Riflessioni del filosofo irrazionalista Giuseppe Rensi

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Messaggio  Oudeis Sab Giu 06, 2020 5:25 pm

Un filosofo maturo ed esperto a chi gli chiede consiglio sui libri di filosofia da studiare, dovrebbe rispondere: che filosofia vuoi? Perché io so già che tu ne vuoi una: ossia che tu vuoi una dottrina filosofica che ti dimostri ciò che previamente e già sin d'ora credi e vuoi credere. Che vuoi adunque? Dio o gli atomi? La libertà o il determinismo? Dimmelo. Io ho qui nella mia farmacia i barattoli che contengono ciascuna di queste cose. Ti posso dare dell'una o dell'altra a seconda dei tuoi desideri o bisogni.

Il Bene è la Pace, la pace assoluta e immutabile. «Requiescat in pace». Ma lo può solo ciò che non si muove verso alcunché e non è mosso da alcunché, che non desidera e non teme, quindi non sente, non pensa, non vive – cioè il Nulla.

Vuoi la pace? L'hai, ma con la morte. Vuoi la «vita» (cioè l'agitazione e la passionalità vitale)? L'hai, ma con l'irrequietezza, la fluttuazione continua tra mancanza e sazietà, tra contento e malcontento, tra gioia e dolore: l'hai, cioè, col tormento. La pace è la morte. La vita è il tormento.

Perché nel mondo fenomenico si manifesta tanto dolore, guerre, lotte, malattie, morte, contrarietà, dispiaceri (e per di più i dolori immaginari, a nobis ipsis facti, come l'amore e le sue delusioni), perché soffriamo tanto, perché tutta questa produzione di dolore nel mondo, se non perché nel germe o nell'essenza di questo, nel principio da cui scaturisce, nel suo Essere in sé (in Dio), c'è un fondo di dolore infinito?

Si dice: se vuoi essere felice abbandona i pensieri delle cose terrene e riempi la tua mente delle cose eterne. Così Spinoza, così Fichte […]. Così Aristotele […]. Ma, pur troppo, lo stesso pensiero delle cose eterne rende specialmente infelici, qualora, approfondendolo, vi si trovi la constatazione che il Tutto, l'Eterno, l'Essere, è assurdo, cattivo, vano, e l'«ordine morale» del mondo una menzogna. E contro Spinoza, Fichte, Aristotele, contro tutti gli allucinati dalla fissazione intellettualistica che la vita di pensiero dia la felicità, ha ragione l'Ecclesiaste (1, 18): «chi accresce la scienza, accresce il dolore».

Viviamo sotto strati di dolore, uno soggiacente all'altro e che per la presenza di quest'altro non viene percepito, ma che è pronto a far sentire la sua punta non appena quest'altro scompare.

Hai disgrazie d'ogni sorta, economiche, pubbliche, familiari, ecc.? Non crucciartene! Anche quando tutte le tue disgrazie fossero tolte e sciolte tutte le difficoltà e i problemi ad esse inerenti, ti resta l'altra disgrazia ineliminabile, l'altra difficoltà insolubile, la morte. Questa è la disgrazia totale e finale, a cui, anche risolte e tolte tutte le altre, dài di cozzo in modo irreparabile. Perché angustiarti di quelle e cercar di levartele di dosso? Che cosa, riuscendovi, avresti ottenuto, poiché ti rimane questa? Se riuscissi a liberarti di quelle, non otterresti che di far giganteggiare questa. La presenza di quelle ti serve perché getta su questa un velo.

"L'essere", questo è ciò che senz'altro è per sé stesso il male e il delitto. Esso non può reggersi se non mediante l'uccisione, la distruzione, l'incorporazione di altro essere, cioè di altri esseri (il nutrirsi, il nascere). Giusto è perciò morire, la morte è la giusta e meritata pena inflitta a quel delitto che è l'essere e nello stesso tempo è l'uscita da esso, cioè, la liberazione e la purgazione da esso. il vero e unico Σοτήρ, la vera e unica Σοτήρία.

Quando si riflette che il mondo è costruito in guisa che gli esseri viventi, tanto animali quanto vegetali […] non possono persistere nell'esistenza se non nutrendosi gli uni degli altri, cioè uccidendosi a vicenda; quando si scorge da ciò che quindi il mondo è costruito sulla necessità di farsi male, sulla necessità del male; quando si pensa che da questo carattere dell'Essere totale deriva inevitabile a quella parte di esso che è l'umanità un'esistenza del pari necessariamente fondata sulla gara, sulla concorrenza, sulla lotta, sulla rivalità reciproca, e spesso sulla guerra vera e propria; bisogna concludere che, se si vuol parlare di Dio, colui che ne ha dato la più esatta definizione è il Leopardi: …. il brutto / Poter che, ascoso, a comun danno impera.

L'importanza della tua vita non è quale la vedi e la senti tu, ma quale la vede e la sente l'altro. Questo dell'altro infatti è il giudizio obbiettivo, spassionato, svincolato dalla visuale interessata soggettiva. – Sei insegnante? Hai un metro eccellente per giudicare il valore della tua vita e della vita umana in generale. Il tuo studente che sorriderà con soddisfazione perché la tua morte gli procurerà un giorno di vacanze e che ventiquattr'ore dopo se n'è già dimenticato: questa è la veduta dell'Altro, la veduta obbiettiva, dunque veramente la valutazione esatta di che cosa sia e che cosa conti la tua vita.

Talvolta si vorrebbe poter sputare fuori la propria vita come un boccone troppo disgustoso; o scrollarla giù dalle spalle come un carico troppo pesante; o stracciarla e gettarla nel cestino come un romanzo che annoia o non piace o disgusta.

Il sentimento religioso veramente grande zampilla dalla distruzione dell'egoismo e solo quando questo è interamente distrutto. E quando lo è? Quando è diventata intima e profonda la convinzione che l'io è nulla. […] Ci sono molte persone che hai viste e conosciute anni or sono e poi hai perduto di vista. Saltuariamente ti vengono in mente. Chi sono? Dove sono? Che cosa fanno? Sono ancora vive o morte? Fantasmi, ombre, come dicevano Omero, Eschilo, Pindaro. – Ma appunto tale sei tu, nella mente degli altri; cioè nella realtà, non falsificata dal tuo soggettivismo, bensì obbiettiva. Che cos'è il tuo io? Quel gruppo di interessi e moventi di cui è riempito. Interessi economici, ricchezza, coltivazione, scienza, arti, fama. Sopravviene la morte. Tutto ciò, ossia tutto il tuo io, sfuma, come la fiamma d'una candela soffiata, come una bolla di sapone bucata. L'illusione dell'immortalità personale deriva dal fatto che ciò che è sembra impossibile possa venire a non essere.

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