Crisi micidiale

All'improvviso, senza avvisaglie, mi si è avventata addosso una crisi micidiale a base di collera infrenabile, scoramento, disperazione, amarezza, pianto, mutismo... Qualcuno mi darebbe dei consigli per provare ad uscirne almeno un po'? grazie

Oudeis ha scritto:All'improvviso, senza avvisaglie, mi si è avventata addosso una crisi micidiale a base di collera infrenabile, scoramento, disperazione, amarezza, pianto, mutismo... Qualcuno mi darebbe dei consigli per provare ad uscirne almeno un po'? grazie

Per me in questi casi la prima cosa è non arrabbiarmi/disperarmi/amareggiarmi/spaventarmi in modo esponenziale, vale a dire non aggiungere collera alla collera dovuta alla constatazione del fatto che sono in collera e non vorrei .
Quindi il punto di partenza è accettare la crisi. E' normale non stare bene.
Poi, come già ti ho scritto in altre circostanze, non saprei, perché non sono nella tua pelle, non sono nel tuo ambiente immediato, non conosco la tua storia, non ho competenze né titoli per dare dei pareri strutturati, e per questo ti rimando all'opportunità di cercare con pazienza un terapeuta che possa conoscerti, presentarti i suoi strumenti e le sue proposte, stabilire un'alleanza terapeutica ragionevole con te e fare del lavoro insieme a te.

Nel frattempo, tu conosci il tuo ambiente, la tua pelle e la tua storia meglio di chiunque altro, soprattutto meglio degli interlocutori anonimi e fisicamente disconnessi da te che puoi trovare on line. Quindi al posto tuo mi porrei delle domande. Ad esempio: quando in passato ho attraversato un frangente simile, cosa mi ha aiutato? cosa invece mi ha ostacolato? Oppure: quali possono essere stati gli stimoli recenti, gli antecedenti immediati, che hanno causato o comunque favorito il momento di malessere presente? Li posso annullare, compensare, ecc?

L'unico conforto in questi momenti, anzi MESI di crisi profonda, è pensare alla morte, come assoluto non essere, come azzeramento della coscienza, quindi del dolore. Nient'altro mi aiuta.

Oudeis ha scritto:L'unico conforto in questi momenti, anzi MESI di crisi profonda, è pensare alla morte, come assoluto non essere, come azzeramento della coscienza, quindi del dolore. Nient'altro mi aiuta.

bene, è già qualcosa. forse, se ti sembra un'idea valida, puoi anche esplorare delle tecniche di meditazione.

Le ho già provate: nel mio caso sono state inefficienti. Ciao

Come dice cantarell, accetta la crisi e ferma i pensieri. Più ti opponi e più ti risponderà con violenza. Le crisi sono come risposte immunitarie dell’anima. Si attivano sempre per un motivo. È il tuo originalissimo modo per ristabilire una connessione con il tuo vero io, che dall’inconscio ti ha lanciato una moltitudine di segnali ed ora ti aggredisce violentemente dall’interno come farebbe un bambino ferito. Perciò accoglilo e ascoltalo...è difficile, serve un terapeuta che ti aiuti a trovare il bandolo della matassa. Quando arrivi a contemplare la morte metti in pausa l’azione e lascia che passi il picco. Poi quando parte la fase discendente, con calma cerca, attraverso le domande di cantarell, di trovare una risposta non per forza a parole ma focalizzandoti sulle percezioni sensoriali e moti emotivi. Quale tra le diverse motivazioni che ti elenchi nella testa vibra di più nel tuo corpo?
Darti consigli mirati è controproducente, ognuno e a sé, e affermare che qualcosa funzioni nella maggio parte dei casi, può solo che ampliare la frustrazione di chi nel momento clou si continua a sentire impotente. Quante volte mi hanno suggerito di respirare e meditare e quante altrettante volte avrei voluto picchiare il genio di turno . L’unica Cosa che mi sento di consigliare vivamente è una terapia congeniale senza mollarla prima del tempo

Mi chiedo se esista una terapia per la vita. Ammettiamolo: la malattia e la vita sono consustanziali. Forse l'unico modo per alleviare i sintomi è uscire da se stessi, disintendificarsi, sentirsi una scintilla del Tutto, pensare di poter tornare a quel Tutto che ci ha sprigionati ed allontanati. Forse un giorno...

Anche io pensavo che dissociandomi potessi soffrire meno. Poi però la sensazione di vuoto si è così espansa che non sentivo più nulla a parte i pensieri ossessivi che mi incitavano a non credere in me e desiderare la morte. Così per capire se ero morta o mi fosse rimasta un po’ di umanità, ho cominciato a lesionarmi con lame di dubbia sterilità . Il sangue e il bruciore postumo mi faceva sentire per un attimo viva e mi dava l’alibi per dirmi che stavo facendo le prove per capire in quanta profondità riuscissi ad arrivare. Questo per dire che la malattia in realtà è una richiesta disperata per riconquistare la propria vitalità e identità che probabilmente non coincide con quella finora costruita. La via è rientrare in se stessi, uscire è quello che facciamo spesso per educazione, cultura e tradizioni imposte.

Sì, entrare in se stessi per perdersi.

Ti chiedo, quanto tieni al te prima della malattia e al te malato? Che significa perdersi secondo te? E cosa cerchi in questo forum?

Sono restia a dare consigli ma uno forse anche superficiale al momento è prova quantomeno un’altra emoji, tanto per cambiare

Ciao, sono una new entry, ma già solo leggere qualche riga mi fa sentire che al mondo c'è qualcun altro che prova le stesse cose che provo io. Una depressione che si protrae da mesi, il periodo più lungo che mi sia mai capitato. Vuoto, infinita vanità del tutto, senso di morte, desiderio e terrore della stessa, nonostante il sole, nonostante la mancanza di motivi apparenti, nonostante l'amore degli altri... il nulla dentro di me. L'angoscia del tempo che fugge via... e gli altri che spesso mi dicono che dipende da me e mi fanno sentire una che non vuole combattere... Ma il velo grigio scende all'improvviso e quello che prima mi faceva gioire, anche solo un tramonto, ora è svuotato di senso...

Miriam ha scritto:Ciao, sono una new entry, ma già solo leggere qualche riga mi fa sentire che al mondo c'è qualcun altro che prova le stesse cose che provo io. Una depressione che si protrae da mesi, il periodo più lungo che mi sia mai capitato. Vuoto, infinita vanità del tutto, senso di morte, desiderio e terrore della stessa, nonostante il sole, nonostante la mancanza di motivi apparenti, nonostante l'amore degli altri... il nulla dentro di me. L'angoscia del tempo che fugge via... e gli altri che spesso mi dicono che dipende da me e mi fanno sentire una che non vuole combattere... Ma il velo grigio scende all'improvviso e quello che prima mi faceva gioire, anche solo un tramonto, ora è svuotato di senso...

Ciao Miriam, molti si sentono così, io tra quelli. E' il senso di vuoto e di abbandono a prevalere. A rovinare tutto è la mancanza di senso: anche i pochi attimi felici sembrano il risultato di un caso cieco e bieco, invece che parte di un significato. E' l'assurdo a dominare. Come uscirne? Non saprei.

Ciao

Lila86 ha scritto:Ti chiedo, quanto tieni al te prima della malattia e al te malato? Che significa perdersi secondo te? E cosa cerchi in questo forum?

Sono restia a dare consigli ma uno forse anche superficiale al momento è prova quantomeno un’altra emoji, tanto per cambiare

Che cosa significa perdersi? Provare a non esistere. Che cosa cerco? Cerco quello che non ho... forse, quello che non sono. Non so chi sono: io sono oudeis, cioé, in greco, nessuno.

Ciao

So che il titolo può fuorviare ma sto leggendo La principessa che credeva nelle favole. Come liberarsi del proprio principe azzurro. (Tieni presente che il principe azzurro può semplicemente esser la metafora di qualcosa che ci induce il malessere). È piccolo, semplice e proprio in versione favola con cattivi e aiutanti animali per superare le avversità. Riassume incredibilmente il processo terapico per ritrovarsi nella propria Essenzialità. Potrei risponderti qui per ore per cercare di farti vedere qualcosa che al momento non vuoi o non puoi vedere. In bocca al lupo

Non trovo il percorso per uscire dal labirinto: ogni tanto vedo una luce, ma non è quella dell'uscita, bensì quella di una fiaccola che rischiara i corridoi del dedalo in cui sono imprigionato. Se solo qualcuno...

Io ad un certo punto ho cominciato a chiudere gli occhi e smetterla di cercare con la vista. Si dice che per uscire da un labirinto si debba appoggiare la mano o il corpo su una parete e percorrere tutto il tragitto, breve, lungo o impervio che sia senza staccarsi mai. È l’unico modo per non perdersi ed esser sicuro di non riprendere sempre la stessa via già percorsa. Perciò quando mi ostinavo a cercare di vedere la luce nel buio, chiudevo gli occhi e immaginavo la luce; quando volevo uscire dal labirinto ho cominciato a capire il mio senso predominante, annullando il
resto. Quando volevo solo lasciarmi andare e morire non ho fatto altro che simulare la mia morte. Se muoio i la mia famiglia starà male perché non mi vedrà più e si sentirà in colpa per una serie di cose; il mio ragazzo dovrà vivere senza di me anche se dice che sono importante; a lavoro dovranno Rimpiazzarmi. Benissimo, allora gradualmente ho diradato gli impegni familiari; ho manda a quel paese degli agganci lavorativi; alla fine ho lasciato il mio ragazzo. Ora? Sola senza na lira, ho ristabilizzato un equilibrio sano familiare; mi sono riappropriata della dignità lavorativa; mi sono laureata con le mie sole forze; ho riscoperto sane amicizie; credo in me e sono serena no ostante pa pioggia di problemi neanche avessi adottato la nuvola da impoegatoo. Ho dovuto simulare il suicidio sperimentando in vita gli effetti e ke conseguenze. Dando modo a me e agli altri di elaborare in maniera più o meno sana il lutto della me di prima.

Forse essere in un labirinto è meno assurdo dell'essere in qualche non luogo... dove finisco col non essere affatto.

La felicità è egocentrismo: per essere felici, bisogna ignorare le atroci disgrazie altrui. Felicità è anche superficialità: io non riesco ad essere felice, perché ogni istante “vissuto” è una miniera inesauribile di dolore. Sapete che cosa Vi dico? Che, se fossi Dio, in questo stesso momento cancellerei il Male in ogni sua forma, in ogni sua gradazione, sia quello fisico sia psicologico, giacché non si può “vivere” così, ma purtroppo siamo uomini, quasi sempre inermi ed impotenti…  


               

Ci vorrebbe un po' di leggerezza. Calvino diceva che la leggerezza non è superficialità, è planare dall'alto sulle cose senza macigni sul cuore. Io non ci riesco.

Miriam ha scritto:Ci vorrebbe un po' di leggerezza. Calvino diceva che la leggerezza non è superficialità, è planare dall'alto sulle cose senza macigni sul cuore. Io non ci riesco.

Come me.

Ciao

Se solo si trovasse una via, anzi una vita d'uscita...

Oggi mi è successo di nuovo. Ho avuto un impeto d'ira che mi ha spinto a spaccare un bell'orologio che mi era stato regalato. Sì, è un'azione simbolica che si accanisce contro un oggetto che è emblema del tempo. Un tempo ero felice. Oggi sono infelicissimo, ma anche il superlativo non rende l'idea. Infelicissimo e disperato, perché so che nessuno, ma proprio nessuno mi può non dico aiutare, ma almeno rincuorare. Dio, se esiste, mi ha abbandonato ed io vorrei solo non essere mai nato.

Io ho avuto sporadici momenti di felicità, molte gioie, ma la maggior parte della mia vita l'ho trascorsa a torturarmi il cervello. Se solo avessimo un interruttore per poterlo staccare facilmente ogni tanto, la vita sarebbe più leggera.

Hai ragione, Miriam. Il pensiero e il tempo sono i nostri carnefici.