dolore che lo tormenta.
Le parole scivolano silenziose alla ricerca di risposte irrisolvibili.
Pensieri contorti, discorsi impalpabili, che nessuno è disposto ad d'ascoltare.
Allora il buio, la solitudine restano gli unici posti dove gridare con flebili voci, la crudeltà della vita.
I libri, compagni silenziosi, cullandoci ci insegnano nuovi sentieri, che un giorno, forse intraprenderemo.
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Messaggio  Pavely Dom Mar 29, 2009 11:22 pm

Primavera ha scritto:
Pavely ha scritto:Il depresso si lamenta?

Esiste una depressione silenziosa?

Le parole giuste "liberano" la depressione?

Ho notato questo: chi è veramente depresso scrive moltissimo, impara linguaggi, studia comunicazione, legge libri su libri.

Difficilmente parla. Difficilmente fà uso della comunicazione appresa.

E non fà uso della sua capacità comunicativa altissima, perché è teso ad apprendere nuove capacità.

Ma qual'è la vostra opinione?

Non penso che lo studio della comunicazione, nelle sue molteplici sfaccettature, sia condizione necessaria alla possibilità di diventare depresso, o meglio un "vero depresso".
Lo studio in generale di materie umanistiche, ma anche scientifiche può portare ad una maggiore comprensione e sensibilità verso alcune realtà, interiori e/o esteriori. Ma una persona può anche essere sensibile di suo a quelle stesse realtà, od arrivarci con l'esperienza a certi presupposti diventando o meno depresso.
Per quanto mi riguarda, durante i primi esami all'università sostenni un esame di psicologia sociale e ricordo molto bene che rimasi un po' scossa da quanto studiai, ma non andai in depressione per questo!
E' possibile che lo status di depresso porti a ragionamenti errati e che determinati studi, in chi studia, possano dare spunti ad elaborazioni e costruzioni, cmq errate, su noi e su gli altri. E' bello appassionarsi a ciò che si studia, ma in taluni casi conviene tutelarsi da ciò che si studia.

Ciò che studio non è ciò che sono, ciò che studio può arricchire ciò che sono, non deve e non può privarmi di ciò che sono o voglio essere. Ciò che studio è un mezzo, e come ogni mezzo se ne può fare un cattivo o un buon uso, utilizzare ciò che studio per uscire dalla depressione non penso si possa annoverare tra i "buon uso del mezzo".
Chi studia psicanalisi per psicoanalizzare se stesso (condizione necessaria per praticare poi la psicanalisi) va da un analista per anni, ed è compito di quel analista sondare la sua psiche e varie.

Il linguaggio e la comunicazione sono fatti sociali, la depressione a volte ha carattere sociale, per causa o conseguenza, e penso sia abbastanza comune che chi soffra di depressione usi ed abusi alternativamente del linguaggio, scritto o parlato e del silenzio (assenza di linguaggio) per esprimere un disagio interiore.

Per quanto mi riguarda, la prima volta che andai in depressione stavo in totale silenzio, nel letto o in piedi, piangevo sempre e fissavo spesso pareti, non mi accorgevo del tempo che passava e mi riprendevo solo quando era strettamente necessario e cmq non al meglio. Le altre volte ho cmq avuto un accentuarsi dell'interiorizzazione del pensiero, ma dopo la prima esperienza, per aiutare me ed anche chi mi stava accanto, tentavo di esprimere il mio disagio a parole, pur sapendo che magari ciò che dicevo, le mie parole, non riuscivano cmq a comunicare il mio effettivo stato d'animo, ma era un inizio. Quando sentivo quelle parole volteggiare nell'aria mi facevano un effetto ben diverso, ovviamente la terapia seguita ha avuto molta parte in questo.
Quando però anche chi mi stava accanto non sapeva più ben che fare o per posizione presa si è deciso di non darmi troppo retta nei miei momenti di depressione o quando non c'era nessuno accanto a me, ho fatto molto uso della parola scritta, il meglio l'ho ottenuto scrivendo frasi così come mi venivano in testa, senza cercare di dargli un senso o una connotazione, senza neppure scrivere chi o cosa, senza usare le mie capacità comunicative; a volte ha funzionato come valvola di sfogo, a volte nel rileggerle poi, nei momenti di equilibrio, mi rendevo conto di quanto infondate fossero le paure, le angoscie, le ansie, rendendomi più forte di fronte a possibili ricadute, che ci sono cmq, anche nella giornata migliore, ma ciò che noto è che son sempre più brevi, e se perdurano tento comunque di trovare soluzioni alternative.
La mia opinione è che se si è depressi penso sia indifferente come lo si comunichi, che tipologia di linguaggio si usi per comunicare la propria sofferenza, penso sia più importante a chi lo si comunica!



Hai argomentato in modo giusto e bello.

Si vede che ami moltissimo leggere e, soprattutto, le parole per te sono una ricchezza grandissima.

L'ultima frase ha l'importanza di un aforisma.

E mi trova d'accordo.

Ho appreso da te una cosa importante.
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Messaggio  Pavely Dom Mar 29, 2009 11:23 pm

sugge ha scritto:Il depresso cerca il buio, dove nascondere il dolore che lo tormenta.
Le parole scivolano silenziose alla ricerca di risposte irrisolvibili.
Pensieri contorti, discorsi impalpabili, che nessuno è disposto ad d'ascoltare.
Allora il buio, la solitudine restano gli unici posti dove gridare con flebili voci, la crudeltà della vita.
I libri, compagni silenziosi, cullandoci ci insegnano nuovi sentieri, che un giorno, forse intraprenderemo.

Ale e se quei linguaggi fossero "comunicazioni"?
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Messaggio  Primavera Lun Mar 30, 2009 12:35 pm

[quote="Pavely"]
Primavera ha scritto:
Pavely ha scritto:

Hai argomentato in modo giusto e bello.

Si vede che ami moltissimo leggere e, soprattutto, le parole per te sono una ricchezza grandissima.

L'ultima frase ha l'importanza di un aforisma.

E mi trova d'accordo.

Ho appreso da te una cosa importante.

Io non amo leggere, ho dovuto farlo per anni per motivi di studio, ma non amo leggere
i libri mi catturano e non amo essere catturata anche perché in molti libri c'è tanta "fuffa",
sono e tendo a restare nei limiti del possibile una persona libera, e non è facile
io non vedo l'ora di poter smettere di leggere
amo apprendere, ma vorrei si potesse farlo attraverso la parola,
che le cose mi venissero raccontate ed insegnate attraverso l'esperienza.
Non vedo l'ora di poter smettere di leggere e cominciare a fare.
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Depressione e linguaggio "della sofferenza". Empty comunicare.

Messaggio  anthea Lun Mar 30, 2009 3:35 pm

Concordo che la comunicazione sia molto importante.
Non sempre però le parole sono una forma effecace di comunicazione.
Un depresso può chiudersi in se stesso, ma anche parlare senza in realtà per questo desiderare veramente di interagire con qualcuno. Eppure anche questa è una forma di comunicazione indiretta di una sofferenza.

Diverso è lo sfogo. Per me è importantissimo quando si è depressi. Perchè lo sfogo è una reazione.
Invece di collassare su me stessa, piango, scrivo, parlo e grido, mi arrabbio con lo specchio e la mia immagine odiosa da fantasma!
Allora reagisco e capisco che non sono ancora perduta. Che la bestia non ha ancora vinto.
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