Depressione

E’ facile tuffarsi nell’ inutilità delle giornate, basta credere che ciò che ci circonda, o meglio, ciò di cui ci si è circondati diventi se stessi e l’ idea che non ci appartenga più viene vissuta come un incubo, come una privazione della vita stessa. La vita è una intera catena di perdite, e conquiste? Come si può gioire di ciò che è nuovo quando la nostra indole, la nostra voracità ci porta a scoprire ciò che ci è stato regalato e ciò che abbiamo conquistato poco a poco? Gioire del nuovo significa inequivocabilmente abbandonare, archiviare o perlomeno metter da parte quello che è trascorso, liberare virtualmente spazio. Non è semplice, non è la regola, non è migliore chi lo fa. Quindi andare avanti non significa altro che accettare una sofferenza da condividere solo con se stessi, la presenza di chiunque non fa altro che alimentare sofferenza, una sofferenza della quale non ci si libera. L’ altro slanciato in nobili fini altruistici di colpo annienta i propri dolori, mitiga le proprie sofferenze e fa appello alle proprie forze per autogratificarsi nell’ aiuto altrui, salvo poi avere delle elementari (primitive) aspettative. Si da per il gusto di dare ma se si riceve l’ animo si placa. Si paventano rammarichi per non aver centrato l’ obiettivo, quando l’ obiettivo non esiste. Il dolore è un soggetto forte, non esiste forza in grado di rimuoverlo, quando arriva arriva, ma vedere le persone soffrire muove da sempre gli altri a compassione. Non si può far altro che trasformarlo, come in un concetto zen, il dolore si autodistrugge diventando una nuova forza isolatoria, introspettiva e di rinnovata vita. Uno scalino sul quale salire e guardare non senza commiserazione sorrisi per compiacere provenire da persone che vivono un’ esistenza definita e definibile tranquilla. La differenza tra mente e corpo, la differenza tra spirito ed emozioni. Il pessimismo che non esiste più e diventa nuova dimensione di vita. Gli altri che scaldano, confortano ma non risolvono, medicinali che hanno solo il compito di alimentare economicamente persone vittime loro stesse di un’ illusoria felicità monetaria. Un’ alimentazione perpetua di soluzioni divenute comiche che altro non fanno che non fare niente.