Lettura condivisa: The Nature of Melancholy

5 partecipanti

Pagina 3 di 3 Precedente  1, 2, 3

Andare in basso

Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 3 Empty Finch: Lo Spleen

Messaggio  canterel II Lun Dic 14, 2020 1:08 pm

Spero di non cimentarmi ancora nella parafrasi di testi poetici nelle prossime sezioni, ed eviterò di farlo quando si tratterà di liriche famose per le quali esistono traduzioni in rete, ma in questo caso l’autrice e il componimento sembrano godere di qualche fama solamente nel mondo anglofono, perciò mi sono arrangiato.
Il testo di Anne Finch può essere utilmente confrontato con quello del contemporaneo americano Cotton Mather, rispetto al quale per molti versi ha caratteristiche speculari: puritano, pragmatico e ottimista quello, filocattolica, fatalista e pessimista Finch.
A ben vedere, i due hanno anche dei punti fondamentali in comune. Entrambi avanzano riserve esplicite sulla teoria degli umori, in particolare contro l’attribuzione della melanconia a una disfunzione della milza (benché il termine spleen, in accordo con l’uso, sia accolto da Finch come riferimento per antonomasia alla melanconia). Entrambi sembrano diffidenti rispetto alle ipotesi eziologiche disponibili. E però, Mather, alludendo genericamente a qualche opera diabolica e liquidando il discorso sulle cause, si concentra sulla proposta di semplici e rigorosi (secondo lui efficaci) esercizi di direzione spirituale (confessione, preghiera, digiuno, ecc). Finch invece sembra collegare direttamente la melanconia alla dimensione ontologica della caduta conseguente al peccato originale e, nello sviluppo dell'ode, sembra quasi che la sua voce, affetta dall’oggetto trattato, perda progressivamente fiducia nelle possibilità di contrastare gli effetti di questa disposizione, fino a parlare con lo stesso monotono scoraggiamento di chi si trovi in preda ad un attacco acuto della malattia (ne è segno chiarissimo la più vistosa delle figure retoriche impiegate, ossia la ripetizione anaforica della locuzione avverbiale “in vain” che produce il climax di mestizia dell’ultima stanza).
Il motivo forse più interessante in questo testo, per la sua novità rispetto alla tradizione precedente, è quello riguardante la dimensione performativa della melanconia, la tendenza ad assumere una posa melanconica per ottenere un’aura di prestigio e attirare l’attenzione. Sembra quasi di poter distinguere due forme di melanconia, una delle quali è virile, grave, tragica, mentre l’altra è femminile, ambigua, venata di civetteria, costeggiante il ridicolo. C’è la melanconia di Bruto; e c’è la melanconia della coquette, che di quella sembra una parente minore, volgare, in qualche misura riprovevole.  
Radden ha rilevato fin qui puntualmente gli accenti misogini degli autori passati in rassegna, ma forse ora non si preoccupa di sottolineare come questo testo spicchi per la pervasività di riferimenti alla colpa, alla trivialità, alla simulazione pretestuosa, che si alternano ad altri passaggi in cui Finch sembra tentennare e difendersi dall’accusa di non saper interpretare con equilibrio il suo ruolo socialmente subordinato (la quarta strofa accenna ai lavoretti donneschi che l’autrice non si rassegna ad intraprendere, distolta da un’ispirazione che tuttavia sembra seguire con disagio, come se temesse di usurparla, lamentando più avanti il fallimento dei suoi sforzi poetici; nella quinta strofa c’è anche la presentazione di un quadro di infelicità coniugale che relega la moglie al ruolo di vittima silente, destinata ad assorbire il torto).
Non mi sembra inutile trarre da queste osservazioni una chiosa sul patriarcato, le cui strutture sociali ed economiche sono tradotte nei secoli da uomini a beneficio degli uomini, ma il cui discorso di legittimazione culturale tanto spesso è esteso, confermato e sostenuto anche dalle donne.

Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 3 Nevere14


Anne Finch, contessa di Winchilsea: lo Spleen

La poetessa inglese Anne Finch visse tra il 1661 e il 1720. Era figlia di un baronetto dello Hampshire. Come damigella d’onore della duchessa di York, trovandosi nella società più in vista alla corte di Giacomo II, ebbe modo di incontrare Heneage Finch, “Gentleman of the Bedchamber” del duca di York. Nel 1685 sposò Finch, predestinato a diventare il quarto conte di Winchilsea [quinto, secondo Wikipedia, NdCant]. Con la fine del regno di Giacomo, i due coniugi si ritirarono nella loro tenuta di campagna di Eastwell Park, dove vissero per il resto delle loro esistenze. Anche se non pienamente inserita nel circolo letterario londinese del suo tempo, Anne Finch strinse amicizie con molti membri di quel circolo, inclusi Jonathan Swift e Alexander Pope, e si crede che abbia avuto influenza su ciò che Pope scrisse dello spleen (in Feder, Lillian. 1980. Madness in Literature. Princeton, N.J.: Princeton University Press).
La lirica naturalistica di Anne Finch fu ammirata da Wordsworth, e il suo nome compare tra quelli dei precursori del revival romantico, accanto a quelli di Thomson, Crabbe e Cowper. Il suo ritiro in campagna era per lei l’ambientazione prediletta, come suggeriscono i versi seguenti, scritti alla contessa di Thanet mentre Finch viveva ancora alla corte di Giacomo II:

Donami, o Fato indulgente,
donami ancora, prima che io muoia,
un ritiro dolce ma assoluto,
tra sentieri così sperduti, ed alberi così alti,
che il mondo non possa mai invadere,
tra questi meandri e queste ombre,
la mia libertà imperturbata.


Si è voluto sottolineare di Anne Finch il fatto che, unica nella sua epoca, ella “amasse sinceramente la campagna, e che avesse un occhio capace di coglierne i tratti” (in Gosse, E. 1891. Gossip in the Library. London: William Heinemann). Wordsworth descrisse le sue poesie come “fresche immagini della natura esteriore.”
“Ardelia” era lo pseudonimo letterario di Anne Finch. La poesia “Lo Spleen”, qui riprodotta, è il suo componimento più celebre, ed è un’ode pindarica apparsa nella miscellanea di Charles Gildon nel 1701. (La forma pindarica, in omaggio al lirico greco Pindaro, è contraddistinta da una distribuzione irregolare di piedi nei versi, e dalla disposizione arbitraria delle rime). L’unica antologia delle opere di Finch che vide la pubblicazione nella sua epoca fu Miscellany of Poems Written by a Lady, del 1701.
Si pensa che “Lo Spleen” sia basata sull’esperienza vissuta di Finch: per costituzione, ella soffriva di umore basso e di melanconia. Credeva che la malattia avesse origine nel corpo e provò vari rimedi, inclusi tè, caffè, acque minerali (attinte a Tunbridge Wells). Solo due cose, si è detto, potevano darle sollievo: la rasserenante influenza della solitudine in compagnia della natura e delle Muse, o la presenza affettuosa del marito (Gosse, 1891, p. 127).
Questa lirica cattura molti dei temi associati alla melanconia nella tradizione precedente. La melanconia è elusiva e indefinibile (“sei Proteo per l’umanità afflitta, che non poté ancora mai scoprire la vera causa del tuo influsso”). La sua caratteristica dimensione soggettiva comprende una tristezza spenta (“Una quiete di torpida scontentezza”) e una paura infondata (“i tuoi oscuri terrori”). Gli incubi (“sogni premonitori”) sono frequenti, come l’insonnia. Si danno visioni o allucinazioni (“le tue vane apparizioni ingannano gli occhi”). [La melanconia] è un destino dei grandi uomini (“talvolta hai l’ardire di irrompere nelle teste più capaci”), come fu per Bruto.  È associata al colore nero e all’oscurità (“Attraverso la tua nera amarezza, io vedo tutti gli oggetti come se fossero scuri”). La sua postura caratteristica è curva e assente (“Il capo reclinato, il volto pensoso e assorto, che rivelano la mente ritirata, assente”).
In aggiunta, si evidenziano certi temi sviluppati nel secolo in cui Finch visse, in particolare l’enfasi sulla melanconia vista come un difetto della ragione, non della sensazione, e certamente non della bile (“La causa, in verità, è un difetto del senno, ma ancora si presume sia la milza, in una fiacca messinscena”). Anche il riferimento ai “vapori” è un riflesso del pensiero della sua epoca: si credeva infatti che, scaturendo dalle passioni sovraeccitate, questi annebbiassero temporaneamente il cervello. Infine “Lo Spleen” fa qualche accenno all’idea che la melanconia sia un disturbo delle donne alla moda, piegato ai fini di queste, e riconosciuto dai loro “signorili” mariti solamente per assecondarle. Nel diciottesimo secolo queste note di scetticismo nei confronti di chi soffriva lo “spleen” erano comuni. Quando nel 1714 l’amico di Finch e suo contemporaneo Alexander Pope scrisse della “Caverna dello spleen” nel poema “The Rape of the Lock”, la sua liquidazione satirica della melanconia alla moda a cui ci si riferisce parlando dei “vapori” è inequivocabile. Nell’oscura caverna dello spleen, Pope descrive l’Affettazione che, “atteggiandosi a convalescente”,

mostra sulle guance il roseo colore di una diciottenne,
abituata alla pronuncia blesa, e mostra il capo di profilo,
sviene per un alito di vento, e langue con sussiego,
sdraiata sui cuscini si rende insopportabile con i suoi lamenti,
avvolta nel vestito, per la sua malattia e per dare spettacolo.
Le belle patiscono questo genere di malattie,
per cui ogni nuova camicia da notte accompagna un nuovo malanno.


Diversamente da Pope, la poesia di Finch ammette certamente che alcune manifestazioni della melanconia siano disturbi autentici, e non solamente forme di affettazione alla moda. Tuttavia, in “Lo Spleen” ella riconosce la possibilità della melanconia contraffatta, accanto a quella reale.
“Lo Spleen” fa cenno anche ai rimedi popolari del diciottesimo secolo, e notiamo che essi costituiscono un arsenale eterogeneo: il vino, la compagnia, la religione, il tè di foglie indiane, certi decotti di tè del Canada (“Eastern berry”), o perfino la musica. E tuttavia, sono sempre adoperati "invano".

https://en.wikipedia.org/wiki/Anne_Finch,_Countess_of_Winchilsea
https://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Beatrice_d%27Este_(1658-1718)
https://it.wikipedia.org/wiki/Giacomo_II_d%27Inghilterra
https://en.wikipedia.org/wiki/Heneage_Finch,_5th_Earl_of_Winchilsea
https://en.wikipedia.org/wiki/Groom_of_the_Chamber
https://en.wikipedia.org/wiki/Eastwell_Park
https://en.wikipedia.org/wiki/The_Rape_of_the_Lock
https://en.wikipedia.org/wiki/William_Wordsworth
https://it.wikipedia.org/wiki/James_Thomson_(poeta_1700-1748)
https://it.wikipedia.org/wiki/George_Crabbe
https://it.wikipedia.org/wiki/William_Cowper
https://it.wikipedia.org/wiki/Edmund_Gosse
https://en.wikipedia.org/wiki/Charles_Gildon
______________________________________________________________________________________________________________________


“Lo Spleen”, da Miscellany of Poems Written by a Lady (1701), di Anne Finch, contessa di Winchilsea.

[per consultare il testo in inglese, seguire il link: https://www.poetryfoundation.org/poems/50565/the-spleen]


Un’ode pindarica

Che cosa sei, o SPLEEN, tu che scimmiotti ogni cosa?
Tu sei Proteo per l’umanità afflitta,
Che non poté ancora mai scoprire la vera causa del tuo influsso,
O correggerti affinché tu mantenessi un’apparenza stabile.
Sempre mutando la tua forma ingannevole,
Ora rappresenti un mare morto,
Una quiete di torpida scontentezza,
Ma poi, infrangendoti sulle rocce scateni una tempesta.
Tremante a volte appari,
Come dissolto nel timor panico;
Insinuandoti nel sonno propaghi le tue ombre,
I tuoi oscuri terrori attorno al letto silenzioso,
E riempi di sogni premonitori la testa del melanconico;
Oppure, quando la mezzanotte è scoccata,
E ancora costringi a vegliare le palpebre cadenti,
Le tue vane apparizioni ingannano gli occhi,
Davanti ad essi danzano spettri bizzarri,
Fuochi strani fanno balenare le loro lingue guizzanti,
e sorgono vaghi fantasmi.
Così mostruosa dovette apparirgli la sua visione,
Quando Bruto1 (allora schiacciato dal peso delle sue preoccupazioni,
Mentre i Fati di Roma gli battevano nel petto,
Prima dell’ultima battaglia di Filippi,
Prima che il suo destino lo portasse davanti a Ottaviano)
Fu sopraffatto dallo Spleen.

Falsamente, accusiamo la parte corporea mortale
Del nostro stato depresso e stanco,
La quale, dal giorno del degradante Peccato originale,
Ti ha accolto in sé come suo fiacco servitore,
ma ancora ubbidiva all’altra parte,
E non ha impedito all’anima attiva di volare,
E di governare le case del suo cielo natale.
E neppure, mentre dimorava nel suo Eden,
Mentre l’uomo possedeva il suo Paradiso,
Il suo fertile giardino nell’Oriente profumato,
E tutto insieme percepiva un concerto di aromi,
Alcun aggressivo odore dolciastro, finché non sopraggiunse il tuo regno,
Poté turbare i suoi sensi, né sulla faccia
Imprimere un rossore sgraziato.
Ora invece la giunchiglia soverchia il debole cervello;
Perdiamo i sensi sotto l’olezzante tormento,
Finché qualche offensiva fragranza seda le tue forze,
E rinunciamo al piacere in cambio di un breve, e nauseante sollievo.

Per ciascuno di coloro di cui ti impadronisci,
Diversi sono i moti, e il tuo abito esteriore:
Ora, ad esempio, un amico che ci ascolta in un boschetto
Deve rivolgere la sua attenzione alle tue false insinuazioni,
E udire le tue pene sussurrate, i tuoi dolori immaginari,
Emessi con un singhiozzo e testimoniati da una lacrima;
Mentre invece, in piena luce, in una folla volgare,
I tuoi schiavi, più rumorosi e schiamazzanti,
rivelano la tua influenza ridendo a sproposito.
Nella moglie imperiosa sono i tuoi vapori,
Che sorgono dal surriscaldamento delle passioni,
Formando nubi che sono attratte dal cervello,
Finché da lì discendendo nuovamente,
Attraverso i suoi occhi rannuvolati e piangenti,
Sul cuore intenerito del marito,
Faranno sì che egli conceda a lei la vittoria nella contesa,
E che rinunci a qualcosa nel campo contestato;
Così l’uomo signorile, nato per esercitare l’autorità,
Negozierà la pace, per ottenerla subito,
E obbedirà servilmente alla donna armata dello spleen.

Lo sciocco, per imitare le persone di spirito,
Finge di subire i tuoi attacchi,
E vorrebbe imputare l’apatia, che lo accompagna dalla nascita,
Alla tua influenza accidentale;
Perché, talvolta, hai l’ardire
Di irrompere nelle teste più capaci:
Infatti, spesso, gli uomini di ingegno raffinato,
Mal sopportando l’incostanza del senno,
E risposte così lente, quando sarebbero avvezzi a spendere tante parole,
Preferiscono ritirarsi lontano dalla folla, fra le tue ombre.
Ahime! Troppo mi tiranneggi:
Subisco la tua forza, mentre impreco contro di te;
Sento corrompersi la mia poesia, e i miei versi tronchi inciampare.
Attraverso la tua nera amarezza, io vedo tutti gli oggetti
Come se fossero scuri, e terribili come te,
Le mie rime denunciano, e i miei sforzi concepiscono,
Solamente un’inutile sciocchezza, o un vizio di presunzione:
Mentre mi smarrisco sul sentiero delle Muse,
Mentre fra i loro boschi e le segrete sorgenti
Il mio talento si diletta ricercando cose insolite,
E devia dal già noto, e dal senso comune;
E non vuole ricamare su diafane sete
L’impercettibile disegno dell’inimitabile rosa,
O colorare un uccello mal disegnato, o dipingere sul vetro
Il ritratto mediocre e confuso del volto del sovrano,
O l’angelo minaccioso, e l’asina parlante2.

Tu sei patrono di ogni palese sopruso,
Il pretesto fittizio del marito scontroso,
Quando egli rivolge alla moglie il malumore,
Tenendo da parte l’allegria e lo spirito per i suoi amici.
Il figlio di Bacco si inchina supplice al tuo potere,
Poiché si rifugia sempre nel bicchiere,
E può solo illudersi di allontanare le tue amarezze,
Strappando alle tue ombre appena un’ora lieta e gaudente,
Annegando il tuo regno in un fiotto porporino.
Quando la coquette, ammirata dagli sciocchi,
Vuol farsi bella della sua mutevolezza,
E, cambiando in fretta la scena,
Da un’aria prima leggera, impertinente e vanitosa,
Ne assume una delicata e malinconica,
E attenua le luci tremolanti dei suoi occhi,
Allora l’atteggiamento negligente, e il capo reclinato,
Il volto pensoso e assorto,
Che rivelano la mente ritirata, assente
Concedono una maggior libertà di scrutare al damerino,
Che con tatto indagherà la delicata causa;
La causa, in verità, è un difetto del senno,
Ma ancora si presume sia la milza, in una fiacca messinscena.

Questi sono bensì i tuoi mali immaginari,
I trucchi della tua farsa perniciosa,
Che riguardano i più fatui;
Assai gravi sono invece gli esiti funesti delle tue più potenti malie.
A causa tua la Religione che, come tutti sappiamo,
Dovrebbe portar lumi qui sulla terra,
è velata dall’oscurità, e confusa
Da dubbi ansiosi, vessata da infiniti scrupoli,
E nuovi divieti sono immaginati fraintendendo le Scritture.
E così il monito di non toccare e di non assaggiare ciò che è donato con liberalità,
Altro non è che la voce della tua avarizia, che offende la munificenza di Dio.
Obbligati al silenzio, raggirati dai tuoi inganni,
Esiliati nei deserti, o reclusi in cella,
Convinti a torto di votarsi alla potenza di Dio,
Mentre immaginano un sacrificio più puro,
Non fanno che obbedire allo spleen, e offrire la loro devozione a te.

Invano proviamo ogni artificio per darti la caccia,
Invano applichiamo ogni sorta di rimedi,
Invano mettiamo in infusione le foglie di tè indiano,
O pestiamo le bacche disseccate di tè del Canada;
Alcuni superano, invano, i limiti di questi mezzi, e fanno ricorso a liquori più nobili.
Ora, invano, produciamo l’armonia,
Soffiamo nel flauto, e tocchiamo le corde.
Dall’armonia non giunge alcun aiuto;
La musica non fa che blandirti, quando è troppo dolce e triste,
E se è troppo leggera, ti rende euforico e folle.
Nonostante i più grandi guadagni del medico,
Anche se egli vede crescere le sue fortune
Rimpinguate ogni giorno dall’onorario pagato dalle signore,
Tuttavia tu confondi tutti i suoi sforzi diligenti.
L’abile Lower3 non ha scoperto la tua causa,
E neppure ha potuto rintracciare nei corpi ben dissezionati
Il segreto, le vie misteriose,
Per le quali tu sorprendi e aggredisci la mente,
Anche se nella ricerca, troppo approfondita per il pensiero umano,
Si impegnò con fatica infruttuosa,
Finché, lui che pensava di catturarti, non si fece catturare da te,
Si vide tuo prigioniero, si riconobbe tuo schiavo,
E sprofondò sotto il peso delle tue catene in un compianto sepolcro.

1: https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Giunio_Bruto
2: https://it.wikipedia.org/wiki/Balaam
3: https://it.wikipedia.org/wiki/Richard_Lower
canterel II
canterel II
Admin

Numero di messaggi : 2820
Data d'iscrizione : 08.01.08

https://www.youtube.com/watch?v=RIOiwg2iHio

Torna in alto Andare in basso

Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 3 Empty Boerhaave: La melanconia come malattia cronica

Messaggio  canterel II Lun Dic 21, 2020 6:33 pm

Le lettrici e i lettori che hanno studiato chimica e medicina potranno trovare nel mio tentativo di tradurre Boerhaave una quantità di errori spaventosi, ma ho fatto quel che potevo per decifrare il linguaggio irto di tecnicismi. Pazienza: il saggio vale lo stesso per avere un’impressione abbastanza fedele del cambio di paradigma rappresentato da questo autore, che ricorre ancora ad alcuni termini derivati dalla tradizione di Ippocrate e Galeno, ma li piega a spiegazioni basate sui principi nuovi del meccanicismo moderno: causalità lineare (e dunque osservazione del paziente per ricostruire la catena causale e la successione di stati patologici a partire dai sintomi più recenti), il nesso ripetibile di azione e reazione, e una stretta derivazione dei fenomeni psichici da processi che sono puramente determinati dal contatto, dall’urto, dalla divisione e dai passaggi di stato di diversi aggregati di materia in movimento. Le qualità della materia non sono più inerenti a sostanze che si suppongono diverse in origine, ma a proprietà fisico-chimiche dipendenti da massa, volume, forma, consistenza, stati di agitazione termica e mobilità più o meno accelerata delle parti. L’organismo umano, in base a questo severo e meticoloso riduzionismo meccanicistico, è poco distinguibile dagli automi di Vaucanson, il celebre inventore dell’anatra meccanica che secondo le testimonianze dei suoi contemporanei sarebbe stata dotata di un perfetto apparato digerente artificiale capace di elaborare porzioni di cibo in entrata e di restituirle in forma di feci prodotte meccanicamente attraverso una serie di complessi ingranaggi. La patologia e i suoi sintomi hanno come correlato una serie di materiali in uscita (escrementi, vomito, eruttazioni, ascessi purulenti, ecc) così come le cause soggiacenti sono correlate a materiali in entrata (cibi e bevande, sostanze tossiche nell’aria, induzioni determinate dal clima e dalle attività dell’organismo). Con simili presupposti, qualche tempo prima di Boerhaave, Cartesio aveva ipotizzato che le sole conseguenze del moto e dei diversi gradi di agitazione termica bastassero a spiegare l’infinita varietà di oggetti e materiali dell’universo, supponendo che al momento della creazione un Demiurgo con poca fantasia avesse immesso nel sistema soltanto una stessa informe e indifferenziata “materia”, imprimendo ad essa una prima inclinazione a compiere casualmente diversi moti nello spazio, in tal modo necessariamente depezzandosi e provocando urti, frammentazioni, via via portando alla formazione di sostanze dotate di proprietà e qualità differenti.
Il povero melanconico nelle mani di Boerhaave rischia di apparire come uno straccio in lavatrice: è tutta una questione di additivi, medicine, alimenti, impiastri, salassi, per modificare temperatura, pressione e composizione dei fluidi nel sistema circolatorio. Il linguaggio e la storia di vita, gli affetti e le dimensioni strettamente psicologiche del paziente non sono contemplati.
La miglior cura suggerita per gli accessi di follia acuta consiste nel gettare il paziente in mare senza preavviso.

https://it.wikipedia.org/wiki/Jacques_de_Vaucanson


Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 3 Nevere15
A sinistra: illustrazione sagittale dell'anatra meccanica di Vaucanson. A destra: didascalia dal film "L'uomo meccanico" di André Deed (1921)


Herman Boerhaave: La melanconia come malattia cronica

Herman Boerhaave fu un medico e umanista vissuto in Olanda fra il 1668 e il 1738. Residente a Leiden, allora una città rinomata per lo sviluppo della scienza medica, fu uno degli autori più influenti nel campo della medicina in Europa nel diciottesimo secolo, e la sua fama si diffuse perfino in Cina. Boerhaave studiò teologia all’Università di Leiden e poi ottenne il suo dottorato nel 1689, prima di laurearsi in medicina presso l’Università di Harderwijk nel 1693. Nel 1709 ottenne la cattedra di medicina e quella di botanica all’Università di Leiden, dove nel 1714 divenne anche professore di medicina pratica e, quattro anni più tardi, di chimica. Notevole fu il suo contributo alla metodologia dell’insegnamento della medicina: aiutò a reintrodurre il metodo ippocratico dell’insegnamento clinico, che in seguito si diffuse in Europa ad opera dei suoi studenti; inoltre difese con insistenza l’utilità dell’esame post mortem dei pazienti per dimostrare la relazione tra sintomi e lesioni soggiacenti.
Boerhaave fu celebre per diverse opere, tra le quali gli Aforismi riguardanti la conoscenza e la cura delle malattie, pubblicati nel 1735, da cui sono tratti i brani che seguiranno. Altri suoi testi sono le Institutiones Medicinae, pubblicate nel 1708, e gli Elementa Chemiae, nel 1732, entrambi utilizzati come manuali universitari per gran parte del diciottesimo secolo. Nella sua trattazione della melanconia negli Aforismi, Boerhaave illustra il nuovo approccio meccanicistico all’epistemologia medica, legato allo sviluppo scientifico del diciassettesimo secolo e, in particolare, alla meccanica di Newton – un approccio che sfidava le precedenti teorie umorali e chimiche sulla melanconia. Boerhaave fu un seguace perfetto della filosofia naturale britannica del suo tempo: la meccanica di Newton gli fornì un modello generale. L’approccio meccanicistico poteva spiegare la malattia in termini di movimento e interazione tra le varie parti e suddivisioni della materia. Così, in un discorso sull’utilità del metodo meccanico in medicina, egli osserva: “Il corpo umano, dunque, è composto in maniera tale che le sue parti unite sono in grado di produrre svariati movimenti di natura assai diversa, che derivano – in pieno accordo con le leggi della meccanica – dalla massa, dalla forma e dalla compattezza delle parti, e dal modo in cui sono legate tra loro (…). Quindi l’uomo ha un corpo nel senso in cui gli scienziati meccanici utilizzano quel termine, ed esso mostra tutte le caratteristiche esibite da questa categoria ben definita” (in Boerhaave H. [1703] 1983. "Oration on the Usefulness of the Mechanical Method in Medicine." In Orations, translated with an introduction by E. Kegel-Brinkgreve and A. M. Luyendijk-Elshout. Leiden: E. J. Brill/Leiden University Press.).
Questo slittamento dei postulati impliciti non è immediatamente riconoscibile perché Boerhaave mantiene il lessico delle teorie umorali delle tradizioni precedenti. La malattia melanconica, egli sottolinea, deriva dalla “corruzione maligna del sangue e degli umori”, che gli antichi definivano “bile nera”. Ma, anziché una sostanza chimica prodotta naturalmente, della quale solo le quantità eccessive determinerebbero la melanconia, nella speculazione di Boerhaave la bile nera diventa un sottoprodotto patologico di processi puramente meccanici nel sangue. L’umore atrabiliare, o succo melanconico, “già sviluppatosi nel sangue”, come egli afferma, “corrompe allo stesso modo tutta la massa degli umori presenti nella circolazione”, provocando delle malattie.
Nonostante le sue innovazioni, Boerhaave fa proprie numerose attribuzioni più antiche della melanconia. Sono citate la riduzione dell’appetito, l’afflizione, la preferenza per la solitudine e l’indifferenza “a tutte le altre questioni”, ma anche una grande “applicazione in ogni sorta di studio o di lavoro”. Fra le tre principali cause di melanconia, egli include il “giudizio acuto, profondo e penetrante” che denota un intelletto superiore. Seguendo la tradizione galenica, l’oscurità ed il nero non sono solamente i colori dei fluidi atrabiliari, ma anche tonalità della carnagione in coloro che sono più soggetti alla malattia.
Boerhaave classifica la melanconia fra le malattie croniche, quelle cioè che, prodotte nel corpo, “hanno origine da un’anomalia dei liquidi che si sono gradualmente accumulati al suo interno, oppure dall’anomalia residua di una malattia acuta che non è stata completamente curata”.
La descrizione di Boerhaave delle forme della melanconia illustra la nozione di Spleen o di Ipocondria del diciassettesimo e diciottesimo secolo (che al tempo erano a volte usati come termini equivalenti). La forma meno grave di malattia melanconica si accompagnava a sintomi lievi di disaffezione e inattività, risultanti dall’addensamento e dal rallentamento dei fluidi corporei; la seconda e più grave forma, che egli chiamava “malattia ipocondriaca, ossia lo spleen”, era ancora descritta nei termini di un senso di pesantezza, saturazione e rigidità risultanti da rallentamento e costrizione ulteriori. Nella forma più grave (Atra Bilis), effluvi o vapori sorgenti dalla “materia putrefatta” si diffondono nel corpo, interferendo con tutte le funzioni, specialmente quelle del cervello. Una questione di gradazione distingue anche “il tipo triste di melanconia” dalla follia, che Boerhaave descrive come “pazzia furiosa” e che connota in termini di allucinazioni estreme (“visioni spaventose”). Come illustrano i brani sulla follia, la melanconia potrebbe dunque trasformarsi in follia per effetto del “grande movimento del liquido del cervello”.
Un nuovo tema è qui enunciato nella definizione di melanconia di Boerhaave: il paziente è “sempre assorbito da un solo e medesimo oggetto”. Ritroviamo gli sviluppi di questa nozione dell’ossessione per una singola idea in Philippe Pinel e in Benjamin Rush, entrambi conoscitori dell’opera di Boerhaave. Nella descrizione di Rush, questa nozione si trasforma nell’idea di una follia parziale, o disturbo parziale.
______________________________________________________________________________________________________________________

Dagli Aforismi riguardanti la conoscenza e la cura delle malattie (1735) di Herman Boerhaave

Fin qui abbiamo discusso le più importanti malattie acute interne ed esterne, veniamo ora alle malattie croniche. Quando si producono nel corpo, esse hanno origine da un’anomalia dei liquidi che si sono gradualmente accumulati al suo interno, oppure dall’anomalia residua di una malattia acuta che non è stata completamente curata.
Le anomalie che si producono gradualmente nei liquidi derivano, (1) Dall’assunzione di aria, cibi, bevande, spezie, medicine o veleni, di natura troppo estranea per potersi mescolare ai liquidi del nostro corpo, o così potenti da non poter essere assimilati in virtù dell’azione dei nostri intestini e dei nostri liquidi. E queste sono α) sostanze acide, β) sostanze aspre, costituite da una grossolanità che si unisce all’acidità in grandi proporzioni, come quella che percepiamo nei frutti acerbi, o nei succhi astringenti, nel vino, e simili; che coagulano i nostri succhi e costringono i vasi rendendoli più angusti; e con ciò danno origine a tutte le ostruzioni. Si curano con diluenti, alcali fissi, alcali saponosi, usati a lungo e con discrezione. γ) grassi aromatici, provenienti da cibi, bevande e spezie che sembrano caldi all’olfatto e al gusto; questi producono calore, attrito e lesioni dei capillari, dolori brucianti, riduzione dei liquidi e putrefazione degli stessi, extravasazione e molti altri simili effetti nocivi. δ) grassi inerti, per il consumo eccessivo di cibi grassi, provenienti da animali di terra, pesci, oppure da oli vegetali; da cui derivano le ostruzioni da calcoli biliari, infiammazioni, reflussi di bile e le forme peggiori di putrefazione. ε) sostanze saline, per l’uso di sali o cibi salati; esse distruggono i vasi e la composizione dei liquidi, rendendoli acidi; dal che derivano la produzione di scorie, la rottura dei vasi, extravasazioni dei liquidi che non vanno subito in putrefazione, ma formano dei ristagni. Si curano con acqua, acidi, applicazioni di acqua di calce. ζ) sostanze alcaline. η) sostanze agglutinanti. (2) Da una forza eccessiva esercitata dalle nostre funzioni sulle sostanze assunte (3) Dall’alterazione spontanea di natura maligna dei nostri umori.
Le anomalie sorgono dagli umori in qualunque parte del nostro corpo a causa di malattie acute che sono state curate male. α) Malattie purulente, che producono molti effetti nocivi (…). β) Malattie icorose, i cui effetti sono l’avvizzimento e la consunzione. Sono curate con sostanze emollienti e addensanti. γ) Anomalie da putrefazione (…).
Le malattie acute che sono state curate male nei tessuti solidi o in quelli misti, tendono a lasciare dietro di sé ascessi, fistole, empiemi, scirri, tumori, cancri, carie. È tipico che a partire da queste anomalie, in forma semplice o combinate tra loro, sorga un’infinità di altre patologie che ne sono effetti: esse potrebbero dunque essere comprese e curate dopo aver conosciuto bene la storia di quelle. E poiché, come sarà dimostrato, tutte le malattie croniche dipendono da quelle, allora da quelle dovremo trarre anche i principi generali e la classificazione.
Cosicché apparirà anche chiaro a prima vista che quelle malattie sono davvero infinite se le enumeriamo in base ai sintomi, e tuttavia non sono complesse in origine, e non richiedono una grande varietà di medicamenti e di attenzioni diverse nella cura; dal che si potrebbe anche intuire e indovinare le ragioni della lunga durata della maggior parte di esse, e dell’impossibilità di curare molte di esse; tutte questioni che saranno rese più chiare descrivendo queste malattie separatamente (…)

Della melanconia

I dottori chiamano Melanconia quella malattia in cui il paziente ha lunghi e ostinati deliri senza febbre, ed è sempre assorbito da un solo e medesimo pensiero. La malattia deriva dalla corruzione maligna del sangue e degli umori che gli antichi hanno chiamato bile nera: e di nuovo, anche se questa malattia ha inizio in quella che è detta la mente, tuttavia molto presto rende nera la bile nel corpo.
Sarà quindi necessario abbozzare un piccolo ritratto di questa prodigiosa malattia, i cui principi esplicativi appaiono ai più così oscuri, che perciò si accusano ingiustamente gli antichi.
Se le parti più volatili della massa del sangue si disperdono e le parti più pesanti restano agglomerate, allora il sangue diverrà denso, nero, grasso e terroso. E questa anomalia prenderà il nome di Umore atrabiliare, o Succo melanconico.
Causa di ciò sarà qualunque fattore capace di disperdere la materia più volatile e di comprimere la parte restante: un violento sforzo mentale; rimuginare giorno e notte su un solo e medesimo oggetto; uno stato di vigilanza costante; emozioni intense, sia di gioia che di disperazione; la ripetizione eccessiva di grandi e faticosi movimenti fisici, soprattutto in presenza di un clima caldo e secco; tra questi è da includere anche la lussuria smodata; alimenti crudi, duri, secchi, terrosi, consumati per lungo tempo senza alcun moto o esercizio corporeo per favorirne la digestione; cibi ottenuti da parti affumicate, essiccate o conservate sotto sale di animali, soprattutto se vecchi e robusti; frutta acerba; impasti di farine non lievitate; medicine astringenti, coagulanti, agglutinanti e refrigeranti, e sostanze tossiche che hanno effetti simili; febbre alta persistente, che tende a ripresentarsi spesso senza bruschi cali di temperatura nell’intervallo, e a dileguare spontaneamente senza l’aiuto di mezzi per abbassare la temperatura.
Quando questa anomalia, che si è già sviluppata nel sangue ed è stata già scatenata da queste cause,  corrompe allo stesso modo tutta la massa degli umori presenti nella circolazione, allora essa provoca alcuni sintomi che si manifestano immediatamente, e si riassumono per lo più nei seguenti: la carnagione del paziente apparirà esternamente ed internamente dapprima più pallida, poi giallognola, poi più scura, livida, con macchie nere; il polso rallenta; il raffreddamento aumenta; il ritmo respiratorio rallenta; la circolazione è fluida nelle arterie, e moderata, meno fluida, nei vasi laterali; dal che dipende una tendenza degli umori escretori e secretori a separarsi meno, più lentamente, restando più densi, e una loro minore espulsione in forma di scarti; un ridotto appetito; dimagrimento; afflizione; preferenza per la solitudine; tutte le affezioni della mente si presentano violente e persistenti; c’è indifferenza verso tutte le altre questioni; indolenza per quanto riguarda l’esercizio fisico; e tuttavia una notevole e sincera applicazione in ogni sorta di studio o di lavoro.  
La sua materia consiste dunque nelle sostanze terrose e densamente oleose del sangue, accostate e unite insieme, che è peggiore nei suoi effetti e più difficile da curare secondo il suo grado di fluidità, morbidezza, secchezza, viscosità, rimescolamento, e secondo la quantità di tempo in cui essa permane in questo stato  (…).
(…) e soprattutto, si dovrà prestare molta attenzione per allontanare [il melanconico] da tutte le cause della malattia.
Ma se in forza delle stesse cause quella stessa sostanza diverrà più densa, più pesante e meno mobile, allora dovrà necessariamente convergere nei vasi dell’ipocondrio; ciò è dimostrato dalla natura di quell’umore, dalla sede e dalla condizione di quei vasi, e dalle leggi del moto dei liquidi. Qui gradualmente la materia si fermerà, si accumulerà e ristagnerà: perciò si parla di Malattia ipocondriaca, oppure, in Inghilterra, essa è volgarmente chiamata Spleen; perché colpisce la milza, lo stomaco, il pancreas, l’omento, o il mesentere (…).
Quando essa si è già sviluppata (…) e si è mostrata per ciò che è attraverso la manifestazione dei suoi effetti (…) allora non si dovrebbe risparmiare tempo né mezzi per curarla; perché altrimenti gli effetti nocivi diverranno presto terribili nella loro natura; e si dovrebbe prevenire tali complicazioni, se fosse possibile: se essa continua in questo stato per altro tempo, diverrà incurabile, e talvolta mortale, come apparirà chiaro più avanti. Se invece attaccherete la malattia con medicine purganti, allora espellerete solo gli umori sani e mobili, ma quelli pesanti e corrotti resteranno indietro, dal che la malattia potrà addirittura peggiorare.
Se cercherete di curarla con medicine stimolanti e forti solventi, allora spesso la materia disciolta diverrà molto abrasiva e, gettandosi con grande violenza nei fragili vasi del fegato, li distruggerà, e da ciò deriveranno molte e incurabili malattie.
Pertanto, 1) la materia dovrà essere resa mobile lentamente, prendendo di mira la natura delle sostanze aspre che sono predominanti, e quindi somministrando medicine saponose in cui vi sia un grado di asprezza superiore a quello presente nella materia corrotta; queste somministrazioni dovranno proseguire finché il polso debole e ineguale, la nausea o il continuo bisogno di defecare, manifestazioni di ansia e piccole febbri indicheranno che la materia corrotta è divenuta mobile. E quindi, 2) Favorite l’espulsione immediata della materia con una purga leggera, un clistere dello stesso tipo, siero di latte, acque minerali e simili.      
Ma se quella stessa materia (…) già consolidata e agglomerata insieme, rimane in quella sede troppo a lungo, allora comincia a diventare abrasiva e a consumare i tessuti mentre ristagna, a causa dei movimenti viscerali e del calore delle parti circostanti; nuova materia continua ad accumularsi, perché l’ostruzione è già presente e persistono le stesse cause, e quindi essa cresce, consumando e corrompendo i tessuti dei vasi a causa del suo aumento di volume, del grado di asprezza raggiunto e del movimento viscerale continuo; dal che plausibilmente deriva la distruzione di milza, stomaco, omento, mesentere, intestini e fegato, (…) [essa disturba] tutte le funzioni, e soprattutto quelle del cervello, per mezzo delle esalazioni costanti della materia putrefatta che sono convogliate nelle vene. E a quel punto la si potrà definire appropriatamente con il nome di Atrabile (…).
Dal che si comprende la natura della melanconia e delle malattie dell’ipocondrio per come sono state descritte: poiché è evidente che a partire dal periodo di lunga e continua afflizione precedente, nei vasi delle viscere addominali si crea una stagnazione, un’alterazione e un accumulo di bile nera che aumenta insensibilmente, anche se il corpo poteva trovarsi in uno stato di ottima salute solo poco tempo prima. Ed è anche chiaro che la stessa bile nera, quando si produce a partire da cause corporee, provoca (…) il delirio.

Sulla base delle osservazioni svolte, le cause evidenti della melanconia sono dunque 1) Tutte le cose che consolidano, esauriscono o corrompono i succhi nervosi del cervello, come ad esempio incidenti molto spaventosi e inattesi, una grande applicazione rivolta ad un oggetto qualunque, un forte innamoramento, insonnia, solitudine, paura e malattie isteriche, 2) le cose che intralciano o disturbano la produzione, l’arricchimento, la circolazione e le diverse secrezioni ed escrezioni del sangue, soprattutto a livello della milza, dello stomaco, dell’omento, del pancreas, del mesentere, degli intestini, del fegato, dell’utero, o dei vasi emorroidari e, di conseguenza, tutte le malattie dell’ipocondrio; le malattie acute che non sono completamente curate, e in particolare la frenite, o la febbre alta; tutte le secrezioni ed escrezioni in eccesso; gli alimenti freddi, terrosi, pesanti, crudi, o astringenti, mangiati o bevuti; un eccesso di calore troppo prolungato, che ha l’effetto di friggere il sangue; un’aria stagnante, mefitica o troppo torbida, 3) una  carnagione naturale nerastra, grigiastra, secca, magra o mascolina; il raggiungimento della mezza età; un giudizio profondo, acuto e penetrante.
Se questa malattia dura a lungo, essa dà luogo ad episodi di follia, epilessia, apoplessia, pazzia furiosa, convulsioni, cecità, visioni prodigiose, risate, pianti, canti, singhiozzi, eruttazioni, angosce; grandi evacuazioni di urina, a volte di colore chiaro come l’acqua pura, altre volte molto densa; ritenzione, accumulo e, spesso, improvvisa espulsione di feci sanguinolente dai dotti viscerali addominali; ostinate costipazioni; salivazioni acquose e frequenti, e possono tollerare di restare senza sonno, cibo o fuoco, anche per un tempo straordinariamente lungo.
Spesso si è ottenuta inaspettatamente una remissione con la comparsa e la successiva rottura di una piaga maleodorante che a volte si manifesta e rassomiglia alla lebbra, o di numerose vene varicose molto gonfie; o dalle perdite di emorroidi troppo gonfie; o ancora con l’evacuazione della bile nera superiore e inferiore.
[La melanconia] diventa assai più grave con l’assunzione di medicine che indeboliscono e provocano brusche evacuazioni; o ancora, con l’assunzione di sostanze che inducono un movimento violento dei liquidi, cioè i cosiddetti cordiali, o qualunque altra sia la loro denominazione.
Cosicché, il miglior metodo per curare questa malattia è applicare vari rimedi per opporsi ai diversi effetti noti in base all’esatta osservazione delle cause immediate e della diversa costituzione dei pazienti.
L’indicazione sarà pertanto quella di 1) eccitare, aumentare e ricondurre ad un buon equilibrio i liquidi del cervello e dei nervi; risultato ottenibile α) distogliendo la mente dal suo oggetto consueto per rivolgerla ad altri oggetti ad esso contrari, β) suscitando e aumentando con grande abilità un’altra passione della mente, contraria alla melanconia costante, γ) assecondando a volte i pazienti riguardo alle loro false e distorte fantasie, oppure, più spesso δ) opponendosi energicamente a quelle stesse fantasie.  
2) Aprire, tagliare, ammorbidire o stimolare le ostruzioni, siano esse causa o effetto di una falsa immaginazione,  con acque minerali, siero di latte, acqua e miele, decotti splancnici, epatici o anti-ipocondriaci, acque rese efficaci dall’aggiunta di liscivia o composti salini; con mercuriali emollienti, emetici, o con la raccomandazione di fare movimenti, esercizi, equitazione o gite in barca; con medicine che favoriscono l’evacuazione uterina (come l’Aristolochia) o emorroidaria; con bagni, unguenti o impiastri.
3) Alleviare i sintomi con salassi, immersioni in acqua fredda, carminativi e oppiacei.
4) Dopo le suddette evacuazioni, proporre quelle esperienze che ci sembrano tonificanti e capaci di rafforzare tutte le parti del corpo.
Dal che si dimostra che la cura di questa malattia è perfetta in quanto cura la bile nera. E che dobbiamo quindi imparare non solamente a curare questa malattia, ma infinite altre che sono tuttora considerate incurabili.

Della follia

Se la melanconia aumenta fino al punto di precipitare il paziente in uno stato di pazzia furiosa a causa del grande movimento di liquidi nel cervello, questo prende nome di follia.
E tale follia si distingue solo per grado di intensità dal tipo triste di melanconia, del quale è figlia, essendo prodotta dalle stesse cause e curata pressappoco con gli stessi rimedi.
In tale stato di malattia il paziente manifesta generalmente una grande forza muscolare, un’incredibile insonnia, una prodigiosa capacità di sopportare il freddo e la fame, visioni spaventose, e tentativi di mordere gli uomini come fanno i lupi, o i cani, etc.
E occorre notare che, sulla base di ispezioni anatomiche si è dimostrato che il cervello di costoro è secco, duro, friabile, e presenta una corteccia di colore giallo; ma i vasi sono turgidi, varicosi, dilatati da un flusso di sangue nero e molto pesante.
Le escrezioni, inoltre, sono quasi completamente interrotte.
Il rimedio migliore per questo stato è gettare il paziente in mare senza preavviso, lasciarlo sott’acqua tanto a lungo quanto egli riuscirà a resistere senza soffocare.
Nei casi in cui tutti i rimedi sono tentati invano, accade talvolta che questa malattia sia curata con il sopraggiungere di tumescenze varicose, emorroidi, dissenteria, idropisia, grandi emorragie spontanee e febbri terzane o quartane.
Questa specie di follia si manifesta a volte dopo che il corpo è stato logorato da una febbre malarica [“autumnal fever”], forte, ostinata e intermittente, e indebolito anche da salassi e purghe; che allo stesso modo possono favorire anche il ritorno della malattia.
Questo stato è curato solamente con cordiali, alimenti e medicine ricostituenti e rinvigorenti, somministrati a lungo e in modo continuato: ma se invece proverete a curarlo per mezzo di evacuazioni, provocherete debilitazione, debolezza, e una follia inguaribile. “N.B. Vedere il Trattato sulle febbri intermittenti di Sydenham, 1661-1664”.
Ma quando la follia si sviluppa in individui giovani, forti, sani, sanguigni, di costituzione calda, allora è curata con gli stessi mezzi che si impiegano per l’epilessia (…) ricorrendo a ripetuti salassi, forti purganti da somministrare fra un salasso e l’altro, e successivamente, quando avrete inibito la furia del paziente e lo avrete ricondotto alla ragione, gli darete cordiali e oppiacei.
canterel II
canterel II
Admin

Numero di messaggi : 2820
Data d'iscrizione : 08.01.08

https://www.youtube.com/watch?v=RIOiwg2iHio

Torna in alto Andare in basso

Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 3 Empty Una deviazione: il capitolo su Goethe

Messaggio  canterel II Mer Mar 03, 2021 10:53 pm

Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 3 Nevere16

Durante le feste di Natale ho sospeso nuovamente la lettura condivisa. L’ho fatto per diversi motivi, ma soprattutto perché mi lascia perplesso e insoddisfatto il taglio che la curatrice ha scelto per il capitolo dell’antologia dedicato ai Dolori del giovane Werther.
Radden presenta l’eroe eponimo del romanzo epistolare di Goethe come esempio eminente della soggettività melanconica che si manifesta nella letteratura a cavallo tra Settecento e Ottocento. Riporta infatti dall’introduzione di un’edizione americana del Werther le parole di un autorevole germanista1 che afferma:

questo romanzo breve produsse una nuova forma di prosa romanzesca. (…) [Esso] costruisce il suo mondo fittizio senza aggiungervi commenti morali tendenziosi, e grazie alla forma epistolare raggiunge un’intensità lirica prima sconosciuta nella prosa narrativa. (…) La scrittura erompe in quello che si potrebbe definire come un vuoto pragmatico. La sua funzione non è di comunicare qualche cosa a qualcuno, ma piuttosto è quella di rendere accessibile all’immaginazione la tonalità di un’esperienza soggettiva unica. Werther è l’esempio del primo romanzo europeo in cui la soggettività per se’ acquista compiutezza estetica.2

Passa poi al testo, e sceglie alcuni brani dalle pagine conclusive dell’opera, che descrivono gli ultimi giorni di Werther dalla sua decisione di togliersi la vita fino al penoso funerale, riferiti da un narratore in terza persona che viene presentato come “l’editore” e che si incarica di dar conto del destino del protagonista raccontando gli accadimenti che non sono contenuti nelle ultime lettere.

Così facendo, Radden presenta al lettore un’associazione esclusiva tra la melanconia di Werther e il suo tragico gesto finale, narrato con accenti di patetismo che rischiano di apparire grotteschi e morbosi se scorporati dalle lettere precedenti, rinunciando alla possibilità di suggerire uno studio dell’evoluzione del carattere, e senza fare neppure riferimento alle funzioni simboliche del personaggio, al fatto che Werther rappresenti anche un tentativo di codificare, incarnandoli in una figura umana, tratti della poetica del giovane Goethe e del movimento dello Sturm und Drang3, e dell’antagonismo nervoso che attraversa quella temperie culturale nei suoi rapporti con la società tedesca del tempo.
Evitando di inquadrare il romanzo4 in questa cornice, o di rendere conto della sua ricezione e della moda del wertherismo che si diffuse tra i giovani tedeschi, Radden non permette a chi legga l’antologia senza strumenti per contestualizzare di distinguere, per esempio, il trattamento del personaggio in questa narrazione da quello di una prosa naturalistica e descrittiva, né di riconoscere quanto, nel personaggio, sia a servizio delle ragioni dell’autore, della sua poetica, e di uno sforzo per condensare temi e problemi che al momento della scrittura innervavano l’ambiente culturale borghese dell’età di Goethe.
Evitare di dare ragguagli sull’evoluzione antecedente del personaggio sembra particolarmente fuorviante se si considera l’importanza che ha lo studio delle leggi naturali di sviluppo nella poetica di Goethe (importanza che si deve anche agli interessi scientifici e naturalistici che l’autore coltivava accanto a quelli letterari: i suoi studi di botanica, di zoologia, di morfologia).
Così Radden taglia corto e, sapendo di mostrare al lettore solo lo scorcio più greve e febbricitante del testo senza accennare alle istanze sottostanti, se la cava allegando il giudizio un po’ liquidatorio e moralistico del poeta Auden su Werther:

Vivendo nel ventesimo secolo, e non nel diciottesimo, e conoscendo, a differenza della maggior parte dei suoi contemporanei, l’opera più tarda di Goethe, il Werther può ancora affascinarci, ma in un modo molto diverso. Non lo leggiamo più come una tragica storia d’amore, ma come il ritratto magistrale e devastante di un egoista assoluto, un ragazzo viziato, incapace d’amore perché non gli importa di niente e di nessuno eccetto che di se stesso, e di averla vinta qualunque ne sia il prezzo per gli altri (…), l’egoista che immagina di essere un amante appassionato.5

La mia perplessità riguardo questa scelta della curatrice sembra trovare conforto nelle parole che Furio Jesi spende sul Werther nel capitolo intitolato Tamburi nella notte del suo saggio postumo Spartakus. Simbologia della della rivolta:

Il Werther, in particolare la morte di Werther, la sua raccapricciante agonia e il suo squallido funerale, sono davvero una risoluta condanna degli autoinganni? O non sono piuttosto la dichiarazione della difficoltà di Werther a morire, della sua intima estraneità al gesto che dà la morte? (…) Se la sua precedente vicenda, il suo stesso amore per Lotte, possono apparire segnati da autoinganni e mostrare in Werther un uomo – nelle parole di Kierkegaard – non «autentico», la rinuncia conferisce per la prima volta autenticità al suo essere e verità alla sua vita.
Ma l’esperienza autentica della vita, l’esperienza che trasforma l’esistenza nelle sue infinite possibilità in realtà, rende estranei a quelle irreali infinite possibilità poiché racchiude l’essere nel gesto: e il vero gesto di Werther è la rinuncia, non il suicidio. (…)
Egli però conosceva altrettanto bene il valore del rituale, e su Werther compì il rituale del sacrificio umano: rituale che non è liberazione da forze latenti, ma esorcismo o consacrazione. (…) Mentre l’arte dello scrivere non consente liberazione – poiché il gesto del personaggio non è il gesto dell’autore -, essa nella sua realtà eminentemente magica consente il rituale, l’esorcismo, la consacrazione. La parola è componente prima del rituale, e può sostituire ogni arredo di culto; il gesto, indispensabile, si compie poiché l’autore usa la parola come il coltello sacrificale.
6

Pare di capire che l’identificazione tra l’espressione della soggettività del personaggio e il suo funesto gesto finale non sia una scelta prudente, perché anche secondo Jesi esso risponde piuttosto a particolari esigenze interne del testo, e dell’autore.
Tra queste esigenze, alla luce delle quali acquista significato il “sacrificio umano” che Goethe celebra narrando la morte di Werther, c’è probabilmente anche quella che, secondo Michail Bachtin, è legata al tema principale che informa la narrazione, e con essa il particolare cronotopo7 romanzesco del Werther. Si tratta del tema della distruzione dell’idillio, fortemente influenzato da Rousseau:

Questa rielaborazione avviene in due direzioni: prima di tutto, i principali momenti dell’antico complesso – la natura, l’amore, la famiglia e la procreazione, la morte – si isolano e si sublimano su un alto piano filosofico (…); in secondo luogo, questi elementi sono destinati a una coscienza individuale separata e, dal punto di vista di questa coscienza, lo sono come forze che medicano (…) alle quali essa deve abbandonarsi e sottomettersi e con le quali deve fondersi. (…)
Il motivo della distruzione dell’idillio (inteso in senso ampio) diventa uno dei temi principali della letteratura della fine del XVIII secolo. (…)
Secondo la linea classica principale (…) il mondo idillico distrutto è trattato non come il nudo fatto del passato feudale morente (…) ma con una certa sublimazione filosofica (russoistica): in primo piano viene posta la profonda
umanità dell’uomo idillico e l’umanità dei rapporti tra gli uomini, poi l’integrità della vita idillica, il suo legame organico con la natura, accentuando in modo particolare il lavoro idillico, non meccanizzato e, infine, gli oggetti idillici, non distaccati dal lavoro personale, legati indissolubilmente a questo lavoro e alla vita quotidiana idillica. Nello stesso tempo sono sottolineate l’angustia e l’isolamento del piccolo mondo idillico.
A questo piccolo mondo condannato a finire si contrappone un mondo vasto ma astratto, dove gli uomini sono disuniti, isolati e egoisticamente pratici (…).
8

Alla luce di questi riferimenti mi convinco del fatto che il nocciolo di verità e di genialità del romanzo non sia da ricercare nell’epilogo, ma nella parabola che si compie con esso, illustrando senza preamboli e senza commento il tragico tentativo di ambientamento di Werther nel villaggio di Wahlheim, segnato dai procedimenti ellittici del romanzo epistolare, dalla frequenza intermittente ed ansiosa delle lettere in cui il personaggio progressivamente progetta e rettifica una visione del mondo naturale, del mondo sociale e del proprio destino in rapporto ad esso, nei termini conflittuali delle relazioni tra la “coscienza individuale separata” e “un mondo vasto ma astratto”.
L’uomo parlante nel romanzo, per dirla ancora con Bachtin, forte di un paio di secoli di avanzamenti della filosofia morale e dell’epistemologia filosofica si incarica di dare alla soggettività dell’individuo borghese la dignità sufficiente ad accampare i suoi diritti. Il romanzo epistolare per un verso, e l’autobiografia moderna, per l’altro, sono due generi della prosa in cui più vistosamente si codifica e si mette alla prova la coscienza autonoma, che parla per sé e dà prove della sua esistenza soprattutto attraverso l’espressione immediata di sentimenti, giudizi e riflessioni, mentre gli eroi dell’antichità e della vecchia società dei tre ordini si mostravano piuttosto nell’esito felice o infelice di peripezie basate sull’azione, che in ultima istanza si iscrivevano negli sviluppi inesorabili e coerenti di un mondo organico e garantito da autorità superiori.
In questo senso il Werther è un precursore geniale del romanzo moderno: l’angustia del mondo idillico perduto è massima, coincidendo dolorosamente con la ristretta dimensione dell’interiorità dell’eroe:

21 giugno.
(…) E quando abbiamo corso, quando il LAGGIU’ è divenuto il QUI, tutto è come prima, noi siamo nella nostra povertà, il vagabondo desidera alfine la sua patria, capanna, sposa, schiera di bambini, lavoro per loro, la gioia che invano ha cercato nel mondo.
(…) nel giardino colgo da me stesso i piselli, poi mi siedo e li sgrano mentre leggo Omero; quando scelgo un pentolino nella cucina, taglio il burro, metto i piselli al fuoco, li copro, e siedo lì vicino per poterli di tanto in tanto rigirare, allora io capisco perfettamente come i superbi pretendenti di Penelope uccidessero buoi e maiali, li facessero a pezzi e li arrostissero. Nulla mi dà una così sincera e profonda sensazione di pace come i tratti di vita patriarcale che, ringraziando il Signore, posso senza affettazione introdurre nella mia vita.
9

Per tutto l’arco narrativo del Werther, l’eroe tenta, direi, di eludere l’angustia della propria situazione, e ricorre sistematicamente ai simboli dell’arte e della poesia per rivendicare, contro il regno del “mondo vasto ma astratto” a cui è refrattario ad integrarsi, un’appartenenza al mondo della natura, concetto che è descritto in termini russoistici come forza negatrice delle convenzioni, ma anche come sorgente di ispirazione panica e come richiamo di un’arcana “vita patriarcale”:

12 maggio.
(…) E quando sono lì, il mondo antico, patriarcale, rivive potentemente in me e ripenso come alla fontana i nostri padri stringevano e rompevano relazioni e come attorno alle fontane e alle sorgenti ondeggiassero spiriti benefici. (…)


26 maggio.
(…) Si può dir molto in favore delle regole; all’incirca quello che si può dire in lode della società civile: un uomo formatosi secondo le regole non farà mai nulla di assurdo e di cattivo, come chi si modella sulle leggi della buona creanza non sarà mai un vicino insopportabile (…) ma tutte le regole, si dica quello che si vuole, distruggono il vero sentimento e la vera espressione della natura. (…)
Oh amici miei! Perché, il torrente del genio così raramente straripa, così raramente spumeggia in grandi flutti e scuote le vostre anime stupite? Cari amici, è perché, sulle due rive abitano dei tranquilli signori, di cui le casette campagnole, le aiuole di tulipani e gli orti sarebbero devastati, ed essi sanno preservarsi dal minaccioso pericolo con argini e fosse costruite in tempo.


La natura e il genio di cui Werther parla sono forze che dovrebbero salvarlo dalla presa d’atto della propria solitudine e separatezza, e sembra che servano ad evitare, fino all’aggravarsi della sua crisi, che egli debba sottomettere le proprie aspirazioni all’esame di realtà. Werther sembra dimenticare che, proprio come quello degli altri uomini che compaiono nel mondo di Wahlheim, anche il suo solo spostamento fisico significativo (quello che lo ha portato a cercare residenza in campagna) è stato originato dalla necessità di mettersi in viaggio per discutere micragnose questioni successorie con una zia lontana:

4 maggio 1771.
(…) Sarai così buono da dire a mia madre che sbrigherò nel miglior modo possibile i suoi affari e gliene darò notizie quanto prima. Ho parlato con mia zia e non ho affatto trovato in lei quella donna cattiva che da noi si ritiene lei sia. (…) Le ho reso noti i lamenti di mia madre per la parte di eredità che lei ha trattenuta; me ne ha esposto le ragioni (…). Basta, non voglio scrivere altro su questo (…).
Del resto io qui mi trovo benissimo; la solitudine è un balsamo prezioso per il mio spirito in questo luogo di paradiso (…).
La città in se stessa non è bella, ma la circonda un indicibile splendore di natura. Questo spinse il defunto conte M. a piantare un giardino sopra una delle colline (…). Presto sarò padrone del giardino (…)


Le conseguenze dell’incontro con Lotte saranno fatali anche perché Lotte, disgraziatamente, condivide e rinforza l’uso ideologico che Werther fa dell’arte e della letteratura come amuleti prestigiosi e sostituti simbolici della forza naturale e negatrice delle convezioni meditando sulla quale Werther allontana il trauma e prolunga il suo autoinganno:

16 giugno.
(…) Ci avvicinammo alla finestra: tuonava in lontananza, una benefica pioggia cadeva sulla campagna e i più soavi profumi salivano fino a noi nell’aria tiepida. Carlotta si appoggiava col gomito alla finestra, e il suo sguardo errava sui campi, si levava al cielo, poi si posava su di me, io vidi i suoi occhi pieni di lacrime, lei posò la sua mano sulla mia e disse: Klopstock!10 Io ricordai l’ode sublime cui lei pensava in quel momento e mi immersi nel torrente di sensazioni che la sua parola aveva destato in me. (…)


Il rispecchiamento nel mondo patriarcale perduto, nel mondo naturale agitato dalle tempeste, serve a Werther per evitare di negare nei fatti e materialmente le convenzioni che aborrisce, sopportando con una pazienza pari al grado di accecamento di rispettare quelle stesse convenzioni nel modo più rigoroso e dalla posizione più svantaggiosa possibile: quella di chi si incarica di dimostrare l’ineluttabilità delle convenzioni stesse, assicurando che non accoglierle deve anche implicare il significato di rinunciare a tutto, ed essere sconfitti dal rivale Albert di turno, e ritirarsi e perire.
In altri termini, Werther e Lotte non sembrano ammettere che anche i loro riferimenti letterari e le loro immagini della natura, o almeno l’uso che ne fanno, sono convenzionali e finti, come i Canti di Ossian11 che sostituiscono in breve Omero tra le letture preferite di Werther, o il dramma di Lessing12 che fa capolino sinistramente, quasi un indizio di reato, sullo sfondo della scena del suicidio:

(…) Aveva bevuto soltanto un bicchiere di vino. Il dramma di Emilia Galotti era aperto sulla sua scrivania. (…)

In questo romanzo non accade quasi nulla, il rapporto tra azione e riflessione è rovesciato in favore della seconda. La crisi acuta finale che sfocia nella morte del narratore porta alle estreme conseguenze gli effetti drammatici e le possibilità offerte dal romanzo epistolare, certificando l’esistenza e l’irripetibilità del mondo interiore dell’individuo proprio attraverso la dimostrazione della sua irriducibilità e separatezza.
Ho argomentato anche troppo per spiegare le mie riserve su questo capitolo dell’antologia. Senza pretese e senza altri preamboli, se mi riesce, presenterò in un prossimo intervento ulteriori esempi del particolare modello letterario di soggettività che questo romanzo breve sembra inaugurare, attraverso citazioni da esso e da altre opere per lo più coeve, e poi passerò ai capitoli seguenti.

1. https://en.wikipedia.org/wiki/David_E._Wellbery
2. 1988. The Sorrows of Werther: Elective Affinities: Travels in Italy. Translated by Victor Lange and Judith Ryan. With an introduction by David Wellbery. New York: Suhrkamp.
3. https://it.wikipedia.org/wiki/Sturm_und_Drang
4. https://it.wikipedia.org/wiki/Johann_Wolfgang_von_Goethe#I_dolori_del_giovane_Werther_(1774)
5. [1774] 1984. The Sorrows of Young Werther and Novella. Translated by Elizabeth Mayer and Louise Bogan. With a foreword by W. H. Auden. New York: Modern Library.
6. Furio Jesi, Spartakus. Simbologia della rivolta. Torino: Bollati Boringhieri. 2013. pp. 78-80.
7. https://it.wikipedia.org/wiki/Cronotopo_(traduzione)
8. Michail Bachtin, Le forme del tempo e del cronotopo del romanzo, in Estetica e romanzo. Torino: Einaudi. 2001. pp. 376-381.
9. Questo brano e i successivi sono tratti da I dolori del giovane Werther, a cura di Paola Capriolo, Milano: Feltrinelli. 1993.
10. https://it.wikipedia.org/wiki/Friedrich_Gottlieb_Klopstock
11. https://it.wikipedia.org/wiki/Canti_di_Ossian
12. https://it.wikipedia.org/wiki/Emilia_Galotti
canterel II
canterel II
Admin

Numero di messaggi : 2820
Data d'iscrizione : 08.01.08

https://www.youtube.com/watch?v=RIOiwg2iHio

Torna in alto Andare in basso

Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 3 Empty Re: Lettura condivisa: The Nature of Melancholy

Messaggio  Contenuto sponsorizzato


Contenuto sponsorizzato


Torna in alto Andare in basso

Pagina 3 di 3 Precedente  1, 2, 3

Torna in alto

- Argomenti simili

 
Permessi in questa sezione del forum:
Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.