Lettura condivisa: The Nature of Melancholy

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Messaggio  Oudeis Dom Mar 22, 2020 3:37 pm

Sogni infranti ha scritto:Che cosa ci importa di trovare una relazione tra l'indole malinconica e la depressione? Il depresso non è uno scimunito, ricorda bene cos'era prima della caduta nel pantano, se fosse portato alla malinconia od meno. Rispetto, ovviamente, questo topic ben strutturato, eppure queste sono vane curiosità.

Concordo. E' solo polverosa erudizione.

Oudeis

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Messaggio  canterel II Dom Mar 22, 2020 7:16 pm

Sogni infranti ha scritto:Che cosa ci importa di trovare una relazione tra l'indole malinconica e la depressione? Il depresso non è uno scimunito, ricorda bene cos'era prima della caduta nel pantano, se fosse portato alla malinconia od meno. Rispetto, ovviamente, questo topic ben strutturato, eppure queste sono vane curiosità.

Non capisco perché ci si debba sentire chiamati in causa, giudicati, o in qualche misura minacciati da un'antologia filosofica che mette insieme tanti pezzi di letteratura - alcuni anche abbastanza rari e poco frequentati - per tracciare una genealogia del concetto di malinconia, per capire come esso è nato e cosa è servito a definire, a quali idee, miti o riflessioni è stato associato, in diversi periodi storici e in diverse comunità di sapienti.
Dove è scritto, chi ha mai detto che il depresso "è uno scimunito" ?
E poi, non c'è "il depresso": siamo persone diverse e ci identifichiamo in misura diversa con aspetti delle nostre vite diverse, non siamo definiti in blocco da una diagnosi, da un tono dell'umore, da problema o da una condizione.

E scusate: ho aperto un thread Off Topic, non invado con i miei vizietti i problemi concreti o le richieste di nessun utente;
traducendo a tempo perso questi testi tollero un po' meglio la segregazione imposta in forza delle ordinanze del PDCM,
non siete obbligati a leggere: lasciate che mi erudisca, che mi impolveri.

State bene, proteggete la vostra salute e cercate di non incorrere nelle sanzioni delle autorità.
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Messaggio  Sogni infranti Dom Mar 22, 2020 8:18 pm

Ho soltanto espresso un mio parere, scrivendo tra l'altro: "Rispetto, ovviamente, questo topic ben strutturato". Un messaggio, ripeto, esprimente un'idea personale. Non mi sono sentito affatto giudicato od minacciato, come hai creduto tu. Hai pensato che avessi usato toni polemici, ma non è così. Il tono lo mette chi legge, e si può fraintendere; d'altro canto, questo è un limite intrinseco dei messaggi scritti.

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Messaggio  canterel II Dom Mar 22, 2020 9:03 pm

Sogni infranti ha scritto:Ho soltanto espresso un mio parere, scrivendo tra l'altro: "Rispetto, ovviamente, questo topic ben strutturato". Un messaggio, ripeto, esprimente un'idea personale. Non mi sono sentito affatto giudicato od minacciato, come hai creduto tu. Hai pensato che avessi usato toni polemici, ma non è così. Il tono lo mette chi legge, e si può fraintendere; d'altro canto, questo è un limite intrinseco dei messaggi scritti.

eh ma hai chiesto "che cosa ci importa" come se ti appellassi ad altri, e io dunque ti rispondo cosa mi importa. hai anche usato un lessico preciso, scegliendo ove possibile termini disfemici (il depresso non è scimunito, vane curiosità), perciò era lecito immaginare che fossi infastidito per qualche ragione.
tanto meglio se non è così, ciao.
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Messaggio  Anonimo7 Dom Mar 22, 2020 9:43 pm

Io lo trovo interessante, anzi se il progetto arriva alla fine forse lo impagino in un bel pdf da lasciare qui sul gruppo (sempre se l'autore è d'accordo).

Anonimo7

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Messaggio  canterel II Dom Mar 22, 2020 10:40 pm

Anonimo7 ha scritto:Io lo trovo interessante, anzi se il progetto arriva alla fine forse lo impagino in un bel pdf da lasciare qui sul gruppo (sempre se l'autore è d'accordo).

ti ringrazio molto Anonimo7,
i testi che traduco e/o commento sono a disposizione di tutti e possono essere integrati, rielaborati e ripresentati come più piace agli utenti. ogni proposta e ogni iniziativa mi fa piacere,
fatto salvo che intanto procedo lentamente e senza saper indicare scadenze... study

a breve dovrei inserire il capitolo dedicato a Ildegarda di Bingen, suora benedettina, mistica, glottoteta e medichessa olistica.

grazie, ciao.
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Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 2 Empty Ildegarda: La melanconia negli uomini e nelle donne

Messaggio  canterel II Mar Mar 24, 2020 1:10 pm

Ho penato un po' per tradurre il brano di Ildegarda, e purtroppo per me mi sono dovuto imbattere in nuove dissertazioni sulla teoria umorale, che ho trovato particolarmente ostiche. Chiedo scusa al lettore ma il paragrafo intitolato Gli umori mi sembra pressoché illeggibile (in appendice inserirò il testo inglese originale per chi volesse provare a tradurlo da sé).
Ciononostante, il brano regala momenti squisiti, e conferma un'intuizione generale diffusa: per la più commovente e raffinata letteratura pornografica occorre rivolgersi ai mistici - anzi, alle mistiche: meglio ancora se suore ed abituate alla vita in convento. Si toccano vette molto alte nel paragrafo intitolato L'uomo melanconico.

Ildegarda di Bingen: La melanconia negli uomini e nelle donne.

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(qui sopra, i caratteri dell'alfabeto della Lingua Ignota inventata da Ildegarda, che non sarà oggetto della lettura)

Una delle personalità più talentuose, eclettiche e interessanti del Medioevo tedesco, Hildegard è vissuta tra il 1098 ed il 1179. Decima e ultima figlia di una famiglia nobile di Bingen, nella regione dell’Assia Renana, fu consacrata giovanissima a dio ed affidata alla monaca Jutta di Spanheim (o Sponheim), che viveva nel monastero benedettino di Disibodenberg. Dai precetti di Jutta, Hildegard apprese la Regola benedettina, la liturgia, i Salmi e la Bibbia. Successivamente, il monaco Volmar la introdusse ai testi della patristica. Ma Hildegard non ricevette un’educazione classica completa di grammatica, logica, matematica, astronomia o musica, e in seguito continuò a definirsi indocta (non istruita), nell’accezione che era corrente secondo i canoni dell’educazione del suo tempo.

Divenuta suora, Hildegard fu eletta priora del piccolo convento femminile adiacente al monastero benedettino di Disibodenberg, dopo la morte di Jutta. In seguito, il convento fu trasferito a Rupertsberg, vicino a Bingen, dove Hildegard si assunse l’incarico di progettare e far erigere un monastero per le sue suore, e infine di fondare anche una seconda abbazia ad Eibingen sul Reno nei pressi di Rudesheim.
In riconoscimento della sua opera, l’imperatore Federico aveva emanato un editto nel 1163, concedendole il titolo di badessa e assicurando al convento di Rupertsberg la protezione imperiale.
Nonostante la sua salute malferma, Hildegard non solo assolse ai suoi doveri di badessa, che includevano la responsabilità di curare i malati, ma si dedicò anche alle visite pastorali e alla predicazione. Tra il 1158 e il 1171, viaggiò in lungo e in largo per la Germania, pronunciando sermoni capaci di scuotere profondamente il suo uditorio.
In aggiunta a queste opere strettamente religiose, Hildegard compose musica e poesie, inventò una lingua artificiale, scrisse approfonditamente di vari argomenti religiosi e spirituali, nonché di interesse medico e scientifico (è riconosciuta come la prima medichessa autrice di testi pubblicati), e mantenne un’intensa corrispondenza con influenti figure ecclesiastiche e politiche – papi, cardinali, arcivescovi, preti, abati e badesse, monaci e suore.
Hildegard fu anche una visionaria – in base alla sua testimonianza, avrebbe ricevuto il dono delle visioni in tenerissima età – e di visioni è nutrita la gran parte delle sue opere di argomento religioso, come lo  Scivias seu visionum ac revelationum libri III (“Conosci le vie , ovvero i tre libri delle visioni e delle rivelazioni”), scritto tra il 1141 e il 1151. Sulla base dei suoi testi, papa Eugenio III certificò il suo carisma di profetessa e la incoraggiò a continuare a scrivere.

Tra il 1151 e il 1158, completò due opere di interesse scientifico: la Physica (o “Studio della natura”) e le Causae et curae, intitolate anche Liber compositae medicinae, da cui sono tratte le osservazioni sulla melanconia scelte per l’antologia.
Le Causae et curae contengono informazioni e indicazioni riguardanti malattie e metodi di guarigione. In esse si ritrova un compendio delle pratiche di medicina popolare e monastica del tempo, così come delle esperienze personali di Hildegard sia in veste di paziente che di guaritrice. Poiché l’insegnamento e il pensiero dei medici era pervaso di ragionamenti spirituali, si tratta anche di un testo sullo statuto teologico della malattia. Hildegard considerava malattie e disturbi come prove a cui dio sottopone l’uomo, piuttosto che come castighi, e in ciò si distanziava dalla tipica “medicina monastica”. Ma credeva anche di individuare nel peccato originale la causa ultima della sofferenza e del peccato presenti nel mondo. Inoltre accettava la dottrina dei quattro umori tramandata dalla medicina greca. Il complesso delle idee di Hildegard è stato così riassunto e semplificato: “L’interazione e lo scambio di materia cosmica, ossia energia, rende possibile e informa la vita su questo pianeta; ciò è specialmente vero per la vita umana. Mosse dai venti, le forze cosmiche sono introdotte nei sistemi umorali degli esseri umani. Esse determinano tanto la buona che la cattiva salute, e i comportamenti morali” (Hildegard of Bingen, Saint. 1994. Book of Holistic Healing. Edited by M. Palmquist and J. Kulas. Collegeville, Minn.: Liturgical Press.).
Dunque, i disturbi mentali come la melanconia sono il riflesso dell’instabilità nel sistema umorale delle persone, ma tale instabilità è da attribuirsi infine al peccato originale. Il discorso di Hildegard sulla melanconia avanza la supposizione che Adamo sia stato tormentato dalla melanconia patologica a causa del suo peccato; è possibile leggere il brano come un tentativo di affermare l’identità tra melanconia e peccato originale, rappresentando così la melanconia come un elemento costitutivo della condizione umana.

La melanconia assume forme differenti per l’uomo e per la donna, secondo Hildegard. Questo aspetto della sua analisi le ha assicurato l’apprezzamento di studiose contemporanee come Juliana Schiesari (1992), secondo la quale l’elemento inedito nella teorizzazione di Hildegard risiede nel suo impegno a presentare la depressione femminile come un fatto normale, evitando di contribuire alla tradizione che vede le donne ammalate come simboli spaventosi della paranoia maschile, e riconoscendole invece come soggettività bisognose di cure ma anche di comprensione, attitudine che rende il testo di Hildegard, per certi versi, proto-femminista.
D’altra parte, la sua descrizione dell’uomo melanconico non usa eufemismi: egli è inacidito, sospettoso, invidioso, dissoluto nelle sue passioni, nonché

imbizzarrito come un somaro nei suoi rapporti con le donne.

Anche le donne suscettibili alla melanconia sono instabili, irresponsabili e dissolute, ma il loro disturbo riguarda principalmente la funzione procreativa, ed esse sembrano recuperare la salute nel celibato – ad esempio, vivendo in un convento. Esse sono più sane, più capaci e più felici senza un compagno, perché si ammalano a causa dei rapporti coniugali (è interessante notare che anche Burton distingue forme maschili e femminili di melanconia, benché nel farlo egli lasci emergere una scontata misoginia).

Il discorso di Hildegard mette in risalto la melanconia come tratto del carattere piuttosto che come malattia mentale. Tuttavia riconosce come malattie melanconiche – derivate dalla bile – il mal di testa, l’emicrania, le vertigini, e ritiene che una combinazione di questi mali abbia esito nella follia, ossia in uno stato di disordine che priva la persona del discernimento. Inoltre nel suo testo c’è un riferimento alla melanconia acuta. Hildegard infatti raccomanda che la persona sopraffatta dalla malinconia si affretti a riscaldare del vino sul fuoco, per poi mescolarlo con acqua fredda e berlo, al fine di estinguere i vapori della bile.

Di seguito il testo tratto dalle Causae et curae di Ildegarda di Bingen (1151 – 1158)

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Il melanconico. Vi sono altre persone che sono tetre, nervose, di umore instabile, cosicché nel loro caso non si riconosce una sola disposizione d’animo costante. Esse sono come un vento forte che arreca danno a tutte le piante e agli alberi da frutto. Fatto sta che dentro di loro si ammassa un flegma che non è umido né denso, ma tiepido. E’ come un icore vischioso, che può esser proteso a varie lunghezze. Esso provoca la bile, che cominciò ad esistere nel seme di Adamo, trasmessa dall’alito del serpente, dopo che Adamo ebbe seguito il consiglio di questi e mangiò la mela.

La melanconia come malattia. La bile è nera, amara, e sprigiona ogni sorta di male, talvolta anche malattie cerebrali. Essa fa traboccare le arterie del cuore; insinua la depressione ed il dubbio in ogni consolazione, sicché la persona non prova più letizia nella contemplazione della vita celeste, né conforto nell’esistenza terrena. Questa melanconia è l’effetto del primo assalto del diavolo alla natura umana, dacché l’uomo, mangiando la mela, disobbedì al comandamento di Dio.
Dopo che ebbe mangiato la mela, questa melanconia crebbe in Adamo e in tutta la sua posterità; ed essa è la causa di tutte le malattie gravi che affliggono l’umanità. Poiché il flegma summenzionato è tiepido, esso non può prevalere sulla melanconia come gli altri due flegmi di cui si è parlato. Questi altri due – il primo sulla base della sua natura umida, l’altro in forza della sua densità ed amarezza – hanno una potenza tanto grande che possono resistere alla melanconia, come un calderone può rimanere sospeso sulla fiamma senza prendere fuoco. Le persone dotate di una complessione simile sono spesso iraconde e – questo è un bene – sono reverenti di fronte a Dio e agli uomini. Alcune di esse vivono a lungo, poiché l’influenza del flegma summenzionato è tale da non ucciderle completamente né restituirgli la pienezza delle forze - come accade ai prigionieri, che non sono uccisi e tuttavia non sono liberi. E così, come si è detto, l’uomo vive dei suoi quattro umori così come il mondo si fonda su quattro elementi.

Gli umori. Esistono quattro umori. Due di questi sono dominanti, e sono detti flegmi, mentre gli altri due sono detti muchi (slime, nella traduzione inglese, nd cant). Ciascuno degli umori dominanti è ricoperto rispettivamente da una parte di 1/4 dell’umore che segue, e dalla metà del terzo umore. L’umore più debole di tutti regola le due parti, nonché la parte rimanente del terzo umore, assicurando che essa non ecceda il limite. In tale assetto, il primo umore domina il secondo. Questi sono appunto i flegmi. Il secondo umore domina il terzo, che a sua volta domina il quarto. Gli ultimi due sono dunque i muchi. Gli umori più forti superano i più deboli a causa del loro eccesso, e gli umori più deboli hanno un’influenza moderatrice su tale eccesso in virtù della loro debolezza. Una persona in questo assetto si trova in equilibrio. Tuttavia, ogni qual volta un umore aumenta oltre la sua giusta misura, la persona è in pericolo. Quando uno dei suddetti muchi eccede la giusta misura, non ha abbastanza potere per controllare gli umori sovrastanti, sia che venga eccitato da un muco inferiore fino a diventare l’umore preminente, sia che si tratti di un umore inferiore sostenuto da uno degli umori superiori. Se uno di questi muchi si diffonde eccessivamente in una persona, allora i rimanenti umori non potranno restare in equilibrio a meno che non parliamo di persone sulle quali è discesa la grazia di Dio – prendendo la forma della forza come è accaduto a Sansone, della saggezza nel caso di Salomone, della profezia come in Geremia, oppure come è accaduto a certi pagani, tra i quali Platone e altri come lui. Quando persone come quelle suddette non sono in salute, la grazia di Dio a volte le porta a cambiare il loro stato cosicché prima sono malate, poi sane; ora sono ansiose, ora salde; talvolta sono tristi, talaltra liete. Dio le riporta all’ordine; cioè da malate le fa sane, da ansiose le fa salde, da tristi le fa liete. Se in una certa persona l’umore secco è più forte di quello acquoso, o quello acquoso lo è più di quello schiumoso e di quello tiepido, allora il flegma secco è simile ad una signora e quello umido alla sua serva, mentre quelli schiumosi e tiepidi sono come due più piccole servette che restano in secondo piano. Poiché questi ultimi sono, in base alla loro potenza, i muchi corrispondenti ai primi due. Una persona con tale complessione è naturalmente ingegnosa, irosa e turbolenta in tutto ciò che fa. Non ha pazienza, poiché la secchezza consuma questi umori e facilmente torna a innalzarsi. Questa persona è sana e vive a lungo, anche se non tanto da raggiungere l’età avanzata, perché non adeguatamente sostenuta dal flegma acquoso, dal che risulta che la sua carne è consumata dalla pirosi.

La follia. Se l’umore schiumoso e quello tiepido - che abbiamo descritto insieme come muchi subordinati ai suddetti flegmi, cioè il secco e l’umido, i quali dovrebbero mantenersi in equilibrio – eccedono la loro giusta misura, come un’onda nell’acqua che si è troppo innalzata, allora essi si tramutano in un veleno. Da essi si solleva una tempesta tale che nessun umore riesce più a bilanciarne nessun altro, e così gli umori cessano di svolgere le proprie funzioni. Quindi i muchi iniziano a combattere contro gli umori che dovrebbero armonizzare finché tutti e quattro entrano in conflitto.
Chiunque soffra questa opposizione e contraddizione nel suo corpo, diverrà folle. Perché quando gli umori interni si agitano uno contro l’altro, la persona diventa violenta e lotta contro se stessa a meno di non essere legata con le corde. Questo dura finché l’umore schiumoso e l’umore tiepido non si indeboliscono e non ritornano alla giusta proporzione. La persona con questo assetto non vivrà a lungo. Tuttavia, se l’umore umido è più forte del secco, e se il secco è più forte dello schiumoso e del tiepido, che così si riducono a muchi subordinati, allora questa persona sarà naturalmente ingegnosa e costante, tenderà a conservarsi in questo stato, con un corpo in buona salute, e vivrà a lungo.

Il delirio. Se un umore sopraffà gli altri e non resta entro i propri limiti, l’uomo diventa debole e malato. Tuttavia, se due umori si alzano oltre misura contemporaneamente in una persona, quella non potrà sopportarlo; essa sarà distrutta mentalmente o fisicamente, nel momento in cui verrà a mancare la giusta proporzione. Se tre umori si innalzano all’eccesso simultaneamente, la persona si ammalerà e morirà presto. Se tutti gli umori si ribellano insieme al giusto ordine, quella persona ne morirà all’istante, uccisa sul posto. In nessun caso essa potrà sopportare un tale conflitto, ma vivrà un completo collasso. Nello stesso modo tutte le cose saranno abbattute nel Giorno del Giudizio, a seguito della lotta tra i quattro elementi.

Perché esistono solamente quattro umori. L’uomo non può sopravvivere ricorrendo solamente ad uno, due o perfino tre umori; gliene servono quattro che possano regolarsi reciprocamente. Allo stesso modo, la terra è formata da quattro elementi che si armonizzano l’uno con l’altro.

L’uomo melanconico. Ci sono uomini dal cervello pesante. Il loro cuoio capelluto e i vasi sanguigni sono ingarbugliati. Hanno un colorito pallido in volto. Anche i loro occhi hanno un non so che di rettile, e di fiammeggiante. Questi uomini hanno vene spesse e dure nelle quali scorre un sangue denso e scuro; hanno una carnagione spessa e dura; ossa larghe che contengono poco midollo. Tuttavia, questa complessione è così incline ad infiammarsi che il loro comportamento verso le donne è improprio e indisciplinato come quello degli animali e dei serpenti. Il vento nei loro lombi fuoriesce in tre forme: infiammato, burrascoso, frammisto ai fumi della bile. Per questa ragione, essi non amano veramente nessuno; sono invece inaciditi, sospettosi, invidiosi, dissoluti nelle loro passioni, e imbizzarriti come somari nei loro rapporti con le donne.
Se mai riescono faticosamente a frenare il loro desiderio, facilmente si ammalano nella testa e diventano pazzi. Se soddisfano il loro desiderio con le donne, allora non soffrono malattie spirituali. Tuttavia la loro convivenza con le donne, che dovrebbero mantenere come si conviene, è invece difficile, piena di antagonismi e mortale come la compagnia dei lupi feroci. Alcuni di loro trafficano con entusiasmo – nel modo che piace ai maschi – con le donne, perché hanno una possente circolazione sanguigna e le midolla fortemente infiammate; ma dopo che hanno trafficato essi odiano queste donne. Altri riescono ad evitare il genere femminile perché non provano interesse per le donne e non ne vogliono una accanto a sé; ma nel cuore sono selvatici come leoni, e si comportano da orsi. Nel lavoro pratico tuttavia mostrano destrezza e abilità, e trovano piacevole lavorare.
La tempesta del desiderio che invade i due testicoli (receptacles nel testo, nd cant) di questi uomini si abbatte scatenata e improvvisa come il vento che scuote con forza tutta la casa, e provoca un’erezione così potente che il membro, il quale dovrebbe ergersi diritto quando sboccia nel pieno del rigoglio, si incurva invece alla maniera disgustosa di una vipera, e trasmette la sua malvagità alla prole, allo stesso modo della vipera seminatrice di morte e di putrefazione. L’influenza del diavolo infuria così violenta nella passione di questi uomini che, se potessero, ucciderebbero la donna con la quale stanno consumando l’amplesso. Perché in essi non c’è niente di simile all’amore o alla tenerezza.  
Per questa ragione, i figli o le figlie da loro generati sono soliti mostrare tratti di follia diabolica nelle proprie perversioni e nel carattere, essendo stati generati senza amore. Questi figli sono spesso infelici, impenetrabili, deviati in ogni loro condotta. Perciò, inoltre, non possono ottenere l’amore delle altre persone, e anche ad essi, del resto, non piace la compagnia della gente, perché sono afflitti da numerose allucinazioni. In aggiunta a ciò, se gli capita di trattenersi in mezzo alla gente, diventano invidiosi, risentiti e amareggiati, e non traggono soddisfazione dalla compagnia. Soltanto, capita che uno fra molti dei loro figli cresca acuto e capace. Ciononostante, la sua malvagità e il suo comportamento ostile sono tanto palesi da impedire anche a lui di essere amato e rispettato dalla gente. Appare come una pietra dozzinale, casualmente sparsa tra molte, opaca, e non apprezzabile come le altre pietre preziose, perché non emette un bagliore invitante.

La donna melanconica. Alcune donne hanno carni emaciate, arterie spesse, ossa abbastanza forti, e un sangue più viscoso che acquoso. Sembra che la loro complessione sia mescolata ad un colore grigio scuro. Queste donne sono sconsiderate, hanno pensieri dissoluti, e sviluppano un atteggiamento maligno quando sono afflitte dal peso di qualche irritazione. Poiché sono instabili e irresponsabili, talvolta soffrono anche di malinconia. Perdono sangue abbondante con le mestruazioni, e sono rese sterili a causa del ventre debole e fragile. Perciò non sono in grado di ricevere, assorbire e riscaldare il seme del maschio. Perciò sono anche più sane, più forti e più felici senza un compagno di quanto non lo siano con esso, perché esse si ammalano a causa delle relazioni coniugali. Comunque, gli uomini le evitano perché esse non parlano amichevolmente con loro, e gli uomini le amano poco. Se queste donne sentono un desiderio carnale, esso svanisce rapidamente. Alcune di loro riescono a far venire al mondo almeno un bambino, se hanno mariti vigorosi e sanguigni, anche in età matura, per esempio a cinquant’anni. Se però i mariti sono per natura più deboli, allora esse non concepiscono per loro e rimangono infeconde.
Se il loro ciclo mestruale si estingue prima di quanto accade normalmente alle altre donne, avranno artrite, gambe gonfie, o emicranie che causano la melanconia. Potrebbero avere mal di schiena oppure al fegato, e il loro corpo potrebbe gonfiarsi per breve tempo perché la loro "impurità contraddittoria" (contradictory impurity nel testo. Penso voglia indicare l'estro, nd cant), che dovrebbe essere espulsa attraverso le mestruazioni, rimane chiusa all’interno del corpo. Se non ricevono soccorso e non sono liberate dalle loro sofferenze grazie all’aiuto di Dio o con una medicina, esse moriranno presto.

https://it.wikipedia.org/wiki/Ildegarda_di_Bingen
https://en.wikipedia.org/wiki/Jutta_von_Sponheim
https://en.wikipedia.org/wiki/Volmar_(monk)
https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_Barbarossa
https://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Eugenio_III
https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_ignota

The Humors. There are four humors. The two dominating ones are
named phlegm, and the two that come after them are named slime.
Each of the dominating humors is covered with a quarter of the one
coming after and a half of the third. The weaker humor regulates the
two parts and the remaining part of the third, to make sure it doesn't
exceed its limits. In this manner, the first humor dominates the second.
These two are called phlegm. The second humor dominates the third,
and the third the fourth. These last two, that is the third and the fourth
humors, are called slime. The stronger humors surpass the weaker because
of their excess, and the weaker humors have a moderating influence
on this excess by their weakness. A person in such a state finds
himself in peace. However, whenever any humor increases beyond its
proper amount, the person is in danger. Whenever either of the abovementioned
slimes exceeds its proper amount, it does not have enough
power to take control of the humors lying on top of it, whether it be
aroused by an inferior slime to be the preeminent humor, or whether it
is an inferior humor supported by a superior one.
If such a slime
spreads out excessively in a person, his remaining humors cannot remain
in peace unless we are dealing with people in whom the grace of
God has been poured out—either as strength as with Samson, wisdom
as with Solomon, prophecy as with Jeremias, or as with certain pagans,
for example Plato and people like him. When the above-mentioned
people are not healthy, the grace of God sometimes moves them to
change so that they are first sick, then healthy; now anxious, then
strong; sometimes sad, then happy. God brings them back to order; that
is, he makes them healthy when they are sick, strong when they are
anxious, and happy when they are sad. If the dry humor is stronger in a
certain person than the moist, or the moist humor than the foamy and
the lukewarm, then the dry phlegm is like a lady and the moist like a
servant, and the foamy and the lukewarm ones are like two smaller
slimy servants standing in the background. For these last two are, corresponding
to their powers, the slime of the first two. Such a person is
naturally clever, angry, and stormy in everything that he does.
He does not have patience, for the dryness consumes these humors and then
easily lifts itself again. He is healthy and lives a long time although he
will not reach advanced age because he does not receive adequate support
from the moist phlegm, and as a result his flesh becomes dried out
by the fire.


Ultima modifica di canterel II il Lun Mar 30, 2020 12:07 pm - modificato 2 volte.
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Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 2 Empty Ficino: Letterati e melanconia

Messaggio  canterel II Lun Mar 30, 2020 10:28 am

Per i brani di Marsilio Ficino ho incrociato la traduzione inglese dell'antologia con la scansione in formato pdf di un'edizione originale a stampa
(https://openmlol.it/media/marsilio-ficino/de-triplici-vita-aurea-volumina-tria-videlicet-primus-de-vita-sana-seu-de-cura-valitudinis-eorum-qui-litterarum-studio-incumbunt-secundus-de-vita-longa-tertius-de-vita-celitus-comparanda-item-apologia-quedam-in-qua-de-medicina-astrologia-vita-mundi/583043).
Avrei dovuto sfidare la sorte e valicare con sprezzo del pericolo i confini comunali se avessi insistito per procurarmi il Castiglione Mariotti, perciò mi sono invece rassegnato a usare un dizionario online gratuito.


Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 2 Ficino10
Non leggerò dal testo qui sopra "Contro alla Peste", ma l'ho voluto mostrare perché sia evidente che Ficino non scherza mica, è un uomo per tutte le stagioni e ha qualcosa da dire ancora oggi.



Marsilio Ficino: Letterati e melanconia

Figlio di un medico, Marsilio Ficino nacque in Italia nel 1433 e vi morì nel 1499. Nel corso della sua vita divenne figura di spicco del Rinascimento italiano, traduttore di testi della filosofia greca, umanista neo-platonico ed esponente tra i più influenti del platonismo nel 15° secolo.
La maggior parte della sua educazione formale si svolse presso lo Studio fiorentino, dove il dotto professore Niccolò Tignosi di Foligno gli insegnò filosofia e medicina. È noto che fu assegnato ad un ospedale e che praticò la medicina, anche se probabilmente non completò mai il relativo corso di studi.
Continuò invece ad approfondire i suoi interessi filosofici, anche grazie al mecenatismo di Cosimo de’ Medici che lo incaricò di fondare l’Accademia neoplatonica di Firenze. Ficino tradusse molte opere dal greco antico, comprese le Enneadi di Plotino. La sua opera più importante resta la Theologia platonica (1482), che riflette il sincretismo tra la sua fede cristiana e il suo platonismo umanistico.
Il De triplici vita (1489), da cui sono tratti i passi in antologia, non è un testo filosofico bensì sulla salute, che approfondisce in particolare la discussione sui rischi per la salute associati alla vita intellettuale. Qui Ficino presenta alle persone istruite le cause dei rischi, le cure e particolari avvertimenti riguardanti la loro salute e il loro benessere. Quest’opera ottenne una vasta popolarità all’epoca di Ficino. Sappiamo inoltre che fu letta da Robert Burton nel 17° secolo; infatti Burton allude spesso a questo testo e indica “Ficinus” come suo modello per un trattato sulla melanconia.
Il De triplici vita è un’opera interessante, e per molti versi unica nel suo genere. È il primo libro che sceglie di isolare come oggetto precipuo il problema della salute della persona intelligente ed istruita. È il primo testo rinascimentale che riprende l’associazione aristotelica tra melanconia e capacità, a cui l’influenza di Ficino conferirà lo statuto di topos della letteratura sulla melanconia, in epoca rinascimentale ed oltre.
Infine, questo testo si distingue per aver sviluppato la discussione sul significato astrologico della melanconia, specialmente con riferimento al suo legame con il pianeta Saturno.
Tutti questi aspetti si riflettono nella vita personale di Ficino. Egli era infatti un intellettuale e un uomo di genio. Inoltre, soffriva di melanconia. Ed era nato sotto il segno infausto di Saturno. Credendo che il suo carattere fosse predeterminato dall’oroscopo, Ficino elaborò l’associazione aristotelica – e, secondo lui, anche platonica – fra stati melanconici e capacità intellettuale. A questa allegò la nozione astrologica comunemente accettata secondo la quale esisterebbe un legame tra Saturno e la vita contemplativa ed intellettuale, per introdurre l’idea del genio come virtù compensatoria della melanconia.
I passi seguenti sono tratti dal primo dei tre libri che costituiscono l’opera in questione. Qui, Ficino suggerisce il legame tra la bile nera della melanconia, da un lato, e l’ispirazione, gli stati di esaltazione e le conquiste del genio, dall’altro. Nel secondo libro, invece, la bile nera non è presentata in questa luce favorevole, e anzi si propongono panacee e rimedi per moderarne e diminuirne gli effetti. Nel terzo e ultimo libro, Ficino sviluppa le spiegazioni astrologiche della melanconia, collegando gli stati melanconici degli intellettuali saturnini al loro oroscopo.
Come la sua insistenza sul particolare nodo che unisce melanconia e genio, le ulteriori riflessioni di Ficino in questi passi richiamano diversi altri temi di derivazione galenica e aristotelica. Il freddo ed il secco che contraddistinguono l’umore, l’analogia tra il nero della bile e l’oscurità, il riferimento alla bile nera “adusta” o bruciata e ai vapori bruni sono tutti elementi rintracciabili nel suo discorso. Allo stesso modo, ritroviamo menzione degli stati soggettivi associati a questo umore nella letteratura precedente. Soffrendo di melanconia, dice Ficino, “in nulla speriamo e temiamo tutto” e inoltre “guardare alla volta celeste è uno sfinimento”; i vapori bruni densi, viscosi rendono l’anima “triste e pavida”, giacché “l’oscurità interiore, assai più di quella esteriore, riduce l’anima alla tristezza e la atterrisce”. Il debito di Ficino nei confronti dei pensatori del passato, sia nell’ambito medico che filosofico, è esplicitamente riconosciuto. Egli riconosce generosamente l’autorità di Ippocrate, di Aristotele, di Galeno, di Avicenna e, sopra tutti gli altri, quella di Platone.

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Marsilio Ficino:De triplici vita
Dal primo libro: Sulla cura della salute di coloro che si dedicano agli studi letterari

Lettera dedicatoria
Marsilio Ficino il fiorentino saluta Giorgio Antonio Vespucci e Giovanni Battista Buoninsegni, uomini insigni per probità e cultura. Abbiamo parlato molto con voi di recente, camminando come facevano al tempo loro i peripatetici, sul modo di curare la salute di coloro che assiduamente si dedicano agli studi letterari. Tra tutti, ho deciso di affidare a voi questi discorsi, riassunti in un breve compendio. Né io stesso approverò questo opuscolo prima di esser certo che voi, eccellenti uomini e fidatissimi amici, lo abbiate approvato, oppure di aver permesso che detto opuscolo subisca il giudizio raffinatissimo del nostro Lorenzo de’ Medici, la cui buona salute è in primo luogo l’oggetto delle nostre attenzioni, se mai sarà richiesta la nostra consulenza.
Poiché uno difficilmente potrà oggi prendersi cura dei letterati, soprattutto di quelli nella nostra città, se prima non si sarà preso cura del loro patrono e mecenate. Leggete con attenzione, dunque, e tanto più attentamente prendetevi cura della vostra salute. Se infatti la nostra salute è sofferente, non toccheremo le celestiali porte delle muse, oppure ad esse di certo busseremo invano, a meno che dio onnipotente non ci guidi e non le apra grazie alla sua mirabile potenza. Noi vogliamo che questo nostro discorso scientifico evidenzi specialmente come suo tema il fatto che, se la salute del corpo deve essere tanto ricercata allo scopo di conseguire la sapienza, allora tanto maggiormente deve essere ricercata la salute della mente, per mezzo della quale, soltanto, la saggezza può essere afferrata; se non è così, coloro che si affannano per ottenere la sapienza con una mente insana inseguiranno la conoscenza, ma resteranno nell’ignoranza.
Ippocrate promette la salute del corpo, Socrate invece quella dell’anima; ma la vera salute di entrambi è assicurata soltanto da colui che esclama “Venite a me, tutti voi che siete travagliati ed oppressi, ed io vi conforterò; io che sono la via, la verità e la vita.”

Capitolo terzo: I letterati sono vulnerabili al flegma (pituite nel testo, n.d. cant) e all’atrabile
I letterati non soltanto dovrebbero prendersi cura con molta attenzione di quelle membra (cervello, cuore, stomaco, trattati nel capitolo secondo, n.d. cant) e delle loro forze e dello spirito, ma dovrebbero anche guardarsi dal flegma e dall’atrabile non meno bene di quanto i marinai si guardano da Scilla e Cariddi. Infatti, il flegma e l’atrabile sono attivi nel cervello e nella mente tanto quanto sono inattivi nel resto del corpo. Infatti i letterati sono indotti a secernere muco, detto flegma presso i greci, e atrabile, detta melancholia. Il primo sovente ottunde e soffoca l’ingegno, mentre l’altra, se troppo abbondante o infiammata, vessa l’anima con assidue preoccupazioni e continui deliri, e perturba il giudizio. Perciò si può dire senza timore di sbagliare che i letterati sarebbero oltremodo sani se il flegma non li infastidisse, e che fra tutti sarebbero i più felici e i più sapienti, se l’atrabile non li spingesse spesso a sentirsi in colpa, e talvolta ad impazzire.

Capitolo quarto: Di quali siano le cause per cui i letterati sono, oppure diventano, melanconici.
Tre cause principali rendono melanconici i letterati: la prima celeste, la seconda naturale, la terza è umana.
La causa celeste: poiché Mercurio, che ci invita ad investigare le scienze, e Saturno, che ci rende perseveranti nell’investigarle e ci fa ricordare quel che abbiamo scoperto, sono per così dire freddi e secchi secondo il parere degli astronomi - e se anche per caso Mercurio non fosse freddo, sarebbe comunque assai secco, trovandosi spesso vicino al Sole - come fredda e secca è la natura del melanconico secondo i medici. E sia Mercurio che Saturno trasmettono questa stessa natura fin dalla nascita ai loro seguaci letterati, ed ogni giorno la conservano e la aumentano.
D’altra parte, la causa naturale sembra essere che, per comprendere le scienze, specialmente quelle difficili, è necessario che l’anima si raccolga in se stessa, distogliendosi dalle cose esterne e rivolgendosi a quelle interne, come se dalla circonferenza si volgesse al centro, e che mentre specula permanga, per così dire, stabilmente in questo stesso centro. Ora, raccogliersi dalla circonferenza nel centro e fissarsi nel centro è soprattutto proprietà della Terra stessa, a cui senza dubbio l’atrabile è somigliantissima. Dunque l’atrabile assiduamente incita l’anima a raccogliersi tutta in sé, a soffermarsi su se stessa e a contemplarsi. Ed essendo simile al centro del mondo, essa impone di investigare il centro degli individui, e conduce alla contemplazione di tutto ciò che c’è di più alto, la qual cosa è massimamente congruente con Saturno, che è il più alto dei pianeti. A sua volta, la contemplazione, attraverso l’assidua riflessione e una sorta di compressione, provoca una natura simile all’atrabile.
La causa umana, invece, cioè la causa che procede da noi stessi: poiché la frequente agitazione della mente dissecca in modo grave il cervello, allora, quando l’umidità è in gran parte consumata, anche la gran parte del calore suole estinguersi, poiché detta umidità è ciò che alimenta il calore naturale; dal che la natura del cervello diventa secca e fredda, e ciò designa la qualità terrestre e melanconica. Inoltre, a causa dei frequentissimi movimenti di investigazione, gli spiriti continuamente si muovono e si dissolvono, ma quando sono dispersi è necessario che siano ricostituiti dal sangue più sottile. Per cui, essendo spesso consumate le parti più sottili e più chiare del sangue, inevitabilmente il sangue restante è reso denso, secco e scuro. A ciò si aggiunga che la natura contemplativa, completamente assorbita nelle regioni del cervello e del cuore, abbandona lo stomaco ed il fegato. Per questo motivo gli alimenti, soprattutto quelli più ricchi o più duri, essendo mal digeriti rendono quindi il sangue freddo, denso e nero. In ultimo, la troppa inattività delle membra non permette di espellere le sostanze superflue, né di esalare i vapori densi e foschi. Tutte queste cose solitamente rendono melanconica la mente, triste e pavida l’anima; giacché l’oscurità interiore, assai più di quella esteriore, riduce l’anima alla tristezza e la atterrisce. Ma coloro che, scrupolosamente dediti allo studio della filosofia, distolgono la mente dal corpo e dai fenomeni corporei e restano assorti nello studio di quelli incorporei sono, tra i letterati, specialmente oppressi dall’atrabile. Ciò è causato in primo luogo dal fatto che, quanto più è difficile l’opera, tanto più avrà bisogno della concentrazione della mente; e poi dal fatto che, nella misura in cui la mente è assorbita nella contemplazione della verità incorporea, essi sono spinti a disgiungersi dal corpo. Dal che il loro corpo talora è reso quasi mezzo morto, e spesso melanconico. Anche il nostro Platone lo rivela nel Timeo, ove dice che l’anima, la quale spessissimo e nel modo più intenso contempla le cose divine, nutrendosi di questo genere di alimento si sviluppa ad un punto tale, e diventa così potente, da sopraffare il proprio corpo fino ad oltre la soglia che la natura corporea può patire; e a volte, nella sua agitazione sempre più violenta, in qualche modo evade da esso, oppure talora sembra distruggerlo.

Capitolo quinto: Del perché i melanconici siano ingegnosi, e di quali melanconici siano tali, e quali invece no.
Accontentiamoci fin qui di aver mostrato come i sacerdoti delle muse siano dall’inizio melanconici, oppure siano resi tali dallo studio, per cause in primo luogo celesti, in secondo luogo naturali, in terzo luogo umane. Aristotele ne dà conferma nel suo libro dei Problemi, ove dice che tutti coloro che furono straordinari per qualsivoglia abilità erano anche dei melanconici. La qual cosa ha confermato inoltre la nozione platonica che si trova scritta nel libro De Scientia, secondo la quale le persone ingegnose, evidentemente sono spesso anche eccitabili e folli. Anche Democrito dice che nessuno può essere grande d’ingegno fuorché coloro che sono eccitati da qualche forma di follia.  La qual cosa, anche il nostro Platone sembra approvare, laddove nel Fedro egli dice che, senza follia, è vano bussare alle porte della poesia. E se è ero che in quel passo forse egli vuole che per follia si intenda la divina manìa, tuttavia secondo i medici questo genere di follia non provoca l’invasamento in altri che non i melanconici.
Ciò posto, dobbiamo individuare le ragioni per cui Democrito, Platone ed Aristotele asseriscono che parecchi fra i melanconici superano a volte tutti per ingegno, al punto da sembrare non umani, ma piuttosto divini. Democrito, Platone ed Aristotele lo affermano senza alcun dubbio, tuttavia non sembrano proprio dare sufficienti spiegazioni di un fatto così importante. Tuttavia occorre avere il coraggio, se dio ci illuminerà, di indagare le cause.  La melanconia, cioè l’atrabile, è di duplice natura: l’una è detta dai medici naturale, l’altra invece deriva da bruciatura (adustione nel testo, n.d. cant). Quella naturale altro non è che una parte più densa e più secca del sangue. Quella adusta invece si suddivide in quattro specie: è infatti generata dalla combustione della melanconia naturale, oppure del sangue più puro (distinto da quello più denso, nella traduzione di Radden), oppure della bile gialla, o ancora del flegma salino. Una qualunque delle forme aduste nuoce al giudizio e alla sapienza, poiché quando quell’umore si infiamma ed arde, suole rendere gli uomini concitati e folli, condizione che dai greci è detta manìa, e da noi invece follia. Ma non appena essa si estingue, una volta dissolte le parte più chiare e più sottili, ed essendo rimasta solo una tetra fuliggine, essa rende le persone stolide e stupide, condizione che propriamente chiamano melanconia ed anche pazzia. Dunque, solo l’atrabile che chiamiamo naturale ci conduce al giudizio e alla sapienza, ma non sempre.  Se essa è sola, offusca la mente con una mole densa e nera che terrorizza l’anima e ottunde l’ingegno. Se essa invece è mescolata al solo flegma, quando il sangue freddo si sofferma intorno alla regione dei precordi, esso induce indolenza e torpore a causa della sua pesante freddezza. E come è naturale per qualunque materia molto densa, quando questo tipo di melanconia si raffredda, essa tende al sommo grado di freddezza. Quando siamo in questo stato, in nulla speriamo e temiamo tutto, e guardare alla volta celeste è uno sfinimento. Se l’atrabile, semplice o mescolata, va in putrefazione, allora genera febbre quartana, tumefazioni della milza e molte infermità di quel tipo. Quando è sovrabbondante, da sola o unita al flegma, allora rende gli spiriti più pesanti e più freddi; fiacca l’anima con un tedio continuo, logora l’acutezza dell’ingegno, e impedisce al sangue di salire alla regione dei precordi. È anche necessario che l’atrabile non sia così poca da far mancare un freno al sangue, alla bile gialla e allo spirito, dal che nascerebbero un ingegno instabile e una memoria labile; né dovrebbe essere così tanta da renderci sonnolenti e da farci apparire bisognosi di sproni, poiché sovraccarichi dal suo peso. Quindi essa deve essere complessivamente tanto sottile quanto la natura consente. Se infatti essa fosse assottigliata al massimo per quanto possibile secondo la sua natura, potrebbe forse essere molta, e anche abbondante, senza recare danno, perché sembrerebbe eguagliare la bile gialla almeno nel peso.

Sia dunque l’atrabile abbondante, ma molto sottile. Si badi che sia liquida come il più sottile flegma circostante, affinché non si dissecchi del tutto e non diventi durissima; e non sia mescolata solo con il flegma, soprattutto con quello più freddo o abbondante, affinché non si raffreddi; ma sia mescolata anche con il sangue e la bile gialla, poiché un corpo è costituito di tre componenti, con una proporzione doppia di sangue rispetto alla somma degli altri due. Dove ci sono otto parti di sangue, dovranno quindi esserci due parti di bile gialla e altre due di atrabile. È bene che l’atrabile sia un poco accesa dagli altri due umori e che, una volta accesa, essa risplenda, ma senza bruciare; altrimenti, come è tipico della materia più dura, quando essa bollirà, allora si agiterà e brucerà con troppa violenza, ma quando poi si raffredderà, similmente tenderà al freddo in sommo grado. Infatti l’atrabile è come il ferro, che quando inizia a raffreddarsi tende al freddo in sommo grado, e quando al contrario inizia a riscaldarsi tende al caldo in sommo grado. E non dovrebbe far meraviglia che l’atrabile sia facile ad accendersi, e che una volta accesa bruci con violenza, giacché vediamo qualcosa di simile nella calce, che quando è spruzzata d’acqua inizia subito a bollire e a bruciare. La melanconia mostra una tendenza altrettanto grande verso gli estremi, nell’unità della sua natura fissa e stabile. Questa tendenza all’estremità non riguarda gli altri umori. Quando è calda in sommo grado, essa produce sommo coraggio, fino alla ferocia; quando è estremamente fredda invece produce paura e codardia estrema; quando tuttavia è variamente affetta dai gradi intermedi tra caldo e freddo, essa produce varie disposizioni, proprio come il vino, specialmente se forte, è solito produrre diverse disposizioni in coloro che ne bevono fino all’ebrezza, o anche solo un po’ troppo liberamente. È quindi opportuno temperare l’atrabile in modo appropriato. Quando essa è moderata come abbiamo detto, e frammista al sangue e alla bile gialla, poiché per natura è secca ed è sottile per quanto possibile, facilmente è accesa dagli altri due umori; e poiché essa è solida e tenace, una volta accesa, brucia più a lungo; e poiché nella tenacissima unità della sua secchezza è assai potente, brucia anche più violentemente. Proprio come il legno nella paglia, quando entrambi siano accesi, essa brucia e risplende di più, e più a lungo. E certamente per mezzo di un calore forte e duraturo si sprigiona un potente fulgore, e una durevole e forte agitazione. A ciò allude il detto di Eraclito: “luce secca, anima sapientissima”.

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Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 2 Empty Weyer: Melanconia, streghe e demoni ingannatori - 1/2

Messaggio  canterel II Dom Apr 05, 2020 9:54 pm

La lettura della seguente selezione di brani mi ha richiesto molto tempo per varie ragioni, non ultima la mia ostinazione nell'incrociare la traduzione inglese con la versione originale del testo in latino. In questo caso si tratta di un'opera - il De praestigiis daemonum - che conobbe un'immediata fortuna a partire dall'epoca della sua prima pubblicazione, avvenuta nel 1563, e di conseguenza fu riproposta in diverse edizioni e ristampe, motivo per cui non ho trovato in rete un'edizione che fosse perfettamente sovrapponibile nei contenuti a quella che è servita per la traduzione presentata da Radden nella sua antologia.

(ho consultato questa: https://play.google.com/books/reader?id=TgQ6AAAAcAAJ&hl=it&pg=GBS.PP1)

Anche l'ordine e la numerazione dei capitoli non coincide sempre, perciò mi sono limitato a indicare numero e titolo dei libri nei quali sono riuscito a rintracciare i brani scelti (la struttura originaria del testo consta di 6 libri, mentre solo in seguito dovrebbe essere stata acclusa una famosa appendice nota come Pseudomonarchia daemonum).

Il testo è molto lungo per cui penso che lo dividerò in due post. In questo primo contributo inserisco la nota introduttiva di Radden, mentre nel prossimo si troveranno le traduzioni dal testo originale di Weyer.


Johann Weyer: Melanconia, streghe e demoni ingannatori

Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 2 Nevere11

Melancholick is Magick !

Johann Weyer (Wier, nella sua lingua madre olandese) fu un medico operante nei Paesi Bassi (nella zona che segna il confine odierno tra Belgio ed Olanda), nel 16° secolo. Anche se di lingua e cultura olandese, egli era nato a Grave, allora in Belgio, nel 1515.
Weyer studiò medicina in Francia, in un momento in cui l’interesse diffuso per la cultura greca classica, rinnovatosi con la temperie del Rinascimento, poteva introdurlo alla lettura dei testi dei medici greci. In seguito esercitò la professione medica nel suo Paese natale, lavorando fra il 1550 ed il 1578 come medico di corte al servizio del duca Guglielmo V di Kleve. La prima e più importante opera di Weyer, scritta tra il 1561 ed il 1562, è il De praestigiis daemonum (“Sugli inganni dei demoni”) da cui sono tratti i brani in antologia. In questo testo, che talvolta è stato indicato come il primo manuale di psichiatria, egli tratta l’argomento della stregoneria da quattro differenti punti di vista, teologico, psicologico, medico e giuridico. Weyer visse in un’epoca di reviviscenza intellettuale e di fervore religioso, mentre il protestantesimo emergente lanciava la sua sfida ai costumi cattolici e nel contempo si svolgeva nella società un intenso dibattito sulla stregoneria e sulla demonologia. Le dissertazioni sulle relazioni tra le anomalie psichiche, la stregoneria e le Lamiae (letteralmente, “le streghe”) si possono considerare il suo contributo più importante allo sviluppo della scienza medica. Un altro lascito è l’enfasi sull’importanza dell’esame clinico e della descrizione dei casi.

Il giudizio di Weyer sul clima di paura e di persecuzione riguardante le streghe e la stregoneria è illustrato nel seguente passo tratto da una lettera al suo benefattore: “Le streghe non possono nuocere a nessuno, per quanto maligna sia la loro volontà, o esecrabili le loro defissioni, (…) sono piuttosto la loro immaginazione – eccitata dai demoni in un modo che non ci è dato di comprendere – e i tormenti della melanconia che le inducono soltanto a immaginare di aver causato ogni sorta di male”. Dunque, per Weyer l’apparente presenza di poteri sovrannaturali associati alla stregoneria deve essere meglio compresa come un disturbo dell’immaginazione.

Anche secondo Weyer la melanconia sarebbe uno squilibrio degli umori corporei; su questo punto il suo pensiero è concorde con quello delle fonti antiche. La figura e l’opera di Weyer sono memorabili in parte grazie al suo atteggiamento ispirato a principi di umanità rispetto alla questione del trattamento delle vittime della malattia mentale, specialmente di coloro le cui fantasie disturbate potevano sfociare in deliri che venivano interpretati erroneamente come stregonerie. Tenendo conto anche di ciò, sembra che Weyer avesse inteso la melanconia come qualcosa di più che un banale stato dell’umore: piuttosto la considerava come una malattia, il cui tratto centrale era rappresentato dai deliri.

Benché più illuminati e più umani rispetto alle opinioni di molti suoi contemporanei, gli scritti di Weyer tuttavia ammettono l’origine demoniaca degli stati melanconici, e trasmettono pure un’innegabile misoginia. Tuttavia, quali fossero veramente le opinioni di Weyer sull’influenza demoniaca è oggetto di dibattito. Alcuni storici credono che l’ammissione dell’elemento demoniaco nell’argomento del suo trattato possa essergli servita come mezzo per evitare la persecuzione dell’Inquisizione. La sua posizione è complessa: la melanconia avrebbe reso le persone suscettibili alle fantasie disturbate che le stesse persone, e gli altri intorno al loro, erroneamente credevano capaci di conferire loro poteri sovrannaturali. Ma in verità esse erano impotenti. (Come afferma Weyer, se queste vecchie pazze fossero state in grado di fare ciò che confessavano di aver fatto, i raccolti non sarebbero stati risparmiati in quantità sufficiente a permettere la sopravvivenza del genere umano!) Dunque le vittime di questi stati patologici non avrebbero dovuto essere punite o dichiarate colpevoli per le loro fantasie disturbate. Le persone melanconiche erano quindi le più suscettibili all’influenza del diavolo (“Il diavolo ama insinuarsi nell’umore melanconico”), ma in definitiva l’attività di questo diavolo si limitava alla creazione di disturbi dell’immaginazione.
Comunque sia, il fatto che Weyer, pur ammettendo una qualche forma di influenza diabolica, assumesse al contempo un atteggiamento comprensivo nei confronti delle persone soggette a tale influenza, lo pone a grande distanza dagli atteggiamenti prevalenti del suo tempo.

Qui Radden fa una digressione che sembra contenere una notizia falsa relativa al famigerato Malleus Maleficarum, il manuale per la caccia alle streghe prodotto dai domenicani Heinrich Kramer e Jacob Sprenger nel 1485, del quale Radden afferma, secondo una vulgata diffusa ma erronea, che fosse stato scritto per diretta volontà del papa Innocenzo VIII. In realtà la bolla papale Summis desiderantis affectibus, che chiedeva la repressione delle eresie e della stregoneria in Renania e assegnava l’incarico ai due monaci domenicani, era stata emessa ben tre anni prima, in risposta alle richieste fatte pervenire da loro al papa. Sarebbe stata inoltre una scelta autonoma di Kramer e Sprenger quella di allegare alla prefazione del Malleus Maleficarum la bolla suddetta, insieme ad una Approbatio attribuita ad un collegio di teologi (ma recentemente riconosciuta come un falso). Fatto sta che, tornando al discorso di Radden, tra il 15° ed il 16° secolo in Europa si diffuse e fu ampiamente accettata la facile equazione che metteva sullo stesso piano peccato, stregoneria, influenza diabolica e malattia mentale - come la grande ed infausta popolarità del Malleus Maleficarum sta ad indicare.

Weyer era anzitutto un medico – e un medico di prim’ordine, secondo l’unanime parere dei suoi contemporanei. Questo rende il suo lavoro una delle fonti disponibili meno inaffidabili anche per fare inferenze sulla distribuzione della melanconia tra gli uomini e tra le donne nella sua epoca. Tuttavia, le sue idee su questo punto sono leggermente fuorvianti, e talvolta appaiono perfino incoerenti.
Egli afferma che gli uomini sono più spesso soggetti alla melanconia (anche se crede che le donne ne siano affette in forme più gravi: “essendo la melanconia più contraria al temperamento [delle donne], essa le fa più marcatamente allontanare dalla loro complessione naturale”). Ma nota pure che le donne sono più vulnerabili degli uomini all’influenza demoniaca, a causa del loro temperamento “incostante, credulo, maligno, di indole incontrollabile e (…) melanconico.” Dovremmo quindi supporre, per esempio, che uno squilibrio degli umori, combinandosi al lutto per una perdita, possa generare melanconia negli uomini, rendendoli così vulnerabili agli artifici e alle illusioni dei demoni; mentre, per quanto riguarda le donne, forse sarebbe piuttosto un tratto della loro stessa complessione ad esporle al rischio. La fonte dell’incoerenza di Weyer sembra qui evidente, in forza delle sue descrizioni negative delle donne, specialmente se anziane. In un’epoca di stregoneria, la categoria della vecchia eccentrica era messa in particolare evidenza. E le donne descritte da Weyer sono ripetutamente tratteggiate con termini che spesso sono associati  all’immagine della strega: “stupide”, “decrepite”, “dalla mente instabile”, “non in possesso delle sue facoltà”, “pazza”.

https://it.wikipedia.org/wiki/Guglielmo_di_J%C3%BClich-Kleve-Berg
https://en.wikipedia.org/wiki/De_praestigiis_daemonum
https://it.wikipedia.org/wiki/Lamia
https://it.wikipedia.org/wiki/Malleus_Maleficarum
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Messaggio  canterel II Dom Apr 05, 2020 11:32 pm

SEGUE DAL POST PRECEDENTE:https://depressione.forumattivo.com/t3194p25-lettura-condivisa-the-nature-of-melancholy#30688

Ecco i brani. Sono molto divertenti. Lontani dalla concinnitas e dalla purezza filologica dell'umanesimo italiano, qui sembra di veder già prevalere il gusto per la digressione infinita, per l'elenco di citazioni, e gli sforzi dell'intellettuale per armarsi di prudenza, di astuzie e di cavilli e far fronte ad un orizzonte di crisi dei paradigmi e delle istituzioni, nonché alle minacce che possono colpirlo direttamente (Weyer è allievo di Agrippa di Nettesheim, che fu perseguitato per tutta la sua vita dall'Inquisizione e costretto a vagare senza requie per l'Europa, in cerca di protettori).
La realtà è troppo complicata. Sono mescolate interpretazioni delle scritture, riferimenti agiografici, miti e favole antiche, folclore, bozzetti umoristici, demonologia, considerazioni mediche e giuridiche. L'autore non tiene dietro alle molteplici direzioni, fatica a tenere insieme tutte le ramificazioni specialistiche del suo sapere, e la struttura del testo scricchiola sotto le tensioni ed il peso delle interpretazioni, dei commenti, delle derive intertestuali. Con quanto ha di obiettivamente sgradevole per il lettore oggi, perfino l'atteggiamento di Weyer nei confronti delle streghe (o per meglio dire delle vecchie), un condensato tenace di misoginia e gerontofobia, in virtù della distanza storica può strappare un sorriso.



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Da Johann Weyer, Sugli inganni dei demoni (1562)

Dal libro III, Sulle Lamie

Di quali siano le persone più vulnerabili agli artifici e alle illusioni dei demoni.
Rispetto a questo argomento, la persona che più probabilmente sarà colpita è quella che possiede un particolare temperamento, o che è affetta da cause esterne oppure interne (per es. se è aggredita da uno spettro demoniaco, o se è indotta in tentazione dalle proposte di un demone) in modo tale da presentarsi facilmente, per effetto di pretestuosi incentivi, come un affidabile strumento della volontà demoniaca.
I melanconici sono persone di tal fatta, perché sono afflitti a causa di un lutto o per altre ragioni, come dice Crisostomo: “La grandezza del loro dolore è più atta a nuocere di tutte le azioni del diavolo, perché tutti coloro che sono soggiogati da un demone, sono soggiogati per mezzo del dolore.”
Vi sono anche le persone senza fede in Dio, empie, istigate da curiosità illecita, persone che sono state educate male alla religione cristiana, persone invidiose, incapaci di trattenere il loro odio, maligne, vecchiacce che non sono in possesso delle loro facoltà, e altre donnette similmente pazze, note per la loro malizia o di fede traballante (perché coloro che credono facilmente, altrettanto facilmente rinnegano il proprio credo). Il diavolo insidia queste persone (che sono docili strumenti) in ogni modo possibile, tutte le volte che l’occasione gli è propizia. Egli avvicina, segue e persuade specialmente alcune di queste, giacché conosce, in base a sicuri indizi, gli interessi e i sentimenti di ogni cuore. Egli potrà assumere una forma attraente, o perturbare e corrompere in vario modo i pensieri e l’immaginazione, finché queste persone non accoglieranno le sue proposte, si lasceranno persuadere e crederanno a qualunque cosa egli voglia insinuare nella loro mente – rendendosi schiave della sua volontà e obbedendogli come se fossero vincolate da un patto. Queste persone credono che tutto ciò che il diavolo suggerisce sia vero, e confidano devotamente che tutte le forme da lui propinate alle loro facoltà dell’immaginazione e della fantasia esistano veramente e “nella sostanza” – nel senso teologico della parola, se posso esprimermi in questi termini. In verità, esse non possono fare altrimenti, giacché a partire dal loro primo cenno di assenso egli ha corrotto le loro menti con vane chimere, mescolando dolcemente oppure agitando gli umori corporei e gli spiriti a questo scopo, e così in questo modo egli introduce negli organi appropriati certe ingannevoli apparenze, che sono percepite proprio come se stessero accadendo davvero nel mondo esterno; ed egli agisce in questo modo non soltanto mentre le persone dormono, ma anche quando sono sveglie. In questa maniera, certe cose che non sono veramente presenti e non hanno luogo in quella circostanza, e che sovente non esistono neppure in tutto il mondo naturale, appaiono come se esistessero concretamente e avessero luogo fuori dalla mente dell’individuo.  Tale è la sottigliezza pressoché incomprensibile di questi spiriti immondi, e la loro infaticabile capacità di trarre in inganno, confondendo i sensi degli uomini. Negli scritti di Clemente, San Pietro ci informa che in questo modo il demone assalì anche i sensi degli antichi egiziani.

Sulla credulità e fragilità del sesso femminile.
Per lo più, tuttavia, il diavolo, astuto manipolatore, influenza il sesso femminile, che in forza del suo temperamento naturale è incostante, credulo, maligno, di indole incontrollabile e (a causa dei suoi sentimenti ed affetti, che governa solo con difficoltà) melanconico; egli seduce soprattutto vecchiacce stupide, decrepite e dalla mente instabile.

Sull’immaginazione perversa dei melanconici.
Ora, a meno che non vi rifiutiate di credere che gli organi delle facoltà immaginative debbano essere corrotti in questa maniera, nel caso di queste povere donne, e che i loro occhi debbano essere accecati (come ho mostrato sopra), considerate i pensieri, le parole, l’immagine e le azioni dei melanconici, e comprenderete come in queste persone tutti i sensi siano spesso pervertiti quando l’umore melanconico si impadronisce del cervello e altera la mente. In verità, alcuni di questi melanconici pensano di essere bestie senza intelletto, e imitano i versi e i movimenti corporei di questi animali. Altri credono di essere vasi di terracotta, e per questa ragione arretrano davanti a tutti coloro che incontrano, per non rompersi. Altri temono la morte, e ciononostante a volte si tolgono la vita. Molti immaginano di essere colpevoli di un crimine, e tremano e sussultano quando vedono qualcuno che si avvicina loro, per il timore che egli possa alzare le mani su di loro, portarli via in ceppi e trascinarli davanti a un tribunale affinché siano puniti. Un cert’uomo anziano di nobile famiglia talvolta saltava ad un tratto dalla sedia credendosi aggredito dai suoi nemici; catturatili, li infilava tutti insieme nel forno – almeno secondo quel che egli immaginava. Un altro aveva paura che Atlante si stancasse di sostenere sulle sue spalle il mondo intero, e che a causa della stanchezza fosse sul punto di scrollarsi di dosso quel peso, e che tutti quanti sarebbero stati sterminati nell’irresistibile crollo. Ho anche appreso che tre uomini della Frisia, non lontano da Groningen, erano così invasati dall’entusiasmo religioso da credere di essere il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e che il fienile in cui stavano fosse l’arca di Noè; e molti altri, affetti dallo stesso male, sciamarono verso questa “arca” in cerca di salvezza. E so di un melanconico italiano che credeva di essere monarca e imperatore dell’universo mondo, e che il titolo spettasse a lui solo. D’altra parte era benestante, eloquente, non soffriva di altri mali. Nel frattempo traeva grande piacere dalla composizione dei suoi versi in italiano sullo stato della Cristianità, sulle dispute religiose e sulle guerre scoppiate in Francia ed in Belgio, come se questi versi fossero verbo divino. E per ogni dove diffondeva i suoi titoli con le lettere R.R.D.D.M.M. – ossia Rex Regum, Dominus Dominatium, Monarcha Mundi (Re dei Re, Signore dei Signori, Monarca del Mondo) […].

Ma per quanto riguarda (…) quell’abitante del nostro Paese che vomitava vetri, capelli e chiodi, e udiva il suono dei vetri che si rompevano nel suo ventre, e sentiva le ore battere nel suo cuore – le cose che queste persone si convincevano di vedere o di udire sono in parte vere ed in parte false, secondo la mia opinione.
In realtà, vedere davvero qualcosa, e continuare a vederla, è del tutto assurdo a meno che non esista qualcosa che può essere visto. E tuttavia essi vedono ed odono certe cose; e ciò è provocato dalla bile nera che proviene in parte dal cibo e dalle bevande, dall’aria, dal dolore, dalla paura della povertà, e in parte dalle condizioni del cielo e dal clima, e in parte ancora dall’associazione con altre persone deliranti.
Avevo un amico la cui sventura fu di essere obbligato a vivere in una di queste “valli” per 18 mesi. Quando tornò, raccontava molte storie incredibili relative a questi fenomeni anche se non era affatto ignorante in materia di filosofia; ed io lo ammonii di non parlare ancora di queste cose a meno che non volesse essere considerato un folle e così mettersi nei guai per tutta la vita. E così lui si gettò a capofitto nel lavoro; e cambiando il suo modo di vivere recuperò la salute e ritornò a godere della compagnia degli altri.

Diremo anche che per molti individui la ritenzione dello sperma e delle mestruazioni fa sì che la malattia sorga o si aggravi. In genere le false credenze derivano da tre fonti: dalle immagini che la bile nera suscita, dalla stolidità delle persone colpite da questa malattia, e dalla malafede dei giudici. Perché si è permesso che le stesse persone che accusavano e condannavano gli imputati fossero anche i beneficiari dell’esproprio dei loro beni. E così, perché non apparisse manifesto che essi condannavano questi sventurati ingiustamente, aggiungevano molti dettagli al racconto dei casi. Ma nell’esame di queste persone e delle loro confessioni non si è trovato mai nulla che non fosse insulso, falso, incoerente o privo di importanza, fatta eccezione per il disprezzo della religione. È vero che certe donne hanno rinnegato Cristo, e che altre hanno cucito l’Ostia nei loro indumenti, ed altre ancora erano solite sputare sulle immagini dei Santi e fare altre cose di questo genere. […]

Ma, per tornare al punto che mi sta a cuore, le persone di cui abbiamo parlato a volte si convincevano di aver veduto o udito qualche cosa, e in seguito, facendosi guidare dalla propria frivolezza, espandevano questo materiale con l’aggiunta di bugie e infine, conversando l’una con l’altra, “accadeva che il moscerino partorisse l’elefante”, come si suol dire. Tante persone, una volta o l’altra, vedono o sentono cose strane; ma non ne fanno romanzi e dimostrano buon giudizio rifiutandole e non dando loro importanza.
Racconti di questo genere sono stati infilati da molti scrittori nelle cronache storiche. A causa della loro inesperienza ed eccessiva credulità essi si sono convinti (dagli aneddoti esemplari delle epoche passate) che tutto ciò che si dice o si discute presso il popolo, oppure tutto ciò che sia stato tramandato, non solo potrebbe essere accaduto, ma sia accaduto certamente. Anche se tali aneddoti sono infarciti di frottole, presso questi scrittori essi guadagnano la credibilità dei fatti storici […].

[…] Stanco di frottole, vorrei ora accludere una storia vera, davvero affascinante e significativa, che riguarda una vecchia decrepita dedita ad immaginarsi le cose. Si dice a volte nel linguaggio del popolo che le persone che hanno smarrito il buon senso sono quelle che “hanno le fantasie”, e la loro perversione del pensiero, del ragionamento o della comprensione è detta “fantasia”. Questa povera donna era solita inventarsi dei medicamenti e prevedere il futuro, a Waldassen intorno all’anno 1555. Fu quindi convocata per un interrogatorio dall’amministratore di quelle province. Tentando di ingannarlo, la vecchia dapprima rispose alle sue domande lamentandosi della follia dei propri seguaci. Ma quando fu più duramente incalzata dalle domande, sotto la minaccia della tortura, disse di appartenere ad una congrega, detta presso i tedeschi degli “spiriti vagabondi”, e che quattro volte nel corso di un anno lei abbandonava il proprio corpo come un cadavere senza vita, vagando assai lontano con lo spirito – per prender parte a solenni adunanze, danze e cerimonie, alle quali avrebbe presenziato lo stesso imperatore. Ella disse che in base ad una lettera imperiale le era stata conferita l’autorità di inviare maledizioni, di prevedere il futuro, e di frequentare in spirito dette adunanze. Essendole stato ordinato di mostrare la lettera di privilegio, ella esibì una lettera in latino, avente per oggetto l’ordinazione di tal-dei-tali, cappellano imperiale, ora vescovo, che era andata perduta a Eger durante la spedizione contro la Sassonia. Esibì pure i documenti di un tale vagabondo, nei quali egli vantava le virtù dei suoi unguenti e la sua abilità ad estrarre la pietra [la pietra della follia estratta dalla testa, n.d. cant], e altre cose del genere. Sulla base di queste prove - e senza dubbio ingannata dal demone, se stava parlando seriamente – la vecchia irresponsabile confessò di avere poteri illimitati nella somministrazione di medicamenti e nella pratica delle arti divinatorie. Ma fu ammonita di desistere da quella condotta e di pentirsi, e ricevette la punizione dell’esilio. In tal frangente, tuttavia, lei continuò a richiedere con insistenza che le fosse restituita la lettera imperiale (senza la quale si era probabilmente convinta che le sue arti avrebbero perduto la loro efficacia). E quando alcune persone asserirono poi che era stato veduto il corpo della vecchia apparentemente senza vita, l’ex amministratore di Waldassen, Signor Henricus Wessius (sapientissimo Dottore in Legge, ed oggi Cancelliere di Kleve, che mi ha riferito nei dettagli tutta questa storia), consigliò prudentemente che se essi avessero visto di nuovo il corpo, avrebbero dovuto rivolgere il fuoco contro di esso. Egli aveva forse letto nel Liber Conformitatum la storia del frate Rodicosano, che dormiva una notte all’addiaccio quando il demone spostò un carbone ardente vicino alla sua mano; svegliatosi all’improvviso, il frate strappò il carbone dalla mano del diavolo e minacciò di colpirlo con esso, se quello non si fosse dileguato.

Di come l’aria non possa essere in alcun modo perturbata dalle Lamie; e di come questa credenza di avere tale potere sia istigata dal diavolo; e di come i raccolti non siano soggetti ad incantesimi.
Per quanto riguarda la perturbazione dell’aria, queste povere vecchiette sono singolarmente illuse dal diavolo, il quale è più facilmente e più velocemente capace di prevedere i mutamenti dell’aria e le tempeste in arrivo rispetto agli uomini, in virtù del moto degli elementi e del corso della natura, o che non appena comprende che una calamità colpirà qualcuno in base all’imperscrutabile volontà di Dio, essendo suo il compito di eseguire tale volontà calamitosa, allora egli agita le menti di queste donnette, saturandole di varie immagini e suggestioni, come se fossero loro a perturbare l’aria, a sollevare tempeste e a provocare la grandine, a motivo di invidia contro un vicino o per vendetta contro un nemico. E così lui le istruisce affinché, a volte, esse gettino dei ciottoli dietro la schiena verso occidente, altre volte lancino in aria manciate di sabbia di un torrente, o anche, spesso, immergano la scopa nell’acqua e poi la usino per spargere spruzzi verso il cielo, o che scavino una piccola buca e poi, versatavi dell’urina o dell’acqua, la mescolino con un dito; molte volte esse bolliranno peli di cinghiale in un tegame, talora poseranno tronchi o travi di traverso al letto di un fiume, e faranno altre assurdità di questo genere: e per tenerle più saldamente in pugno, satana fissa in anticipo il giorno e l’ora  - che gli sono noti nel modo già descritto.
E quando esse assisteranno all’accadimento, di qualunque attesa perturbazione nell’aria si tratti, senza alcun dubbio si sentiranno confermate [nella loro credenza], come se l’evento fosse conseguenza delle loro operazioni - che in verità non possono muovere neanche una goccia d’acqua. A nessun uomo sano di mente è lecito credere che gli elementi obbediscano alle futili azioni di queste donnette pazze, e che l’ordine delle cose istituito da Dio possa essere impedito o invertito secondo il loro capriccio; ma proprio questo dovrebbe senz’altro accadere se la tempesta, la pioggia, la grandine e i fulmini fossero al servizio dell’arbitrio di queste donne in modo tale da tener dietro ovunque e in qualunque momento al loro comando: e in questo modo anche la potenza divina sarebbe superata e “ridotta in schiavitù” dalla volontà umana, come ha elegantemente detto Ippocrate. Dovrebbe dunque essere corretta anche questa sentenza di Seneca: “Gli antichi, ancora ignoranti di queste cose, credevano che le piogge fossero attratte o respinte dagli incantesimi; ma è così ovvio che niente di tutto ciò possa esser vero che non abbiamo bisogno di essere introdotti in alcuna scuola filosofica per ammettere questo fatto”. Se tuttavia esse si sono persuase nelle loro menti di poter conseguire effetti straordinari per mezzo di imprecazioni maligne o mormorando certe parole, io direi con Socrate che gli incantesimi altro non sono che parole che ingannano le menti degli uomini in forza del modo in cui sono interpretate, o della paura o della disperazione che incutono. Ed io insomma ritengo che nessun valore dovrebbe essere attribuito a queste parole, giacché non possono produrre alcun effetto vero e naturale, e pertanto non possono trasformare la salute in malattia – anche se le vecchiacce credono erroneamente di poter fare ciò. Tuttavia queste malattie sono spesso procurate e inflitte dal diavolo, con la connivenza di Dio, a causa della mancanza di fede e delle false credenze degli uomini nel potere delle maghe. Ciò posto, vorrei anche dire che i raccolti non possono in alcun modo essere danneggiati per mezzo di incantesimi o imprecazioni, anche se – Dio permettendo – possono essere certamente danneggiati da un demone o dall’avvelenamento.  Tanto meno essi possono essere trasferiti in altri luoghi, anche se gli antichi si sono nutriti di ben altre credenze al seno dei poeti – credenze che si sono tramandate fino a noi. Dal che discende questa celebre legge delle Dodici tavole:

“COLUI CHE AVRA’ FATTO INCANTESIMI SUI RACCOLTI NEL CAMPO SARÀ PUNITO. NON SIANO ATTRATTI CON INCANTESIMI I RACCOLTI ALTRUI. UN CAMPO NON SIA SOGGETTO AD INCANTAMENTI NE’ RAPINATO DEI SUOI RACCOLTI”.

Ma Gaio Furio Cresino ci mostra i veri incantesimi e veleni per mezzo dei quali i raccolti sono attratti e trasferiti in un campo. Liberato dalla schiavitù, egli raccoglieva messi molto più abbondanti in un piccolo campicello di quelle raccolte dai vicini in fondi assai ampi, ed era oggetto di grande invidia, come se sottraesse i raccolti degli altri per mezzo di malefici. Per cui, nel giorno stabilito dal magistrato curule Spurio Albino, quando si dovette sottoporre la questione al voto della tribù, per timore di essere condannato egli portò con sé nel foro tutti gli strumenti agricoli, e vi condusse anche la figlia prestante e (come dice Pisone) ben nutrita e ben vestita, e gli attrezzi di ferro abilmente costruiti, le zappe massicce, i pesanti vomeri, i buoi pasciuti. Poi disse: “Ecco i miei malefici, o cittadini: e non posso mostrarvi o condurre nel foro le notti insonni, le veglie e le fatiche”. E così fu assolto con voto unanime.

[…] A motivo della sua natura insolita, includerò qui, di passaggio, un’altra storia - non così commendevole - sull’attrarre beni e raccolti, sebbene non propriamente attraverso mezzi magici. Riguarda un tale abitante di una nota città nel distretto di Overijssel, che ha riportato la storia parola per parola ad un uomo rinomato per la sua cultura e la sua virtù, aggiungendo in conclusione che gli era toccata davvero una gran fortuna. Dotato in principio di modeste risorse, e vivendo a casa del cibo che egli stesso riusciva ad ammannire alla propria tavola, era celibe. Ogni sabato comprava a poco prezzo tanto siero di latte quanto gliene sarebbe potuto bastare per un’intera settimana; sbriciolandovi dentro del pane di segale, lo lasciava poi a fermentare per sette giorni prima di cibarsene, a meno che non fosse vinto dal delizioso aroma del siero ancora fresco e non ne mangiasse troppo anzitempo. Con questa ricetta a base di latte cagliato egli poteva alleviare non soltanto la fame, ma anche la sete, e rifocillarsi, giacché tale preparazione teneva il posto sia del cibo che delle bevande. Ma ogni volta che egli si trovava spinto da qualche occasione di festa o dall’umore più allegro a gozzovigliare e concedersi un lusso con un banchetto più generoso, allora aggiungeva a questo primo piatto un secondo, costituito da un uovo o due: a tal fine, egli nutriva una gallina con un “sontuoso” mangime a base di sterco della stessa bestiola. E, con singolare destrezza, egli si difendeva dai rigori del freddo prendendo alcuni ceppi di legna da ardere, che una volta o l’altra aveva comprato, e poi portandoli su fino al piano superiore della casa, e poi giù a ritroso, finché non si fosse riscaldato con il movimento. Era proprio il caso proverbiale in cui si dice che “una cucina chiusa è fredda come la nuda terra”. Non aveva bisogno di lumi, fatta eccezione per quelli del cielo, ossia il sole e la luna, giacché si accontentava di quel che offriva la stagione e ad essa si adattava, non meno di quanto facciano la rondine, la cicogna, o qualunque altra creatura abituata a nascondersi. Per tutto l’anno, quando il sole tramontava anche lui si coricava, e quando il sole sorgeva anche lui appariva, mentre si serviva più raramente della luna. Inoltre, lavava di tanto in tanto la sua biancheria in modo non meno frugale, strofinandola con guano di gallina anziché con il sapone. Con tanta previdenza egli provvedeva alle economie domestiche senza esborsi, e soddisfaceva i suoi bisogni in modo tale che qualunque ricchezza entrasse ogni anno nella sua casa, era messa ad interesse. E così alla fine questo “Euclione” [il proverbiale spilorcio] (personaggio dell’Aulularia di Plauto, n.d. cant) ottenne la sua ricchezza – se può dirsi ricco un uomo posseduto in tal modo dalle sue proprietà. Anche se è con intento benevolo che ho rivelato questa tecnica per attrarre ricchezza, voglio sperare di non essere tenuto a esplicitare l’avvertenza che nessuno dovrebbe imitarlo. Ma come andò a finire questa storia? Finì come l’autore di commedie ha scritto bene e con sagacia: “Il parsimonioso è colui che incontrerà un dissipatore”. Il nostro eroe non aveva ancora esalato l’ultimo respiro, che gli eredi al funerale già solennizzavano il lutto in una maniera affatto nuova per la sua casa, e con bevande diverse, e in modo tale che essi non attesero a diffamarlo per l’impudenza della sua avidità senza pari, vantandosi del fatto che loro avrebbero tenuto i conti in modo ben diverso - cosa che puntualmente fecero. Qualunque cosa egli avesse accumulata nei molti anni della sua professione di frugalità, fu sperperata ben più rapidamente e con minor sforzo. Ma ora, torniamo al nostro argomento.

Per le ragioni suddette, sono comprensibilmente indotto a meravigliarmi molto, e a dolermi profondamente del fatto che negli anni passati, in quelle parti dell’Impero e delle regioni confinanti dove si crede che la voce del Vangelo sia risuonata più chiaramente, ogni volta che una vigna è andata in rovina per una tempesta o che un raccolto pronto per la mietitura è andato perduto, i magistrati non hanno attribuito il fatto alla mano del Dio che mette alla prova o che punisce; che piuttosto hanno ignorato la mano di Dio e hanno rivolto la loro attenzione ad una moltitudine di donne misere, pazze, mentalmente disturbate, che le hanno fatte gettare in sudicie prigioni (ospizi dei demoni) e in orribili camere di tortura, dove esse sono forzate a confessare di sollevare tempeste e di recar danno alle proprietà; e poi sono consegnate alle fiamme di Vulcano. Ma non c’è dubbio che esse siano state ingannate nella mente dal diavolo, che ha corrotto la loro immaginazione con artifici ed illusioni, affinché confessassero cose che non potevano aver fatto, così come sono soliti confessare gli indemoniati, ed anche i melanconici e le persone che soffrono di incubi, e gli “uomini lupo”, e gli “uomini cane”, e i dementi, e i folli, e i bambini. Si è ampiamente dimostrato che un Dio giusto e misericordioso non ha assoggettato l’aria o gli elementi all’arbitrio e alla potenza di donnette malevole, o di altri individui malvagi, affinché questi potessero nuocere con il loro comando. Se il diavolo ha “potere sull’aria”, egli – che è sempre desideroso di nuocere - può attendere e chiedere [per esercitare tale potere] solamente il permesso di Dio; pertanto dirò francamente che per chiunque sarebbe un errore assurdo credere che il diavolo sia soggetto al potere di una vecchiaccia pazza e maligna. In verità, al contrario, la donna è così soggetta a lui che nel pensiero, nella parola e nelle azioni ella obbedisce alla sua volontà, mentre il diavolo certamente non può scegliere di esaudire i desideri di quella, neppure se entrambi hanno lo stesso scopo, poiché egli è sempre obbligato ad obbedire al comando di Dio, e talvolta a quello dei suoi fedeli ministri. Distruggendo le cose per mezzo di violente perturbazioni dell’aria o in qualsiasi altro modo, lo spirito delle tempeste attende soltanto il consenso e l’approvazione di Dio, ogni volta che Egli decida di punire o di mettere alla prova il Suo gregge; ma i Suoi veri ministri qualche volta saranno capaci di espellere un demone nel nome di Cristo. Di conseguenza, coloro che pensano che i loro occhi siano penetrati dalla luce raggiante della verità [il clero] dovrebbero far cambiare idea ai magistrati e alla gente comune, provando diligentemente, con discorsi autorevoli, a distogliere il loro uditorio dal crimine dell’idolatria, e dovrebbero anche spiegare quell’inenarrabile forma di idolatria per cui le persone attribuiscono alle Lamie ciò che è facoltà soltanto della Maestà Divina – la capacità di perturbare l’aria ed evocare la grandine a comando. Inoltre [potrebbero essi aggiungere], l’anima umana a volte è così abbattuta nei momenti di afflizione, che a malapena riesce ancora a credere che esista un Dio in grado di assisterla.
Se queste vecchie pazze fossero in grado di fare ciò che confessano di fare, i raccolti non sopravvivrebbero in quantità sufficiente a sfamare il genere umano; in verità, niente di ciò che si trova in natura rimarrebbe integro, e neppure l’umanità stessa resisterebbe.

Dal libro IV, Di coloro che sono considerati affetti dai malefici delle Lamie.

Di come la maggior parte di coloro che sono considerati indemoniati siano affetti da melanconia, e viceversa.        
Sopra, ho già discusso a sufficienza dell’immaginazione pervertita dei melanconici e delle loro conseguenti azioni, talora folli e ridicole, ma talaltra anche gravi, feroci ed orrende, cosicché non c’è grande necessità che mi ripeta. Per effetto di queste azioni, tali persone sono spesso giudicate stupide, oppure indemoniate, allo stesso modo in cui, al contrario, i posseduti sono detti spesse volte melanconici. Pertanto qui si richiede un giudizio attento, al fine di distinguere tra le due condizioni, che pure tante volte sono correlate. Il diavolo, come ho ricordato in precedenza, si insinua assai volentieri nell’umore melanconico, che infatti è un materiale oltremodo confacente ai suoi inganni; San Girolamo ha quindi molto giustamente definito la melanconia “bagno del diavolo”. Ciononostante, non tutti i melanconici sono soggiogati dai demoni. E d’altra parte accade spesso che gli indemoniati diventino melanconici, a causa dei loro amari tormenti e delle loro atroci sofferenze. Una certa donna di Büderich era tormentata ogni anno da tale melanconia – o piuttosto, potremmo definirla manìa – cosicché per molte settimane trascorreva le sue notti tra i sepolcri, nei cimiteri; e poi, anche, correva per i cortili, scardinando la porta di questi, infrangendo la finestra di quelli, finché sul fare del giorno fuggiva via, verso luoghi più segreti e silvestri. E poiché tale parossismo cadeva soprattutto nel periodo festivo della Pasqua - cioè durante la primavera, che è un momento favorevole a questa malattia, a causa dell’agitazione degli umori – si era diffusa, in quell’epoca, presso il popolo, la credenza che ella fosse molestata da uno spirito maligno.

Dal libro VI, Delle pene da infliggere ai maghi infami, alle Lamie e agli stregoni.

Di come le Lamie, affette da un errore della mente per opera del diavolo e incapaci di nuocere ad alcuno, debbano essere ricondotte alla fede, e quale pena debba essere statuita per loro: inoltre, di come non tutte le intenzioni siano da punire.
Sia dunque riconosciuto che le Lamie sono illuse dall’errore e dalla fantasia, e sedotte dal perverso insegnamento di satana. Diamo per certo che a nessuno viene del male da esse, se non nell’immaginazione di queste. Dovranno essere informate con una più sana dottrina, affinché possano ripudiare le illusioni del demone e nuovamente prestare giuramento a Cristo e così, come ad un insieme di membra slogate dal corpo, sia restituita alle penitenti la giusta legatura. […]
Ma se qualcuno sostenesse con insistenza la necessità di punirle più severamente, sia allora egli il primo a distinguere tra la compiuta volontà di un uomo sano che davvero è sul punto di disporsi all’azione e la sensibilità di una mente alterata o – se volete – la volontà danneggiata di un demente: con tale volontà il diavolo collude, quasi che le sue opere fossero quelle dello stolto, e nessun altro effetto discende dalla fatua volontà di costui. Tale difetto della volontà potrebbe anche colpire i melanconici, gli sciocchi e i bambini, che facilmente sono indotti a immaginare e a confessare falsamente di aver perpetrato questo o quel male. E tuttavia Dio, che scruta i cuori ed i lombi, non permette che costoro siano puniti come lo sono gli individui sani di mente; e allora tanto meno la giustizia degli uomini dovrebbe consentire ciò.

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Messaggio  anthea Mer Apr 15, 2020 11:22 pm

Ammetto di aver scorso velocemente i tuoi eruditissimi post Cantarel... e al riguardo mi sento molto "zappa".

Però ho assistito ad un seminario su Ildegarda e ho letto anche alcune riflessioni e studi sulla depressione femminile (che però non ti so riportare).

Alla fine, ciò che ho percepito io nelle mie elucubrazioni, è che sicuramente la donna è più colpita del maschio e invero nei maschi colpiti si evidenzia spesso una sensibilità maggiorata rispetto al solito uomo troglodita comandato dal pisello che sta comunemente attaccato alle partite di calcio in tv (scusate uomini.. non me ne vogliate..)
Ma capire se questa maggior sensibilità sia una predisposizione dovuta a fattori fisiologici legati quindi alla natura più complicata della donna (perchè destinata ad ospitare la vita e guidata pertanto maggiormente dagli squilibri ormonali), oppure se derivi dai condizionamenti secolari dettati da imposizioni, dettami, sensi di colpa, disparità sociale, ecc. ecc. della donna rispetto all'uomo, ancora non è dato di sapere. Forse sono entrambi fattori predisponenti. Ergo noi donne abbiamo questo triste primato.

Ma se vogliamo guardare i dati e fare analisi su certezze scientifiche, possiamo dare un'occhiata ai tassi di suicidio.
In questo caso vediamo che nel mondo la maggioranza dei suicidi portati a termine sono maschili, mentre i tentativi sono femminili. Non credo sia un caso questo. Molte volte il tentato suicidio è un'arma nei confronti dei propri cari, un modo estremo per richiamare l'attenzione. In molti casi la donna così facendo riesce ad ottenere ciò che cerca e quindi in un certo qual modo ad essere curata e considerata. L'uomo invece non si abbassa a cercare aiuto e se non ritiene di potercela fare da solo, allora arriva alla soluzione finale.
Solamente in Cina i tassi di suicidio fra maschi e femmine si equivale e questo significa molto considerando la condizione femminile di questo paese. Ciò mi porta a pensare che il fattore sociale abbia un'importanza considerevole.

Anche considerando che i suicidi non rispecchiano sempre i fenomeni depressivi di lunga durata, ciò non toglie che i dati siano comunque piuttosto importanti. Alla fine molte malattie depressive derivano da mancata accettazione del proprio essere e dai condizionamenti sociali; anche da quanto il tessuto collettivo possa sostenere o meno il singolo individuo. Nei paesi dove la persona non è inserita in un contesto protettivo comunitario, la possibilità di depressione grave è maggiore che in altri dove c'è un maggior coinvolgimento del singolo in un gruppo di appartenenza e di sostegno allargato. Se il gruppo non diventa repressivo (ad esempio nei casi di diversità di orientamento sessuale ecc.), ha una connotazione positiva sulle malattie depressive. L'individuo invece che si sente solo e non inserito nel proprio contesto sociale, è più portato a sviluppare tali patologie.

Ovviamente la mia è solamente una piccola riflessione. L'argomento è decisamente più complicato di così, me ne rendo conto.
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Messaggio  canterel II Sab Apr 18, 2020 5:46 pm

Grazie anthea
per aver condiviso i tuoi pensieri, molti dei quali sono simili ai miei.
Tuttavia conosco direttamente uomini trogloditi comandati dal pisello ed attaccati alle partite di calcio in TV che soffrono molto, e mostrano vari segni di depressione maggiore. Questi uomini di cui parlo hanno tratto dalla cultura patriarcale pochi privilegi e molta amarezza ed alienazione.
Forse proprio per descrivere sofferenze come quelle di questi "trogloditi" può tornare utile la distinzione tra la depressione e il carattere malinconico, almeno quella malinconia così vezzeggiata dalla letteratura rinascimentale, preromantica e romantica, che può avere sfumature di demonismo ma anche di genialità, di poesia, di delicatezza, al punto da confondersi con le forme del misticismo, dell'inclinazione artistica o filosofica (mi sembra invece che la melanconia maschile descritta da Ildegarga si attagli bene ai maschi trogloditi di cui parli). Se la curatrice di questa antologia rintraccia giustamente nei testi la storia di un'esclusione prevalente delle donne da questo dominio della genialità e della sofferenza loquace e ispirata, non mi sembra di azzardare troppo se immagino che anche uomini educati alla buona, poco scolarizzati, macinati dal ruolo che l'inculturazione gli ha presentato come l'unico possibile, possano soffrire molto senza avere le parole e l'eleganza per portare tale sofferenza. La partita di calcio, i vizietti, l'alcolismo, l'isolamento, la violenza, una crosta cinica, possono essere tanti mascheramenti di forme anche gravi di depressione.
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Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 2 Empty Teresa d'Avila: le suore melanconiche

Messaggio  canterel II Sab Apr 18, 2020 10:19 pm

Ed ecco Santa Teresa, con le sue equivoche transverberazioni.
Nei brani tratti da Il castello interiore compie uno sforzo notevole per discriminare le esperienze estatiche, che hanno i crismi della santità, dagli stati melanconici - per non dire delle locuzioni, ossia vere e proprie allucinazioni che oggi rientrerebbero nella fenomenologia della schizofrenia acuta.
Compie uno sforzo notevole, ma a me, che sono estremamente volgare, sembra coda di paglia, e più si sforza di discernere le diverse fonti divine o patologiche delle locuzioni, più a me sembrano fenomeni della stessa natura.

Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 2 Lorenz10

In alto: Lorenzo Lotto, Venere e Cupido, 1530.
In basso: Gian Lorenzo Bernini, Estasi di Santa Teresa d'Avila, 1647-1652.

Teresa d'Avila: le suore melanconiche

Santa Teresa d’Avila, carmelitana, vissuta in Spagna tra il 1515 ed il 1582, è stata una delle donne più notevoli del suo tempo. Proveniente da una ricca famiglia di ebrei “conversi” (che erano stati obbligati a cristianizzarsi alla fine del secolo precedente), Teresa entrò nell’ordine dei Carmelitani durante la sua adolescenza. Qui, dopo un periodo di aridità spirituale e una “seconda conversione” nel 1555, sperimentò stati mistici e visioni, e iniziò a desiderare una vita più semplice, più umile e più raccolta. Teresa possedeva diversi talenti che raramente si trovano combinati insieme. Era una mistica e una contemplativa dotata di profonda spiritualità; è stata inclusa tra i Dottori della Chiesa per i suoi scritti sulla preghiera e la contemplazione, che sono annoverati tra i più sublimi nella tradizione della letteratura mistica cristiana.
Talvolta trovandosi ai ferri corti con la Chiesa e l’Inquisizione (il nunzio apostolico Filippo Sega ne parlava come di una “incontrollabile inquieta” nel 1577), ella fondò l’ordine separato dei Carmelitani “Scalzi”, la cui regola più spirituale ed ascetica avrebbe avuto influenza sulla Riforma cattolica non solamente in Spagna, ma in tutta l’Europa. Infine, era un’organizzatrice dotata di senso pratico, nonché una guida brillante e sensibile per i gruppi delle sue suore, nei conventi dove fu badessa.
Teresa scriveva in castigliano, che era più vicino alla lingua parlata rispetto al latino ecclesiastico, più formale. Tra le sue opere più corpose, si contano l’Autobiografia, scritta tra il 1562 ed il 1565; Le fondazioni (1573-1582), dove sono descritte le prime vicissitudini dell’ordine degli Scalzi; Il cammino della perfezione; e Il castello interiore. I passi antologizzati qui sono tratti da Le fondazioni e Il castello interiore.

Teresa accetta la normale spiegazione teologica della melanconia in termini di influenza demoniaca, tuttavia sembra riluttante ad insistere per affermarla o per scaricarla sulle spalle delle persone sofferenti.
Se dunque la melanconia è causata dal Diavolo, nel castello interiore Teresa sconsiglia di dire questo ai melanconici quando il loro disturbo produce ciò che lei definisce “locuzioni”, ossia voci interiori. Non si dovrebbe disturbare queste persone dicendo che le loro locuzioni vengono dal Diavolo; invece “bisogna ascoltarle come si ascoltano i malati.” D’altra parte, come illustrano i passi da Le fondazioni, Teresa credeva fosse necessario un trattamento particolarmente severo per le suore che soffrivano delle forme più lievi di melanconia, e che perciò conservavano un certo autocontrollo. (“Se le parole non bastano, si ricorra ai castighi; se non bastano i piccoli castighi, si usino i grandi”.)
Le differenze tra la malattia grave o la perfino follia risultanti dalla melanconia e gli stati melanconici meno gravi sono attentamente discriminate da Teresa. La ragione è “offuscata” nelle persone gravemente disturbate, ed esse non devono essere punite. Il disturbo in questi casi dovrebbe essere definito malattia grave e trattato come tale, insiste Teresa. Ma coloro che mantengono un certo autocontrollo dovrebbero essere obbligati a controllarsi. Quest’ultimo gruppo impone una responsabilità particolare, poiché uno deve “considerare ragionevoli e trattare come tali persone che non lo sono affatto”.
Scritto nel 1577, nel corso di un periodo di dispute a Madrid e a Roma sulle sue opere e i suoi scritti, nonché di sofferenza personale e forse anche fisica (Teresa riferiva di “grande confusione e debolezza nella mia testa” in quel periodo), Il castello interiore è un libro che tratta esclusivamente della vita interiore. Dedicato a discutere i temi della preghiera e della contemplazione, esso ricorre all’elaborata metafora architettonica del castello con le sue camere interne. Il muro perimetrale del castello - il corpo - è ordinario, ma l’interno contiene livelli di spiritualità o “mansioni” nei quali ci si imbatte attraverso la ricerca spirituale, al centro della quale deve essere trovata la comunione con Dio ossia, nelle parole di Teresa, il “fidanzamento spirituale.”
È nella sua lunga trattazione della sesta mansione del viaggio interiore che Teresa parla ancora di melanconia, una condizione della quale – lei afferma – il mondo è pieno. In questa ulteriore discussione, ella sembra adottare un atteggiamento più morbido nei confronti di coloro che soffrono di melanconia. È preoccupata che i confessori non abbiano la sensibilità per riconoscere la differenza tra la sofferenza e i deliri prodotti dalla melanconia, da una parte, e il conflitto e il dolore a cui ci sottoponiamo nella ricerca spirituale, dall’altra. La melanconia pone le sue vittime fuori dalla portata dell’assistenza e della consolazione religiosa: “Non c’è rimedio in tanta tempesta”, afferma Teresa, e al massimo, coloro che subiscono questa afflizione possono essere incoraggiati a dedicarsi a opere esteriori di carità e a sperare nella misericordia di Dio.
I confessori inesperti possono confondere la sofferenza spirituale e il dolore provocati da Dio che “incendia l’anima” con la sofferenza del melanconico, che invece è opera del Diavolo, perciò Teresa descrive le maniere per distinguere questi due stati. La qualità della “pena deliziosa” che sperimentiamo con la vicinanza a Dio non è mai permanente o continua: essa va e viene; lascia inalterati i nostri sensi e le nostre facoltà; è accompagnata dalla quiete spirituale e dal diletto dell’anima; guida ad essere determinati a soffrire per Dio e a ritrarsi dalle gratificazioni terrene. L’esperienza di coloro che sono melanconici, insiste Teresa, non possiede nessuna di queste caratteristiche.
Nel corso delle sue discussioni sul tema della melanconia, Teresa mostra la sua scrupolosità e la sua capacità di distinguere gli stati melanconici da altri stati ad essi affini, ed illustra il suo trattamento dell’esperienza melanconica, compassionevole e tuttavia risoluto.

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Da Le fondazioni (1573-82)
Capitolo VII

Come si deve trattare con le suore che hanno la melanconia. È necessario che le priore seguano le istruzioni date in questo capitolo.
Queste mie sorelle al monastero di San Giuseppe a Salamanca, presso le quali mi trovo mentre scrivo queste pagine, mi hanno ripetutamente chiesto di dire qualcosa riguardo a come uno deve trattare con le suore che soffrono di quell’umore corporeo detto melanconia. Infatti, malgrado ci impegniamo molto per non accettare nelle nostre comunità coloro che ne soffrono, esso è sottile e sa fingersi morto quando è necessario, e così noi non lo riconosciamo fino a quando non c’è più rimedio. Mi sembra di averne detto qualcosa in un piccolo libro; tuttavia non me ne ricordo e non è un gran peccato dirne ancora qualcosa qui, se a Dio piacerà che io vi riesca. Può darsi dunque che io abbia già parlato in un’altra occasione; ma mi ripeterei altre cento volte se pensassi di poter dire una cosa pertinente sulla materia. Così tanti sono gli stratagemmi a cui questo umore ricorre per fare la sua volontà che c’è bisogno di studiarli per sapere come trattare con coloro che ne soffrono e come guidarle in modo che nessun danno sia arrecato alle altre suore.

Dev’essere precisato che non tutte coloro che soffrono di questo umore sono ugualmente difficili, poiché coloro che sono umili e miti, pur soffrendo in se stesse, non offendono gli altri, specialmente se dotate di solida intelligenza. E inoltre ci sono gradi minori e maggiori di questo umore. Certamente, io credo che il diavolo usi la melanconia come un mezzo per cercare di vincere alcune persone. E se esse non guardano i propri passi con grande cautela, vi riuscirà. Infatti, giacché questo umore può soggiogare la ragione, cosa non faranno le nostre passioni una volta che la ragione sarà offuscata? Sembra che dove viene meno la ragione, arrivi la pazzia, ed è proprio così. Tuttavia, in coloro di cui ora parliamo la melanconia non arriva al punto della pazzia, che sarebbe molto meno dannosa. Ma dover considerare ragionevoli e trattare come tali persone che non lo sono affatto, è un peso insopportabile. Coloro che sono completamente in balia di questo male devono essere compatite, ma non recano danno; e se c’è un mezzo per tenerle sotto controllo, è indurle alla paura.

Con coloro per le quali questo male funesto è appena incominciato, anche se non è così forte, lo stesso rimedio è necessario qualora altri tentativi si rivelassero insufficienti. Il male, insomma, ha origine dall’umore o dalle radici e dal fusto di quel ceppo. Ed è necessario che le priore facciano ricorso alle penitenze dell’Ordine e si impegnino a ricondurre queste persone alla sottomissione in modo tale da far loro comprendere che non otterranno ciò che vogliono, né del tutto né in parte. Poiché se esse arrivassero a pensare che a volte le loro grida, e le smanie che il diavolo ispira loro per condurle alla rovina, fossero sufficienti ad ottenere ciò che vogliono, allora sarebbero perdute. Ed è sufficiente che vi sia solamente una persona in quello stato per distruggere la quiete di un monastero. Siccome la povera creatura non ha nessuno che l’aiuti a difendersi da ciò che il diavolo le presenta, è necessario che la priora proceda con la più grande cautela per governarla non solo nelle questioni esteriori ma anche in quelle interiori. Poiché quando la ragione è offuscata nella persona malata, ciò deve essere chiaro alla priora cosicché il diavolo non cominci ad assumere il controllo della sua anima, usando la sua afflizione come un mezzo.
Solamente alcune volte questo umore provoca una tale afflizione da assoggettare completamente la ragione. E allora la persona non è colpevole, proprio come non lo sono i pazzi per le loro azioni folli. Ma coloro che non sono matti, la cui ragione è ora debole, ora in buono stato, essi hanno qualche colpa. Perciò è pericoloso se, nei momenti in cui sono malati, cominciano a prendersi delle libertà, e questo è un terribile inganno del diavolo. È necessario che essi non vi incorrano, altrimenti non riusciranno ad essere padroni di sé quando saranno in buona salute. Se esaminiamo la questione, ciò che sta più a cuore a queste persone melanconiche è fare ciò che gli pare, dire ciò che affiora alle loro labbra, dare risalto ai difetti degli altri per coprire i propri, e trovare sollievo in ciò che dà loro piacere. Insomma, sono come la persona incapace di tollerare che qualcuno le opponga resistenza. E cosa accadrebbe allora, se nessuno opponesse loro resistenza, dal momento che le loro passioni sono immortificate e che ciascuna di esse tenta di ottenere ciò che vuole?

Ripeto, dal momento che ho visto molte persone afflitte da questo male e ho avuto a che fare con loro, che non c’è altro rimedio ad esso se non perseguire la sottomissione di queste persone con ogni mezzo e in tutti i modi possibili. Se le parole non bastano, si ricorra ai castighi; se non bastano i piccoli castighi, si usino i grandi; se un mese di prigione non basta, si provino quattro mesi; non può esserci alcun bene più grande per le loro anime. Perché, come ho detto e ripetuto (ed è importante che lo capiscano le stesse persone afflitte, anche se a volte potrebbero essere incapaci di comprendere da sole), finché il male non diventa pazzia conclamata, del genere che impone di perdonare la persona per ogni sua colpa – e talvolta potrebbe darsi, ma non sempre – allora l’anima rimane esposta ad un grave pericolo (…)

C’è un altro grave pericolo, lasciando da parte quello già menzionato: giacché la suora afflitta appare in buona salute e l’influenza esercitata interiormente dalla malattia non è compresa, la nostra natura è così miserabile che ogni altra suora crederà di essere essa stessa melanconica e che pertanto le altre debbano sopportarla. E in realtà il diavolo farà in modo che la questione sia male intesa proprio in questi termini, e provocherà una tale rovina che, quando si comincerà a riconoscere il problema, sarà ormai difficile porvi rimedio. Tale questione è così importante che non si deve ammettere a riguardo alcuna negligenza. Ma se una suora melanconica dovesse resistere ai suoi superiori, allora dovrà essere punita come una sana, senza remissione di alcuna colpa. Se dovesse pronunciare parole insultanti contro una sorella, si dovrà trattarla allo stesso modo, e così in tutte le circostanze simili.

Sembra ingiusto punire una persona malata, che non può dominarsi, allo stesso modo di una sana. Ma allora sarebbe anche ingiusto legare e frustare i matti, e si dovrebbe permettere loro di ammazzare tutti.
Credetemi, ho tentato di ricorrere a molti altri rimedi, ma secondo la mia opinione non se ne trovano altri. Non deve essere mai tollerato che una priora, mossa a compassione, permetta a queste suore di cominciare a prendersi delle libertà, perché quando poi si risolverà a porre rimedio alla situazione, troppo danno sarà già stato arrecato alle altre suore. Se i matti sono legati e castigati affinché non ammazzino gli altri e ciò appare non solo giusto, ma anche molto compassionevole, dal momento che essi non sono in grado di dominarsi, allora tanto più si dovrà aver cura di non permettere a queste melanconiche di prendersi delle libertà per mezzo delle quali nuoceranno alle anime. Ed io credo davvero che questo male, come ho detto, si scopra spesso nelle persone il cui carattere è sfrenato, privo di umiltà e poco disciplinato. E l’umore non ha neppure tanta forza quanta ne ha nei matti. Anzi, dirò che l’umore non ha tanta forza per alcune di loro, perché ho potuto vedere che di fronte ad una persona capace di incutere riverenza, esse si controllano e ne hanno la capacità. Ebbene, perché allora non potrebbero controllarsi per amore di Dio?

Io temo che il diavolo, dietro la parvenza di questo umore, come ho detto, voglia conquistare molte anime.
Oggi questo termine è più diffuso di prima, sicché qualunque licenza o imposizione della propria volontà è chiamata con il nome di melanconia. Pertanto ho pensato che nei nostri conventi e in tutti gli altri monasteri questo termine non dovrebbe essere pronunciato. Perché questo termine sembra ormai essere associato alla libertà da ogni vincolo. Piuttosto, quel disturbo dovrebbe essere detto malattia grave – e lo è davvero! – e trattato come tale. Poiché a volte è proprio necessario attenuare l’umore per mezzo delle medicine, allo scopo di renderlo sopportabile; e la suora deve rimanere nell’infermeria, e comprendere che quando ne uscirà per fare ritorno alla comunità, dovrà essere umile ed obbediente, come tutte le altre. E deve comprendere anche che, se non sarà umile ed obbediente, non potrà giustificarsi con la scusa dell’umore. Per le cose che ho detto – e tante altre ne potrei dire – questo è il metodo che si conviene. La priora deve dirigere le suore con grande compassione, come una vera madre, ricorrendo ad ogni mezzo per offrire un rimedio, senza che esse se ne accorgano.

Sembra che io mi contraddica, perché fin qui ho detto che queste suore devono essere trattate con rigore. Perciò ripeto che esse non devono pensare di poter fare ciò che vogliono, né di avere il permesso di fare nient’altro che ciò che ricade sotto la condizione della loro obbedienza. Poiché il male si annida nel pensiero che loro saranno libere di fare ciò che vogliono. Ma la priora deve anche astenersi dall’ordinare loro di fare quanto lei vede che loro non sarebbero in grado di fare per mancanza di forza interiore. Ella dovrà dirigerle con tutta l’abilità e l’amore necessari, affinché, quando possibile, esse si sottomettano per amore – il che sarebbe molto meglio, e di solito accade. Dovrebbe mostrare di amarle teneramente, e far loro intendere ciò con le sue parole e le sue opere. E deve ricordare che il miglior rimedio a sua disposizione è di tenerle molto occupate con i lavori domestici, affinché non abbiano l’opportunità di fantasticare, poiché in essa si annida il loro male. E anche se non dovessero svolgere i loro compiti perfettamente, la priora dovrebbe tollerare qualche difetto, per non doverne poi sopportare di più gravi come avverrebbe se la melanconia riuscisse a prevalere. Io so che questo è il rimedio più efficace a disposizione. E occorre fare in modo che esse non debbano sottoporsi a lunghe orazioni, neppure quelle stabilite secondo la regola dell’Ordine, poiché la loro immaginazione per lo più è debole, e le lunghe orazioni possono arrecare loro grave danno. Altrimenti, immagineranno cose che né loro, né chi prestasse loro ascolto, riuscirebbero a comprendere. La priora abbia cura che esse non mangino pesce, se non di rado; inoltre, durante i digiuni, esse non dovrebbero digiunare tanto quanto le altre suore.

Sembra eccessivo dare tanti consigli per questo male e non per altri, dal momento che ve ne sono tanti altri molto gravi nella nostra vita miserabile, specialmente considerando la debole costituzione delle donne. Se faccio così, è per due motivi: il primo, è che queste suore sembrano in buona salute, poiché non vogliono ammettere di soffrire di questo male. Dal momento che esso non le costringe a restare a letto, poiché non hanno febbre o necessità di chiamare un dottore, la priora dovrà allora essere il loro dottore; poiché si tratta di una malattia che attenta ad ogni loro perfezione più di quanto non faccia la malattia di chi è a letto e si trova in pericolo di vita. Secondo, nel caso di altre malattie avviene che il paziente sia curato oppure che muoia; molto raramente, invece, chi è affetto da questa malattia è curato, e neppure ne muore, ma può arrivare al punto di perdere completamente la ragione – ed è questa una morte che può uccidere l’intera comunità delle suore. Le melanconiche soffrono interiormente una condizione peggiore della morte, a causa di afflizioni, immaginazioni e scrupoli, che esse chiamano tentazioni e per le quali deve essere riconosciuto loro un grande merito. Se esse riuscissero a comprendere che è la malattia a provocarle, troverebbero grande sollievo evitando di prestarvi attenzione. In verità, nutro grande compassione per queste persone, ed è giusto che ne abbiano anche tutte le suore che vivono insieme a loro. Queste ultime dovrebbero pensare che il Signore può compatire questa afflizione, e dovrebbero quindi sopportarla insieme a chi ne soffre, ma senza darlo ad intendere, come ho già detto prima. Piaccia a Dio che io sia riuscita a dire qualcosa di cosa conviene fare per porre rimedio ad un male tanto grave.

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Da Il castello interiore (1577)

Seste mansioni. Capitolo I

(…) Il Signore è solito inviare le più gravi malattie. Questa è una prova molto più difficile, specialmente quando i dolori sono acuti. Poiché, in qualche modo, se questi dolori sono molto forti, mi sembra che si tratti della prova più ardua sulla terra – voglio dire la più ardua tra le prove esteriori, per quanti altri dolori vi siano. Dico “se i dolori sono molto forti” perché in tal caso essi affliggono l’anima interiormente ed esteriormente, in modo tale che essa non sa più che cosa fare. Essa accetterebbe subito e volontariamente qualunque martirio, piuttosto che subire questi atroci dolori; anche se occorre aggiungere che essi non durano a lungo in questa forma estrema. Dopo tutto, Dio non dà più di quanto può essere sopportato; e la Sua Maestà dona anzitutto la pazienza. Tuttavia grandi sofferenze e malattie di ogni genere sono frequenti.

Conosco una persona che, dal momento in cui Dio ha cominciato a donarle la grazia di cui ho parlato, quarant’anni fa, non può davvero dire di aver trascorso un solo giorno senza dolori e altri generi di sofferenze (per mancanza di buona salute, voglio dire) ed altre grandi prove. È vero che era stata molto abbietta, e tutto le pareva poca cosa in confronto all’inferno che aveva meritato. Altri che non hanno offeso così tanto il Signore saranno condotti per un'altra via. Ma io sceglierei sempre la via della sofferenza, non fosse altro che per imitare Nostro Signore Gesù Cristo, anche se non vi fossero altri vantaggi, e a maggior ragione dal momento che ci sono sempre molti altri benefici.

Oh, e se trattassimo delle sofferenze interiori, se potessero essere chiaramente descritte, quanto piccole al confronto apparirebbero le altre; ma è impossibile spiegare il modo in cui esse si sviluppano.
Per cominciare, abbiamo il tormento di chi incontra un confessore tanto cauto ed inesperto che non è sicuro di nulla: egli teme ogni cosa, ed in ogni cosa trova di che dubitare poiché viene a conoscenza di queste esperienze insolite. Diventa specialmente dubbioso se nota qualche imperfezione in un’anima che ha questo genere di esperienze, poiché ad un tale confessore sembra che gli unici ai quali Dio fa dono di questi favori debbano essere angeli – ma ciò è impossibile dal momento che essi sono in questo corpo. Allora tutto è immediatamente oggetto di condanna come opera del diavolo o della melanconia. E il mondo è così pieno di questa melanconia, che non ne sono meravigliata. Ce n’è così tanta oggi nel mondo, ed il diavolo provoca così tanti mali per suo mezzo, che giustamente i confessori la temono e la trattano con cautela. Ma la povera anima che, mossa dalla stessa paura, va dal suo confessore come se andasse da un giudice, e da costui riceve una condanna, non può che esserne profondamente turbata e tormentata. Solo chi è passato attraverso questa esperienza comprenderà che grande tormento sia. Poiché questa è un’altra delle terribili prove che queste anime soffrono, specialmente se hanno condotto una vita abbietta: credere che Dio voglia permettere che esse siano ingannate, per punirle dei loro peccati. Anche se esse si sentono sicure quando ricevono la grazia dalla Sua Maestà, e non pensano allora di riceverla da altri che non dallo spirito di Dio, il tormento tuttavia ritorna immediatamente poiché la grazia è qualcosa che passa rapidamente, e il ricordo del peccato è invece sempre presente, e l’anima vede in sé dei difetti – che non mancano mai. Quando il confessore la rassicura, essa si placa, anche se il turbamento è destinato a tornare. Ma quando il confessore aggrava il tormento aggiungendovi altra paura, la prova diventa quasi insopportabile, specialmente quando un po’ di aridità si insinua tra i momenti di grazia. E allora quest’anima crede che non ha mai avuto pensieri per Dio, e che non ne avrà mai; e quando sente parlare della Sua Maestà, le sembra che si parli di una persona conosciuta in un tempo lontano.

Tutto ciò sarebbe ancora nulla, se non vi si sommasse la paura che l’anima sperimenta di essere incapace di spiegare le cose al suo confessore, e di ingannarlo. E anche se riflette e riconosce di rivelare ai suoi confessori ogni suo turbamento fin dalle prime avvisaglie, questo non è di aiuto. La comprensione dell’anima è così offuscata che essa diventa incapace di scorgere la verità e crede a tutto ciò che l’immaginazione le rappresenta secondo la volontà del diavolo. Sembra che il Signore dia al diavolo il permesso affinché l’anima sia messa al prova fino al punto di pensare di essere rigettata da Dio. Sono tanti gli assilli che le muovono guerra, e così profonda e insopportabile è l’oppressione interiore, che io non so a cosa paragonare questa esperienza se non all’oppressione di coloro che soffrono all’inferno, poiché non è ammessa alcuna consolazione nel mezzo di questa tempesta. Se cerca una consolazione dal suo confessore, le sembra invece che i demoni lo aiutino a tormentarla di più. Pertanto, un confessore che si ritrovò a dirigere una persona che aveva sofferto di questo tormento, persuaso che si trattasse di un’afflizione pericolosa nella quale entravano tante influenze, le disse di avvertirlo se si fosse ritrovata in quello stato; ma siccome il tormento ritornò sempre più crudele, anche lui dovette ammettere che non c’era nulla che potesse fare. Se dunque una persona in quello stato, normalmente capace di leggere, prende un libro in volgare, si renderà conto di non comprendere più di quanto non farebbe se fosse analfabeta e non conoscesse neppure l’alfabeto, perché in quello stato l’intelletto è incapace di comprensione.

Insomma, non c’è rimedio in questa tempesta se non la speranza nella misericordia di Dio. (…)

Capitolo II

(…) O Dio onnipotente, quanto sublimi sono i tuoi segreti, e quanto diversi sono i fatti spirituali rispetto a tutto ciò che è visibile e comprensibile quaggiù. Non c’è nulla che aiuti a spiegare questa grazia, anche quando questa grazia è piccola al confronto delle più grandi che Tu puoi operare nelle anime.

Quest’azione dell’amore è così potente che l’anima si dissolve con desiderio, e non sa cos’altro chiedere dal momento che sente che Dio è con essa.
Voi mi chiederete: se l’anima sa questo, allora che cosa desidera, o che cosa soffre? Io non lo so. Ma so che sembra che questa pena raggiunga gli intimi recessi dell’anima, e che quando Colui che l’ha trafitta estrae il dardo, in accordo con l’amore profondo che l’anima sente sembra allora che Dio stia estraendo ed attirando a Sé questi stessi intimi recessi. Mi è venuto di pensare che questa pena è forte come se da questo fuoco acceso nel braciere che è il mio Dio, una scintillia fosse schizzata ed avesse colpito l’anima, che ha così assaggiato il fuoco ardente. E poiché la scintilla non era sufficiente a dar fuoco all’anima, ed il fuoco è così delizioso, l’anima rimane in pena; ma toccando appena l’anima la scintilla riesce a produrre quell’effetto.  Questo mi sembra il miglior paragone che ho potuto trovare.

Questa pena deliziosa – e non è una pena – non è persistente, anche se a volte dura un poco; altre volte si estingue subito. Questo dipende dalla maniera in cui il Signore vuole comunicarcela, poiché si tratta di qualcosa che non può essere trasmesso in alcun modo umano. Ma anche se a volte dura per qualche tempo, essa va e viene. Insomma, non è mai permanente. Perciò non dà fuoco all’anima ma, proprio come un incendio soffocato sul nascere, la scintilla si estingue e l’anima rimane con il desiderio di soffrire di nuovo quella pena d’amore provocata dalla scinitilla.

Qui non c’è ragione di chiedersi se l’esperienza non sia stata causata dalla natura o dalla melanconia, o se non sia qualche inganno del diavolo, o qualche illusione. È qualcosa che vi lascia con la chiara comprensione del fatto che questo moto viene dal luogo dove ha dimora il Signore, che è eterno. Non è un moto simile a quelli che caratterizzano altri sentimenti di devozione, dove il grande assorbimento nella delizia può renderci dubbiosi. Qui tutti i sensi e tutte le facoltà restano liberi dall’assorbimento, e si domandano cosa sia quest’esperienza, senza creare alcun ostacolo e senza essere capaci, secondo la mia opinione, di accrescere o di attenuare quella pena deliziosa. Chiunque abbia ricevuto da nostro Signore questa grazia – e se l’ha ricevuta, lo riconoscerà leggendo questi passi – dovrebbe grandemente rendergli grazie. Questa persona non dovrà temere inganni. La sua più grande paura sarà di dimostrarsi ingrato per un così grande favore, e si impegnerà per perfezionare tutta quanta la sua vita, e per servire, e allora vedrà quali saranno i risultati, e come gli accadrà di ricevere la grazia in misura ancora maggiore. Io ho conosciuto una persona che ha ricevuto questa grazia per alcuni anni, e ne è stata tanto contenta che, se anche avesse dovuto affrontare gravi prove per molti anni servendo il Signore, se ne sarebbe sentita ben ripagata. Sia Egli sempre benedetto, amen.

Voi potreste chiedermi perché questa grazia sia più sicura rispetto ad altri favori. Secondo la mia opinione, le ragioni sono queste: primo, il  diavolo non dà mai una pena deliziosa come questa. Esso può trasmettere un gusto e una delizia che sembrano spirituali, ma non ha il potere di unire la pena – e una tale pena – alla quiete spirituale e alla delizia dell’anima. Perché tutto della sua potenza è nell’esteriorità, e le pene che esso provoca non sono mai – secondo la mia opinione – deliziose o serene, ma sempre perturbanti e inquiete. Secondo, perché questa deliziosa tempesta proviene da una regione diversa da quelle dove il diavolo può essere sovrano. Terzo, questa grazia porta enormi benefici all’anima, i più comuni dei quali sono la determinazione a soffrire per Dio, il desiderio di sottoporsi a molte prove, e la determinazione a rifiutare le gratificazioni terrene e le conversazioni ed altre cose simili.

Che questa grazia non sia un’illusione, è molto chiaro. Anche se altre volte l’anima potrà aver lottato per ottenere questa grazia, non sarà in grado di contraffarla. E la grazia è qualcosa di tanto manifesto da non poter essere in alcun modo scambiata per un’illusione. Voglio dire che uno non può pensare di averla immaginata, o nutrire dei dubbi a riguardo. Se qualche dubbio dovesse rimanere, se ne dovrà concludere che le cose di cui si è fatta l’esperienza non erano veri impeti; voglio dire, se uno dubitasse di aver sperimentato la grazia oppure no. La grazia si sente tanto chiaramente quanto si ode una voce forte. E non c’è motivo di pensare che sia causata dalla melanconia, poiché la melanconia non produce o non fabbrica le sue fantasie se non nell’immaginazione. Questa grazia invece procede dalle parti interiori dell’anima. (…)

Capitolo III

Dio ha anche un altro modo per eccitare l’anima. Anche se sembra essere una grazia più grande di quelle già dette, essa può essere più pericolosa, e perciò mi soffermerò a considerarla.  Ci sono molti generi di locuzioni che possono essere pronunciate all’anima. Alcune sembrano provenire dall’esterno; altre, dalle profondità delle parti interiori dell’anima; altre, dalla parte superiore; ed alcune sono esteriori al punto che la raggiungono attraverso il senso dell’udito, perché sembrano parole dette da una voce. A volte, anzi, spesso, la locuzione può essere un’illusione, soprattutto per le persone che sono dotate di una debole immaginazione o che sono melanconiche, voglio dire, coloro che soffrono di una notevole melanconia.

Secondo la mia opinione, non si dovrebbe dare credito alle affermazioni di queste due ultime categorie di persone, anche se queste dicono di vedere e di udire e di comprendere. Ma neppure le si dovrebbe turbare dicendo loro che le loro locuzioni provengono dal diavolo; invece, bisogna ascoltarle come si ascoltano i malati. La priora o il confessore a cui esse riferiscono delle proprie locuzioni dovrebbero dir loro di non prestare attenzione a simili fenomeni, e che queste locuzioni non sono essenziali per servire Dio, e che il diavolo ha ingannato molte persone in questo modo, anche se probabilmente nel loro caso non si tratta di un inganno del genere. Questo consiglio dovrebbe essere dato al fine di non aggravare la melanconia, poiché se venisse detto loro direttamente che la locuzione è prodotta dalla melanconia, non se ne verrebbe più a capo; esse giurerebbero che vedono e che sentono, perché a loro pare proprio così.

È davvero necessario dispensare queste persone dalle orazioni, e dir loro fermamente di non prestare attenzione alle locuzioni; poiché il diavolo è solito approfittarsi di queste anime malate per loro mezzo, anche se ciò che esso fa probabilmente non sarebbe a danno di queste persone, ma a danno delle altre intorno a loro. Ma è sempre bene diffidare di queste cose, tanto per le persone malate che per quelle sane, finché non si sia compreso bene quale sia lo spirito che le agita. E dirò che all’inizio è sempre meglio distogliere le persone da queste esperienze, poiché se anche le locuzioni provenissero da Dio, fare così sarebbe comunque il miglior aiuto, e la persona messa alla prova ne sarebbe fortificata. Questo è vero; tuttavia, non si dovrebbe procedere in un modo che possa opprimere o inquietare un’anima, poiché davvero l’anima non può opporsi al sopraggiungere delle locuzioni.

Ora, per tornare a ciò che stavo dicendo, tra tutti i generi di locuzione si possono distinguere quelle che vengono da Dio, oppure dal diavolo, o dall’immaginazione. Ora, se vi riuscirò, con l’aiuto del Signore indicherò i segni atti a distinguere tra queste diverse fonti, e a capire quando le locuzioni sono pericolose; poiché tante sono le persone dedite alla preghiera che le sentono. Il mio desiderio, o sorelle, è che voi comprendiate che farete comunque bene a rifiutarvi di dare ascolto a queste locuzioni, anche quando esse vi sembrassero destinate proprio a voi (per esempio, quando vi offrissero una consolazione, o un consiglio riguardo alle vostre colpe), non importa chi sia ad inviarle, o se siano solo illusioni, poiché non è importante in questo senso la provenienza delle locuzioni. Un consiglio voglio darvi: non pensate, anche se le locuzioni vengono da Dio, che questo vi renda migliori, poiché Egli ha parlato spesso anche ai farisei. Tutto il bene che può provenirne dipende da come uno riesce a trarre beneficio da quelle parole; e non prestate a quelle che non fossero conformi alla Scrittura più attenzione di quella che accordereste a parole pronunciate dal diavolo in persona. Anche se provengono dalla vostra debole immaginazione, è necessario trattarle come se fossero tentazioni contro la vostra fede, e pertanto resistervi sempre. Esse svaniranno, perché hanno poco potere su di voi.

Tornando allora al primo dei diversi generi di locuzioni; per distinguere quelle provenienti da Dio non è importante comprendere se le parole provengono dalla parte interiore dell’anima, da quella superiore, o da una parte esteriore. I segni più affidabili che esse provengono da Dio, secondo la mia opinione, sono i seguenti: il primo ed il più autentico è il potere, e l’autorità che esse portano in sé, poiché le locuzioni che vengono da Dio producono gli effetti che dicono (…)

Il terzo segno, è che queste parole rimangono nella memoria per lungo tempo, e alcune non sono mai dimenticate, a differenza delle parole che udiamo qui sulla terra – voglio dire, quelle che udiamo dagli uomini. Poiché anche se delle parole sono pronunciate da uomini molto importanti ed istruiti, o riguardano il futuro, noi non riusciamo a scolpirle nella memoria o a prestarvi fede come facciamo con queste.
La certezza che da esse promana è così forte, che anche nelle cose che giudicheremmo impossibili, e per le quali abbiamo motivo di dubitare che possano davvero accadere, e che fanno vacillare l’intelletto, sperimentiamo tuttavia, nell’anima stessa, una sicurezza incrollabile (…).

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Messaggio  Anonimo7 Sab Giu 06, 2020 11:04 am

Ciao canterel, aspetto con ansia il seguito!

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Messaggio  Oudeis Sab Giu 06, 2020 5:27 pm

Sogni infranti ha scritto:Che cosa ci importa di trovare una relazione tra l'indole malinconica e la depressione? Il depresso non è uno scimunito, ricorda bene cos'era prima della caduta nel pantano, se fosse portato alla malinconia od meno. Rispetto, ovviamente, questo topic ben strutturato, eppure queste sono vane curiosità.

Infatti, se già la cultura non salva, figuriamoci queste elucubrazioni erudite.

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Messaggio  canterel II Sab Giu 06, 2020 9:19 pm

Anonimo7 ha scritto:Ciao canterel, aspetto con ansia il seguito!

a causa di varie vicissitudini e del virus apocalittico ad un certo punto mi è scesa la catena,
e la mia capacità di mantenere l'attenzione ne ha risentito proprio nel momento in cui mi sarei dovuto impegnare a tradurre dall'inglese dell'età elisabettiana, così ricco di sfumature, di metafore, di ambiguità e di desinenze strane.

spero di riprendere presto.
stammi bene
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Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 2 Empty Bright: La melanconia - 1/2

Messaggio  canterel II Sab Ott 31, 2020 4:39 pm

Dopo aver lungamente trascurato l'aggiornamento di questo thread e la lettura cui esso è dedicato, provo a riprendere dal punto in cui mi ero arrestato, cioè dagli impestatissimi scrittori dell'età elisabettiana. Comincio con il medico Timothie Bright e il suo Trattato. Mi sono sforzato di dare una traduzione plausibile delle sue discussioni, ma in alcuni punti (tutti segnalati nel testo) mi sono rassegnato a riassumere il senso senza provare inutilmente a rispettare la lettera e la sintassi dell'originale.
Con Bright, mi pare, cominciano ad affacciarsi nel discorso le premesse dei modelli meccanicistici della medicina moderna, e i primi germi della teoria delle facoltà (anche se il lemma "faculty" ricorra nei brani antologizzati solamente una volta e Bright non distingue sempre in modo chiaro tra strutture e funzioni). Anticipando forse gli sviluppi dell'anatomia che alcuni decenni più tardi condurranno William Harvey a descrivere in modo plausibile il moto della circolazione sanguigna, il cuore appare qui come uno dei protagonisti dei processi metabolici, accanto al cervello. Seguendo ancora un modello simile a quello di Galeno, Bright sembra affermare l'importanza della valvola cardiaca in quanto sede delle passioni affettive e responsabile della modulazione degli spiriti o corpi sottili che essa metterebbe in circolazione nell'organismo, mentre il cervello è invece la sede di processi cognitivi come il giudizio di discrezione, per operare il quale attinge a idee pure assolutamente incorporee e in se stesse inoppugnabili, provenienti dalla parte razionale della mente che comunica direttamente con dio (con ciò, pare, Bright asseconda premesse simili a quelle dell'innatismo di Cartesio). Tuttavia il cervello è anche una struttura fisica influenzata dalle passioni del cuore e dalle mutevoli sollecitazioni che gli spiriti e i vapori splenetici gli trasmettono: perciò, anche le facoltà mentali possono avere un funzionamento aberrante (producendo allucinazioni, deliri, valutazioni errate e false credenze), causato da un disordine fisiologico che procede dalla complessa comunicazione tra le parti (specialmente tra cuore e cervello), e non dall'anima razionale.
Data la lunghezza della sezione dedicata a Bright, dividerò il testo in due parti come ho fatto per Weyer: oggi pubblico l'introduzione della curatrice, e prossimamente allegherò anche i brani dal Trattato della melanconia.

Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 2 Rosenc10

Timothie Bright: Della melanconia

Nato intorno alla metà del 16° secolo a Cambridge, in Inghilterra, Timothie Bright ha scritto diverse opere di medicina, la più celebre delle quali è il suo Trattato della melanconia (1568), da cui sono tratti i brani che seguono. Essendo una delle prime opere in volume sul disturbo psichico compreso attraverso un quadro di riferimento prevalentemente medico, questo libro è importante in se stesso. Ed è altresì importante in quanto fonte di altri più rinomati testi del Rinascimento. Nella sua Anatomia della melanconia, Burton rende evidente il suo debito verso Bright (quello di Bright è infatti l’unico nome inglese tra gli autori sulla melanconia citati da Burton); infatti la più celebre Anatomia appare per certi aspetti modellata sul Trattato di Bright. Meno certo è il legame tra il libro di Bright e le frequenti allusioni alla melanconia e alla follia nell’opera di Shakespeare. Le prove a sostegno dell’ipotesi che Shakespeare conoscesse l’opera di Bright derivano da due fonti: la somiglianza tra singole descrizioni nei drammi scespiriani e alcuni passi nel libro di Bright, e la notizia secondo la quale in gioventù, all’epoca della pubblicazione del Trattato, Shakespeare avrebbe lavorato come correttore di bozze nella piccola casa editrice londinese di Thomas Vautrollier, che aveva dato alle stampe il Trattato di Bright.

Bright nacque nel 1550; si crede che il padre fosse un certo William Bright, sindaco della città di Cambridge nel 1571. Timothie frequentò il Trinity College di Cambridge tra il 1564 ed il 1570; in seguito viaggiò all’estero, e fu testimone del terrore scatenatosi con la strage della notte di San Bartolomeo a Parigi nel 1572, che lo impressionò fortemente. Fece ritorno in Inghilterra per completare gli studi di medicina a Cambridge, dove divenne dottore in medicina nel 1579. Dopodiché, praticò la professione medica e tenne lezioni a Cambridge, pubblicando inoltre diversi trattati di medicina, ed ottenne infine la nomina a medico interno presso il Saint Bartholomew’s Hospital di Londra nel 1585, grazie all’appoggio dei suoi influenti protettori. L’anno seguente fu pubblicato il Trattato della melanconia. In seguito, l’interesse di Bright per la medicina venne meno, eclissato da altre due passioni, ossia la stenografia e la religione. Bright aveva infatti sviluppato un suo metodo di stenografia – tecnica che era già nota nel mondo antico ma che Bright reinventò, profondendo poi grande impegno nel favorire la diffusione del suo sistema. In aggiunta a ciò, egli pubblicò una popolare versione abbreviata del Libro dei martiri, classico di argomento religioso di John Foxe.
Il nostro autore divenne talmente negligente verso i suoi doveri di medico al Saint Bartholomew che fu destituito dall’incarico nel 1591. Da allora e fino alla sua morte nel 1615 Bright fu membro attivo del clero, anche se continuò a visitare pazienti. Il duplice interesse di Bright per la medicina e per la religione è evidente nel suo Trattato. La lettera dedicatoria promette che sarà mostrata la differenza tra la melanconia naturale e “la mano di Dio che grava sulla coscienza afflitta”, mentre nel corso della trattazione Bright offre rimedi per la prima e consolazione spirituale per la seconda. L’opera è stata descritta come un saggio pionieristico di psichiatria, poiché in essa si riconosce l’interazione tra mente e corpo, e l’influenza di una mente malata sulla salute del corpo.
La classificazione in base alla quale Bright ordina la sua discussione è fonte di confusione. Egli separa dall’umore melanconico la malattia melanconica (“un’affezione della ragione caratterizzata da vane paure, provocata dal guasto dell’umore melanconico”) e, nell’insieme dei casi di umore melanconico, fa distinzione tra quello naturale e quello innaturale. In conseguenza di varie forme di surriscaldamento corporeo, l’umore melanconico naturale potrebbe diventare innaturale, e quindi condurre alla malattia melanconica.
La caratterizzazione di Bright degli stati affettivi della melanconia appare invece più chiara: essi sono per la maggior parte tristezza e paura, insieme ad altri stati correlati o risultanti, come sfiducia, dubbio, diffidenza, e angoscia. Inoltre egli si dà pena a sottolineare che questi stati sopraggiungono spesso senza un’occasione o causa esterna evidente. (Sono tristezza e paura delle quali “non si è data alcuna occasione antecedente, né se ne darà a posteriori”; e gli stati a cui esse rispondono non sono terrori esterni ma interni, “domestical”). Tuttavia si danno parecchie cause interne. Le speculazioni di Bright sull’interazione tra corpo, cervello e cuore sono complesse. In primo luogo, l’umore melanconico e i vapori splenetici disturbano le funzioni del cervello, distorcendo le percezioni, le credenze e il giudizio (“discretion”), la memoria e l’immaginazione, in modo tale che poi a loro volta queste facoltà producono, come lui dice, “finzioni mostruose”. Poi il cuore reagisce (“il cuore risponde alla sua [del cervello] passione”), contraffacendo anch’esso “nuovi motivi di tristezza e paura,” e seminando disordine, per dirla con Bright, nell’intera organizzazione della natura umana, nei domini del giudizio come in quelli dell’affezione. Con il passare del tempo, ne deriva quello che oggi chiameremmo un sistema di retroazione o feedback. Il cuore arriva a temere ogni cosa, e il cervello, “partecipando con simpatia alla paura del cuore,” ricama ulteriormente su queste fonti, sollecitando il dubbio, la sfiducia, la tristezza ed il sospetto.
Complessa è anche la descrizione che Bright fa della causa scatenante di questo terrore oggetto di continua elaborazione, ancorché puramente interno. All’origine, l’umore melanconico colpisce il cervello in diverse maniere. Per effetto di un surriscaldamento del sangue, esso emana vapori che offuscano. Dal “pozzo” della milza, i vapori risalgono al cervello, portando confusione ed errori di ogni sorta. Anche in forma di “escremento” o residuo esso corrompe la mente, conferendole “l’abitudine a idee aberranti, mediante le quali esso produce fantasie che non sono in accordo con la ragione”. I casi di melancholia più avanzata ed estrema dipendono dalla “putrefazione” della bile nera.

Bright si sforza di separare dagli stati melanconici la sofferenza provocata dal sentimento del peccato, che a paragone di questi è relativamente più grande. Essa contrasta con gli stati melanconici in quanto sofferenza spirituale, opposta a quella di natura corporea. Solamente il sentimento del peccato è trattabile con le cure spirituali, e sorge da una causa spirituale (il corpo “non opera alcun cambiamento nell’anima [afflitta]); d’altra parte il sollievo dagli stati melanconici che non hanno scaturigine nel tormento spirituale potrà essere invece procurato per mezzo di “strumenti corporei.”

A Treatise of melancholie (un’edizione consultabile online):
https://quod.lib.umich.edu/e/eebo2/A16845.0001.001?view=toc

https://en.wikipedia.org/wiki/Thomas_Vautrollier
https://en.wikipedia.org/wiki/Trinity_College,_Cambridge
https://it.wikipedia.org/wiki/Notte_di_san_Bartolomeo
https://en.wikipedia.org/wiki/St_Bartholomew%27s_Hospital
https://it.wikipedia.org/wiki/John_Foxe
https://en.wikipedia.org/wiki/Foxe%27s_Book_of_Martyrs
https://it.wikipedia.org/wiki/Retroazione_(natura)
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Messaggio  canterel II Dom Nov 01, 2020 3:55 pm

Dal Trattato della melanconia (1586) di Timothie Bright

Dei modi diversi in cui è inteso il termine “melanconia”

Prima che io mi inoltri nella definizione della natura della melanconia, e di cosa essa sia, essendo il mio proposito quello di istruirvi in modo tale da darvene una chiara comprensione, sarà necessario presentare diversi modi di assumere il nome di melanconia, che pur essendo solamente uno è applicato in diverse maniere. Nel complesso, esso indica una certa disposizione alla paura propria della mente che è distolta dalla ragione, oppure un umore corporeo, che è comunemente considerato come l’unica causa di tale pervertimento della ragione per mezzo della paura. Questo umore è di due specie; naturale, o innaturale; quello naturale può essere la parte più densa del sangue destinata al nutrimento, che a causa di sovrabbondanza o eccessivo riscaldamento, eccedendo la sua misura, sovraccarica il corpo e cede al cervello certi vapori, per mezzo dei quali la comprensione è offuscata; ma può anche essere un escremento destinato ad essere espulso dal corpo, ottenuto da una grande quantità di alterazioni del calore naturale e da una varietà di rimescolamenti fino a che non contiene neppure una goccia di succhi nutritivi che possano dare sollievo al corpo conferendogli energia o sostanza. Questo escremento, se si mantiene inalterato nella sua natura, determina scarse perturbazioni a carico del corpo o della mente, ma se si corrompe e degenera rispetto al proprio assetto normale e alla qualità del corpo, allora tutte le passioni sono più violente, e opprimono e disturbano così oltraggiosamente la calma disposizione della mente, che tutte le azioni dell’organismo di conseguenza si mescolano con la follia melanconica e la ragione si piega a vane paure o alla completa disperazione, poiché il cervello è alterato nella sua complessione, come se fosse trasferita in uno strumento costruito in modo diverso da quello che in origine le era stato destinato: queste due forme di melanconia (…) colpiscono in modo diverso il discernimento ed alterano i sentimenti, specialmente se, a causa della corruzione della propria natura o di cattive abitudini del comportamento, le parti sono troppo soggette alle passioni.
Quello innaturale è un umore derivato dalla melanconia naturale prima menzionata, oppure dal sangue o dalla bile gialla, che sono completamente trasformati nella loro natura da un brusco riscaldamento, che trasforma questi umori – che prima erano mantenuti in ordine sotto il controllo del metabolismo naturale – in una qualità completamente ripugnante la cui sostanza e i cui vapori arrecano tale disturbo a tutte le parti che, circolando o accumulandosi nell’organismo, essa determina strane alterazioni nelle nostre azioni, siano esse animali o volontarie, oppure naturali e indipendenti dalla nostra volontà; e questi sono dunque tutti i significati del nome melanconia: passiamo ora alla definizione e a cosa essa sia. Come tutte le cose presentano una varietà, così anche questa, e sono variabili tanto l’umore melanconico che la passione melanconica, ed essendo l’umore un succo nutritivo oppure un escremento esausto, definirò l’umore melanconico come nient’altro che quella componente del sangue naturalmente più densa delle altre, e l’escremento come la parte superflua della stessa: la quale, andando in putrefazione, prende il nome di una cosa molto diversa sia nella sua natura che nel suo temperamento, detta bile nera. La malattia melanconica è un’affezione della ragione caratterizzata da vane paure, provocata da un guasto dell’umore melanconico. Così vi ho fornito una nozione chiara e concisa della natura della melanconia (…).

Come la melanconia provoca paura, tristezza, disperazione, ed altre simili passioni

Ora lasciate che prendiamo in considerazione quali sono le passioni nelle quali la melanconia ci getta, e le ragioni per cui essa in modo così vario perverte coloro che ne sono affetti. Le perturbazioni della melanconia sono, per la maggior parte, costituite da tristezza e paura, e altre simili che derivano da queste, come la sfiducia, il dubbio, la diffidenza, oppure l’angoscia, a volte passioni furiose e altre volte gaie in apparenza, espresse con una sorta di Sardonia e di risata fasulla, a seconda di come l’umore si dispone a provocare queste varietà di effetti. Le passioni che sono tristi e pensose sorgono da quell’umore melanconico che è la parte più densa del sangue, che sia succo oppure escremento, che non eccede in calore il temperamento naturale a cui partecipa, ed è detto freddo solo al confronto degli altri umori costituenti tale temperamento. Questo umore per lo più si accumula nella milza, e con i suoi vapori affligge il cuore e promana fino al cervello contraffacendo terribili oggetti di fantasia e, poiché inquina sia la sostanza che gli spiriti del cervello, fa sì che senza alcuna occasione esterna esso inventi finzioni mostruose e idee terribili che il giudizio, assumendole così come ad esso sono presentate dai suoi strumenti  alterati, ripropone al cuore, il quale non possiede in se stesso discrezione di giudizio ma, dando credito al fallace responso del cervello, erompe in una passione smodata, contraria alla ragione. Questa perturbazione si diffonde poiché la capacità di discernimento è pervertita dagli spiriti melanconici, sicché l’oscurità e la foschia dei vapori melanconici, sorgenti dal pozzo della milza, oscurano la chiarezza di cui i nostri spiriti sono dotati, che è necessaria al corretto discernimento degli oggetti esterni. Questo effetto non è così estremo in principio, né si mostra in modo tanto eclatante come avverrà in seguito, con il passare del tempo, quando la sostanza del cervello sarà totalmente imbevuta di quella bruma splenetica, dal che la sua natura assumerà la stessa qualità, e i suoi spiriti puri e brillanti ne saranno macchiati ed eclissati al punto che la loro totale indifferenza a tutte le cose sensibili sarà a quel punto sostituita da una certa predilezione ed inclinazione, poiché essi saranno soggetti all’influenza della melanconia. Poiché, quando quel lume naturale interno è oscurato, le impressioni di quegli spiriti sorgono vane, false ed infondate: così, proprio come nell’oscurità esterna sensibile alla nostra immaginazione appaiono false illusioni che, se si portasse una luce, sarebbero riconosciute come abusi della fantasia, allora a maggior ragione l’oscurità interna, che influenza tanto più intimamente la nostra natura rispetto a quella esterna, è causa di paure più grandi, e ci molesta maggiormente con i suoi terrori rispetto a quell’altra oscurità che cela alla nostra vista gli oggetti sensibili, specialmente perché l’oscurità interna non deriva solamente dalla mancanza di luce, ma bensì anche dall’inclinazione della sostanza oscura che è permeata di un vero e proprio potere di agire, ossia di impadronirsi del cervello con il passare del tempo e di trasmettergli l’abitudine a idee aberranti, mediante le quali esso produce fantasie che non sono in accordo con la ragione, ma sempre terrificanti e spaventose, secondo l’influenza di quell’umore. Questo non solo causa apparizioni fantastiche modellate a somiglianza degli oggetti che sono inquietanti secondo il buon senso, ma fa anche sì che la fantasia, un’altra parte del senso interno, combini e falsifichi forme ingannevoli, che trasmettono un grande terrore al cuore e lo inducono, contraendosi per quanto possibile in tutte le sue parti, a nascondersi con lo spirito santo dai mostri contraffatti che il cervello, privato del giusto discernimento, gli fa apparire davanti. Non solo il buon senso e la fantasia sono così sopraffatti dal delirio, ma anche la memoria ne riceve una lesione che impedisce a questi di conservare impressioni nella memoria e che, successivamente, li rovina. Perché se il buon senso e la fantasia, che davvero rivolgono alla memoria le loro impressioni perché siano conservate, anziché veri resoconti invieranno ad essa le frottole e le impressioni tragiche che suscitano la costernazione di tutte le strutture sensibili del nostro corpo, allora la memoria sarà interamente distolta dal carattere importuno di quei dubbi e di quelle paure, al punto da trascurare di custodire altri ricordi, oppure ricorderà e apprenderà solamente ciò che proviene da questo impulso importuno, e quindi nient’altro che oscurità, pericolo, dubbio, terrori, e insomma ciò che il cuore di un uomo maggiormente aborrisce. Ed i sensi trasmettono ciò in modo così melanconico alla struttura della mente (che giudicherà di queste cose ad essa offerte come se fossero cose esistenti, senza doversi impegnare in un esame ulteriore), che essa applica gli elementi della sua ragione innata e della sua saggezza a casi ingannevoli, pensando che essi sono sempre veri in genere, confidando in essi con certezza anche quando le sono consegnate delle impressioni particolari.  Poiché il decreto divino stabilisce che le cose sensibili che appaiono come la contraffazione di creature esterne siano riportate agli strumenti del cervello che sono nutriti del suo spirito, e così di queste cose la mente giudica e decide come delle cose naturali, senza impegnarsi ulteriormente ad esaminare l’affidabilità di questi sensi che (quando tali strumenti non siano difettosi e quando si possa fare affidamento sull’integrità delle altre strutture necessarie) non sbagliano mai nelle loro operazioni, ma sono i primi fondamenti di tutte le azioni corporee della vita e della saggezza, che la mente esercita per lo più rivolgendosi agli oggetti esterni. Se questi sensi sono difettosi, così è anche il giudizio della mente, che è attirata o respinta da queste materie sensibili assecondando l’affidabilità degli ausili corporei, il cui resoconto errato non dovrai mai gettare discredito sulla mente o attribuirle il crimine accessorio dell’errore; dunque sarà da incriminare soltanto il contenuto del giudizio, che è come se fosse dichiarato sulla scorta del giuramento e del credito di una giuria selezionata di uomini di comprovata onestà, affidabilità e discrezione, anche se il loro verdetto potrebbe per caso non essere adeguato a quanto richiesto dalla causa loro affidata. Essendo dunque la memoria carica dei pericoli passati, e cogliendo attraverso il cervello solamente ciò che crea disagio, essa fa sì che la fantasia in base a tali ricordi produca nuovi motivi di tristezza e paura, dei quali non si è data alcuna occasione precedente, né se ne darà a posteriori. Rispondendo a queste fantasie con una simile affezione melancolica, il cuore rovescia ogni speranza in paura, ogni sicurezza in sfiducia e disperazione, ogni gioia in disagio. E come la natura melanconica, il corpo altrimenti corrotto inquina il suo puro e santo alimento e lo converte nello stesso genere di impurità. E come il fuoco ad ogni genere di materia, sia essa pietra, legno, metallo o liquore, conferisce un aumento di calore, così il corpo posseduto dall’infelice e sgradevole oscurità della melanconia oscura il Sole e la Luna, e tutti gli ameni pianeti della nostra natura, in modo tale che essi appaiano tutti oscuri ed eclissati per più della metà della loro estensione ad opera di questa nebbia atra, sorgente da quell’orrendo lago; e in tutte le cose amene, essa con curiosità pesca ed estrapola qualsiasi errore che possa servire ad alimentarla, oppure trascura ogni cosa che sia di altra qualità rispetto al cibo e al nutrimento di quei mostri che la natura non ha mai allevato né sono mai stati concepiti dal buon senso, e che una memoria incorrotta non vorrebbe ospitare, ma che sono covati da questo umore torbido, per mezzo di un temperamento innaturale e di uno spirito corrotto, per portare disordine nell’intero regime della natura umana, sia nel giudizio che nell’affezione. Così, poiché con il passare del tempo al cuore non è presentato nient’altro che il terrore interiore, esso teme ogni cosa, ed il cervello, partecipando con simpatia alla paura del cuore, avanza dubbi, diffida e sospetta senza motivo, sempre soggiogato dal timore di soffrire, a causa del quale nel tempo diventa così fragile che il minimo tocco è causa per esso di sconforto come un chiodo in una piaga, e lo scuote con gemiti di disperazione e paura. E il terrore non solamente raddoppia l’intensità della sofferenza determinata da piccole occasioni, ma porta sofferenza anche dove non c’è alcuna occasione, allo stesso modo in cui l’uomo collerico nutre la sua passione con ridicole recriminazioni. Dapprima (poiché in tutte le azioni della natura il generale viene prima del particolare) il cuore, sollecitato alla passione dal cervello e abituato al dolore e alla paura, prende la consueta via di fuga della repulsione, aborrendo e temendo quelle cose che in se stesse sono più amabili e gradevoli, poiché non gli è stato indicato anticipatamente a quali oggetti deve applicare quella passione: come un condannato a morte in attesa della sua certa esecuzione, che teme ogni colpo alla porta della sua cella, avrà orrore anche se il messaggero latore della sua grazia bussando chiederà di poter entrare; e come anche ogni messaggero in generale, nonostante si avvicini con un atteggiamento lieto, suscita diffidenza anche quando dovrebbe apparire rassicurante in colui che teme un pericolo, così il cuore sopraffatto dal peso interiore, e agghiacciato dalle paure interiori, prova spavento come se una qualsiasi causa di affezione e di perturbazione provocasse la sofferenza attuale o prospettasse un pericolo futuro, sempre sbagliandosi, e si ritira in se stesso, chiudendosi e celandosi; della qual cosa soffre la natura che, se l’abitudine non l’avesse altrimenti piegata, seguendo il giudizio (ora scacciato dall’immediatezza e dalla forza della passione) avrebbe con gioia abbracciato il buon umore. Perché anche quando vediamo, noi sentiamo rivolti all’esterno. L’occhio o l’orecchio, a lungo e con veemenza affetti dal colore, o dal suono, o il naso dalla forte fragranza, trattengono quel colore, suono o fragranza nei loro strumenti, anche quando sia allontanata la cosa che produceva tali qualità; e così il senso interno, molestato continuamente da questo spaventoso oggetto dell’oscurità interna, stima che ogni cosa possieda quella natura, essendo oscura la vera qualità  da cui è stato sopraffatto in precedenza. Poiché in tal modo è affetto il cervello, e in seguito il cuore risponde alla sua passione, esso ci guida agli estremi del cattivo umore, che assale coloro che hanno una disposizione melanconica e li priva del buon uso della ragione, tanto maggiormente ora che il cuore subisce la stessa inclinazione melanconica del cervello: allora tante volte esso soggioga la fantasia con la paura e, come un uomo trasportato dalla passione è completamente privato del giudizio, così esso fa sì che i sensi, tanto quello interno quanto quello esterno, diano adito a idee irragionevoli, mentre il cuore è preda di vani timori.
Come le parti del corpo e le loro attività sono diverse, così lo è questa melanconia a seconda di dove si colloca, o di come passa per una via o per l’altra, nutrendo una varietà di passioni: un tremore nel cuore, o un avido appetito nello stomaco, false illusioni nel cervello, e altri effetti in altre parti secondo la loro disposizione.

[NdCant: mi arrendo alla difficoltà che ho incontrato nel tradurre le frasi successive di questo brano e mi rassegno a riassumerne il significato piuttosto che a fornire una bozza di traduzione. In soldoni, Bright vuole giustificare la varietà di effetti che l’umore melanconico suscita in chi ne è affetto, affermando che sarebbe sbagliato ipotizzare la presenza di tante, diverse e contraddittore proprietà nella melanconia responsabili delle sue diverse manifestazioni. L’umore agisce sempre nella stessa maniera, e la molteplicità di effetti dipende invece dalla disposizione degli organi e delle funzioni e dai rapporti tra questi. Perciò paragona l’oscurità dell’umore atrabiliare a quella del buio che può indurre alcune persone ad inciampare, altre a smarrire la strada e vagare, altre ancora a farsi luce per continuare la propria attività, secondo la disposizione differente di queste persone e la natura delle faccende in cui sono impegnate in quel momento, quindi non a causa di qualità intrinseche del buio, che anzi può essere descritto come mera assenza di luce. Le diverse manifestazioni della melanconia dipendono anche, in parte, dalle abitudini passate della persona, e da come queste hanno determinato differenti inclinazioni del cuore e della fantasia. Ecco perché non tutti gli uomini sono indotti alla passione melanconica dallo stesso stimolo, ma chi dal suo amore, chi dai suoi beni materiali, chi dagli oggetti del suo svago e del suo piacere. Facendo perno sui diversi oggetti di interesse di ciascuno, la melanconia susciterà comunque un sentimento doloroso di perdita oppure l’angoscia di un pericolo incombente, saturando la mente con idee aberranti. Ed infine, la melanconia avrà esiti diversi a seconda di come si mescolerà agli altri umori, a volte in rapporti equilibrati e a volte diventando sovrabbondante. La perturbazione indotta dalla bile nera, in forma di succo o di residuo, è quindi in grado di sollecitare paura o disperazione immotivata – non per un’azione deliberata come l’esercizio delle facoltà umane, ma per un pervertimento degli strumenti corporei provocato dall’occasione].

Se il residuo splenetico sovraccarica il corpo, senza essere purificato con l’aiuto della milza, allora queste perturbazioni sono assai più nocive e più difficilmente potranno essere mitigate dal consiglio o dalla persuasione; ed esse ci tengono tanto più in soggezione quanto più le parti del nostro corpo sono alterate dall’umore corporeo e poi dal vapore degli spiriti: così le passioni persistono più a lungo e sono più estreme nella loro violenza. Perché, come la fiamma non ha lo stesso potere di bruciare e non mantiene il calore tanto a lungo se non è alimentata dal carbone, così anche le parti affette dall’umore che trasporta sia il residuo pesante che un continuo flusso del suo fosco vapore, instillano una più tenace passione di paura e disperazione rispetto a quelle affette solamente dall’umore sprigionato dal vapore, perché quest’ultimo si dissipa spontaneamente con più facilità e anche perché può essere con più facilità evacuato grazie agli sforzi e alla resistenza naturale dell’organismo. Possiamo quindi affermare che l’altra melanconia, quella innaturale, ci affligge con le passioni e ci fa ammalare in forza di contraffatti motivi di turbamento, del quale non si danno veri fondamenti, ma solamente vane fantasie (…).

La particolare differenza tra la melanconia e la coscienza tormentata in una stessa persona

Qualunque sofferenza che sorga direttamente come un precipuo oggetto della mente, non è in tale rispetto melanconica, ma ha invece un fondamento più profondo della fantasia, e sorge dalla coscienza, condannando l’anima colpevole di fronte a quelle leggi scolpite nella natura, dello spirito delle quali nessun uomo è vuoto, neppure il più barbaro (…).
Questo patimento non prende nulla dal corpo, non si trasmette con l’umore, ma infligge direttamente una ferita con dardi fiammeggianti che suscitano i gemiti degli uomini che ne sono afflitti. Da questo genere di patimento fu posseduto Saul, a cui il Signore inviò uno spirito maligno per accrescerne il tormento; e Giuda il traditore, che con le sue stesse mani compì su di sé la vendetta per aver tradito l’innocente; tale fu anche  l’angoscia che patì Esau poiché non si era fatto scrupolo di vendere la primogenitura in cambio di un piatto di lenticchie, e tale è lo stato in cui versano tutte le coscienze che si sono macchiate di crimini scellerati e che hanno il cuore roso senza posa dal verme, dal morso mortale del quale sono condotte alla disperazione. Questi terribili oggetti riguardano propriamente la mente, in quanto la colpiscono solamente con l’orrore della giustizia di Dio per l’infrazione di quelle leggi naturali, ossia scritte secondo la sua parola, cui siamo tenuti ad obbedire per il vincolo della creazione (…).
Al contrario, quando siete turbati da un’idea che non ha sufficiente fondamento razionale, ma sorge unicamente dallo stato del vostro cervello, il quale è soggetto all’umore (come si è compreso in precedenza), allora quel turbamento è propriamente melanconico ed è da attribuirsi a voi. Quelli sono inganni della ragione contraffatti dal cervello malinconico, e paure del cuore dissimulate, che non hanno la capacità di inverare gli oggetti della loro finzione; né essi hanno accesso alla sostanza e alle azioni sostanziali e sovrane dell’anima, come invece il tormento spirituale. Lo stato melanconico si raggiunge per gradi e si rafforza con il tempo, a spese di tutte le azioni strumentali, e (…) offusca la chiara luce della ragione. L’umore purgato e lo spirito lenito e rinfrancato con il rimedio adatto, il cervello rinvigorito ed il cuore confortato dai cordiali, sono i medicamenti eccellenti stabiliti da Dio per questa infermità. E per darvi un’idea della differenza, tutto ciò che non riguarda la coscienza del peccato in questi casi è melanconia, per azione della quale la coscienza spaventata ha una natura così afflitta da paure indefinite e dalla diffidenza che facilmente la melanconia dissipa i puri spiriti, fa raggrumare il sangue, e colpisce la nostra natura in tal modo che essa rapidamente diventa melanconica, infima e vile, e rovescia la ragione in follia, rovina la bellezza dell’atteggiamento, e trasforma anche i caratteri più intrepidi (…). A parte questo, in voi, vane paure, false idee di fantasmi, percezioni di voci che vi risuonano nelle orecchie, sogni spaventosi (…) e la putrefazione di una parte o dell’altra del vostro corpo mentre i restanti tessuti sono intatti, sono tutte cause di questo stato di malessere, che sono figlie dell’escremento atrabiliare, allevate dalla corruzione del corpo, che è alterato negli spiriti, nel sangue, nella sostanza e nella complessione dall’eccesso di questo sedimento del sangue che chiamiamo melanconia. Essa accresce il terrore della mente afflitta, raddoppiando la paura e lo scoramento, e zittisce i mezzi della consolazione, che dovranno essere trasmessi alla mente per un'altra via, differente da quella che la tentazione imbocca per nutrire la perdita di fede nella misericordia e nel perdono di Dio. Perché il peccatore invece possiede i mezzi che non hanno bisogno di essere trasmessi ma sono con noi dall’infanzia e addirittura dal concepimento; e il sentimento della colpa  non ci è comunicato da una sentenza esterna, ma da una conoscenza che sorge dalla coscienza del peccatore. Al contrario, i mezzi (voglio dire i mezzi esterni di cura e di consolazione) dovranno varcare la soglia dei nostri sensi per entrare nella mente il cui intero apparato è stato alterato dall’umore e la cui sincerità è sporcata dalle macchie nere e fosche della melanconia, sicché essa non potrà allo stesso modo ricevere la medicina della consolazione. Così la melanconia fraintende ciò che apprende, e poi lo trasmette in modo imperfetto alla considerazione della mente. Se il cervello dei melanconici è dunque maldisposto, il loro cuore non versa in migliori condizioni e pertanto, addomesticato al terrore e sopraffatto da quella spaventosa passione, difficilmente sprigionerà gli spiriti lieti, infiacchito dalla prigione del corpo e raramente persuaso dalle parole di conforto, qualsiasi siano le rassicurazioni offerte. Questo fa sì che la remissione dalla malattia melanconica sia lunga e difficile, e non rispondente all’immediatezza della causa che la procura, dal momento che questa deve passare per così tante vie e superare tante barriere prima di agire sulla malattia.

[NdCant: riassumo il senso del discorso sviluppato nella chiusura di questo capitolo. Bright si impegna a chiarire la distinzione tra malattia melanconica e tormento spirituale. Quest’ultimo discende da una causa divina, che non dipende dalle circostanze di tempo e luogo, dalle caratteristiche peculiari della persona o dall’indebolimento delle strutture corporee, ma colpisce la mente e abbatte le sue difese prescindendo da tutte queste circostanze. Di conseguenza, il conforto spirituale che lenisce il sentimento del peccato presuppone strutture biologiche e facoltà psichiche normalmente funzionanti, laddove, se la causa della sofferenza fosse da ricercare nella malattia e nell’incapacità delle parti dell’organismo, ciò potrebbe pregiudicare gravemente l’efficacia del conforto. Procedendo solo da Dio, l’angoscia è più forte anche di quella determinata dalla malattia melanconica, in primo luogo perché, in generale, il corpo non ha influenza sull’anima e dunque anche la salvezza dal tormento dipenderà in questo caso unicamente da mezzi spirituali. Quando Dio è la causa efficiente del tormento, non è necessaria una particolare disposizione dei mezzi corporei. In questo caso né la sofferenza né il conforto sono procurati o alimentati dalla mediazione di strumenti corporei. Il cuore del peccatore è pesante e trasmette certamente una passione angosciosa, ma la scaturigine di questa passione è ben al di là del dolore percepito a livello dell’organismo e delle sue parti. Invece, la melanconia ingenera sentimenti di paura, dubbio, sfiducia e afflizione, ma senza una causa fondante di questo stato: laddove siano riconoscibili dei motivi ragionevoli associati alla sofferenza, questi al massimo agiscono come rinforzi della passione, che tuttavia rimane immotivata in se stessa. Nella sofferenza spirituale agisce la più forte sollecitazione, che porta sempre con sé una passione superiore alla malattia del cuore, e dà adito a tormenti che non possono essere pienamente compresi ed espressi in termini naturali, o riferiti adeguatamente con le parole. La causa della sofferenza spirituale non risiede né nella paura, né nella passione dolorosa, ma nel tormento che provoca questi affetti. La passione del cuore è causata da una sofferenza percepita internamente, ma dipendente da una ferita della mente, che si agita e si contorce con l’anima del peccatore.]
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Messaggio  canterel II Dom Nov 08, 2020 11:41 am

Robert Burton è, se non sbaglio, il primo degli autori presentati qui al cui riguardo i biografi affermano pressoché concordi che abbia sofferto della condizione a cui la sua opera è dedicata. Questo, e le dimensioni enciclopediche dell'Anatomia della melanconia, concorrono a farne l'eroe e il vate dei melanconici dell'età moderna. Data la centralità che la sua figura assume in questo senso, Radden gli dedica quasi 30 pagine della sua antologia, motivo per cui mi accingo a presentare l'autore suddividendo in cinque parti (probabilmente) la mia lettura. Comincio come al solito con la presentazione della curatrice. I brani seguiranno a breve, ma sono irti di difficoltà per la quantità impressionante di citazioni, non sempre facili da attribuire, e la continua interpolazione tra testo inglese e latino. Leggo e traduco facendomi forte dello spirito che porta le persone normali a fare le parole crociate, ma inevitabilmente le mie traduzioni saranno grossolane e prive di un apparato critico. Per chi volesse leggere Burton in italiano, segnalo che esiste un'edizione di Marsilio già ristampata varie volte, curata da Jean Starobinski, che tuttavia traduce solo l'introduzione del trattato di Burton, e invece un'edizione integrale freschissima uscita per Bompiani lo scorso Settembre, che si presenta come un ponderoso volume di 3000 pagine.

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Robert Burton: Gli stati melanconici

Robert Burton nacque nel 1577, quarto di nove figli, in un villaggio nel Leicestershire. Morì nel 1640 nella sua residenza universitaria ad Oxford, al termine una vita apparentemente tranquilla e consacrata allo studio.
L’educazione di Burton ad Oxford cominciò quando era appena sedicenne. Fu ammesso come “commoner” (studente senza borsa di studio) al Brasenose College e poi, nel 1599, fu eletto studente del Christ Church College. Nel 1614 ottenne il suo dottorato (“bachelor of divinity”), dopo il quale fu sia tutore che bibliotecario al Christ Church College, nonché, in qualità di prete anglicano, vicario presso la Saint Thomas Church nel 1616, e rettore a Seagrave nel Leicestershire nel 1630, uffici che fu in grado di combinare con le sue funzioni a Christ Church. Poiché era affiliato alla comunità accademica di Oxford (“fellow”), Burton non aveva il diritto di sposarsi. Condusse la vita ritirata dello studioso, leggendo i libri della biblioteca universitaria e della collezione Bodleiana, scrivendo e formando la sua vasta biblioteca personale, che arrivò a contare 2000 volumi. Noto per essere un individuo schivo, trovava tuttavia che il suo celibato forzato fosse un peso – scrivendo se ne lamenta come di una condizione “abominevole, empia, adultera e sacrilega”.
In qualità di studente, Burton aveva scritto in latino dei versi e due commedie, Alba e Philosophaster. Stabilitosi a Christ Church, si dedicò alla ricerca e alla scrittura che nel 1621 produssero la prima edizione dell’Anatomia della Melanconia. Anche se la prima edizione contava già 900 pagine, Burton riuscì a espandere il corpo dell’opera per le successive edizioni del 1624, 1628, 1632, 1638 e 1651 (questa pubblicata postuma). Tutto l’impegno di Burton nell’età adulta fu dedicato alle diverse edizioni dell’Anatomia. Come ha sottolineato un commentatore, l’Anatomia era non soltanto il lavoro della vita di Burton, ma la sua vita stessa (in Burton, R. [1621] 1979. The Anatomy of Melancholy. Edited by John Peters. New York: Frederick Ungar). L’Anatomia è un compendio insuperabile della precarietà, della follia, dell’ansia, della sofferenza e della diversità degli esseri umani, redatto in uno stile così eccentrico e tuttavia così acuto e vivace da farne uno dei libri più amati della letteratura inglese. Samuel Johnson sottolineò che l’Anatomia di Burton era il solo libro che lo avesse mai strappato dal letto due ore prima del momento che aveva stabilito per alzarsi!
Nonostante l’entusiasmo di Johnson, la popolarità dell’opera di Burton decadde per un breve periodo durante il diciottesimo secolo. Ma con l’inizio del diciannovesimo secolo si ebbe un grande ritorno di interesse, che da allora non è più scemato.
L’Anatomia della Melanconia è ricca di riferimenti alle idee dei classici (per esempio, la teoria umorale di Burton deriva da Ippocrate e da Galeno). È stato accusato di aver inventato alcune delle sue citazioni, ed ha commesso degli errori di citazione. Ma, come rimarca un’autorità in materia, in un’epoca di bilinguismo le migliaia di motti in latino non erano indice di bizzarra pedanteria, ed essi rimangono “una costante testimonianza del fatto che Burton era un umanista del Rinascimento, secondo il quale gli antichi avevano lasciato una sentenza definitiva per ogni comune accidente dell’esperienza” (Bush, Douglas. 1962. "English Literature in the Earlier Seventeenth Century." In Oxford History of English Literature. Oxford: Oxford University Press).
Una delle fonti più importanti per l’Anatomia è l’autorità citata come “Laurentius”. Si tratta del medico francese del sedicesimo secolo André Du Laurens (1558-1609, secondo Wikipedia NdCant) il cui influente Discourse de la melancholie era conosciuto in tutta Europa. Du Laurens, come Burton dietro il suo esempio, aveva definito la melanconia come “una sorta di rimbambimento senza alcun accenno di febbre”.
Il trattato di Burton è presentato dalla voce fittizia di Democritus Junior, immaginario erede dell’omonimo filosofo greco. La scrittura riflette un’esuberanza dello stile o prolissità che, come annota lo stesso Burton, fa apparire Democritus come “uno spaniel saltellante che abbaia ad ogni uccello che vede, perdendo la sua preda”. In una ulteriore descrizione del suo stesso stile, nota anche “altri difetti” di “barbarismo, stile estemporaneo, tautologia, imitazione scimmiesca, una rapsodia di furori radunati insieme da diverse pile di letame, escrementi d’autore, trastulli e vanità sparpagliati confusamente, senz’arte, invenzione, giudizio, spirito, erudizione, ma stridenti, grezzi, volgari, bizzarri, assurdi, insolenti, indiscreti, scritti male, indigesti, vani, scurrili, futili, noiosi e aridi”. Questa confusione di attributi coglie appropriatamente la confusione nell’opera stessa, dove Democritus Junior continuamente abbandona la sua preda per abbaiare ad ogni uccello che vede, e tuttavia fa ciò con tale esuberanza, umorismo e vivacità da trasmetterci la voglia di leggere ancora. Insieme alla riflessione sul concetto di melanconia allora in voga, l’Anatomia rivela anche le personali lotte di Burton con sentimenti di avvilimento e scoramento e con stati d’animo di disperazione. Tuttavia, per citare ancora Bush “Nemmeno un ritratto approssimativo di Burton può evitare di restituire l’impressione della sua sanità mentale e della sua grande cordialità, del suo amore per la vita e per gli esseri umani, della sua capacità di essere sia vigoroso che incline al riso amaro, e di esplorare con sensibilità i lati più oscuri dell’animo. Il suo argomento non è mai noioso, ma più di metà del piacere del lettore deriva dalla sua maniera, da come rivela se stesso”.
Burton distingue la melanconia che colpisce le donne da quella degli uomini, associando la sofferenza delle donne ai “vapori maligni” provenienti dal sangue mestruale. La sua descrizione della sofferenza delle donne, e la sua ricetta per curarla (“vederle sistemate, e sposate a bravi mariti a tempo debito”) sconta una certa superficialità. Essa mostra, per usare le parole di una commentatrice, “lo stereotipo della donna e dei suoi problemi secondo Burton: la donna è indisciplinata, e i suoi problemi discendono da questa sregolatezza e dai pericoli associati alla sua sessualità” (Skultans, V. 1979. English Madness: Ideas on Insanity, 1580-1890. London: Routledge and Kegan Paul). Lasciando da parte la sua misoginia, l’erratica, eclettica, bulicante Anatomia rimane una delle più longeve e appassionanti opere sulla melanconia della letteratura inglese.

https://en.wikipedia.org/wiki/Commoner_(academia)
https://en.wikipedia.org/wiki/Christ_Church,_Oxford
https://en.wikipedia.org/wiki/Bachelor_of_Divinity
https://en.wikipedia.org/wiki/Fellow#Academia
https://it.wikipedia.org/wiki/Biblioteca_Bodleiana
https://en.wikipedia.org/wiki/Douglas_Bush
https://en.wikipedia.org/wiki/Andr%C3%A9_du_Laurens


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Messaggio  canterel II Lun Nov 09, 2020 5:38 pm

Ecco la prima infornata di brani dall'Anatomia di Burton. Non sono sempre riuscito a stare dietro a tutto il suo name dropping, ma quando sono riuscito ad identificare chiaramente gli autori delle citazioni ho preso nota e lascio i link per approfondire in coda al post. Quando una frase o un riferimento bibliografico presentato da Burton non si accompagna ad una mia nota o ad un riferimento in fondo al post, i casi sono tre: l'autore è un personaggio talmente noto da non richiedere elucidazioni (es. Platone); oppure ho già fornito link agli estremi dell'autore in questo thread; oppure non ho le competenze sufficienti a rintracciare l'autore/il testo citato.
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Dall’Anatomia della melanconia (1621) di Robert Burton

Melanconia come disposizione, così detta impropriamente. Forme ambigue

La melanconia, soggetto del nostro presente discorso, può presentarsi come disposizione o come abitudine. Come disposizione, parliamo di quella melanconia transitoria che va e viene ad ogni più piccola occasione di dispiacere, bisogno, malessere, disagio, paura, dolore, passione o perturbazione della mente, per ogni genere di preoccupazione, insoddisfazione o pensiero che possa causare angoscia, apatia, pesantezza e irritazione degli spiriti, in ogni caso opposta al piacere, all’allegria, alla gioia, al diletto, provocando in noi contrarietà o avversione. In questo senso ambiguo ed improprio, chiamiamo melanconico colui che è indolente, triste, amareggiato, impacciato, maldisposto, solitario, comunque perturbato o scontento.
E da queste disposizioni melanconiche nessun uomo vivente è libero, nessuno è così stoico, così saggio, così felice, così paziente, così generoso, così devoto, così divino da poterne essere immune, nessuno così ben controllato, ma più o meno una volta o l’altra, egli ne sentirà il bruciore. La melanconia in tal senso è il carattere distintivo della mortalità. L’uomo nato da una donna vive pochi giorni ed è pieno di inquietudini [Gb 14, 1 NdCant] (…)

(…) Noi non siamo qui come gli angeli, le potenze e i corpi celesti, il sole e la luna, per terminare il nostro corso senza subire alcuna offesa, con la stessa costanza, continuando per così lunghe età: ma siamo bensì soggetti alle infermità, alle miserie, sospesi, gettati e fatti ruzzolare su e giù, sospinti da ogni piccolo spiffero, spesso molestati e turbati ad ogni minima occasione, insicuri, fragili, e così è tutto ciò su cui facciamo affidamento. E colui che ignora questo e non è preparato a sopportarlo, non è adatto a vivere in questo mondo (con queste parole uno compatisce il nostro tempo) e non conosce la sua condizione, laddove con un reciproco legame, il piacere e il dolore sono sempre uniti, e si avvicendano l’uno con l’altro in un anello. Exi e mundo, vattene dunque, se non lo puoi tollerare, non c’è modo di evitarlo, ma solo è possibile armarsi di pazienza, di magnanimità, far fronte ad esso, soffrire l’afflizione come un buon soldato di Cristo (come ammonisce l’apostolo Paolo), sopportarla con costanza. Ma dal momento che così pochi possono accogliere questo suo buon consiglio, o seguirlo rettamente, ma piuttosto, come tante bestie selvatiche, si abbandonano alle loro passioni, vi si sottomettono volontariamente e si gettano in un labirinto di preoccupazioni, pene, miserie; e permettono che le loro anime siano sopraffatte da esse, non possono armarsi di pazienza come dovrebbero fare, accade spesso che queste disposizioni diventino abitudini, e (come afferma Seneca1)  molti affetti trascurati provocano una malattia. Come il catarro, non ancora divenuto abituale, provoca la tosse; ma se cronico e continuo, causa una consunzione dei polmoni [tisi, NdCant]: così queste sollecitazioni generano la nostra melanconia: e secondo il modo in cui l’umore è concepito o valutato dagli uomini, si riconosce alla loro temperatura corporea oppure all’anima razionale una migliore capacità di opporvi resistenza; così essi possono essere più o meno affetti. Poiché ciò che per uno non è altro che il morso di una pulce, causa a qualcun altro un insopportabile tormento, e ciò che uno può felicemente controllare in virtù della sua eccezionale moderazione e del suo atteggiamento equilibrato, risulta invece insostenibile per un altro, che ad ogni piccola occasione di malinteso, di ingiuria, di lamentela, di disgrazia, di perdita, di seccatura, di chiacchiera, etc. (se solitario, o indolente) si arrende così incondizionatamente alla passione, che la sua complessione ne è alterata, la digestione rovinata, il sonno impedito, gli spiriti offuscati, e il suo cuore ne è appesantito, la sua ipocondria peggiora, la boria e la rozzezza all’improvviso hanno il sopravvento su di lui, e lui stesso è sopraffatto dalla melanconia. E come accade ad un uomo imprigionato per debiti al quale, una volta in carcere, ogni altro creditore esibirà il suo protesto contro di lui, finendo per trattenerlo lì, se un motivo qualunque di scontentezza aggredisce un paziente, allora in un istante tutte le turbe al completo (poiché ----- qua data porta ruunt) [erompono attraverso il passaggio, NdCant] lo aggrediranno, e allora egli si piegherà e languirà come un cane storpio o un’oca dalle ali spezzate, e sarà portato infine alla malsana abitudine o malattia che è appunto la melanconia. Allora, come i filosofi distinguono otto gradi di caldo e di freddo, noi potremmo distinguerne 88 di melanconia, in base a come le parti affette sono diversamente colpite, o a come sono state più o meno immerse in questo golfo infernale, o sono sprofondate in esso. Ma tutti questi attacchi di melanconia, che siano in principio piacevoli oppure spiacevoli, violenti mentre sono in corso e capaci di dominare coloro che colpiscono, tuttavia affermo che gli uomini che ne sono colpiti sono detti impropriamente melanconici, perché essi non sono costanti, ma invece vanno e vengono, dal momento che subiscono l’influenza di alcuni oggetti. La melanconia che invece tratteremo, ossia la melanconia come abitudine, è morbus sonticus o chronicus, una malattia cronica o costante, un umore stabile, come la definiscono Aureliano2 ed altri, non passeggera ma invariabile, e poiché (piacevole o dolorosa) diventa un’abitudine dopo essersi lungamente sviluppata, essa sarà difficilmente debellata.

Suddivisione delle parti del corpo. Umori e spiriti

Esistono molte classificazioni delle parti del corpo: la più accreditata è quella di Laurentius, tratta da Ippocrate, che distingue le parti contenute dai contenitori. Le parti contenute sono gliumori oppure gli spiriti.
Un umore è una parte liquida o fluida del corpo, che è contenuta in esso al fine di preservarlo, e può essere innata e generata insieme a noi, oppure avventizia ed acquisita. Gli umori radicali o innati sono rigenerati quotidianamente con il nutrimento, che alcuni chiamano cambio e che produce gli umori secondari o acquisiti, detti ros [rugiada, NdCant] e glutine, per conservare il corpo. Gli umori acquisiti fanno sì che si mantengano i quattro umori primari e provengono dal primo rimescolamento che avviene nel fegato, da cui è escluso il chilo. Alcuni suddividono gli umori primari in umori utili ed umori escrementizi: pituita (flegma) e sangue sono utili, gli altri due sono escrementizi. Ma Cratone3, in accordo con Ippocrate, sostiene che tutti e quattro sono succhi, e non escrementi, senza i quali nessuna creatura vivente potrebbe mantenersi; e i quattro umori sono contenuti nella massa del sangue, e tuttavia ciascuno di essi ha le sue diverse affezioni, che lo distinguono dagli altri umori primari e da quelli avventizi, e quindi i quattro umori peccant, ovvero sono umori malati, come dice Melantone4.

Il sangue è un umore caldo, dolce, temperato e rosso, preparato nelle vene meseraiche [mesenteriche, NdCant], fatto delle parti più temperate del chilo nel fegato, il cui compito è di nutrire l’intero corpo, dargli forza e colore, essendo a tal fine distribuito dalle vene ad ogni parte di esso. E a partire dal sangue gli spiriti sono dapprima generati nel cuore, per essere poi trasmessi alle altre parti attraverso le arterie.
Pituita, ossia il flegma, è un umore freddo e umido, generato nel fegato a partire dalle parti più fredde del chilo (ossia dal succo bianco proveniente dal pasto digerito nello stomaco); il suo compito è di nutrire e inumidire le membra del corpo che si muovono, come la lingua, in modo che non diventino troppo secche.
La bile gialla è calda, secca ed amara, generata a partire dalle parti più calde del chilo, e raccolta nella cistifellea: serve al mantenimento del calore naturale e ai sensi, ed aiuta ad espellere gli escrementi.
La melanconia, fredda e secca, densa, nera e acida, generata dalle parti più feculente [residuali, NdCant] del nutrimento corporeo, e purificata dalla milza, serve al mantenimento nel flusso sanguigno dei due umori caldi, sangue e bile gialla, e al nutrimento delle ossa. Questi quattro umori presentano analogie con i quattro elementi, e con le quattro età dell’uomo (…).

Come l’esercizio smodato può essere una causa. E altre sono la solitudine e l’indolenza

Non c’è niente che, pur facendo così bene, potrebbe altrettanto essere oggetto di abuso: niente è meglio dell’esercizio fisico, se opportunamente praticato, per preservare il corpo, e tuttavia niente è così nocivo se condotto in modo irragionevole, violento ed eccessivo. Fernelius5, sulla scorta di Galeno, in Path. lib. 1 cap. 16 dice che troppo esercizio e affaticamento consumano gli spiriti e la sostanza, raffreddano il corpo; ed esso fa aumentare ed infiammare gli umori che la natura altrimenti avrebbe elaborato ed espulso; ed essi, una volta infiammati, colpiscono e perturbano in modi diversi il corpo e la mente. E questo è l’effetto dell’attività, se praticata in modo irragionevole, a stomaco pieno, ossia quanto il corpo è pieno di sostanze non digerite, costume contro il quale Fuchs6 inveisce così tanto, in lib. 2. instit. sec. 2. cap. 4.  affermando che questo sarebbe un motivo per cui gli scolari in Germania hanno così spesso la scabbia, dal momento che fanno attività immediatamente dopo i pasti. Bayrus aggiunge un ammonimento contro questo modo di fare attività, perché essa guasta il cibo nello stomaco e ne trasporta i succhi, grezzi e non ancora assimilati, nelle vene (dice Lemnius7), dove essi vanno in putrefazione e portano disordine agli spiriti animali. Anche Cratone in consil. 21. lib. 2. protesta contro tutte queste attività dopo i pasti, perché esse potrebbero essere il più grande nemico della digestione, e causare la corruzione degli umori, che produce questa e molte altre malattie. Non senza una buona ragione, dunque, Sallustio Salviani in lib. 2. cap. 1. e Lionardo Giachini8 in 9. Rhasis, Girolamo Mercuriale9, Giovanni Arcolano10, e molti altri, annoverano l’esercizio smodato tra le cause principali della melanconia.
Opposta all’esercizio è l’indolenza (il segno distintivo dell’aristocrazia), ossia la mancanza di esercizio, il veleno del corpo e della mente, la levatrice del vizio, la matrigna della disciplina, suprema artefice di ogni malizia, compresa tra i sette peccati capitali e tra le cause esclusive di questa e molte altre malattie, il cuscino del Diavolo, come la chiama Gualter, o anche il suo guanciale e il suo piatto principale [“chiefe reposall”, NdCant]. Poiché la mente non può mai riposare, ma sempre medita su una cosa o l’altra, essa si precipita spontaneamente nella melanconia a meno che non sia impegnata in qualche onesta occupazione. Come l’esercizio eccessivo e violento è nocivo, da una parte, così d’altra parte una vita pigra (dice Cratone) satura il corpo di flegma, di umori densi, e di ogni sorta di ostruzioni, muco, catarro, etc. Rhasis11 in lib. 1. tract. 9. la considera come la più grande causa di melanconia: ho visto spesso (egli dice) che l’indolenza genera questo umore più di ogni altra cosa. Montaltus12 in cap. 1. lo asseconda in base alla propria esperienza: coloro che sono indolenti sono assai più soggetti alla melanconia di quanto lo siano le persone pragmatiche o impegnate in qualsivoglia occupazione o attività. Plutarco assume l’indolenza come una causa principale della malattia dell’anima: Vi sono quelli (egli dice) che hanno la mente disturbata, senz’altra causa che questa. Omero nel primo libro dell’Iliade presenta Achille che si rode il cuore per l’indolenza, poiché non può combattere. Girolamo Mercuriale in consil. 86. insiste che questa sia una causa principale della melanconia di un giovane uomo; perché egli era melanconico? perché era indolente. Niente genera la melanconia più rapidamente, la accresce e la prolunga più spesso di quanto non faccia l’indolenza. Una malattia familiare a tutte le persone oziose,  compagna inseparabile di coloro che conducono nell’ozio, pingui otio desidiose agentes, una vita inattiva, e non hanno una professione o un impiego quotidiano per tenersi occupati, che hanno poco da fare; e che accompagnano anche quest’indolenza con l’apatia; non saranno capaci di disporsi a fare quel che gli serve, non sopportano il lavoro, anche fosse il minimo necessario, facile, come vestirsi, scrivere una lettera o cose simili, come fa una persona che, intorpidita dal freddo, resta seduta immobile e tremante quando potrebbe darsi sollievo con un poco di attività o di movimento, e si lamenta ma non fa ricorso ai mezzi semplici e disponibili che potrebbero dargli beneficio: e dunque anche costoro sono tormentati dalla melanconia (…).

Cugina prossima [“cosen german”, NdCant] dell’indolenza, e causa concomitante che ad essa si accompagna, è l’eccessiva solitudine, nimia solitudo, che è causa e sintomo per unanime parere di tutti i medici: ma, intesa come causa, essa potrà essere coatta, forzata, oppure invece volontaria. La solitudine forzata si osserva comunemente tra gli studiosi, i monaci, i frati, gli anacoreti, che a causa del loro ordine e del loro indirizzo di vita devono abbandonare ogni compagnia e associazione con altri uomini, e spostarsi in una cella isolata, otio superstitioso seclusi, come bene li definiscono Bale13 e Hospinian14, come sono i certosini della nostra epoca, che non mangiano carne (per imposizione della loro regola), mantengono il silenzio perpetuo, non escono mai. Così altri vivono in prigione, o in qualche luogo remoto, e non possono avere compagnia, come fanno molti nostri gentiluomini di campagna che vivono in case isolate, devono rassegnarsi a restare soli senza compagnia o altrimenti vivere al di sopra dei propri mezzi e accogliere come ospiti tutti i nuovi arrivati, oppure adattarsi a conversare con i loro servitori e sottoposti, che sono di condizione ineguale, inferiore ad essi, e che sono maldisposti verso di loro; oppure ancora, come alcuni fanno per evitare la solitudine, devono trascorrere il loro tempo insieme a compagnie volgari nelle taverne e nelle birrerie, e così finiscono per assuefarsi a qualche trastullo illecito o a condotte dissolute. Altri ancora gettano le fondamenta della propria solitudine a causa della mancanza di mezzi, o per il forte timore di qualche infermità o disgrazia, oppure non riescono ad ottenere la compagnia degli altri a causa della propria timidezza, scortesia o dabbenaggine. Nullum solum infelici gratius solitudine, ubi nullus sit qui miseriam exprobret [Per l’uomo infelice non c’è luogo più ameno di un suolo deserto, dove non si trova nessuno che possa rinfacciargli la sua miseria, NdCant], [dunque] questa solitudine forzata si produce e provoca il suo effetto più rapidamente su coloro a cui è capitato di trascorrere il loro tempo allegramente, tra svaghi assolutamente rispettabili, in buona compagnia, in seno ad una grande famiglia o in una popolosa città, e si ritrovano ad un tratto confinati in una capanna sperduta in una regione deserta, privati della loro libertà e allontanati dalla loro solita compagnia: la solitudine è assai snervante e più faticosa per queste persone, ed è causa repentina di grave disagio (…).

Come le passioni e le perturbazioni della mente causano la melanconia

Come quel gimnosofista15 in Plutarco ebbe a rispondere ad Alessandro (il quale gli domandava chi avesse parlato meglio) che i suoi compagni avevano parlato uno meglio dell’altro; così a chi chiedesse quale delle cause [della melanconia] è la più grande, potrei dire che sono una più grave dell’altra, e che tra tutte la passione è la più grande. Causa tra le più comuni e frequenti della melanconia [è] il fulmen perturbationum [fulmine delle passioni, NdCant] (come lo chiama Francesco Piccolomini16), quest’agitazione mentale folgorante e tonante, che causa alterazioni così rapide e violente nel nostro microcosmo, e molte volte ne sovverte il buono stato e la temperatura. Poiché, come il corpo influenza la mente, per mezzo dei suoi cattivi umori, agitando gli spiriti, inviando dense fumigazioni nel cervello; e così di conseguenza disturbando l’anima, e tutte le sue facoltà,
---- Corpus onustum
Hesternis vitiis animum quoque pregravat una

[il corpo, appesantito dai vizi di ieri, opprime anche l’anima17, NdCant], con paura, angoscia etc. che sono sintomi tipici di questa malattia, così d’altra parte la mente influenza il corpo in maniera ancora più efficace, provocando prodigiose alterazioni per mezzo delle sue passioni e perturbazioni, come la melanconia, la disperazione, i disturbi acuti, e talvolta la morte stessa.  Al punto che è assai vero ciò che Platone dice nel suo Carmide18: omnia corporis mala ab anima procedere, tutti i mali del corpo procedono dall’anima; e Democrito in Plutarco sostiene che damnatam iri anima a corpore, se il corpo dovesse in questo caso portarla a processo, certamente sarebbe portata a giudizio e condannata quell’anima che avesse causato tanti disagi a causa della sua indolente negligenza, avendo autorità sul corpo e servendosi di esso come di uno strumento, come un fabbro si serve del suo martello (così dice Cipriano), ed essendo tutti quei vizi e quelle malattie imputabili alla mente. Così dice anche Filostrato19, non coinquinatur corpus, nisi consensu animae, il corpo non è contagiato se non dall’anima. Lodov. Vives20 [Juan Luis Vives, NdCant] sostiene che tali violente perturbazioni procedano dall’ignoranza e dalla mancanza di discernimento. Tutti i filosofi imputano le miserie del corpo all’anima, che avrebbe dovuto governarlo meglio, sotto il comando della ragione, e non lo ha fatto (…).

Sulla forza dell’immaginazione

Ho spiegato a sufficienza cosa sia l’immaginazione nella mia Digressione sull’anatomia dell’anima. Ora mi limiterò a descrivere i suoi prodigiosi effetti e il suo potere; il quale pur essendo notevole per tutti, è spiccatamente acceso nelle persone melanconiche, nel mantenere le immagini degli oggetti così a lungo, distorcendole, amplificandole in forza di una continua ed intensa riflessione, finché dopo un certo tempo non produce effetti reali in alcune parti, causando questa e molte altre malattie. E anche se la nostra fantasia è una facoltà subordinata alla ragione, e dovrebbe da questa essere governata, tuttavia in molti uomini, per effetto di squilibri interni o esterni, per difetto degli organi, che sono indisposti o impediti, o altrimenti contaminati, anche la ragione è similmente indisposta o impedita, e danneggiata. Ne troviamo la dimostrazione nelle persone addormentate che, a causa degli umori e del concorso di vapori che turbano la fantasia, immaginano spesso cose assurde e prodigiose, e se in tale stato essi sono tormentati da un incubo21, o stregati (come diciamo noi) mentre giacciono sulla schiena, allora immaginano che una vecchia sieda a cavalcioni sopra di loro e li schiacci con tale forza che essi quasi soffocano perché gli manca il respiro; quando non c’è nulla che li molesti realmente se non un concorso di cattivi umori, che disturbano la fantasia (…).

Sull’amore per il sapere ossia l’eccesso di studio, con una digressione sulla miseria degli studiosi e sul motivo per cui le Muse sono melanconiche

Fuchs in Instit. lib. 3. sect. 1. cap. 1., Felix Plater22 in lib. 3. de mentis alienat., Ercole Sassonia23 in Tract. post. de melanch. cap. 3 parlano di una particolare furia, che deriva dall’eccesso di studio.  Fernelius in lib. 1. cap. 18.  propone lostudio, la contemplazione e la meditazione continua come causa particolare della pazzia, e nel suo 86. consul. riprende gli stessi termini. Giovanni Arcolano in lib. 9. Rhasis ad Almansorem cap. 16. tra le altre cause riconosce studium vehemens [lo studio intenso, NdCant], e così dice Lemnius, lib. de occul. nat. mirac. lib. 1. cap. 16.: “Molti uomini sviluppano questa malattia a causa dello studio continuo e delle veglie notturne, e fra tutti gli altri uomini, gli studiosi sono più soggetti ad essa”, e Rhasis aggiunge in Cont. lib. 1. tract. 9. che “questi solitamente sono gli uomini dotati delle menti più raffinate”. Marsilio Ficino in de sanit. tuenda. lib. 1. cap. 7. annovera la melanconia tra i cinque mali più gravi degli studiosi: ”è una piaga comune per tutti loro, e in certa misura è quasi un compagno inseparabile”. Varrone, probabilmente per questo motivo dice tristes philosophos et severos, poiché severo, triste, arido, austero, sono epiteti comuni per gli eruditi. E pertanto Patritius24 riguardo all’educazione del Principe non vorrebbe che egli fosse un grande studioso. Perché (come sostiene Machiavelli) lo studio ne indebolisce il fisico, ne affievolisce gli spiriti, abbatte la sua forza e il suo coraggio; e i bravi studenti non sono mai bravi soldati; del che si rendeva ben conto un certo goto, poiché quando i membri del suo popolo ebbero invaso la terra dei greci, e vollero bruciare tutti i loro libri lui si oppose, affermando a gran voce di non farlo per nessun motivo, [dicendo] lasciate che tengano questo veleno, che con il tempo consumerà tutto il loro vigore e il loro spirito bellicoso. I Turchi destituirono Cornutus, l’erede diretto dell’Impero, perché egli era troppo dedito al suo libro 25: ed è quindi un principio universalmente riconosciuto, che l’apprendimento attenui e svilisca gli spiriti, edi conseguenza produca la melanconia.
Si possono indicare due ragioni principali per le quali gli studiosi dovrebbero essere più soggetti a questa malattia rispetto alle altre persone. La prima è che essi vivono un’esistenza sedentaria, solitaria, sibi et musis [soli con i propri studi, NdCant], astenendosi dall’esercizio fisico e da quei comuni svaghi a cui ricorrono gli altri uomini, e spesso, se a ciò si aggiungono lo scontento e l’indolenza, come troppo spesso accade, essi precipitano improvvisamente in questo abisso: ma la causa comune è lo studio eccessivo; la troppa istruzione li ha resi folli (come Festo disse a Paolo)  [in At 26, 24, NdCant]; questo è dunque l’altro eccesso che conduce ad essa [alla melanconia]. Così Trincavellius26 in lib. 1. consil. 12. & 13. scoprì, sulla base della sua esperienza con due pazienti, un giovane barone ed un altro uomo, che essi avevano contratto questa malattia a causa dello studio troppo intenso. Così Forestus27 in observat. lib. 10. observ. 13. scoprì che un giovane studente di teologia a Lovanio, che era folle, sosteneva di avere una Bibbia nella sua testa; Marsilio Ficino in de sanit. tuend. lib. 1. cap. 1. 3. 4. & lib. 2. cap. 16. offre molte ragioni per cui gli studiosi impazziscono più spesso degli altri. La prima ragione è la loro negligenza: gli altri uomini hanno cura dei propri strumenti, un pittore laverà i suoi pennelli, un fabbrò terrà in ordine il suo martello, la sua incudine e la sua fucina, un agricoltore riparerà il suo aratro, e affilerà la sua accetta se avrà la lama smussata; un falconiere o un cacciatore avrà particolare cura dei suoi falchi, segugi, cavalli, cani, etc. e un musicista accorderà il suo liuto etc. Solamente gli studenti trascurano lo strumento che è il loro cervello e la loro mente (per così dire), che essi usano quotidianamente e per mezzo del quale indagano tutto l’universo, ed è però consumato dallo studio eccessivo. Vide (dice Luciano) ne funiculum nimis intendendo aliquando abrumpas: abbi cura di non torcere la fune fino al punto di spezzarla. Ficino nel suo quarto capitolo offre alcune altre ragioni; Saturno e Mercurio, patroni dell’istruzione, sono entrambi pianeti secchi: e Origanus28 attribuisce la stessa causa al fatto che i nati sotto il segno di Mercurio [“Mercurialists”, NdCant] sono così poveri, e per la maggior parte mendicanti: poiché il loro stesso rettore Mercurio non ebbe miglior fortuna. Le Fate degli antichi gli assegnarono la povertà come punizione; dal che, poesia e indigenza sono divenute gemelle, compagne inseparabili:
And to this day is every choller poore,
Grosse gold from them runnes headlong to the boore
29:
[E da allora tutti gli studenti sono poveri, tutto l’oro dalle loro tasche va dritto in quelle dei cafoni, NdCant]
Mercurio può aiutarli ad ottenere la conoscenza, ma non il denaro. La seconda [ragione] è la contemplazione, che dissecca il cervello, ed estingue il calore naturale; per cui mentre gli spiriti sono intenti alla meditazione in alto nella testa, lo stomaco e il fegato restano abbandonati, e da lì vengono il sangue nero e le sostanze crude per difetto di digestione, e per mancanza di esercizio i vapori superflui non possono essere dissipati etc. Le stesse ragioni sono ripetute da Gomesius30 in lib. 4. cap. 1. de sale, Nymmannus31 in orat. de Imag., Jo. Voschius in lib. 2. cap. 5. de peste: ed essi aggiungono inoltre che gli studiosi affaticati sono spesso colpiti da gotta, catarro, raffreddore, cachessia, bradipepsia, malattie degli occhi, calcoli e coliche, indigestioni, ostruzioni intestinali, vertigini, flatulenze, crampi, tubercolosi, e tutte quelle malattie che derivano dallo stare troppo seduti; essi sono per lo più magri, secchi, hanno un colorito malaticcio, sperperano le loro fortune, perdono il senno, e spesso anche la loro vita, sottoponendosi sempre a sofferenze eccessive e studi esagerati (…).

1: In Seneca, Lettere a Lucilio
2: https://it.wikipedia.org/wiki/Celio_Aureliano
3: https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Crato_von_Krafftheim
4: https://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Melantone
5: https://it.wikipedia.org/wiki/Jean_Fernel
6: https://it.wikipedia.org/wiki/Leonhart_Fuchs
7: https://en.wikipedia.org/wiki/Levinus_Lemnius
8: https://fr.wikipedia.org/wiki/Lionardo_Giachini
9: https://it.wikipedia.org/wiki/Girolamo_Mercuriale
10: https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-arcolano_%28Dizionario-Biografico%29/
11: https://it.wikipedia.org/wiki/Rhazes
12: https://it.wikipedia.org/wiki/El%C3%ADas_Montalto
13: https://it.wikipedia.org/wiki/John_Bale
14: https://en.wikipedia.org/wiki/Rudolf_Hospinian
15: https://it.wikipedia.org/wiki/Gimnosofisti
16: https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Piccolomini_(filosofo)
17: in Orazio, Satire, Libro II, 2
18: https://it.wikipedia.org/wiki/Carmide_(dialogo)
19: https://it.wikipedia.org/wiki/Lucio_Flavio_Filostrato
20: https://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Luis_Vives
21: https://it.wikipedia.org/wiki/Incubo_(mitologia)
22: https://it.wikipedia.org/wiki/Felix_Platter
23: https://it.wikipedia.org/wiki/Ercole_Sassonia
24: https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Patrizi_(umanista)
25: secondo Richard Knolles, in The Generall Historie of the Turkes (1603)
26: https://www.treccani.it/enciclopedia/vittore-trincavelli_%28Dizionario-Biografico%29/
27: https://en.wikipedia.org/wiki/Petrus_Forestus
28: https://en.wikipedia.org/wiki/David_Origanus
29: in Christopher Marlowe, Ero e Leandro, 1. 471-472
30: https://es.wikipedia.org/wiki/Bernardino_G%C3%B3mez_Miedes
31: https://de.wikipedia.org/wiki/Hieronymus_Nymmann


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Messaggio  canterel II Lun Nov 23, 2020 5:23 pm

In questi giorni, un paragrafo alla volta, per piccoli passi, ho seguito il discorso di Burton sui sintomi della melanconia, a cominciare dai segni corporei per proseguire poi con una lunga e intricata disamina di quelli psicologici e comportamentali. Mentre leggevo, com’era prevedibile, ho cominciato a riconoscere i mei tratti in più di una delle descrizioni presentate; poco dopo, l’autore scriveva che i melanconici sono simili a
Robert Burton ha scritto:alcuni giovani medici i quali, mentre studiano come curare le malattie, si ammalano essi stessi, si sentono male, e si appropriano di tutti i sintomi che trovano riferiti agli altri, riportandoli a se stessi

E di seguito, più esplicitamente:
Robert Burton ha scritto: consiglierei, a chi è davvero melanconico, di non leggere questa trattazione dei sintomi, per non rischiare in seguito di esserne turbato o di sentirsi peggio, e più melanconico di quanto fosse prima

Apprezzo lo scrupolo di Burton, anche se non posso fare a meno di notare che questo avvertimento arriva al lettore solo dopo che egli si è inoltrato per molte pagine nella sua sintomatologia, e rischia perciò di essere intempestivo. Quindi, antepongo il disclaimer in modo che le persone sensibili che leggono questo thread possano decidere di saltare le prossime sezioni dedicate a Burton, se temono che le descrizioni delle manifestazioni melanconiche possano disturbarle.
Io in realtà ho trovato questi capitoli divertenti ed istruttivi, a tratti anche commoventi, e per niente spaventosi. Comincio dunque con i segni nel corpo, e seguirà la sezione dedicata ai sintomi nella mente.
______________________________________________________________________________________________________________________

Dall'Anatomia della melanconia (1621) di Robert Burton

Sintomi, o segni della melanconia nel corpo

Parrasio32, pittore di Atene, comprò un uomo molto anziano tra gli schiavi di Olinto33 che Filippo il Macedone aveva portato in patria affinché fossero venduti; e quando ebbe condotto lo schiavo ad Atene, lo sottopose a torture estreme e tormenti, per meglio esprimere, grazie al suo modello, i dolori e le passioni del suo Prometeo, che era allora in procinto di dipingere. Non ho bisogno di essere tanto barbaro, disumano, curioso o crudele da torturare un povero melanconico per questo scopo: i loro sintomi sono semplici, ovvi e familiari, non servono osservazioni accurate o dettagli improbabili, essi si illustrano da soli, si rivelano volontariamente, li si trova ovunque fin troppo spesso, li riconosco a vista mentre cammino, non possono tenere segreta la loro condizione, le loro pene sono fin troppo note, non devo cercare lontano per descriverli (…).
(…) come il vino produce diversi effetti, o come quell’erba detta Tortocolla in Laurentius, che fa ridere alcuni, piangere altri, alcuni li fa dormire, altri danzare, altri cantare, altri gridare, altri bere etc., così il nostro umore melanconico produce segni diversi in persone diverse.

Ma per delimitarli, questi sintomi generali potrebbero essere ricondotti a quelli del corpo oppure della mente. I segni tipici che appaiono sui corpi dei melanconici sono le membra fredde e secche, oppure calde e secche, a seconda che l’umore sia più o meno bruciato. Da queste qualità primarie, ne sorgono molte altre secondarie, come quelle del colore nero, scuro, o pallido, o rossastro etc., alcuni sono impense rubri, come osserva Montaltus in cap. 16. sulla scorta di Galeno lib. 3. de locis affectis, ossia fortemente arrossati. Ippocrate nel suo libro de insania et melan. considera tra i segni [dei melanconici] che essi sono magri, avvizziti, con gli occhi infossati, sembrano vecchi, rugosi, rigidi, soffrono molto di flatulenze e di coliche, o mal di pancia, ruttano spesso, hanno il ventre secco e duro, un aspetto avvilito, barbe cadenti, fischi nelle orecchie, vertigini, sono storditi, dormono poco o niente e il loro sonno è frequentemente interrotto da sogni terribili e spaventosi. Anna soror, quae me suspensam insomnia terrent?34 [Anna, sorella mia, quali incubi atterriscono me che sono inquieta? NdCant] Gli stessi sintomi sono riportati da Melanelius35 nel suo libro sulla melanconia compilato a partire da Galeno, Rufo36 ed Ezio37, nonché da Rhasis, Gordonius38, e da tutti gli autori più recenti: eruttazioni continue, rumorose e puzzolenti, come se il pasto nel loro stomaco fosse putrefatto o avessero mangiato pesce, ventre secco, sogni assurdi e disturbati, e molte visioni fantastiche dei loro occhi, soffrono di vertigini, sono soggetti a tremori, e inclini all’eccitazione sessuale. Alcuni aggiungono tra i sintomi tipici le palpitazioni cardiache, sudore freddo, e sussulti in molte parti del corpo,saltum in multis corporis partibus, a volte una specie di prurito sulla superficie della pelle, come il morso di una pulce, dice Laurentius. Montaltus in cap. 21. include tra i segni lo sguardo fisso e un insistente tremolio degli occhi, e così fa Avicenna, oculos habentes palpitantes, trauli, vehementer rubicundi, etc. (in lib. 3. Fen. i. Tract. 4. cap. 18.) [dagli occhi palpitanti… fortemente arrossati, NdCant]. Essi sono per la maggior parte balbuzienti, tratto che egli riporta dagli Aforismi di Ippocrate. Rhasis assume come un indizio principale il mal di testa e una pesantezza opprimente, molti tremiti sulla pelle [“much leaping of winde about the skinne”, NdCant], e anche la balbuzie, o inciampi nel parlare, etc. occhi infossati, vene grosse e labbra tumide. Per altri autori, se essi sono molto malati allora sono assai comuni gesticolazioni, scoppi di risa, smorfie, sogghigni, mormorii, soliloqui, con strani sguardi ed espressioni, voci inarticolate, esclamazioni, etc. E anche se essi saranno solitamente magri, irsuti, tetri nell’atteggiamento, avvizziti e di aspetto non molto gradevole, a causa delle loro costanti paure, lamentazioni e irritazioni, nonché spenti, pesanti, pigri, agitati, inadatti a metter mano a qualunque lavoro; tuttavia la loro memoria è per lo più buona, hanno buone capacità mentali, e sono eccellenti nell’apprendimento. Il loro cervello caldo e secco li rende insonni,  Ingentes habent et crebras vigilias (Areteo39). Forti e frequenti attacchi di insonnia, che a volte durano per un mese o per un anno intero. Ercole Sassonia afferma con sicurezza di aver udito sua madre giurare di non aver dormito per ben sette mesi. Trincavellius Tom. 2. cons. 10. riferisce di un tale rimasto insonne per cinquanta giorni, e Schenkius40 presenta casi della durata di due anni, tutti senza conseguenze nocive. Venendo al loro metabolismo naturale, il loro appetito è superiore alla loro capacità digestiva, multa appetunt, pauca digerunt, come afferma Rhasis, essi bramano il cibo ma non lo assimilano. Ed anche se mangiano tanto, tuttavia sono magri, sciupati, dice Areteo, avvizziti e secchi, soggetti a grave stitichezza, indigestione, ostruzioni intestinali, espettorazioni, eruttazioni, etc. Il loro battito cardiaco è lento e rarefatto, tranne quello della carotide, che è molto forte; ma esso varia secondo le passioni o le perturbazioni, come ha ampiamente dimostrato Struthius41 in Spigmaticae artis lib. 4. cap. 13. A dire il vero, in queste malattie croniche il battito cardiaco non è un elemento da tenere in grande considerazione, perché ci sono troppe congetture attorno ad esso, come dice Cratone, e perché secondo Galeno è così vario da indurlo a suggerire che si potrebbe trascurarne l’osservazione e la comprensione nell’uomo in generale.
La loro urina è per la maggior parte chiara ed incolore, Urina pauca, acris, biliosa (Areteo) [urina scarsa, acre, biliosa, NdCant]. Non molta in quantità, ma questo tratto secondo il mio giudizio è, come il precedente, tanto incerto da non dover essere tenuto in considerazione nelle malattie croniche, poiché varia così spesso a seconda delle diverse persone, abitudini, e altri elementi occasionali. Gli escrementi sono copiosi per alcuni melanconici, scarsi per altri, secondo il modo in cui la milza fa la sua parte, e da ciò dipendono le flatulenze, le palpitazioni del cuore, il fiato corto, l’umidità che satura lo stomaco, il cuore pesante e le malattie cardiache, nonché l’inerzia e debolezza intollerabile degli spiriti. Gli escrementi, ossia le feci, sono duri, neri in alcuni casi, e piccoli. Se il cuore, il cervello, il fegato e la milza sono indisposti, come solitamente accade, ne derivano molti disagi e seguono molte malattie, come incubi, apoplessia, epilessia, vertigini, le frequenti interruzioni del sonno e i sogni terribili, nonché riso, pianto, gemiti, singhiozzi, timidezza, rossore, tremiti, sudore e svenimenti in momenti inopportuni, etc. Tutti i loro sensi sono perturbati, essi credono di vedere, udire, odorare e toccare cose inesistenti, come sarà dimostrato nel discorso che seguirà.


32: https://it.wikipedia.org/wiki/Parrasio
33: https://it.wikipedia.org/wiki/Olinto
34: Virgilio, Eneide, libro IV, 9
35: Matthias Theodorus Melanelius, http://worldcat.org/identities/viaf-54489446/  
36: https://it.wikipedia.org/wiki/Rufo_di_Efeso
37: https://en.wikipedia.org/wiki/Sicamus_A%C3%ABtius
38: https://en.wikipedia.org/wiki/Bernard_de_Gordon
39: https://it.wikipedia.org/wiki/Areteo_di_Cappadocia
40: https://en.wikipedia.org/wiki/Johannes_Schenck_von_Grafenberg
41: https://en.wikipedia.org/wiki/Josephus_Struthius[/i]


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Messaggio  canterel II Mar Nov 24, 2020 12:05 pm

Ancora dall'Anatomia della melanconia di Robert Burton

Sintomi o segni nella mente

Giovanni Arcolano in 9. Rhasis ad Almansor. cap. 16. sostiene che questi sintomi siano infiniti, come davvero sono dal momento che variano secondo gli individui, poiché a malapena uno su mille si ammala nello stesso modo di un altro (secondo Laurentius cap. 16.) Mi soffermerò su alcuni segni più degni di nota; e tra gli altri, sulla paura e la tristezza, che, se da un lato sono cause frequenti, secondo gli aforismi di Ippocrate e Galeno quando persistono a lungo sono altresì segni infallibili, compagne inseparabili e tratti caratteristici della melanconia, sia di quella passeggera che abituale (dice Montaltus cap. 21.), e comuni a tutte le forme, come affermano i detti Ippocrate, Galeno e Avicenna, e tutti gli autori più recenti [“neotericks”]. Ma come i segugi spesso corrono all’inseguimento di un falso richiamo, senza mai accorgersi di essere in errore, così fanno costoro. Perché solo Diocle42 tra gli antichi (contraddetto da Galeno), ed Ercole Sassonia tra i più recenti, insieme a Lod. Mercatus43 in cap. 17. lib. 1. de melan. eccepiscono che questo aforisma di Ippocrate non è sempre vero, ossia che non va inteso come una regola universale; che paura e tristezza non sono sintomi comuni a tutti i melanconici: dopo studi più approfonditi (egli dice), trovo che alcuni melanconici non sono [tristi e spaventati]. In effetti, alcuni sono tristi, e non spaventati; alcuni spaventati e non tristi; altri né spaventati né tristi, altri sia spaventati che tristi. Egli esclude quattro generi di melanconici: [anzitutto] le persone affette da manìa, quali furono Cassandra, Manto44, Nicostrata45, Mopso46, Proteo47, le sibille, delle quali Aristotele dichiarò che erano profondamente melanconiche48. Giambattista Della Porta49 concorda con lui, in Physiog. lib. 1. cap. 8. che costoro furono atra bile perciti [agitati dall’atrabile NdCant]. Tra queste eccezioni vi sono poi le persone indemoniate, e quelle che parlano strane lingue; alcuni poeti; poi quelli che ridono sempre e credono di essere re, cardinali etc. che sono persone sanguigne e per lo più allegre, e così via. Giambattista Della Porta riconosce i segni della paura e della tristezza solo nelle persone che sono fredde; ma gli amanti, le sibille, gli invasati, li esclude del tutto.

Cosicché, penso di poter concludere con sicurezza che non sono tristi e spaventati sempre, ma che solitamente lo sono, e senza causa: timent de non timendis (Gordonius) [temono cose che non dovrebbero essere temute, NdCant] quaeque momenti non sunt [tutto ciò che non ha importanza, NdCant]; anche se non tutti nello stesso modo (dice Altomarus50), tuttavia è verosimile che tutti siano spaventati, e che alcuni siano affetti da paura straordinaria e potente (Areteo). Molti temono la morte, e tuttavia si uccidono in preda ad un umore contrario, in Galeno (lib. 3. de loc. affect, cap. 7.) Alcuni hanno paura che il cielo cadrà sulle loro teste, altri invece temono di essere dannati, o che dovranno esserlo. Essi sono tormentati da scrupoli di coscienza, non confidano nella misericordia di Dio, pensano che dovranno andare certamente all’inferno, che il diavolo si impadronirà di loro, e si profondono in grandi lamentazioni, secondo Jason Pratensis51. [Sono affetti dalla] paura dei demoni, della morte, di essere gravemente malati di questo o quest’altro male, pronti a tremare per ogni cosa, convinti che moriranno improvvisamente, o che qualcuno tra i loro cari amici o gli stretti collaboratori sia certamente morto; [timori di] pericoli imminenti, lutti, disgrazie, ancora tormentano altri etc. [che credono] di essere fatti di vetro e quindi non permetteranno che nessuno si avvicini; o di essere fatti di sughero, leggeri come piume; altri [credono] di essere pesanti come il piombo, alcuni hanno paura che la testa cadrà loro dalle spalle, o di avere le rane nella pancia etc. Montanus in consil. 23. racconta di un tale che non osava allontanarsi da casa da solo, perché temeva che avrebbe perduto i sensi o che sarebbe morto. Un altro ha paura che ogni uomo che incontra intenda rapinarlo, aggredirlo oppure ucciderlo. Un terzo non ha il coraggio di incamminarsi da solo, per il timore di incontrare il diavolo, o un ladro, o di avere un malore; ha paura che tutte le donne anziane siano streghe, e sospetta che tutti i cani o gatti neri che vede siano demoni, che ogni persona che lo avvicina sia sotto un maleficio, che le creature, tutte, intendano ferirlo, causare la sua rovina; un altro non osa attraversare un ponte, avvicinarsi a uno stagno, a una roccia, a una collina scoscesa, rimanere in una stanza dove ci sono dei travi incrociati, temendo di impiccarsi, di annegarsi o di gettarsi in un precipizio. Se costui si trova in mezzo a un uditorio silenzioso, come ad esempio durante un sermone, ha paura di gridare a voce alta, all’improvviso, qualcosa di indecente, di inopportuno. Se si trova bloccato in una camera chiusa, ha paura di rimanere soffocato per mancanza d’aria, e inoltre porta con sé gallette, acquavite o qualche altro liquore, temendo svenimenti o malori, oppure se si trova in una folla, dentro una chiesa, in una moltitudine, in un luogo dal quale non potrebbe allontanarsi facilmente, egli si sente gravemente a disagio, anche se è comodamente seduto. Egli prometterà liberamente, si impegnerà in anticipo a intraprendere qualche genere di incarico, ma quando verrà il momento di mettersi all’opera non oserà cimentarsi, ma sarà preda della paura di un numero infinito di pericoli, disastri, etc. Alcuni temono di essere arsi vivi, o che il suolo sprofonderà sotto di loro, o che li inghiottirà rapidamente, o che il re li chiamerà a giudizio per qualche delitto che non hanno mai commesso (Rhasis cont.) e che saranno certamente giustiziati.  Il terrore di una simile morte li turba, e loro sono spaventati, e ugualmente tormentati nella mente, quanto lo sono coloro che hanno commesso un omicidio, e sono pensosi senza un motivo, come se dovessero essere messi a morte da un momento all’altro, secondo Felix Plater, in cap. 3. de mentis alienat. Temono qualche rovina, o pericolo, che dovranno fatalmente perdere la vita, i beni, e tutto ciò che hanno, ma non sanno perché. Trincavellius in consil. 13. lib. 1. riferisce di aver trattato un paziente che per il timore di essere impiccato pensava che avrebbe dovuto togliersi la vita, e che per tre anni di seguito non poté essere persuaso di non aver ucciso un uomo. Felix Plater, in observat. lib. 1. fornisce altri due esempi di questa paura immotivata di essere giustiziati. Se costoro giungono nel luogo dove si è consumato un furto, una rapina o altri simili reati, immediatamente temono di essere sospettati, e molte volte denunciano se stessi senza ragione. Il re di Francia Luigi XI52 sospettava di tradimento ogni uomo che gli si avvicinasse, pertanto non osava fidarsi di nessuno tra i suoi ufficiali. Alii formidolosi omnium, alii quorundam (Fracastorius53 lib. 2. de Intellect.): alcuni hanno paura di tutti allo stesso modo, altri di certi uomini in particolare, e non possono tollerare la loro compagnia, si sentono male quando sono con loro o quando sono lontani da casa. Altri ancora temono il tradimento, ed altri hanno paura dei loro più cari ed intimi amici (Melanelius sulla scorta di Galeno, Rufo, Ezio), e non si avventurano da soli nel buio, per paura dei folletti e dei demoni; sospettano che ogni cosa che vedono e sentono sia un diavolo o sia affatturata, e immaginano mille chimere e visioni, che nella loro menti sono certi di vedere e udire, come mostri, spauracchi, spettri, coboldi etc.

Omnes se terrent aurae, sonus excitat omnis54. [Ogni sibilo mi atterrisce, ogni suono mi agita, NdCant]

Un altro a causa della ritrosia, del sospetto e del timore non si farà vedere in giro, ama l’oscurità come la vita, e non può sopportare la luce, o sedere in luoghi illuminati, [ha] il cappello calcato sugli occhi, non vuole vedere [nessuno] né essere visto di sua spontanea volontà, secondo Ippocrate in lib. de Insania et Melancholia. Non si attenta a stare in compagnia perché teme di essere maltrattato, disonorato, di fare brutte figure parlando o gesticolando, o di sentirsi male, e pensa che ognuno lo osservi, che lo segni a dito, che lo derida, che abbia in serbo delle malignità per lui. Per la maggior parte, costoro temono di essere affatturati, posseduti o avvelenati per mano dei loro nemici, e a volte sospettano degli amici più stretti: egli pensa che una voce parli o sussurri a lui oppure dentro di lui, e cerca di sputare il veleno. Christophorus a Vega55 (lib. 2. cap. 1.) ebbe un paziente così disturbato che non vi fu verso di risanarlo con la medicina o con la persuasione. Alcuni hanno paura che saranno colpiti dalle stesse terribili malattie di cui hanno visto altre persone soffrire, o di cui hanno letto o sentito parlare, e quindi non osano più ascoltare o leggere nulla su questa materia, e neppure riguardo alla melanconia, per il rischio di aggravarla e di aumentarla riportando a se stessi ciò che ascoltassero o leggessero. Se vedono una persona posseduta, affatturata, le convulsioni di un epilettico, un uomo paralitico che trema, o claudicante, che barcolla o è immobile in un luogo pericoloso etc. per molti giorni in seguito questo ricordo torna loro in mente; hanno paura di trovarsi anche loro nella stessa condizione, di correre simili pericoli, come bene osserva Perkins56 nei suoi Casi di coscienza (cap. 12. sect. 2.) e molte volte, a causa della loro immaginazione, essi stessi producono il pericolo. Non possono tollerare di vedere cose terribili, come un mostro, un uomo giustiziato, una carcassa, o di sentir nominare il diavolo, o di vedere una scena tragica, pena l'essere scossi dalla paura; Hecatas somniare sibi videntur (Luciano) [sembra loro di vedere Ecate57 in sogno, NdCant]; sognano i coboldi, e in seguito l’immagine può restare a lungo impressa nella loro mente: riportano a se stessi tutto ciò che sentono, vedono e leggono (come ho detto), proprio come Felix Plater annota riferendosi ad alcuni giovani medici i quali, mentre studiano come curare le malattie, si ammalano essi stessi, si sentono male, e si appropriano di tutti i sintomi che trovano riferiti agli altri, riportandoli a se stessi. E dunque (quod iterum moneo, utcunque nauseam paret lectori; malo decem verba decies repetita licet abundare, quam unum desiderari) [e perciò ripeto il mio ammonimento, a costo di infastidire il lettore; preferisco abbondare, a costo di ripetere dieci parole dieci volte, che rimpiangere di non averne detta una, NdCant] consiglierei, a chi è davvero melanconico, di non leggere questa trattazione dei sintomi, per non rischiare in seguito di esserne turbato o di sentirsi peggio, e più melanconico di quanto fosse prima. In generale per tutti loro si può dire questo, che de inanibus semper conqueruntur, et timent, come afferma Areteo, ossia si lamentano di sciocchezze e hanno paure infondate, e comunque pensano che la loro sia la melanconia più atroce, che nessuna condizione sia grave come la loro, e sebbene questa possa essere nulla al confronto tuttavia certamente nessun uomo ha mai sofferto così tanto o in modo simile a loro. [Sono] davvero tormentati e confusi come se sperimentassero una grande agonia, per vanità e sciocchezze (cose che in seguito li faranno ridere di se stessi), come se queste fossero questioni assolutamente concrete ed essenziali, davvero temibili, e non c’è modo di dar loro soddisfazione. Placate una loro paura, e all’istante saranno tormentati da un’altra, sempre preoccupati di qualche cosa che essi immaginano nel delirio o congetturano da soli, e che mai neppure per caso è accaduta, può accadere o potrebbe in futuro, turbati nella loro mente da ogni piccolo pretesto, inquieti, sempre lamentosi, addolorati, ossessivi, sospettosi, rancorosi, scontenti, e non possono essere liberati [da queste paure] finché la melanconia perdura. Ovvero, se la loro mente si trova momentaneamente in uno stato di maggiore quiete, ed essi sono liberi da paure rivolte al di fuori, da accidenti esterni, tuttavia il loro corpo non è tonico, ed essi sospettano che qualche sua parte sia male in arnese, e subito duole la testa, e il cuore, lo stomaco, la milza etc. sono indisposti, e certamente avranno contratto questa o quest’altra malattia; e ancora il loro corpo o la loro mente, o entrambi, sono disturbati e continuamente infastiditi da flatulenze, fantasie morbose e indisposizioni accidentali. E nonostante tutto ciò, come nota Lionardo Giachini, sotto ogni altro riguardo essi sono saggi, saldi, giudiziosi e non fanno nulla che non sia consono alla loro dignità, alla loro persona e alla situazione, fatta eccezione per queste paure assurde, ridicole e infantili, che torturano e affliggono così tanto e costantemente la loro anima; come i latrati di un cane che abbaia sempre ma morde raramente, questa paura li molesta sempre e senza scampo, finché dura la melanconia.

La tristezza è l’altro tratto e l’inseparabile compagna [della melanconia], fidus Achates58, tanto affine ad essa quanto lo sono uno per l’altro i santi Cosma e Damiano59, come tutti gli autori riferiscono, un sintomo comune e costante, anch’esso senza causa evidente, maerent omnes et si roges eos reddere causam non possunt, essi si lamentano ma non possono spiegare il motivo: Agelasti60, maesti, cogitabundi [senza sorriso, mesti, pensosi, NdCant], hanno l’aspetto di uno che fosse appena uscito dalla grotta di Trofonio61. E anche se molte volte ridono e sembrano eccezionalmente allegri (come capita loro a tratti), tuttavia in un istante tornano estremamente cupi, spenti e gravi, [ed essi sono] semel et simul [insieme e ad un tempo, NdCant] allegri e tristi, ma per lo più tristi:  si qua placent, abeunt; inimica tenacius haerent62 [se qualcosa è gradevole, svanisce; le cose sgradevoli persistono con più tenacia, NdCant], il dispiacere si fissa in costoro, rodendoli continuamente, come l’avvoltoio rodeva le viscere di Tizio63, ed essi non possono evitarlo. Non hanno ancora aperto gli occhi che, dopo sogni terribili e disturbanti, già il loro cuore pesante scoppia in singhiozzi: essi continuamente sono agitati, addolorati, singhiozzanti, irritati, lamentosi, trovano difetti in ogni cosa, si lagnano, portano rancore, piangono, puniscono se stessi [sono Heautontimorumenoi64], si tormentano, la loro mente non si dà pace, hanno pensieri irrequieti e ansiosi, ora rivolti a se stessi, ora agli altri uomini, alle questioni politiche [public affairs], a cose che neppure li riguardano, a eventi passati, presenti o futuri, al ricordo di qualche disgrazia, di un lutto, di un’offesa, di un torto subito, etc. che, ricorrendo inutilmente, pure li tormenta come se fosse appena avvenuto, o altrimenti sono afflitti da qualche pericolo, lutto, frustrazione, vergogna o miseria che dovrà certamente colpirli a breve, poiché sono sospettosi e sfiduciati. Lugubris Ate65 [Ate funesta, NdCant] li condanna ad angorem animi, come ben lo definisce Areteo: una pena dell’anima, un’agonia perpetua. Difficilmente potranno essere contenti o sereni, anche se sembreranno abbastanza felici secondo l’opinione degli altri. Ora vanno, ora indugiano, ora corrono, ora galoppano, [tuttavia]

post equitem sedet atra cura66 [dietro al cavaliere siede il nero affanno]:

non possono evitare questa piaga crudele, non importa di quale compagnia si circondino, haeret lateri letalis harundo67 [il dardo letale rimane confitto nel fianco, NdCant]; come si può dire di un cervo che è ferito, sia che corra, che avanzi, che riposi, solo o insieme al branco, che il suo dolore persiste: l’incertezza, l’incostanza, la vanità della mente, le loro paure, i tormenti, le preoccupazioni, il risentimento, il sospetto, etc. sono continui, e non possono essere leniti. Così egli si lamentava secondo il poeta68:

domum revortor maestus, atque animo fere
perturbato, atque incerto prae aegritudine.
Adsido, accurrunt servi, soccos detrahunt:
video alios festinare, lectos sternere,
caenam apparare; pro se quisque sedulo
faciebant, quo illam mihi lenirent miseriam.


Egli tornava a casa mesto, e con l’animo sconvolto, i suoi servi facevano tutto quello che era in loro potere per accontentarlo; ed uno gli sfilava i calzari, un altro preparava il letto, un terzo la sua cena, tutti facevano del loro meglio per lenire la sua sofferenza e per metterlo di buon umore, ma egli era profondamente melanconico, aveva perduto suo figlio, illud angebat [per quel motivo era addolorato, NdCant], quello era il suo cordolium [cordoglio, NdCant], il suo dolore, la sua agonia che non poteva cessare. Dal che, molte volte, dipende il fatto che essi siano stanchi della loro vita, e che pensieri empi di usare violenza contro se stessi si affaccino alla loro mente.

Taedium vitae [La stanchezza di vivere, NdCant] è un sintomo comune; tarda fluunt, ingrataque tempora69 [lente e penose trascorrono le ore, NdCant], essi si stancano presto di ogni cosa; ora indugiano, e un momento dopo se ne vanno via; ora saltano giù dal letto, e ora che sono in piedi tornano a dormire; ora sono compiaciuti, ed ora subito dispiaciuti nuovamente; tutto ciò che piace loro, prima o poi diventerà spiacevole, tutto verrà loro a noia; sequitur nunc vivendi, nunc moriendi cupido, dice Aureliano in lib. 1. cap. 6. [si avvicendano la voglia di vivere e quella di morire, NdCant], ma per lo più vitam damnant [maledicono la vita, NdCant], scontenti, inquieti, sconcertati alla minima occasione o pretesto, o anche senza: spesso tentati, per così dire, di togliersi la vita: vivere nolunt, mori nesciunt70; non vogliono vivere, non sanno morire: si rammaricano, piangono, si lamentano, e credono di condurre la vita più miserabile, che non vi sia né vi sia mai stato prima un uomo tanto sventurato, ed ogni poveruomo che vedono sembra loro più fortunato al confronto, ogni mendicante che bussa alla porta è più felice, e sarebbero contenti di cambiare la loro vita con la sua, specialmente se sono soli, annoiati, separati dalla loro consueta compagnia, infastiditi, contrariati o provocati: il dolore, la paura, l’agonia, il malcontento, il tedio, l’indolenza, il sospetto o qualche altra simile passione si impadronisce inesorabilmente di loro. E tuttavia ogni tanto, quando ritrovano l’amata compagnia o si sentono lieti, suam sententiam rursus damnant, et vitae solatio delectantur, condannano il giudizio espresso in precedenza, e sono ben contenti di vivere, come osserva Octavius Horatianus in lib. 2. cap. 5. E così via, finché non saranno ancora contrariati da qualche nuovo dispiacere, e allora saranno stanchi delle loro vite, stanchi di tutto, vorranno morire e mostreranno di considerare la vita più come una necessità che come qualcosa di desiderabile. L’imperatore Claudio, secondo la descrizione che ne dà Svetonio, doveva soffrire di una malattia di questo tipo perché, quando era afflitto dai dolori allo stomaco, meditava di togliersi la vita. Jul. Caesar Claudinus in consil. 84. riferisce di aver avuto per paziente un polacco, il quale era così melanconico che, a causa della paura e della tristezza che lo affliggevano continuamente, ogni momento sperava di morire e di essere liberato dalla sua infelicità. Anche Girolamo Mercuriale conosceva un paziente del genere, ed un altro ancora che aveva spesso l’idea di togliersi la vita, e in questo stato perseverò per molti anni.

Il sospetto e la gelosia sono sintomi principali: sono tipicamente diffidenti, timorosi, inclini a fraintendere e ad ingigantire le questioni, facile irascibiles [facilmente irascibili, NdCant], scontrosi, permalosi, stizzosi, e pronti a sbraitare al minimo pretesto, [anche] cum amicissimis [con gli amici più fedeli, NdCant], e senza motivo, datum vel non datum sarà scandalum acceptum [con o senza provocazione, ci sarà una reazione, NdCant]. Se gli amici dicono qualcosa per scherzo, il melanconico lo prende alla lettera. Se questi melanconici non saranno salutati, invitati, consultati, richiesti per un consiglio, etc. o se si dimenticherà con loro un segno formale di rispetto, la minima cerimonia o complimento, essi si sentiranno trascurati e disprezzati per un tempo così lungo che parrà loro una tortura. Se due persone parlano tra loro, discorrono, bisbigliano, scherzano o raccontano una storia qualsiasi, il melanconico immediatamente pensa che stiano alludendo a lui, riporta tutto a se stesso, de se putat omnia dici. Oppure, se parlano con lui, è pronto a fraintendere ogni parola e a interpretarla nel peggiore dei modi, talvolta non può sopportare che qualcuno lo guardi fissamente, quasi neppure che gli parli, o che rida, scherzi e lo tratti con familiarità, o si schiarisca la voce, o lo segni a dito, o che tossisca, o sputi, o che faccia rumore, etc. Pensa che gli altri ridano di lui, che indichino lui, o che intendano disonorarlo, raggirarlo, disprezzarlo; ogni volta che un uomo lo guarda lui impallidisce, arrossisce, suda per la paura e per la rabbia al pensiero che qualcuno lo stia osservando. Egli rimugina sopra queste cose e, dopo molto tempo, la falsa idea di aver subito un torto continua a contrariarlo. Montanus71 in consil. 22. porta l’esempio di un ebreo melanconico che era iracundior Adria72 [più agitato dell’Adriatico, NdCant], così litigioso e sospettoso, tam facile iratus [così facile all’ira, NdCant], che nessuno era in grado di capire come regolarsi in sua compagnia.

Sono incostanti in tutte le loro azioni, confusi, irrequieti, incapaci di portare a termine qualunque incarico; vorranno fare una cosa e poi non vorranno più, prima persuasi ad accettare e poi a rifiutare ogni piccolo dettaglio o cosa detta; e tuttavia, una volta convinti, saranno ostinati e non sentiranno ragioni. Se provano repulsione, disgusto, avversione verso una cosa, una volta che ne sono convinti nessun consiglio o lusinga varrà a fargli cambiare opinione, anche se fosse senza dubbio per il meglio. Nella maggior parte dei casi tuttavia, tentennanti, irresoluti, incapaci di decidere, per paura essi  faciunt et mox facti paenitent (Areteo); avari, et paulo post prodigi: prima sono generosi, poi sono avari; fanno una cosa e poco dopo se ne pentono, di modo che sono comunque contrariati, sia che facciano o non facciano, che abbiano o non abbiano, che prendano o lascino qualcosa, inquieti in ogni caso, inclini a stancarsi presto e a cambiare sempre idea, ansiosi, per così dire, volubili, sfuggenti, a volte non possono indugiare a lungo fermi in un luogo,

Romae rus optas, absentem rusticus urbem
Tollit ad astra
73 [a Roma desideri la campagna, in campagna ti spertichi in lodi della città lontana, NdCant],

o con la stessa compagnia, o nello svolgimento di un compito o di un’azione qualunque.

Et similis regum pueris pappare minutum
Poscit, et iratus mammae lallare recusat
74
[e simile ai figli dei signori pretende la pappa a bocconcini e, adirato, rifiuta la canzoncina della balia, NdCant],

dapprima compiaciuta, e poi di nuovo contrariata, come un uomo morso dalle pulci o che non riesce a dormire e si rigira nel letto, la loro mente incostante si  capovolge e cambia parere; non hanno la pazienza di leggere un libro, di giocare una o due partite, di camminare per un miglio, restare seduti per un’ora etc. incoraggiati e scoraggiati in un istante; spronati a compiere un’impresa e poi di nuovo abbattuti per una parola detta.

Essi sono estremamente appassionati, quidquid volunt, valde volunt [qualunque cosa desiderino, la desiderano intensamente, NdCant]; e cercano ostinatamente ciò che desiderano, sempre ansiosi e molto preoccupati, diffidenti e timorosi, invidiosi, maliziosi, generosi a volte, parsimoniosi altre volte, ma per lo più bramosi, lamentosi, lagnosi, scontenti e sempre inclini a protestare, a serbare rancore, stizzosi, iniuriam tenaces [restii a sopportare le offese, NdCant], vendicativi, facili all’ira, e assai violenti in tutte le loro fantasie, sgradevoli nel discorso, o inclini alla volgarità, ma scontrosi, cupi, tristi, severi; sempre cogitabundi, assai pensierosi e, come Albrecht Durer raffigura la melanconia, come una donna triste che si regge il capo con un braccio, con lo sguardo fisso e l’aspetto trascurato etc. animati dunque da una certo orgoglio, deboli, storditi o mezzi matti, come gli abderiti75 pensavano di Democrito; e tuttavia capaci di pensare in profondità, di comprensione eccellente, giudiziosi, saggi e dotati di spirito: poiché io sono del parere di quel nobiluomo, per il quale la melanconia fa progredire le idee degli uomini più di ogni altro umore, e migliora le loro riflessioni più di qualunque tonico o vino secco. Dimostrano profondità di giudizio relativamente ad alcune questioni, anche se in altre non recte iudicant inquieti [non giudicano correttamente perché sono agitati, NdCant], come dice Fracastorius in lib. 2. de Intell. e, come afferma Giovanni Arcolano (in 9. Rhasis cap. 16.), iudicium plerumque perversum, corrupti [sono alterati nel giudizio, corrotti, NdCant] cum iudicant honesta, inhonesta; & amicitiam habent pro inimicitia: chiamano disonestà l’onestà, e considerano nemici gli amici; essi maltratteranno i loro migliori amici ed invece non oseranno offendere i nemici. Sono per lo più codardi, et ad inferendam iniuriam timidissimi, come dice Cardano76 in lib. 8. cap. 40. de rerum varietate, cioè assai riluttanti ad offendere; e se capita loro di esagerare con le parole o gli atti, o di trascurare e dimenticare qualsiasi piccolo dettaglio o circostanza, quando se ne accorgono sono dolorosamente tormentati e immaginano per se stessi mille pericoli e disagi, ex musca elephantem [fanno di una mosca un elefante, NdCant]: felicissimi e fuori di sé per una parola favorevole, una buona notizia o un evento fausto, sono poi di nuovo afflitti oltre misura, in preda al dolore, contrariati, abbattuti, disorientati, insofferenti, completamente rovinati per ogni piccola seccatura, per una cattiva notizia, un malinteso, una perdita, un pericolo. Spaventati, e sospettosi di tutto. E ciononostante, però, molti di questi folli disgraziati sono incauti, avventati, pronti a farsi ammazzare, come se fossero del tutto insensibili alla paura e al dolore, come dice Ercole Sassonia, assai temerari e simili a coloro che osano andare in giro da soli la notte, per deserti e luoghi pericolosi, senza alcun timore.

Sono poi inclini all’amore, e facili da conquistare: propensi ad amorem et excandescentiam (Montaltus cap. 21.), si innamorano velocemente e si affezionano a tutte; amano una donna teneramente, finché non ne vedono un’altra, e così si affezionano a questa, et hanc, et hanc, et illam, et omnes [e questa, e poi quest’altra, e poi quella, e tutte, NdCant], la nuova donna li appassiona più delle altre, e solitamente l’ultima è quella di cui sono più innamorati. Alcuni, tuttavia, refrattari all’amore [anterotes], non possono sopportare la vista di una donna, aborriscono il sesso, come quel melanconico duca di Moscovia, che immediatamente si sentiva male se appena scorgeva delle donne; e quell’anacoreta, che era colpito da una paralisi quando una donna era portata al suo cospetto.

Sono anche umorali oltre misura, talvolta ridono a crepapelle, sono straordinariamente allegri, e poi di nuovo piangono senza motivo (come è tipico di molte gentildonne), singhiozzano, diventano lamentosi, pensosi, tristi, quasi assenti, multa absurda fingunt et a ratione aliena (dice Frambesarius77): fingono molte cose assurde, vane, irragionevoli: uno immagina di essere un cane, un cavallo, un gallo, un orso, un bicchiere, un pezzo di burro, etc. Un altro finge di essere un gigante, un nano, forte come cento uomini, un signore, un duca, un principe, etc. E se gli viene detto che ha l’alito cattivo, un grosso naso, o che è malato, o incline a soffrire di questa o quella malattia, egli se ne persuade immediatamente e, probabilmente per la forza dell’immaginazione, manifesterà i segni della malattia. Molti di loro sono inamovibili e rigidi nelle loro convinzioni, altri cambiano parere riguardo qualsiasi cosa che vedono o sentono. Se assistono a uno spettacolo teatrale, una settimana dopo continuano a meditare su di esso; se ascoltano musica o assistono a una danza, nel loro cervello non hanno altro che cornamuse; se assistono ad un combattimento, sono ossessionati dalle armi. Se subiscono un torto, quel torto li amareggia per molto tempo, e lo stesso accade quando gli capita una seccatura, etc. Inquieti nei loro pensieri e nelle azioni, rimuginano sempre, velut aegri somnia, vanae finguntur species78 [creano immagini assurde come i sogni di un malato, NdCant]; più simili a sognatori che a uomini svegli, essi inventano una serie di idee incredibili e fantastiche, hanno i pensieri più fatui, impossibili da realizzare, o a volte credono sinceramente di udire e di vedere con i propri occhi fantasmi e coboldi che suscitano in loro paura, sospetto e avversione, ma con i quali tuttavia confabulano e si accompagnano. Insomma, cogitationes somniantibus similes, id vigilant, quod alii somniant cogitabundi [durante la veglia rimuginano su pensieri simili a quelli che le altre persone producono in sogno, NdCant]; dunque (dice Avicenna), essi pensano alla maniera in cui gli altri sognano; e pertanto per la maggior parte le loro idee e le loro fantasie sono facezie vane, assurde e sciocche, ma ciononostante essi vi prestano grande interesse ed attenzione; continuamente et supra modum, (Rhasis cont. lib. 1. cap. 9.) praemeditantur de aliqua re [e oltre misura rimuginano su ogni questione, NdCant]. Sono seri riguardo a una sciocchezza come se si trattasse del problema più urgente, di una questione della massima importanza, e ci pensano sempre, sempre, senza sosta, saeviunt in se [si accaniscono contro se stessi, NdCant], consumandosi. Anche se parlano con voi e sembrano attenti a tutt’altro, e a ciò che state loro dicendo, solleciti e impegnati, tuttavia quella sciocchezza continua a tornar loro in mente, quella paura, quel sospetto, quell’affronto, quella gelosia, quel patimento, quella preoccupazione, quel fastidio, quel castello in aria, quella fantasticheria, quella stravaganza, quella fantasia, quel piacevole sogno ad occhi aperti o qualunque cosa essa sia. Nec interrogant, nec interrogati recte respondent [né domandano, né rispondono come si conviene se si fa loro una domanda, NdCant] (dice Fracastorius), non prestano molta attenzione a quel che dite, la loro mente è assorta in altre faccende; chiedete loro quello che vi pare, essi non ascoltano né capiscono molto dell’attività in cui sono impegnati, ma dimenticano quello che essi stessi stanno dicendo o facendo, o quello che dovrebbero dire o fare, o dove stanno andando, distratti dai loro pensieri melanconici. Uno scoppia a ridere all’improvviso, un altro sogghigna tra sé e sé, un terzo si imbroncia, grida, le sue labbra si serrano, gesticola con la mano mentre cammina, etc. È tipico di tutti gli uomini melanconici di accanirsi, concentrarsi al massimo ed essere continuamente sollecitati da un’idea su cui hanno indugiato in precedenza, dice Girolamo Mercuriale in consil. 11. Invitis occurrit [accade loro malgrado, NdCant], qualunque cosa facciano non possono liberarsene, sono costretti a ritornare con il pensiero su quell’idea mille volte contro la loro volontà, perpetuo molestantur, nec oblivisci possunt [sono sempre molestati da essa e non riescono a dimenticarla, NdCant], essa li disturba continuamente, in compagnia o quando sono soli; durante i pasti o l’esercizio fisico, ad ogni ora e in ogni luogo, non desinunt ea, quae minime volunt, cogitare [non possono smettere di riflettere sulle cose alle quali non vorrebbero pensare, NdCant], specialmente se moleste, non possono dimenticarle, continueranno a tormentarsi a costo di perdere il sonno e il riposo, Sysiphi saxum volvunt sibi ipsis [trascinano con sé la pietra di Sisifo, NdCant], come osserva Balthasar Brunner, perpetua calamitas et miserabile flagellum [disgrazia perpetua e castigo penoso, NdCant].

Cratone, Laurentius e Fernelius indicano la timidezza come sintomo comune; subrusticus pudor o vitiosus pudor (scontrosità o pudore malsano, NdCant) è una cosa che li tormenta e di cui soffrono molto. Se sono stati maltrattati, derisi, disonorati, sgridati, etc. o se sono indisposti a causa di una qualche agitazione della mente, ciò li affligge al punto che spesso si sentono abbattuti e così scoraggiati, avviliti, che non si azzardano ad uscire di casa, specialmente in compagnia di estranei, e non si occupano più delle loro faccende quotidiane; così infantili, spaventati e timidi che non riescono a guardare nessuno negli occhi; alcuni sono più affetti da questo problema, altri meno, alcuni più a lungo, altri per più breve tempo, con attacchi passeggeri etc. anche se alcuni altri, invece (secondo Fracastorius) sono inverecundi et pertinaces, temerari e spudorati. Ma di solito sono molto timidi, e questo fa sì che essi rifiutino incarichi, onori e promozioni che a volte hanno a portata di mano (secondo Petrus Blesensis79, Christopher Urswick80 e molti altri); non riescono a parlare e a proporsi come fanno gli altri, timor hos, pudor impedit illos, il timore e la timidezza ostacolano le loro azioni, si accontentano della loro attuale condizione, refrattari ad assumersi ogni incarico, e pertanto quasi certamente non si affermeranno mai. Per questa ragione, inoltre, essi raramente fanno visita agli amici, fatta eccezione per pochi famigliari; sono pauciloqui, di poche parole, e spesso del tutto taciturni. Il francese Frambesarius ebbe due pazienti di questo genere, omnino taciturnos: i loro amici non riuscivano a farli parlare; Rodrigo da Fonseca81 in consult. Tom. 2. 85. consil. porta l’esempio di un giovane uomo, di ventisette anni, che era spesso silenzioso, timido, scoraggiato, solitario, che saltava i pasti e non dormiva, e che tuttavia in alcuni momenti era soggetto all’ira etc.

Come afferma Felix Plater, per la maggior parte i melanconici sono desides, taciturni, aegre impulsi, nec nisi coacti procedunt [indolenti, taciturni, indisposti, e non si fanno avanti se non sono costretti, NdCant] etc. a malapena sentono l’obbligo di fare ciò che li riguarda, anche quando è per il loro bene, e sono assai diffidenti, spenti, di poca o nessuna compagnia, insocievoli, refrattari alla confidenza, soprattutto con gli estranei; preferirebbero scrivere ciò che pensano piuttosto che dirlo ad alta voce, e amano sopra ogni cosa la solitudine. Ob voluptatem, an ob timorem soli sunt? Sono così solitari perché a loro piace così (potremmo chiederci) o per paura? Per entrambe le cose: tuttavia, penso, soprattutto per la paura e la tristezza etc.

Hinc metuunt, cupiuntque, dolent, fugiuntque nec auras
Respiciunt, clausi tenebris, et carcere caeco
82.
Perciò essi temono e soffrono, evitando la luce, e si rinchiudono in prigioni tenebrose sottraendosi alla vista.

Come Bellerofonte in Omero,
Qui miser in sIlvis maerens errabat opacis,
Ipse suum cor edens, hominum vestigia vitans,

che vagava nei boschi triste e solitario, evitando la società degli uomini, emettendo profondi lamenti,

a loro piacciono i fiumi e gli specchi d’acqua, i luoghi deserti, amano camminare da soli per pascoli, giardini, sentieri nascosti, strade di servizio; avversi alla compagnia, come Diogene nella sua tinozza o Timone il misantropo83, finiscono per detestare ogni compagno, anche le più strette conoscenze e gli amici intimi, perché, oso dire, credono che tutti gli uomini li osservino, e che saranno derisi, fatti oggetto di scherno e di maltrattamenti; rintanandosi completamente nelle loro case o nelle loro stanze, quindi, fugiunt homines sine causa et odio habent [evitano gli uomini senza motivo e  li hanno in odio, NdCant], (dice Rhasis in cont. lib. 1. cap. 9.): si prepareranno i pasti da soli, si nutriranno e vivranno per conto loro. Fu questa una delle ragioni principali per cui i cittadini di Abdera sospettarono che Democrito fosse melanconico e pazzo, poiché come riferiva Ippocrate nella sua lettera a Filopemene, costui aveva abbandonato la città e viveva sempre, giorno e notte, nel sottobosco e negli alberi cavi, sulle sponde di un torrente, o nel luogo in cui confluivano le acque. Quae quidem (egli dice) plurimum atra bile vexatis, et melancholicis eveniunt; deserta frequentant, hominumque congressum aversantur [le quali cose spesso accadono agli uomini affetti dall’atrabile e ai melanconici; essi frequentano i luoghi deserti e hanno orrore della compagnia degli uomini, NdCant], che è una cosa normale per i melanconici. Pertanto gli egizi, nei loro geroglifici, rappresentavano un uomo melanconico per mezzo della sagoma di una lepre accovacciata, perché essa è una creatura timorosa e solitaria, come scrive Pierius84 in Hieroglyph, lib. 12. Ma questo, e tutti i sintomi precedenti, sono più o meno evidenti a seconda di come l’umore si intensifica o si riduce, dunque quasi o del tutto impercettibili in alcuni, assolutamente manifesti in altri. Puerili per come si manifestano in alcuni, terribili in altri, risibili in quest’uomo, da compatire o da ammirare in un altro, colpiscono un tale con attacchi acuti, talaltro in modo continuo: e se alcuni di questi sintomi possono essere comuni alla natura di tutti gli uomini, sono tuttavia più notevoli, frequenti, forti e violenti negli uomini melanconici. In una parola, non esiste nulla di così vano e ridicolo, assurdo, stravagante, impossibile, incredibile, non esiste chimera così mostruosa, prodigiosa e strana, così inaccessibile agli sforzi dei pittori e dei poeti, che i melanconici non siano intimamente capaci di temere, inventare, immaginare e della quale non avrebbero sospetto: e potreste seriamente dire di loro quello che Lodov. Vives ebbe a dire per scherzo di un suo sciocco compatriota, che avrebbe ucciso il suo asino per essersi bevuta la luna nel pozzo, ut lunam mundo redderet [affinché restituisse la luna al mondo, NdCant]. Essi concepiranno e metteranno in atto ogni genere di comportamenti estremi, controversi o contraddittori, in varietà infinite.  Melancholici plane incredibilia sibi persuadent, ut vix omnibus saeculis duo reperti sint, qui idem imaginati sint (afferma Erastus85 in De Lamiis): a malapena due su duemila hanno sintomi coincidenti; neppure la torre di Babele poté mai produrre una confusione delle lingue paragonabile alla confusione che il Caos della melanconia apporta alla varietà dei sintomi. C’è fra tutti i melanconici, come fra i volti di tutti gli uomini, una dissimile somiglianza, similitudo dissimilis; e come, in un fiume, noi nuotiamo nello stesso punto ma non nella stessa acqua, come uno stesso strumento consente differenti applicazioni, così la stessa malattia produce una varietà di sintomi. E per quanto questi possano essere differenti, intricati e difficili da distinguere, io mi avventurerò in questa vasta confusione e in questo insieme, per mettervi un po’ di ordine e scendere nei particolari.

42: https://it.wikipedia.org/wiki/Diocle_(medico)
43: https://es.wikipedia.org/wiki/Luis_Mercado
44: https://it.wikipedia.org/wiki/Manto
45: https://it.wikipedia.org/wiki/Carmenta
46: https://it.wikipedia.org/wiki/Mopso_(mitologia)
47: https://it.wikipedia.org/wiki/Proteo
48: Il riferimento è agli indovini, nei Problemata dello pseudo-Aristotele, già presentati in questo thread: https://depressione.forumattivo.com/t3194-lettura-condivisa-the-nature-of-melancholy#30625
49: https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Battista_Della_Porta
50: https://www.treccani.it/enciclopedia/donato-antonio-altomare_(Dizionario-Biografico)/
51: https://nl.wikipedia.org/wiki/Jason_Pratensis
52: https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_XI_di_Francia
53: https://it.wikipedia.org/wiki/Girolamo_Fracastoro
54: Virgilio, Eneinde, libro II, 728
55: https://es.wikipedia.org/wiki/Crist%C3%B3bal_de_Vega
56: https://it.wikipedia.org/wiki/William_Perkins
57: https://it.wikipedia.org/wiki/Ecate
58: https://it.wikipedia.org/wiki/Fidus_Achates
59: https://it.wikipedia.org/wiki/Cosma_e_Damiano
60: https://fr.wiktionary.org/wiki/agelaste
61: https://it.wikipedia.org/wiki/Trofonio
62: Battista Mantovano, Adolescentia, I, 170
63: https://it.wikipedia.org/wiki/Tizio
64: https://it.wikipedia.org/wiki/Heautontimorumenos
65: https://it.wikipedia.org/wiki/Ate
66: https://it.wikipedia.org/wiki/Post_equitem_sedet_atra_cura#:~:text=La%20locuzione%20latina%20Post%20equitem,una%20costante%20e%20gravosa%20disciplina
67: Virgilio, Eneide, libro IV, 73
68: Terenzio, Heautontimorumenos, vv. 131-136
69: Orazio, Epistole, I, 1
70: Seneca, Lettere a Lucilio, I, 4
71: https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Battista_Monte
72: Orazio, Odi, III, 9
73: Orazio, Satire, II, 7
74: Persio, Satire, III
75: https://www.treccani.it/vocabolario/abderita
76: https://it.wikipedia.org/wiki/Gerolamo_Cardano
77: https://fr.wikipedia.org/wiki/Nicolas_Abraham_de_La_Framboisi%C3%A8re
78: Orazio, Ars Poetica, I, 7-8
79: https://it.wikipedia.org/wiki/Pierre_de_Blois
80: https://en.wikipedia.org/wiki/Christopher_Urswick
81: https://it.wikisource.org/wiki/Autore:Rodrigo_da_Fonseca
82: Virgilio, Eneide, libro VI, 733-734
83: https://it.wikipedia.org/wiki/Timone_d%27Atene_(ateniese)
84: https://it.wikipedia.org/wiki/Pierio_Valeriano
85: https://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Erastus
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Lettura condivisa: The Nature of Melancholy - Pagina 2 Empty Burton: gli stati melanconici 5/5

Messaggio  canterel II Dom Nov 29, 2020 12:23 pm

Per finire con l’Anatomia della melanconia di Robert Burton,

in quest'ultima sezione proposta salutiamo l'autore mentre è intento a strologare dell'influenza degli astri e delle mescolanze dei quattro umori in forma cosiddetta adusta (ossia bruciata) per spiegare, con questi mezzi a sua disposizione, le contraddizioni emerse precedentemente nella sintomatologia della melanconia. Burton deve collegare e allo stesso tempo distinguere forme e fenomeni, e non può fare ricorso né alla fisiologia moderna (che al tempo suo non era ancora stata sviluppata) né, ovviamente, a teorie di psicologia dinamica. Deve quindi completare il suo quadro con una suddivisione in tipi e sottotipi rigidi e discreti, che tengono insieme come un solo oggetto il complesso dell'individuo e delle sue caratteristiche normali e quello dei suoi sintomi e dei suoi malanni. Lo sforzo di ricondurre a una razionalità nomotetica gli esempi particolari della melanconia, anche i più bizzarri, finisce così per affidarsi alla lotteria dei segni zodiacali e a rielaborazioni sempre più raffinate e speciose delle tradizioni ippocratiche e galeniche.
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Sintomi particolari dovuti all’influenza degli astri; delle parti del corpo, e degli umori

Alcuni hanno sintomi peculiari, secondo il loro temperamento e il loro momento critico, la varietà di ingegni e di disposizioni che dipendono dalle stelle e dalle influenze celesti, come afferma Antonio Zara86 (in Anat. ingen. sect. I. memb. II. 12. 13. 14.), plurimum irritant influentiae caelestes, unde cientur animi aegritudines et morbi corporum [moleste per la maggior parte sono le influenze celesti, da cui derivano le malattie dell’anima e i malanni del corpo, NdCant]. Si può dire che diverse malattie del corpo e della mente procedono dall’influenza degli astri, come ho già dimostrato sulla base di Tolomeo, Pontano87, Lemnius, Cardano ed altri, in quanto essi, irradiandosi a vicenda, sono i principali indicatori dei caratteri e delle malattie, ossia i reggitori del cielo natale, etc. Tolomeo, nel suo Centiloquio88 (oppure Ermete Trismegisto, o chiunque altro sia l’autore di quel trattato), attribuisce tutti i sintomi dei melanconici alle influenze celesti: opinione che è rifiutata da Girolamo Mercuriale (in de affect. lib. 1. cap. 10.); ma che, come ho detto, Pontano ed altri difendono fermamente. Costoro ascrivono interamente alle stelle il fatto che alcuni siano solitari, spenti, oppressi, scortesi; che altri siano invece allegri, esuberanti, leggeri e contenti. Poiché, se Saturno è dominante nel cielo natale di un uomo e determina un temperamento melanconico, allora egli sarà molto grave, tetro, scortese, nero, profondo nelle sue riflessioni, pieno di preoccupazioni, di pene e di lagnanze, triste e spaventato, sempre taciturno, solitario, sempre incline a preferire i lavori agricoli, in prossimità di boschi, pascoli, orti, fiumi, laghi, stagni, sentieri ombrosi e recinti; cogitationes sunt velle aedificare, velle arbores plantare, agros colere, etc. catturare uccelli, pescare etc. sempre fantasticando e facendo piani riguardo a questi argomenti. Se invece Giove è dominante, i nuovi nati saranno più ambiziosi, sempre interessati ai regni, alle magistrature, alle cariche, agli onori, a immaginare di essere principi e potentati e come si comporterebbero in quella posizione etc. Se Marte è dominante, si appassioneranno alle guerre, ai combattimenti temerari, ai duelli, e saranno irascibili, collerici, scapestrati, incauti, furiosi e violenti nelle loro azioni. Si immagineranno vincitori, condottieri, saranno impulsivi, sardonici, grandi millantatori, rubicondi. Ed anche se saranno meschini a vedersi, abietti e miseri, ciononostante, come Telefo89 e Peleo secondo il poeta

Ampullas iactant et sesquipedalia verba90 [pronunciano frasi ampollose ed eccessive, NdCant],

si riempiono la bocca di miriadi e hanno sempre sulla lingua i nomi dei tetrarchi.
Se il Sole è dominante saranno signori, imperatori, almeno nell’idea che avranno di se stessi, e monarchi, e distribuiranno titoli, onori, etc. Se Venere è dominante, corteggeranno sempre le loro dame e saranno assai inclini all’amore, propensi alla voluttà, facilmente portati ad ascoltare la musica, assistere a spettacoli, guardare pregevoli dipinti, danzatori, trattenimenti e cose simili. Saranno sempre innamorati e si appassioneranno a tutto ciò che vedono. I nati sotto il segno di Mercurio saranno solitari, molto contemplativi, sottili, poeti e filosofi, e per lo più si occuperanno di queste cose. Se la Luna ha un influsso, i nuovi nati saranno interessati alle peregrinazioni, alla navigazione in mare, molto attratti dai viaggi e dai discorsi, dalle letture e dalle riflessioni su queste cose; errabondi nei loro pensieri, mutevoli, amanti dell’acqua, della pesca, dell’uccellagione, etc.

Ma i sintomi più evidenti derivano dal temperamento stesso, e dalle parti dell’organismo come la testa, il fegato, la milza, le vene meseraiche, il cuore, il ventre, lo stomaco etc. e, specialmente, dallo squilibrio degli spiriti (che sono completamente immateriali secondo quanto sostiene Ercole Sassonia), o dai quattro umori che si raccolgono in quelle sedi, caldi o freddi, naturali o innaturali, innati o avventizi, aumentati o dissipati, schietti o misti, considerando che le loro diverse mescolanze, e le loro numerose combustioni e combinazioni, potrebbero essere altrettanto variabili quanto lo sono le quattro qualità primarie secondo Clavius91, e produrre tanti sintomi e aberrazioni della mente quanti ne provoca il vino, che sono infiniti, come osserva Andreas Bachius in lib. 3. de vino cap. 20. I più notevoli sono i seguenti.

Se si tratta della melanconia naturale, che Lod. Mercatus in lib. 1. cap. 77. de melan. e Timothie Bright92 in cap. 16. hanno ampiamente descritto, proveniente dalla milza o dalle vene, abnorme per eccesso di quantità o per la densità della sostanza, essa è un umore freddo e secco, come afferma Montanus (in consil. 26.); gli individui affetti allora saranno tristi, timorosi e spaventati. Prospero Calano93 nel suo libro de atra bile sostiene che essi saranno più stupidi della norma, freddi, pesanti, spenti, solitari, abulici, si multam atram bilem et frigidam habent [se avranno molta bile nera e fredda, NdCant] (…).

(…) Questi sintomi variano secondo la mescolanza degli altri umori non bruciati, oppure della mescolanza dei quattro umori bruciati, che è la melanconia innaturale. Poiché, come ha scritto Trallianus94 (in cap. 16. lib. 1.), non si dà una sola causa della melanconia, e non è un solo umore a generarla, ma diversi umori variamente frammisti, da cui deriva la varietà di sintomi; e quelli variano ancora a seconda che siano caldi o freddi. La melanconia fredda (dice Benedetto Vittori95 in prac. mag.) è causa di rimbambimento e di sintomi più lievi; ma se è calda o perfino bruciata, essa è causa di più violente passioni e di furori. Fracastorius in lib. 2. de intellect. ci invita a considerare attentamente da quale tipo di melanconia ciascuno sia colpito, poiché saperlo è di grande utilità: un melanconico sarà reso furioso dal calore ardente, un altro sarà posseduto da una fredda tristezza, uno sarà timido e spaventato; un altro ancora impudente e temerario, come Aiace

arma rapit superosque furens in proelia poscit [afferra le armi e, furente, sfida i mortali in combattimento, NdCant];

egli è davvero folle, o incline alla follia, nunc hos, nunc impetit illos [assale ora questi, ora quelli, NdCant]. Bellerofonte, d’altra parte, solis errat male sanus in agris [vaga impazzito per le lande desolate, NdCant]; e un altro melanconico si dispera, piange ed è stanco di vivere, un altro ride, etc. Tutta questa varietà è prodotta dai diversi gradi di caldo e di freddo, che Ercole Sassonia considera interamente imputabili al solo squilibrio degli spiriti, in particolare degli spiriti animali, e ritiene che quelle qualità immateriali siano cause prossime e immediate della melanconia a seconda che siano caldi, freddi, secchi, umidi; e dalla loro agitazione deriva principalmente quella varietà di sintomi che egli ricapitola, nel cap. 13. del suo Trattato sulla melanconia. Altri invece li fanno derivare dalle diverse combustioni dei quattro umori che, nel caso della melanconia innaturale, a causa della corruzione del sangue, o della bile gialla adusta, o della melanconia naturale, trasformati in cenere da un eccesso di calore per forza di combustione provocano, secondo la diversità della loro composizione, diversi e strani sintomi che Timothie Bright passa in rassegna nel capitolo seguente del suo trattato. E così anche Giovanni Arcolano, e molti altri, fanno risalire i sintomi alla combustione dei quattro umori principali.

Per esempio se [la melanconia innaturale] procede dal flegma adusto (come avviene raramente e non così spesso come dagli altri umori), essa fa sorgere sintomi di infiacchimento, e una specie di stupidità, o di ottundimento della sensibilità: dice Michele Savonarola96 che essi sono letargici, lenti, ottusi, asinini, ed anche Melantone parla di melancholia asinina; costoro sono facili al pianto, ed amano l’acqua, laghi, stagni, fiumi, la pesca e l’uccellagione etc. (secondo Arnaldo da Villanova97 in breviar. 1. cap. 18.), sono pallidi, pigri, sonnolenti, pesanti; spesso soffrono di cefalea, rimuginano continuamente e borbottano tra sé, sognano di corsi e specchi d’acqua, e di essere sul punto di annegare, e di ciò hanno paura, secondo Rhasis.          
Sono più grassi degli altri melanconici, più pallidi, di colorito torbido, più inclini a sputare e a dormire, più spesso sofferenti di reumatismi rispetto agli altri, ed hanno gli occhi sempre fissi a terra. Ercole Sassonia ebbe una paziente di questo tipo, una vedova di Venezia, che era grassa e sempre molto sonnolenta; Christophorus a Vega ne ebbe un altro che aveva gli stessi sintomi. Se la melanconia è cronica o acuta, i sintomi sono più evidenti: essi appaiono chiaramente rimbambiti e si rendono ridicoli agli occhi degli altri, in tutti i loro gesti, nei discorsi e nelle azioni; immaginano cose impossibili, come quel tale, di cui riferisce Christophorus a Vega, che credette di essere un barilotto di vino, o quel senese che decise di non pisciare perché temeva di allagare tutta la città.

Se invece la melanconia innaturale deriva dal sangue adusto, o se ad essa si mescola del sangue, sono comunemente di carnagione rossastra, di colore acceso, secondo Sallustio Salviani ed Ercole Sassonia. Come aggiungono inoltre Michele Savonarola e Benedetto Vittori in Empir. le vene degli occhi di costoro saranno rosse come i loro volti. Essi sono molto inclini a ridere, spiritosi e allegri, vanitosi nei loro discorsi, piacevoli quando non sono esagerano, molto portati per la musica, la danza e la compagnia delle donne. Sono molto assorbiti da queste cose, e pensano di vedere o ascoltare drammi, danze e simili trattenimenti (del tutto liberi dalla paura e dalla tristezza, come suppone Ercole Sassonia) se sono posseduti più fortemente da questo tipo di melanconia (aggiunge Arnaldo da Villanova in Breviar. lib. 1. cap. 18.), come quel tale di Argo che, secondo il poeta98, stava seduto tutto il giorno ridendo come se fosse a teatro. Aristotele fa cenno ad un altro uomo simile, vissuto ad Abido, città dell’Asia minore, che stava seduto allo stesso modo, come se si trovasse su un palco, e a volte recitava, altre volte applaudiva e rideva come se fosse molto divertito dallo spettacolo. Wolfius riferisce di un suo compatriota detto Brunsellius, soggetto all’influenza di questo umore, il quale trovandosi un giorno per caso ad assistere a un sermone vide una donna mezzo addormentata cadere da una panca, davanti alla quale la maggior parte dei convenuti scoppiò a ridere, ma costui, per parte sua, ne fu così colpito che per tre giorni di seguito dopo l’episodio non poté fare altro che ridere, e in tal modo egli fu assai indebolito e la sua salute peggiorò per lungo tempo. Simile a costoro fu Sofocle, e lo stesso Democrito in questo spirito ebbe hilare delirium [delirio allegro, NdCant]. Laurentius in cap. 3. de melan. pensa che questo genere di melanconia, che è un po’ bruciata e mescolata ad una parte di sangue, sia ciò a cui si riferiva Aristotele quando disse che fra tutti gli altri uomini i melanconici sono i più arguti, la qual cosa provoca spesso una divina mania e una specie di entusiasmo, che li porta ad essere eccellenti filosofi, poeti, profeti etc. Girolamo Mercuriale in consil. 110. porta l’esempio di un giovane uomo suo paziente, affetto da melanconia del sangue, dotato di grande arguzia e straordinariamente erudito.

Se la melanconia deriva da bile gialla adusta, sono temerari e impudenti, e di indole più scapestrata, inclini al litigio, e portati ad avere pensieri riguardanti battaglie, scontri, e la propria virilità, furiosi, impazienti nei loro discorsi, rudi, irrefragabili e prodigiosi nelle loro credenze e, se urtati, violentissimi, oltraggiosi, pronti a diffamare e a provocare chiunque, a uccidersi e ad uccidere; soggetti inoltre ad attacchi furiosi di pazzia secondo Arnaldo da Villanova; dormono poco, la loro urina è pallida e ardente (Guianerius99). Nel corso dei loro attacchi li sentirete parlare in tante lingue che non hanno mai appreso o conosciuto in precedenza, come l’ebraico, il greco e il latino. Apponensis100 in com. in 1. Prob. sec. 30. racconta di una pazza che parlava in un latino straordinariamente fluente; e Rhasis ne conobbe un’altra, che durante i suoi attacchi poteva emettere profezie, e prevedere cose che sarebbero davvero accadute in seguito. Guainerius ebbe un paziente, altrimenti illetterato, che tuttavia poteva comporre versi in latino nei periodi di luna nuova [“when the moon was combust”]. Avicenna ed alcuni dei suoi discepoli sostengono che questi sintomi, quando si presentano, procedano dal diavolo, e che questi pazienti siano piuttosto daemoniaci, posseduti, che non matti o melanconici, oppure che siano affetti da entrambe le condizioni, come pensa Jason Pratensis, immiscent se mali genii [gli spiriti maligni si uniscono a loro, NdCant] etc. ma i più ascrivono questi fenomeni all’umore, riconducendoli interamente alla sua qualità e alla disposizione del soggetto, secondo l’opinione sostenuta con fermezza da Montaltus (in cap. 21.), che confuta Avicenna e gli altri.  Cardano in de rerum var. lib. 8. cap. 10. afferma che, fra tutti, questi siano gli uomini più inclini a farsi ammazzare, coraggiosi, gagliardi, feroci e audaci al punto da accettare ogni rischio a causa della loro bile gialla adusta. Questo umore, egli dice, li predispone ad affrontare la morte stessa e ogni sorta di tormento con invincibile coraggio, ed è prodigioso, ut supra naturam res videatur [come se si assistesse ad un fenomeno soprannaturale, NdCant] vedere con quale alacrità essi si sottoporranno a tali torture: egli ascrive questa prodigalità, questa furia, o piuttosto questa stupidità, alla combustione della bile gialla e alla melanconia; ma io considero costoro più come dei pazzi o dei violenti, che non propriamente dei melanconici, perché normalmente quando questo umore è così bruciato e caldo, esso degenera nella pazzia.

Se la melanconia innaturale deriva dallo stesso umore melanconico adusto, secondo Avicenna gli uomini affetti saranno normalmente tristi e solitari, in modo continuo ed eccessivo, straordinariamente sospettosi, timorosissimi, e avranno fantasticherie lunghe, dolorose e assai perverse; freddi e neri, timidi, e molto solitari, come scrive Arnaldo da Villanova, non tollerano nessuna compagnia, sognano di sepolcri e di defunti, e credono di essere essi stessi affatturati o morti: se soffrono di melanconia acuta, crederanno di udire rumori fastidiosi, di vedere l’uomo nero e di parlare con esso, e di conversare abitualmente con i demoni o con altre strane chimere e visioni (Gordonius), o di essere posseduti da essi o che una voce parli con loro, oppure dentro di loro. Tales melancholici plerumque daemoniaci, secondo Montaltus (consil. 26. ex Avicenna). Valescus de Taranta101 ebbe in cura una donna simile, che pensava di incontrare il diavolo ogni notte; e Gentilis Fulgosus in quaest. 55. scrive di aver avuto un amico melanconico che pensava di essere seguito, sempre e dovunque si trovasse, da un uomo nero in abiti militari. Laurentius in cap. 7. presenta molte storie di individui che hanno creduto di essere affatturati dai loro nemici; e di alcuni altri che non consumavano i pasti perché si credevano morti. Nel 1550, un avvocato di Parigi ebbe un attacco di melanconia così forte che giunse a credere sinceramente di essere morto, e non poté essere persuaso del contrario, o a mangiare e bere, finché un suo compatriota, un erudito di Bourges, non si risolse a mangiare davanti a lui vestendo come un cadavere. Serres ci dà notizia del fatto che questa storia fu recitata in una commedia a cui assistette Carlo IX. Alcuni [melanconici] pensano di essere bestie, lupi, maiali, guaiscono alla maniera dei cani e delle volpi, ragliano alla maniera degli asini e muggiscono alla maniera delle mucche, come le figlie del re Preto102.  Hildesheim103 in spicel. 2. de Mania, porta l’esempio di un barone olandese che mostrava questi sintomi, e Trincavellius in lib. 1. consil. II. porta quello di un nobile del suo paese, convinto di essere certamente una bestia, capace di imitare quasi ogni verso animale, che presenta così tanti sintomi caratteristici da poter essere chiaramente ricondotto a questo genere di melanconia.

Se la melanconia deriva dalle varie combinazioni di questi quattro umori ossia dagli spiriti (Ercole Sassonia include quelli caldi, freddi, secchi, umidi, oscuri, confusi, stabili, compressi, materiali o immateriali) allora anche i sintomi sono similmente misti. Un melanconico si crede un gigante, un altro un nano; uno è pesante come il piombo, l’altro è leggero come una piuma. Marcello Donati104 in lib. 2. cap. 41. cita, traendolo da Seneca, il caso di un uomo ricco detto Senecio, il quale pensava di essere grande, e che grande fosse tutto ciò che lo riguardava: grande la moglie, grandi i suoi cavalli; non poteva sopportare oggetti piccoli e pretendeva grandi tazze per bere, grandi brache, e grandi scarpe, più grandi dei suoi piedi.  Simile è il caso, riportato da Trallianus, di quella donna che pensava di poter scuotere il mondo intero con un dito, e aveva paura che se avesse stretto le mani insieme avrebbe fatto il mondo in mille pezzi come una mela; o ancora la storia di quel tale, in Galeno, che pensava di essere Atlante e di portare la volta celeste sulle sue spalle. Un altro pensa di essere così piccolo da riuscire a strisciare nella tana di un topolino; uno teme che il cielo gli cadrà sulla testa; un altro si crede un gallo, e Guainerius afferma appunto di aver incontrato un tipo così a Padova, che batteva le mani ed emetteva il canto del gallo. Un altro pensa di essere un usignolo e perciò canta per tutta la notte, un altro ancora pensa di essere una brocca fatta di vetro, e pertanto non permetterà a nessuno di avvicinarglisi, e Laurentius giura di averne incontrato uno così in Francia. Christophorus a Vega (lib. 3. cap. 14.), Schenkius, e Marcello Donati in lib. 2. cap. 1. portano molti altri esempi e, fra i tanti, quello di un fornaio di Ferrara, che pensava di esser fatto di burro, e perciò non voleva sedersi al sole o avvicinarsi al fuoco, temendo di fondere; o ancora quello di un tale che pensava di essere una borsa di cuoio piena d’aria. Alcuni ridono, piangono, altri sono matti, altri abbattuti, avviliti, in grande agonia, alcuni soffrono di episodi acuti, altri in modo costante, etc. Alcuni hanno un orecchio guasto, pensano di udire musica o rumori fastidiosi che sono prodotti dalla loro fantasia, altri hanno guasta la vista, o l’olfatto: chi un senso, chi l’altro. Luigi XI aveva l’impressione che ogni cosa intorno a lui puzzasse, e per quanto si facesse portandogli profumi squisiti, non riusciva a dissipare quest’impressione, e continuava a sentire una puzza nauseabonda. Un poeta melanconico francese, secondo Laurentius, che soffriva di febbre e di insonnia, ricevette dal suo medico l’indicazione di applicare unguentum populeum per ungersi le tempie; ma fu talmente disgustato dall’odore del farmaco che in seguito, per molti anni, ebbe l’impressione che ne fosse impregnata ogni cosa a cui si avvicinava, e non permetteva a nessuno di parlargli se non a debita distanza, e non voleva indossare abiti nuovi perché gli pareva che emanassero quell’odore; riguardo ad ogni altra cosa, eccetto questa, era saggio e giudizioso e parlava con assennatezza. Secondo Anthony Verdeur, un gentiluomo di Limoges si era convinto di avere solamente una gamba, dopo essere stato terrorizzato da un cinghiale che lo aveva urtato casualmente alla gamba: non poté credere che la sua gamba fosse sana (sotto ogni altro aspetto, egli stava bene) finché due francescani, che per caso passavano da quelle parti, non riuscirono a distoglierlo dall'idea. Sed abunde fabularum audivimus [Ma ora abbiamo ascoltato storie a sufficienza, NdCant].  


86: http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/zara-antonio/
87: https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-pontano_%28Enciclopedia-Italiana%29/
88: https://en.wikipedia.org/wiki/Centiloquium
89: https://it.wikipedia.org/wiki/Telefo
90: Orazio, Ars Poetica, 97
91: https://it.wikipedia.org/wiki/Cristoforo_Clavio
92: https://depressione.forumattivo.com/t3194p25-lettura-condivisa-the-nature-of-melancholy#30845
93: https://data.bnf.fr/fr/12568870/prospero_calano/
94: https://it.wikipedia.org/wiki/Alessandro_di_Tralles
95: https://www.treccani.it/enciclopedia/benedetto-vittori_%28Dizionario-Biografico%29/
96: https://it.wikipedia.org/wiki/Michele_Savonarola
97: https://it.wikipedia.org/wiki/Arnaldo_da_Villanova
98: Orazio, Epistole, libro II
99: https://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-guaineri_(Dizionario-Biografico)/
100: https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_d%27Abano
101: https://es.wikipedia.org/wiki/Vasco_de_Taranta
102: https://it.wikipedia.org/wiki/Pretidi
103: https://de.wikipedia.org/wiki/Franz_Hildesheim
104: https://www.treccani.it/enciclopedia/marcello-donati_(Dizionario-Biografico)/


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Messaggio  canterel II Lun Nov 30, 2020 6:55 pm

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Pieter Jansz Quast, "Attori danzanti"


Samuel Butler: il carattere melanconico

Anche se le informazioni sulla sua vita sono scarse, sappiamo che Samuel Butler nacque ad Avon, in Inghilterra, nei primi mesi del 1612 in una famiglia benestante di piccoli proprietari terrieri; che ereditò una biblioteca dal nonno alla quale in seguito apportò delle aggiunte; e che, anche se non frequentò mai l’università, ricevette un’educazione formale in una scuola (probabilmente la King’s School di Worchester), dove gli fu impartito un rigoroso corso di studi classici comprendente grammatica, retorica e logica, oltre al greco e al latino.
Butler pubblicò molte opere, tra le quali il lungo poema “Hudibras”, che gli guadagnò il sostegno del re Carlo II, il quale gli corrispose trecento lire sterline e una pensione in riconoscimento della sua opera. È principalmente per questo poema che Butler è famoso, e a volte lo si identifica con l’appellativo “Hudibras” Butler, per distinguerlo dall’autore più tardo che porta lo stesso nome, Samuel “Erewhon” Butler (1835-1902).
Il libro dei Caratteri, dal quale leggeremo il ritratto del melanconico, fu scritto tra il 1667 ed il 1669. Il volume presenta quasi duecento differenti tipi umani, osservati dall’autore nella società in cui visse, nell’epoca della Restaurazione inglese. Accanto all’uomo melanconico, egli descrisse il Bifolco (Bumpkin) ovvero il signorotto di campagna (Country Squire), l’Ipocrita, il Cortigiano sbruffone, il Cattolico, il Curioso, il Superbo, e l’Anticonformista ipocrita. Il poema “Hudibras” riguarda chiaramente le questioni politiche relative alle dispute religiose dell’epoca di Butler, ma restituisce anche la visione cinica e satirica della follia e dell’ipocrisia umana che risaltano nei Caratteri.
La tradizione della descrizione dei caratteri composti in questa maniera risale a Teofrasto, filosofo greco e discepolo di Aristotele. Con il suo stile tipicamente arguto, che rivela sia la sua cultura che l’acuto spirito di osservazione, Butler è il maestro riconosciuto della tradizione dei caratteristi inglesi, in un’epoca in cui questo genere di letteratura era tornato di moda e gli educatori, i moralisti, gli autori di satira politica si lanciavano tutti nel tentativo di sviluppare questi ritratti.
I caratteri di Butler sono notevoli per i giochi di parole e le originali e sagaci analogie che contengono. Il ritratto del melanconico regala due tra le sue analogie migliori. L’uomo melanconico conduce la sua vita come quel tale che mena al guinzaglio un cane riluttante. E se la sua mente è piena di pensieri, questi tuttavia sono tutti vuoti come un trucco di scatole cinesi.
Anche se la presentazione dei caratteri si inscrive in una maniera letteraria basata sulla brutale semplificazione satirica e sull’esagerazione per ottenere effetti di distorsione, tuttavia il ritratto di Butler dice molto degli assunti diffusi nella sua epoca riguardo alla melanconia. Come i filosofi che lo hanno preceduto, anch’egli riconosce la milza, i fumi e i vapori interni come cause della malattia dell’uomo melanconico.
In questo brano, la melanconia è presentata sia come una variante normale della personalità umana, sia come una condizione patologica, e non sembra esservi alcuna tensione tra i termini di questa apparente contraddizione. In linea con la tradizione dei caratteri, il melanconico di Butler non è altro, a tratti, che un tipo di indole o di inclinazione. D’altra parte, si afferma che il melanconico abbia delle visioni e che senta le voci, e sembra altresì incapace di distinguere un’esperienza percettiva chiara e precisa da una confusa e inaccurata. Non è un matto, perché a paragone di costui è collocato “al di sotto del suo grado di follia”. Ma non è neppure una persona del tutto normale.

https://it.wikipedia.org/wiki/Hudibras
https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_II_d%27Inghilterra
https://it.wikipedia.org/wiki/Restaurazione_inglese

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Samuel Butler, “il melanconico”, dal libro dei Caratteri

Il melanconico è quel tale che vive con la peggior compagnia del mondo, ossia in compagnia di se stesso; e benché si ritrovi sempre a litigare e ad alimentare la discordia con se stesso, tuttavia non ha la forza di sostenere nessun'altra conversazione. Come una casa, la sua testa è infestata da spiriti maligni e apparizioni, che lo terrorizzano e lo mandano fuori di sé dallo spavento, finché [come quella] non rimane vuoto e abbandonato. Per lui il sonno e la veglia sono pressoché la stessa cosa, al punto che non riesce a distinguerli, e molte volte, quando sogna, crede di essere completamente sveglio e ha le visioni. I fumi e i vapori che esalano dalla sua milza e la sua ipocondria hanno macchiato e lordato il suo cervello (come le pareti di una stanza affumicata), al punto che il suo intendimento è annebbiato, ed egli non percepisce distintamente alcunché. La sua anima vive dentro al suo corpo, come una talpa sottoterra, che lavora nell’oscurità e solleva remore e dubbi creati dalla sua immaginazione, per rendere accidentato e infido ciò che prima era liscio ed agevole. Il suo cervello è così incrinato, che egli immagina di essere fatto di vetro, e ha paura che ogni cosa a cui si avvicina possa mandarlo in mille pezzi. Qualunque impressione che si insinui nella sua immaginazione si comporta come una vite, e più lui dà ad essa il giro per serrarla, più profondamente questa si annida, finché diviene impossibile svitarla. Poiché il temperamento del suo cervello è terroso [la teoria umorale associa l’elemento Terra alla melanconia, NdCant], freddo e secco, esso è adatto a nutrire i vermi, i quali vi affondano tanto in profondità che nessun rimedio naturale o artificiale avrà il potere di raggiungerli. Egli conduce la sua vita come quel tale che mena al guinzaglio un cane riluttante a seguirlo, trascinandolo finché a momenti non si strozza, ed è infatti questo il trattamento che il melanconico medita di riservare a se stesso nel luogo e nel momento opportuno, se solo gli capiterà di incontrare se stesso da solo. Dopo lunga e mortale faida tra il suo sé interiore e quello esteriore, i due stabiliscono infine di incontrarsi senza secondi [testimoni o padrini nei duelli, NdCant] per risolvere la lite, ed in quella circostanza uno dei due cade, mentre l’altro sgattaiola via e si dà alla fuga in una terra lontana, dalla quale non farà mai più pervenire sue notizie. Egli non confabula così tanto con nulla che non sia la sua immaginazione, la quale essendo incline a rappresentargli le cose in modo errato, gli fa credere che una cosa sia diversa da com’è veramente, e che lui abbia la facoltà di parlare con gli spiriti, i quali gli rivelano qualunque fantasia che gli passi per il capo, come accadde a quegli antichi selvaggi che, udendo dapprima le loro voci ripetute dall’eco nei boschi, conclusero che dovevano provenire da invisibili abitanti di quei luoghi solitari, e in seguito presero a credere che costoro fossero delle divinità, e le chiamarono silvani, fauni e driadi. Egli prende per rivelazioni i prodotti dell’infermità del suo temperamento, come fece Maometto con la sua epilessia [“falling sickness”], e trae ispirazione dalle voci della sua ipocondria. Come Eraclito, il filosofo querulo, egli si lamenta suscitando l’ilarità degli altri uomini, e di nulla si compiace se non della sua tristezza priva di contegno. La sua mente è piena di pensieri, ma questi sono tutti vuoti, come un trucco di scatole cinesi. Dorme poco, ma sogna tanto, e sogna proprio della grossa quando è sveglio. Ha visioni più remote di uno scozzese con il dono della chiaroveggenza [“second-sighted”1] e sogna di argomenti difficili ["dreams upon a hard point"] con ammirevole giudizio. Si trova decisamente a mal partito rispetto ad un matto, essendo al di sotto del suo grado di follia; poiché tra i matti il più matto domina tutti gli altri, e riceve l’obbedienza naturale di quelli che gli sono inferiori.

1: https://www.astonishinglegends.com/astonishing-legends/2019/7/31/second-sight-in-scotland?rq=second%20sight


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Messaggio  canterel II Mar Dic 08, 2020 12:56 am

Di tutti i personaggi trattati finora, questo sant'uomo è il primo che non riesce a suscitare in me un moto di simpatia. L'impressione che perorasse i processi alle streghe per rinfocolare i conflitti edipici con suo padre induce facilmente considerazioni sgradevoli. E non condivido il giudizio abbastanza lusinghiero di Radden sulla sua prosa, che mi sembra più pesante che secca, più ostinata che acuta, nonché zeppa di pompose maiuscole (in gran parte emendate nella mia versione per comodità e uniformità di stile). Tuttavia, mi sembra anche che quel che può esserci di interessante nel suo testo abbia origine dagli stessi tratti che trovo altrimenti fastidiosi: la prosa poco elegante e povera di rimandi (almeno rispetto agli umanisti inglesi), il rigore un po' stolido da evangelizzatore protestante nel Nuovo Mondo, contribuiscono forse a spiegare il fatto che questo è il primo brano dell'antologia che sembra più orientato a metodi empirici ed osservativi, e meno a stabilire i rapporti con una tradizione letteraria.

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Cotton Mather: come aiutare i melanconici

Cotton Mather era un pastore puritano, vissuto tra il 1663 e il 1728. Era nato a Boston, figlio di Increase Mather, che era pastore della (Old) North Church. Era nipote di un altro ministro puritano, Richard Mather (1596-1669). Dopo gli studi ad Harvard, Cotton Mather fu ordinato nel 1685 e succedette in seguito al padre in qualità di pastore della North Church. È noto soprattutto per il suo ruolo nei processi alle streghe di Salem, per aver contribuito a creare un clima a essi favorevole con i suoi influenti sermoni e con la pubblicazione della sua opera Memorable Providences Relating to Witchcraft and Possession nel 1689. (Un altro testo sulla stregoneria, Wonders of the Invisible World, seguì nel 1693). Mather fu uomo di straordinaria energia e serietà di intenti, anche se pochi degli scopi a cui i suoi sforzi furono indirizzati sembrano oggi ammirevoli ai nostri occhi. (Egli è solitamente liquidato come esempio del puritanesimo più angusto, severo, farisaico e privo di letizia). Fu un infaticabile scrittore e un vero maestro dello stile secco e acuto, come dimostra il brano che seguirà, tratto da The Angel of Bethesda. Inoltre, fu instancabile nei suoi sforzi a sostegno della vita culturale e educativa del New England e dimostrò un vivo interesse per la scienza. (Fu il primo individuo nato in America a divenire membro della Royal Society, e difese l’inoculazione come misura di salute pubblica contro il vaiolo, anche quando subì attentati contro la sua vita a causa dell’impopolarità di questa pratica).
The Angel of Bethesda, l’ultima delle opere principali di Mather, è un compendio di medicina che presenta una lista delle “comuni malattie del genere umano”, accompagnate da rimedi e consigli pratici di prevenzione. Non fu pubblicata durante la sua vita, e rimase in forma manoscritta finché parti di essa furono stampate nel diciannovesimo secolo. Essendo l’unica grande opera enciclopedica di medicina scritta nel periodo coloniale americano, è un documento di immensa importanza medica e storica. Ma anche quando il manoscritto fu riscoperto da Oliver Wendell Holmes nel 1869, venne fatto oggetto di immediato disprezzo: si è detto che Holmes “si opponeva a tutti i testi di argomento medico scritti da non medici, e inoltre la medicina moderna a quel tempo si stava evolvendo, e i dottori della generazione di Holmes si sentivano molto superiori a tutti quelli venuti prima di loro” (in Mather, Cotton. 1972. The Angel of Bethesda. Edited with an introduction by Gordon Jones. Barre, Mass.: American Antiquarian Society and Barre Publishers). Accanto al capitolo “De Tristibus, ovvero La cura della melanconia” qui parzialmente riprodotto, Mather ne presenta altri dedicati a una gran quantità di rimedi, in un manoscritto che era costituito da più di quattrocento pagine redatte con una grafia minuta. Vi sono capitoli con titoli quali “Colui che si batte il petto, ovvero Una tosse sedata”, o “La lotta per il respiro, ovvero Un sollievo per l’asma e il fiato corto”. La sezione dedicata alla medicina preventiva include “Un orto curativo” e “Grandi risultati ottenuti con piccoli mezzi, con alcune osservazioni su una sorgente di acque curative, dove ognuno è padrone come a casa propria”.
La trattazione della melanconia di Cotton Mather, ambiziosamente intitolata “La cura della melanconia”, è una curiosa mescolanza di concezioni ortodosse del diciassettesimo secolo sulla melanconia tratte da autorevoli fonti mediche come Thomas Willis (1630-75) e della sua enfasi pragmatica da abitante del New England sulle soluzioni ai problemi pratici e sociali che la melanconia presenta per le persone che come lui hanno responsabilità pastorali.  “Come bisogna regolarsi con i melanconici?”, egli si domanda. Descrive acutamente il fallimento della persuasione ragionevole e dell’ascolto comprensivo: “Questi melanconici faranno visita al pastore, o lo manderanno a chiamare, e con lunghe tirate piene di assurdità gli racconteranno come si sentono intimamente; e dopo che il pastore avrà trascorso molte ore a colloquio con loro, essi continueranno a essere nella stessa condizione in cui erano prima.” La sua soluzione, tuttavia, implica l’offerta di una benevola consolazione spirituale: “Correggetelo con i rimedi della Pietà (…) confortatelo, ditegli parole di conforto (…) inculcategli le Consolazioni di Dio.”
Riguardo alle cause della melanconia, Mather sostiene che sia più prudente evitare le speculazioni, e per lo più preferisce trattare questioni pratiche. Ciononostante, la sua fiducia nei mezzi spirituali per trattare questa malattia, e il suo stesso ruolo di ecclesiastico, gli impongono di rifiutare il riduzionismo meccanicistico delle spiegazioni della sua epoca (come quelle proposte, per esempio, da Boerhaave). Egli sottolinea che sposare questi modelli, i quali presentano questa malattia della mente come “nient’altro che un problema meccanico dei nostri spiriti animali” non sarebbe appropriato per un pastore evangelico. L’interesse di Mather per le spiegazioni di carattere più scientifico è testimoniato dalla sua scrupolosa lettura dell’opera di argomento medico di Thomas Willis, Two Discourses Concerning the Souls of Brutes, che era stata pubblicata a Londra nel 1672. Pur parlando del ruolo degli spiriti animali nella melanconia, Willis assegnava uguale importanza alle sostanze chimiche (“Chymical Liquors”) come zolfo, sale, acqua e terra, che egli credeva essere i costituenti di tutti i corpi. Perciò l’opera di Willis fu oggetto delle critiche di Mather prima menzionate, anche se egli ebbe cura di elencare rispettosamente i rimedi che Willis proponeva.
Come molti testi suoi contemporanei, anche quello di Mather guarda alla possessione diabolica come a una spiegazione della melanconia (“Qualche Diavolo si dà da fare per tormentare i poveri melanconici”): il Diavolo riempie la mente dei melanconici di “Ateismo”, “Blasfemia”, e dell’impulso all’ “assassinio di se stessi”. Ma è interessante rilevare che, pur essendo così accanito contro la stregoneria, Mather non accusa il melanconico di trafficare con le arti magiche.
In fin dei conti, gli atteggiamenti di Mather nei riguardi di coloro che soffrono di disturbi melanconici sono apprezzabilmente compassionevoli, soprattutto alla luce della severità del trattamento che riservò a chi era accusato di stregoneria. Non dobbiamo offenderci – insiste – per gli insulti dei melanconici, neppure quando feriscono, perché “non sono loro a parlare, ma il loro temperamento malato”. È compassionevole, ma anche pragmatico e spiccio: “Detto ciò, fategli dono di qualche libro adatto; e poi prendete congedo.”

https://it.wikipedia.org/wiki/Cotton_Mather
https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_alle_streghe_di_Salem
https://en.wikipedia.org/wiki/Wonders_of_the_Invisible_World
https://en.wikipedia.org/wiki/The_Angel_of_Bethesda
https://it.wikipedia.org/wiki/Royal_Society
https://it.wikipedia.org/wiki/Variolizzazione
https://it.wikipedia.org/wiki/Oliver_Wendell_Holmes

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Da The Angel of Bethesda di Cotton Mather (1724)

Una massima che alcuni amano ripetere afferma che un uomo saggio deve essere malinconico una volta al giorno. Suppongo che costoro [per malinconico] intendano appena qualcosa di più che serio e pensoso. In questi termini, è un atteggiamento che sarebbe opportuno mantenere più di una volta al giorno. Anzi, direi: Figliolo, mantieni questo atteggiamento per tutto il giorno. Certamente un essere mortale, come tu sei, ha buone ragioni per essere malinconico. Ma per una melanconia folle, o una melanconia ostinata; per questa melanconia, una volta al giorno è già troppo.
Esiste una malattia che prende il nome di Melanconia. È definita normalmente Melanconia ipocondriaca [e spesso è detta Ipo’, per amore di brevità e di segmentazione] perché le flatulenze nella regione ipocondriaca di solito l’accompagnano. E così la povera milza, spesso ma abbastanza ingiustamente, finisce per essere ritenuta responsabile di questa malattia.
Nessuno è più soggetto a essa di coloro che sono stati tormentati da cefalee croniche, e delle donne che soffrono di isteria [“Obstructions”]. Lasciate che chi lo sa illustri come possa guastarsi e offuscarsi il sistema dei nostri spiriti in tale cattivo temperamento; quelli che possono solo tirare a indovinare faranno bene a rimanere modesti e a tacere.
Le fantasie e le bizzarrie delle persone sopraffatte dalla melanconia sono così tante, e così varie e così assurde, che in un certo senso si potrebbe pensare che sia sufficiente elencarle per offrire una piccola Cura della melanconia. Le varie storie sarebbero Pillole per purgare la melanconia, come potrebbe recitare il titolo di qualche libro sciocco. Eppure, davvero, a uno spettatore ragionevole e religioso, questi errori della ragione appaiono come uno spettacolo melanconico.
I melanconici bastano a se stessi per affliggersi, e sono i propri stessi torturatori. Come se il mondo crudele di oggi non offrisse abbastanza motivi di tristezza, essi creano un mondo di miserie immaginarie e, ruminando nel terrore, si rendono così degni di compassione come potrebbero esserlo se affrontassero miserie reali.
Ma non è tutto: essi affliggono gli altri come se stessi, e spesso diventano un peso insopportabile per tutti quelli che li circondano.
In questo caso, noi abbiamo il dovere di sopportare ciascuno il peso dell’altro, ossia il peso che reciprocamente diventiamo l’uno per l’altro.
Non lasciate che gli amici di questi poveri melanconici si stanchino troppo presto di tutti i fastidi che ora devono sopportare con pazienza.
Le loro follie e sciocchezze devono essere sopportate con pazienza. Noi, che siamo forti, dobbiamo sopportare l’infermità dei deboli, e con generosità paziente, prudente e virile, dobbiamo compatirli e assecondarli come bambini, e rivolgere loro nient’altro che sguardi benevoli e buone parole.  E se pronunciano discorsi che sono atroci e che ci sembrano pugnalate, non dobbiamo offenderci come se davvero quei discorsi provenissero da quelle persone; non sono loro a parlare, infatti, ma il loro temperamento malato!
I pastori evangelici si sottopongono a una prova davvero particolare in questa circostanza. Questi melanconici faranno visita al pastore, o lo manderanno a chiamare, e con lunghe tirate piene di assurdità gli racconteranno come si sentono intimamente; e dopo che il pastore avrà trascorso molte ore a colloquio con loro, essi continueranno a essere nella stessa condizione in cui erano prima. Alcuni diligenti e vigili servi di Dio osservano che in questo campo sembra agire una percepibile energia satanica; nella misura in cui il tempo che i melanconici spesso impiegano per tormentarli è proprio ciò che l’acerrimo Nemico dei loro utilissimi studi sceglierebbe per costringerli a interromperli.

Se potessi offrire la mia opinione a coloro che intendono diventare guardiani delle anime, allora direi:
Signori, sarà facile per voi scoprire se il vostro paziente si troverà davvero afflitto da quel genere di sofferenza della mente che richiede l’esercizio dell’abilità di qualcuno che sia Insignis Animarum Tractandarum Artifex [un insigne esperto nella cura delle anime, NdCant]. Se davvero scoprirete che il paziente è soggetto ai risvegli della coscienza provocati dallo SPIRITO di Dio, e agli attacchi della collera scatenata dai Cieli contro l’empietà e la malvagità degli uomini, Dio ne liberi, allora voi dovrete fare luce su questo aspetto. La follia epicurea, profana, nociva, che consiste nel fare di queste sofferenze della mente nient’altro che un problema meccanico dei nostri spiriti animali, è assai inappropriata per un ministro del Vangelo. Se la cura pastorale non richiedesse di essere esercitata meglio di così, allora diventerebbero pastori gli uomini che sono schiavi dei sensi [“sensual”] e privi dello Spirito. No, ogni possibile cura deve essere scrupolosamente prestata subito, per accompagnare il peccatore sofferente attraverso un processo penitenziale; e dopo la dovuta confessione della sua colpa, della sua impotenza e della sua indegnità, conducetelo alla rocca1: mostrategli un CRISTO glorioso, che ha il potere di salvare fino alla fine dei tempi, e non vuole scacciare nessuno di coloro che Gli si avvicinano. Dopo che gli avrete fatto riconoscere che un CRISTO glorioso adempirà per lui infallibilmente tutte le opere di un Potente e Santo Redentore, correggetelo con i rimedi della PIETÀ. E poi confortatelo, ditegli parole di conforto. Raccontategli ciò che gli è garantito dalle solenni e inestimabili promesse contenute nel Patto della Grazia2; inculcategli le Consolazioni di Dio.

Ma molte volte potreste aver motivo di sospettare che i tormenti spirituali dei vostri melanconici non siano appena scaturiti come essi fingono. Se ne seguite le tracce, potreste scoprire che qualche vessazione assolutamente intollerabile, ossia qualche problema temporale, diede inizio alla loro malattia e per primo inflisse quella piaga nella lor mente, che ora trova nuovi motivi su cui lavorare, mentre i vecchi motivi non sono più menzionati. Se questo fosse il caso, la saggezza sarebbe utile per dirigere il trattamento del paziente. Un atteggiamento incoraggiante, cortese, soccorrevole verso di loro, con il passare del tempo e con una certa astuzia, se ci fosse l’opportunità di riparare ciò che deve essere corretto nel loro stato infelice, servirebbe a qualcosa al fine della cura.
 
Se i vostri melanconici sono assorbiti nella tediosa abitudine di lamentarsi di se stessi, la risposta migliore potrebbe forse essere quella di concedere loro che tutto ciò di cui si accusano è vero. Ma subito dopo, dite loro cosa deve essere fatto ORA, e che potranno fare meglio di come hanno fatto finora, e che possono ancora fare in modo che le cose vadano per il giusto verso. Rimproverate i cristiani languidi, lamentosi, sofferenti e pigri, e fate che capiscano che devono scuotersi dalla loro inattività, ed essere più prodighi negli atti diretti che in quelli riflessi.
Concedetegli che non si sono mai davvero pentiti, e che non hanno ancora mai creduto, e non hanno stretto il Patto per la vita; ma poi, chiedetegli di farlo ORA; e descrivetegli semplicemente gli atti di un’anima che si rivolge a Dio e che vive in Lui; e chiedete di provare con l’aiuto dei Cieli, se non sono in grado, a compiere quegli atti e a ripeterli con perseveranza, fino a che non saranno abbastanza soddisfatti di averli compiuti con fervore e sincerità.

Non è senza motivo che la melanconia è stata chiamata Balneum Diaboli [bagno del diavolo, NdCant]. Spesso qualche diavolo si dà da fare per tormentare i poveri melanconici; sì, c’è spesso un grado di possessione diabolica nella melanconia. Quello del Re Saul3 non è l’unico caso del genere che possiamo presentare. La suggestione diabolica appare assai evidente, sia quando pensieri pieni di ateismo e di blasfemia penetrano nelle loro menti come dardi acuminati e così le infestano gravemente, fino a renderli addirittura stanchi delle loro vite; sia quando le loro menti sono violentemente incitate e sollecitate all’assassinio di se stessi, per inedia, strangolamento, accoltellamento e così via. In questo caso, ricorrete alla preghiera con digiuno; potrebbe trattarsi di quel genere [di turbamento] che non sarà scacciato con nessun altro mezzo.
Ma quali prove stupefacenti ho potuto vedere, di TRIPLICI suppliche al Signore, espresse in questo modo! E la preghiera non poté avere la meglio, finché non fu raggiunto il numero di TRE giorni!

Venendo ai colloqui con i melanconici, se non volete perdere troppo tempo con scarsi risultati, il mio consiglio è di far loro sapere in breve che queste sono le parole degne di fede e di essere accolte da tutti4; la Prima, che un CRISTO glorioso li renderà giusti e beati, con il loro partecipe consenso alla Sua opera per questo scopo, e pertanto li invita a cercare in Lui tutte le benedizioni della Sua redenzione universale. La seconda, che rivolgendosi a Lui con animo risoluto ad assoggettarsi all’influenza della Sua Grazia, è loro dovere di nutrire la fede nel fatto che Egli li ha resi giusti e li renderà beati, e pertanto di convincersi a scegliere sempre ciò di cui Egli si compiace. Spiegategli che a conclusione del vostro discorso, ciò dev’essere la somma e il fine di tutto. Basta così. Detto ciò, fategli dono di qualche libro adatto; e poi prendete congedo (…).


1: Sal 61, 2
2: https://it.wikipedia.org/wiki/Teologia_federale
3: 1 Sam 21, 10
4: https://en.wikipedia.org/wiki/Faithful_saying


Ultima modifica di canterel II il Lun Dic 14, 2020 1:13 pm - modificato 2 volte.
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