Oltre la noia

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Messaggio  Oudeis Ven Set 04, 2020 11:20 am

Credo che la noia sia il fulcro dell’universo. Hegel afferma che lo scenario del firmamento stellato diventava, con il passare del tempo, noioso.  Una volta ero in disaccordo con lui, oggi no. Tutto è tedio! Lo spazio dove baluginano le braci degli astri; il tempo con il monotono avvicendarsi delle stagioni, dei mesi, dei giorni, dei minuti; gli uomini con le loro reazioni prevedibili; lo spettacolo della natura con le albe ed i tramonti che si succedono senza requie sempre uguali, le soporifere distrazioni…

E’ uggiosa la società composta da esseri querimoniosi e fatui di cui conosciamo ogni più recondito aspetto. Mai un individuo che spicchi dalla massa: anche gli uomini “eccezionali” non fanno eccezione. Quanto sono monocordi le risposte! “Ognuno è l’artefice del proprio destino”, “Conosci te stesso”, “La risposta è dentro di te”, “La felicità è nelle piccole cose”, “Volere è potere”, “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”, “Non è mai troppo tardi”…

La noia della routine e la noia degli imprevisti; la noia della tranquillità borghese e la noia delle sventure; la noia degli slanci mistici e la noia delle esigenze fisiologiche. La noia della legge e la noia dell’anarchia. La noia delle prevaricazioni perpetrate dagli oppressori e la noia delle geremiadi salmodiate dagli oppressi. La noia delle notizie false e quella delle notizie vere, le une e le altre ferali. La noia dei romanzi tutti uguali, la noia delle pellicole tutte banali.

Nascere, crescere, soffrire, invecchiare, morire: tutto è scontato, già deciso a priori. Annoiarsi significa certamente non saper come occupare le ore, ma è molto di più: è avvertire la profonda, inesorabile inutilità di ogni azione, di ogni parola, persino di ogni pensiero. Otto ore per lavorare, ossia per patire ed annoiarsi; otto ore per divertirsi, ossia per annoiarsi; otto ore per riposare, ossia per annoiarsi. E’ noia la barba che cresce; è noia la barba da radere. La noia dei pranzi e delle cene: apparecchiare, sparecchiare. Che fastidio le incombenze quotidiane! Letti da rifare, camere da sistemare, pulire, innaffiare i fiori sul terrazzo, cucinare, fare il bucato, stenderlo, stirarlo… La vita è un albergo dove non vorremmo albergare.

Attediarsi è sentire il vuoto che si amplia sempre più donde il nostro horror vacui: alcuni popoli germanici, come i Longobardi, creavano monili bellissimi dove con decorazioni fitte, intrecciate, cercavano di esorcizzare il senso di vacuità, eco dei tempi in cui attorno a loro si estendevano solo gli spazi deserti ed uniformi delle steppe, le pianure desolate del firmamento. Invano proviamo a riempire l’inanità dell’esistenza. Ecco perché non lottiamo più: non è tanto carenza di energie vitali, ma rassegnazione, superiore e smagato distacco rispetto ad una realtà amorfa, priva affatto di attrattive. Vanitas vanitatum: è così!

Neppure la sofferenza increspa la superficie piatta della “vita”, neppure un’emozione fa vibrare le corde immobili del cuore. Le sinuose, coinvolgenti melodie si sono ischeletrite in un’unica nota ripetuta in saecula saeculorum. La bonaccia è più micidiale di una tempesta. Non si vive più, nemmeno si sopravvive: siamo trasformati in cose, anche se persino dalle cose promana un barlume di brio a noi per sempre precluso.

Oudeis

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