Che cos'è la timidezza

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Messaggio  Stef Lun Set 03, 2012 1:11 am

(poiché alcune persone con problemi di depressione sono o erano timide, riporto un articolo letto sul web sulla timidezza)

Un po' come lo "stress", il termine timidezza ha diversi significati. In generale viene utilizzato per designare tutte quel le forme di imbarazzo che si possono avvertire in presenza degli altri. A tutt'oggi non esiste una definizione univoca e scientifica di tale termine.
In ogni caso si tratta di un tipo particolare di ansia sociale contrassegnata dalla tendenza spiccata a mantenersi in ombra e ad evitare di prendere l'iniziativa in qualsiasi tipo di situazione sociale, si tratta di un impaccio nelle interazioni sociali, nonostante ci sia il desiderio relativo di affrontare certe relazioni.
La timidezza rimanda sia ad un disagio interiore che ad una goffaggine esteriore in presenza di altri.
E' cronica, durevole e abituale.
Il timido incarna un modo di essere contrassegnato da inibizione (irrigidimento comportamentale) in un gran numero di situazioni sociali che evita ogniqualvolta sia possibile. In particolare teme "la prima volta" ma la sua angoscia si placa col moltiplicarsi degli incontri. Infatti il timido perviene ad un adattamento, spesso soddisfacente, dopo un periodo iniziale di inibizione all'azione. Il disagio rimane contenuto e non ha niente a che vedere con il panico che si sperimenta nei casi di fobia sociale (una fobia è una paura intensa, irragionevole, incontrollabile, suscitata da determinate situazioni). Non mancano testimonianze di personalità dello spettacolo e di giornalisti che raccontano di aver superato la loro timidezza scegliendo una professione che li portava ad affrontare ciò che li angosciava.
Pur non essendo una malattia, la timidezza è un disturbo che può creare un disagio notevole che nei casi più gravi può portare a delle complicazioni psicologiche, quali la depressione e il ricorso all'alcol.
In altri casi meno estremi, la timidezza può condurre alla solitudine. La difficoltà che i timidi spesso incontrano a costruirsi una rete relazionale li fa diventare i bersagli preferiti e ottimali di certe pratiche commerciali (esempio: agenzie matrimoniali) o di accettare una relazione purchessia e che non richieda un grosso sforzo relazionale e di iniziativa.
In linea generale la comparsa della timidezza sembra essere abbastanza precoce e si verificherebbe sin dalla prima infanzia e nell'adolescenza al contrario della fobia sociale che avrebbe inizio solo in seguito. Può scomparire spontaneamente o grazie a incontri, esperienze o momenti particolari che hanno permesso di superare tale stato (esempio i successi sportivi o in campo scolastico e/o professionale).

Di costa hanno paura i timidi

"A me, quello che intimidisce è tutto ciò che è nuovo, imprevedibile, improvviso"
Che cosa scatena la timidezza?
1. gli sconosciuti (70%)
2. le persone dell'altro sesso (64%)
3. parlare in pubblico (73%)
4. trovarsi in un gruppo numeroso (68%)
5. avere uno status inferiore a quello dei propri interlocutori (68%)
6. sentirsi inferiore a vario titolo (56%)

Come si manifesta la timidezza?

Esiste un certo numero di segni comportamentali caratteristici che si manifestano nelle nostre relazioni sociali. Dalle ricerche è emerso che i soggetti timidi:
1. parlano meno spesso
2. sorridono in misura minore
3. guardano meno negli occhi gli altri
4. impiegano maggior tempo a rispondere o a rilanciare la conversazione
5. nei loro discorsi sono frequenti le pause di silenzio
6. sono meno espressivi
Al contrario in un ambiente familiare i timidi si comportano normalmente: i bambini timidi non lo sono con i propri genitori e con le persone con cui hanno confidenza.
In generale i timidi mostrano di possedere discrete competenze sociali (complesso di comportamenti relazionali elaborati dalle persone che permettono di intrattenere relazioni possibili, consone e gratificanti con coloro con i quali entrano in contatto. Hanno a che fare con la comunicazione verbale. Si tratta di comportamenti acquisiti in funzione delle modalità educative, dei modelli parentali e delle varie circostanze della vita) tranne che in situazioni stressanti. Ecco perché molte persone timide non appaiono tali alle persone che frequentano abitualmente e non perché tentano di nascondere la loro timidezza, ma perché in presenza di persone familiari tali distrutti tendono ad attenuarsi.
Da ciò emerge che i timidi incontrano difficoltà nella quotidianità in due tipi di situazioni:
1. tutte le volte che devono assumere un'iniziativa relazionale
2. tutte le volte che debbono mettersi in causa, parlando delle loro emozioni

Dove sta il problema

Davanti ad una situazione per lui delicata l'ansioso sociale procede, in maniera più o meno inconsapevole ad una doppia valutazione, relativa:
1. al compito che deve svolgere
2. alle risorse necessarie per affrontarla
Spesso tende a sopravvalutare le difficoltà e a sottovalutare le proprie capacità. Tali apprensioni naturalmente non sono il frutto di un'analisi oggettiva della situazione, ma dei dubbi che caratterizzano l'ansioso.
In sintesi si tende a sottovalutare se stessi e a sopravvalutare le difficoltà.

Origini della timidezza

Si tratta di un disturbo multifattoriale che ha origini biologiche (eventualmente ereditarie), psicodinamiche (legate alle vicende personali del soggetto), sociologiche (connesse all'ambiente, all'epoca e alla cultura di riferimento).

Come superare la timidezza

E' necessaria una profonda motivazione al cambiamento: il timido deve voler cambiare.
Uno dei primi passi consiste nell'abituarsi gradatamente ad affrontare le situazioni che si temono. Una delle tecniche più usata è la tecnica dell'esposizione, che si basa sul principio che per far passare la paura, il suo oggetto dev'essere affrontato spesso perché l'oggetto in se non è pericoloso.
Poi bisogna scomporre il problema nei diversi elementi che lo costituiscono (spesso invece si concepisce il problema nella sua globalità come un tutto indivisibile). A questo proposito conviene sapere che il modo migliore per non venire mai a capo di un problema è quello di concepirlo nella sua globalità.
Conviene quindi suddividere il problema in una serie di difficoltà più limitate da affrontare separatamente. Immaginiamo di dover ordinare una casa che è completamente a soqquadro. Se si considera il disordine come un tutto da risolvere in un solo colpo si rimane sopraffatti da un sentimento di impotenza. Si è in grado di agire in modo più efficace quando decidiamo di partire da una stanza o da una tipologia di oggetti.
In altre parole, per cambiare le cose occorre abbandonare considerazioni generalizzate del tipo "sono timido", per chiedersi dove, quando, come, con chi, facendo cosa si è timidi. Occorre quindi delineare una sorta di analisi della propria timidezza.
Una volta individuata la tipologia specifica delle situazioni che ci creano ansia, bisognerebbe:
1. cercare di analizzare i pensieri sottostanti le situazioni che ci creano disagio.
2. modificare il modo di pensare sottostante
3. sottoporsi spesso alle situazioni fonte di ansia per aumentare la padronanza (senso dell'autoefficacia percepita)

Diminuire l'ansia vuol dire anche sviluppare meglio le nostre competenze sociali. Sviluppare le proprie competenze sociali vuol dire rafforzare la propria sensazione di controllo e la stessa padronanza della situazione. In questo modo può diminuire l'ansia e lentamente ma progressivamente diventare capaci di affrontare ogni relazione sociale.

(P.S. io mi ritrovo)
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