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Messaggio  Nospe81 Dom Mag 05, 2019 11:47 am

Cosa fare quando tutto intorno a te parla di sofferenza? Cosa fare quando niente apporta sollievo alle tue giornate? Cosa fare quando non c’è nulla a riscaldarti? Qual è il senso di una vita che ogni giorno speri finisca al più presto? Perché è così difficile ricevere calore? Perché ci sono giorni che sembra quasi basti pochissimo perché tutto cambi in meglio e giorni nei quali manca pochissimo per precipitare nell’orrore? Perché niente cambia? Quanta tristezza può sopportare qualcuno prima di impazzire? È possibile stare meglio da soli? Perché i problemi degli altri ci trascinano giù, più di quanto non siamo giù a causa dei nostri? Esistono persone che non meritano l’amore? Quando arriverà un abbraccio a scaldare il gelo che abbiamo dentro? Perché abbiamo paura di tutto quello che vorremmo?

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Messaggio  JacopoJacopo Lun Mag 06, 2019 2:39 am

ciao

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Messaggio  Nospe81 Lun Mag 06, 2019 10:01 am

ciao!!!

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Messaggio  JacopoJacopo Lun Mag 06, 2019 10:40 am

Nospe81 ha scritto:ciao!!!

come va?

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Messaggio  Nospe81 Lun Mag 06, 2019 12:35 pm

Ci sono giornate e accadimenti che mi riportano un po' con i piedi sulla terra e mi mostrano la mia vita in tutta la sua difficoltà. Non che di norma sia tutto rosa e fiori, ma generalmente, nonostante tutti i problemi, prevale in me la fiducia in un cambiamento e l’illusione che tutto poi non vada così male, che sono sempre in tempo a recuperare. In questi giorni invece sto guardando in faccia la realtà e quello che vedo non è niente di bello, o sopportabile. In questi momenti mi accorgo maggiormente di quanto io sia bloccato e in trappola, la stessa trappola che ho costruito io stesso negli ultimi anni per proteggermi dall’esterno, è essa stessa la mia ancora in questo posto fisico e psichico di tristezza e solitudine. Mi accorgo di non avere nulla e di essere incapace di riuscire ad avere qualcosa. Incapace di prendere e andare via, di liberarmi. E m’arrabbio che il mio essere sereno debba dipendere dagli altri, e dal fatto che io sia bloccato qui, per mia stessa volontà e incapacità, bloccato fisicamente in un contesto da cui vorrei scappare ma al quale sono legato per incapacità e bloccato mentalmente perché nulla riesce a sgomberare i miei pensieri dalle paure, preoccupazioni, rimorsi e rimpianti che albergano costantemente la mia mente. Sono in trappola e mi sento incapace di scappare, vorrei scappare ma per anni sono rimasto “volontariamente” in questa trappola, ho permesso alle mie paure di disegnare la mia vita, di schiacciarla e farla piccola piccola in modo che si adattasse ai miei timori, alle necessità degli altri, ai desideri altrui. E quando mi sento con le spalle al muro come in questi giorni, quando smetto di riempire le mie giornate di fantasie irrealizzabili, mi sento perso.

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Messaggio  JacopoJacopo Lun Mag 06, 2019 1:05 pm

Nospe81 ha scritto:Ci sono giornate e accadimenti che mi riportano un po' con i piedi sulla terra e mi mostrano la mia vita in tutta la sua difficoltà. Non che di norma sia tutto rosa e fiori, ma generalmente, nonostante tutti i problemi, prevale in me la fiducia in un cambiamento e l’illusione che tutto poi non vada così male, che sono sempre in tempo a recuperare. In questi giorni invece sto guardando in faccia la realtà e quello che vedo non è niente di bello, o sopportabile. In questi momenti mi accorgo maggiormente di quanto io sia bloccato e in trappola, la stessa trappola che ho costruito io stesso negli ultimi anni per proteggermi dall’esterno, è essa stessa la mia ancora in questo posto fisico e psichico di tristezza e solitudine. Mi accorgo di non avere nulla e di essere incapace di riuscire ad avere qualcosa. Incapace di prendere e andare via, di liberarmi. E m’arrabbio che il mio essere sereno debba dipendere dagli altri, e dal fatto che io sia bloccato qui, per mia stessa volontà e incapacità, bloccato fisicamente in un contesto da cui vorrei scappare ma al quale sono legato per incapacità e bloccato mentalmente perché nulla riesce a sgomberare i miei pensieri dalle paure, preoccupazioni, rimorsi e rimpianti che albergano costantemente la mia mente. Sono in trappola e mi sento incapace di scappare, vorrei scappare ma per anni sono rimasto “volontariamente” in questa trappola, ho permesso alle mie paure di disegnare la mia vita, di schiacciarla e farla piccola piccola in modo che si adattasse ai miei timori, alle necessità degli altri, ai desideri altrui. E quando mi sento con le spalle al muro come in questi giorni, quando smetto di riempire le mie giornate di fantasie irrealizzabili, mi sento perso.

Ti capisco bene e mi senti spesso allo stesso modo...
cosa possiamo farci

JacopoJacopo

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Messaggio  Oudeis Dom Giu 30, 2019 7:48 pm

Non esiste risposta!

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Messaggio  canterel II Lun Lug 01, 2019 11:08 am

Nospe81 ha scritto:Cosa fare quando tutto intorno a te parla di sofferenza? Cosa fare quando niente apporta sollievo alle tue giornate? Cosa fare quando non c’è nulla a riscaldarti? Qual è il senso di una vita che ogni giorno speri finisca al più presto? Perché è così difficile ricevere calore? Perché ci sono giorni che sembra quasi basti pochissimo perché tutto cambi in meglio e giorni nei quali manca pochissimo per precipitare nell’orrore? Perché niente cambia? Quanta tristezza può sopportare qualcuno prima di impazzire? È possibile stare meglio da soli? Perché i problemi degli altri ci trascinano giù, più di quanto non siamo giù a causa dei nostri? Esistono persone che non meritano l’amore? Quando arriverà un abbraccio a scaldare il gelo che abbiamo dentro? Perché abbiamo paura di tutto quello che vorremmo?

Mi ero fumato questo thread quando è stato lanciato settimane fa, scusate.
Ci sono molte domande. Posso dare alcune risposte, quelle che la mia esperienza mi suggerisce per prime, ma altre persone più formate su questi temi potrebbero darne di molto diverse e diversamente giustificate.

Io risponderei alla maggior parte di queste domande segnalando un problema percettivo alla base delle constatazioni dolenti di Nospe81. Le percezioni non sono necessariamente immutabili e rigide: si possono invece educare a prezzo di qualche fatica. Voglio dire che anche in un contesto obiettivamente difficile, è possibile registrare impressioni diverse da parte di diversi osservatori o sperimentatori dello stesso contesto. Situazioni che mi sembrano molto brutte, possono apparire meno fosche a qualcun altro, che concorda magari con me sulla presenza di problemi o fonti di dispiacere, ma che non sarebbe disponibile a decretare che tutto "parla di sofferenza". Non solo si possono registrare varietà di giudizi in un gruppo di osservatori sperimentatori dello stesso contesto, ma spesso si può vedere che la stessa persona, in epoche diverse della sua vita, attribuisce significati diversi alle stesse cose o lega diverse emozioni a uno stesso oggetto o significato.
In linea di principio io tendo a credere che quando mi pare che "tutto" parli, il soggetto parlante in realtà sono io, che proietto qualche cosa di pesante e di poco masticato sulla realtà circostante, per una crisi di rigetto o per eccessiva abbondanza di materiale che affatica la mia coscienza, o ancora perché cerco più o meno consapevolmente di trarre un godimento residuale da un'esperienza molto negativa, non vedendo in quel momento l'opportunità di andare in cerca di nutrimenti migliori.

C'è un margine d'azione sul contesto, che possiamo sforzarci di rendere meno sgradevole rivolgendo l'azione in modo selettivo agli elementi su cui deteniamo qualche controllo e qualche responsabilità, chiedendo aiuto per condividere le responsabilità e gli sforzi nell'azione su elementi che non possiamo modificare da soli, e accettando quegli elementi che risultano strutturalmente o temporaneamente non modificabili.
C'è un margine di azione sulle nostre abitudini, sulle emozioni e sulle strategie di ragionamento e di linguaggio, che possiamo sforzarci di adottare in modo più consapevole o con criteri differenti. Anche qui, ognuno può valutare quali aspetti del suo modo di sentire e di pensare sente più spontaneamente plastici e flessibili, e quali sente meno controllabili, e può quindi cercare un aiuto esterno di tipo psicologico.

Ad alcune domande rispondo singolarmente. Quanta tristezza si può sopportare prima di impazzire?
Virtualmente, si può anche sopportare tanta tristezza senza impazzire mai, ho conosciuto da vicino persone che hanno vissuto tristemente fino alla fine dei loro giorni, senza perdere una sorta di equilibrio che consentiva loro di mantenere decentemente le funzioni e le capacità fisiche e psichiche. Non è necessariamente la tristezza che mina la salute mentale (a volte l'euforia è più distruttiva del dolore), e il rischio più o meno ponderabile di "impazzire" non è il solo e spesso nemmeno il primo motivo per cui è importante cercare di ridurre la tristezza non necessaria nella propria vita.

Perché i problemi degli altri ci trascinano giù più dei nostri?
Questo può dipendere da meccanismi anche inconsci di attaccamento, per cui la vulnerabilità delle figure intorno a noi, legate a noi, può essere intesa come un segnale che attiva velocemente un nostro sistema di allarme perché istintivamente viene decodificato come minaccia alla nostra sopravvivenza nell'ambiente, più di un problema che noi viviamo direttamente, che tocca (o ci sembra toccare) solo noi in prima persona, e che magari perciò riusciamo a rappresentarci interiormente in termini analitici, non istintivi, e a giustificare in qualche modo, e ad accollarci con meno angoscia, con un certo maggior senso di controllo. Direi, per fare un esempio, che molte persone nel concreto vivono con più difficoltà l'ospedalizzazione e la malattia di un proprio caro che non la propria stessa malattia.

Esistono persone che non meritano l'amore?
Personalmente considero le esperienze affettive come indipendenti dal merito (se per merito si intende un modello di comportamento giusto e morale) e piuttosto vincolate alla capacità e all'opportunità di identificare un oggetto d'amore che sia raggiungibile, con cui si riesca a comunicare in modo efficace, e auspicabilmente in modo sintonico (ma tanto spesso invece esiti di sofferenza, di contraddizione e di insoddisfazione fanno parte dell'esperienza e sfidano le mie capacità di intergrarle in essa, di accettarle: se c'è una componente di merito nell'amore, immagino che arrivi a questo punto, misurandosi come la mia capacità morale di trovare la giusta misura di stress, di sacrificio e di pericolo per l'oggetto d'amore e per me, condividendo questa misura con l'altra persona e non imponendogliela).

Perché abbiamo paura di quello che vorremmo?
Forse perché volere intensamente e apertamente qualcosa dà la sensazione di sporgersi, di sbilanciarsi in avanti e chiama con più forza i fantasmi del rifiuto, e anche la paura di andare in pezzi. Se la volizione è meno "spudorata" e contiene già le clausole della rinuncia, ci si sente più prudenti e meno vulnerabili. In assoluto non sconsiglierei nemmeno questa prudenza, ma ci sono anche momenti in cui, in prospettiva, fa bene esporsi (non in funzione del proprio egotismo più becero e non a prezzo di pericoli e di ingiustizie palesi per sé e per gli altri) e magari andare incontro a un fallimento molto doloroso, facendosi poi forza, successivamente, della propria integrità e del modo in cui si è accettata una delusione o l'estinzione di una cosa desiderata e importante, nutrendo però la propria capacità di volere altre cose in futuro e di far pace con la loro estinzione.
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