C'era una volta...

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Messaggio  Pavely Gio Apr 02, 2009 4:09 pm

Pollicina

Molto tempo fa viveva una donna che desiderava moltissimo avere un bambino. Disperando ormai di poterlo avere, si recò a trovare una vecchia strega molto conosciuta.
- Vorrei avere un bambino; dimmi come posso fare.
- Niente di più facile, - replicò la maga. - Ecco questo granello d'orzo: non appartiene ad una specie comune di cui si cibano gli uccelli. Piantalo in un vaso di fiori e vedrai...
- Grazie - disse la visitatrice.
Pagò la strega con dodici monete e poi ritornò a casa dove, piena di speranza, piantò il granello d'orzo.
Ben presto spunto dalla terra un grande fiore simile al tulipano, ma con i petali chiusi intorno al pistillo. All'improvviso risuonò un leggero scoppio; i petali rossi e gialli si aprirono mostrando all'interno una piccolissima bambina delicata e graziosa. Alta come una pulce, graziosa come la principessa di una favola, la bambina fu chiamata Pollicina. Il suo lettino era un guscio di noce colorato; il materasso era di foglie di violette; la coperta un petalo di rosa.
Di giorno la bambina giocava sulla tavola dove c'era un bicchiere colmo d'acqua. Pollicina si sedeva sul bordo di una foglia del tulipano, poi aiutandosi con due crini bianchi di cavallo usati come remi, si spingeva da una parte all' altra del recipiente. Offriva così uno spettacolo affascinante mentre cantava con voce pura e melodiosa. Con grande gioia della sua mamma adottiva, che l'adorava, alla bambina piaceva molto cantare! Ahimè! Una notte, mentre dormiva, un brutto rospo saltò nella stanza. Enorme ed appiccicoso, vide Pollicina che dormiva sotto il petalo di rosa.
- Che graziosa bambina ho trovato, adatta a mio figlio, - disse il rospo.
Impadronendosi del guscio di noce, scappò dalla finestra. In fondo al giardino c'era uno stagno. Il rospo abitava là con il suo brutto e sporco figlio.
- Crac! Crac! - gracidò il figlio vedendo la fidanzata che il padre gli aveva scelto.
- Sss! Svegliala dolcemente, - gli consigliò il vecchio rospo. - Agile com'è, ci potrebbe scappare facilmente. Mettiamola su quella grande foglia di lappola in mezzo al vicino ruscello. Sarà come su un isola e non potrà più scapparci. Nel frattempo prepareremo, in mezzo allo stagno, una grande camera che diventerà il vostro alloggio.
E così fecero. Quando il mattino seguente la sfortunata bambina si risvegliò, scoppiò in singhiozzi non trovando via di fuga. Le onde provocate dai due rospi agitarono pericolosamente il guscio di noce e il più vecchio di loro, inchinandosi profondamente davanti a Pollicina, le disse:
- Ecco mio figlio, il tuo futuro sposo; abiterai con lui sul fondo dello stagno. Adesso ti metteremo con il tuo ridicolo guscio di noce, indegno della sposa di un rospo, su quella bellissima foglia verde.
Rimasta sola, la bambina scoppiò in pianto, pensando al suo triste futuro. I pesciolini che avevano sentito le parole del vecchio rospo accorsero intorno alla bambina.
- Questo matrimonio è inaudito! - esclamarono. Tagliando il gambo della foglia la liberarono e, portata dalla corrente, Pollicina si allontanò dal suo brutto fidanzato. Mentre passava davanti agli alberi che ornavano le rive, la bambina sentiva cantare gli uccelli:
"Ah! che divertimento. Buon viaggio, ragazzina!"
Cammin facendo, un'incantevole farfalla tutta bianca incominciò a volteggiare intorno al fragile scafo. Pollicina fece un nodo scorsoio con la sua cintura attaccandone un' estremità alla foglia. L'altra la legò alla vita della farfalla. Quest'ultima, riprendendo il volo, trascinò rapidamente la barca e la sua felice passeggera. L'acqua dorata scintillava sotto il sole, mentre Pollicina canticchiava. All'improvviso un grosso maggiolino si gettò sulla bambina e, bruscamente, la prese con le zampe, poi si alzò in volo, mentre la foglia continuava la sua rotta, tenendo prigioniera la farfalla legata al suo gambo. Che spavento per la bambina, e che dispiacere per la farfalla in pericolo. Sarebbe morta di fame prigioniera della foglia?
Il maggiolino dopo aver posato Pollicina su di un ramo di quercia le fece mille complimenti e le servì per cena polline d'acacia.
- Puah! Com'è brutta senza ali e senza antenne! Abbandonala!
Così dichiarò la tribù dei maggiolini, riunita intorno alla nuova venuta. Contrariato per lo sdegno che manifestava la sua famiglia, il grosso insetto prese Pollicina e con sgarbo la depose ai piedi dell'albero. Per alcune settimane la bambina visse felicemente, nutrendosi del succo dei fiori e dissetandosi con quello delle rose. Ahimè! ben presto arrivò il vento e dopo le fredde piogge cadde anche la neve sulla spoglia foresta. Poiché stava per morire di fame e di freddo, Pollicina si arrischiò ad entrare in un grande campo di grano gelato. Un topo di campagna vi aveva fabbricato la sua casa. Sottoterra aveva arredato una confortevole cucina, seguita da un salone e da una cantina piena di grano. Il bravo topo, impietosito dall'infelicità della bambina, le offrì un grano d'orzo, poi le rispose:
- Se mi racconterai belle favole e mi curerai la casa, ti concederò di trascorrere l'inverno qui con me al caldo.
Pollicina accettò riconoscente. Poco tempo dopo andarono a visitare il signor Talpa, grande amico e vicino di casa. In seguito Pollicina trovò, in fondo alla sua stanza, una rondinella che stava morendo. La bambina, che adorava gli uccelli e soffriva di vivere quasi al buio, si affrettò a riscaldarla. Riuscì a rianimarla e durante tutto l'inverno, all'insaputa dei suoi due amici, le portava cibo ogni notte. In effetti la talpa confessava spesso di detestare gli uccelli, perché troppo imprevidenti: in estate cantavano "cip! cip!" e in inverno morivano. I due roditori ritenevano una maledizione nascere uccelli, obbligati a vivere nell'aria. Quando arrivò la primavera la rondinella si accomiatò dalla bambina:
- Vuoi salire sulle mie spalle e raggiungere la foresta, buona Pollicina? Questi luoghi sotterranei sono così tristi!
Ma la bambina rifiutò sapendo che il topo le si era affezionato. Maledizione! Dopo qualche tempo il signor Talpa la domanda in moglie e il topo, felicissimo le fece il corredo. Durante i lunghi mesi estivi in cui la natura era lussureggiante, Pollicina, con tristezza, tagliò, cucì e orlò sotto lo sguardo paterno e vigilante del topo. Il grano, divenuto alto, formava sull'entrata del sotterraneo una foresta impenetrabile per la minuscola bambina, diventata così doppiamente prigioniera. Come sospirava, la poveretta! Il signor Talpa, pretenzioso, miope e panciuto, non le era mai stato simpatico. L'idea di passare tutta la vita in una galleria scura e soffocante la rattristava.
Una bella sera, Pollicina, si avvicinò all'uscita della tana del topo. Senti sopra di sé una voce: "Cip! Cip!". Due ali nere tagliarono l'aria fresca di quella bella serata d'autunno, mentre la rondinella amica si posò vicino alla bambina meravigliata,
- Parto verso i paesi caldi, - Disse l'uccello. - Vieni con me, piccola cara, dove il sole risplende: l'estate è eterna e i numerosi fiori profumano l'aria leggera!
- Accetto con gioia, - Disse Pollicina.
Saltò sul dorso dell'uccello e attaccò la sua cintura al collo della rondinella che rapidamente prese i volo, abbandonando per sempre quel triste luogo sotterraneo! Nel cielo, a quella altezza, faceva troppo freddo e l'aria pungente le arrossì la punta del naso; con il corpicino minuscolo, si rifugiò fra le calde piume. Ma si guardò bene dal riparare il visino per poter ammirare l'incantevole spettacolo della terra vista da quella altezza: i ghiacciai rosati dal sole, il susseguirsi di verdi foreste e le sinuosità di luoghi e calmi fiumi! Le due amiche si fermavano ogni notte per ristorarsi e riposarsi e la rondinella si preoccupava di sistemare Pollicina in alti nidi per proteggerla da animali malvagi.
Dopo alcune settimane arrivarono nei paesi caldi, là dove la vite cresce in tutti i fossati e i frutteti di aranci e limoni si stendono a perdita d'occhio. Lungo le strade polverose i bambini giocavano con grosse farfalle variopinte. La meta del loro viaggio era un chiaro lago, in cui si specchiava un antico castello di marmo. Colonne slanciate si ergevano nel parco che discendeva dolcemente verso il lago. La rondinella depose a terra Pollicina.
- Piccola amica, siamo arrivati alla fine del nostro viaggio. Il mio nido è deposto sopra un'alta colonna e sarebbe troppo pericoloso per te. Scegli tu stessa un fiore e io ti ci porterò.
Pollicina scelse un grande giglio dall'alto calice immacolato. Quando l'uccello se ne andò, dopo un ultimo saluto, Pollicina rimase stupefatta nel vedere sul pistillo del fiore un omino tutto bianco, trasparente come il vetro. Aveva sulla testa una corona d'oro e due paia d'ali di madreperla sulle spalle. Era il genio dei gigli, il re di ogni minuscola coppia che viveva in quei fiori. Quando annunciarono il loro matrimonio, Pollicina ricevette in regalo un paio d'ali trasparenti, mentre coppie lillipuziane, danzando su tutti i fiori dei dintorni, le rendevano omaggio, e la offrivano altri regali.
- Adesso ti chiamerai Maia, - Le disse il genio - un nome degno della tua bellezza. Ascolta! Sento un uccello che sta cantando per noi.
- Addio, - disse la rondinella - andrò a raccontare la tua storia a tutti i bravi ragazzi del mondo. Cip! Cip! Regina Maia.
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Messaggio  Pavely Ven Apr 03, 2009 11:16 pm

C'era una volta un gran signore, che quando gli nacque una figlia le diede nome Talia e chiamò tutti i sapienti e gli indovini del reame perché predicessero il suo destino. Loro studiarono le stelle e si consultarono a lungo, poi dissero:
"Talia sarà bella e piena di grazie, ma rischia di morire a causa di una lisca di lino".
Sperando di evitare la disgrazia, quel signore comandò che in casa sua nessuno tenesse o portasse più lino, e nemmeno canapa, né qualunque cosa gli somigliasse.
Ma quando Talia era già una fanciulla, un giorno che stava alla finestra vide passare una vecchia che filava; e a lei che non aveva mai visto una conocchia né un fuso piacque moltissimo come rotolava. Le venne un desiderio tanto grande di vederlo da vicino che invitò la vecchia a salire su da lei, e presa in mano la rocca provò a tirare il filo, ma una lisca di lino le si infilò sotto l'unghia e nello stesso istante cadde a terra morta, mentre la vecchia vedendo cos'era successo prese le scale e andò via di corsa.
Il povero padre di fronte a questa disgrazia pianse a calde lacrime e si sentì inondato dalla tristezza. Allora lasciò la bellissima Talia nel suo palazzo di campagna seduta su una poltrona di velluto, sotto un baldacchino di broccato, poi chiuse tutte le porte e abbandonò per sempre quel palazzo, sperando di dimenticare la disgrazia e di superare il terribile dolore che gli aveva causato.
Dopo tanto tempo passò un re che andava a caccia, e gli sfuggì il falcone che volò nel palazzo da una finestra aperta, e non tornava più al suo richiamo. Allora il re fece bussare al portone, credendo che ci abitasse qualcuno, ma nessuno rispondeva, così si fece portare una scala da vendemmiatore e volle andare a vedere cosa c'era in quel palazzo.
Girò per tutte le stanze e rimase pieno di meraviglia perché non vedeva anima viva, finalmente aprì la porta della camera dov'era Talia sotto l'incantesimo, e credendo che fosse addormentata la chiamò, ma lei non rispondeva, allora provò a rianimare la bellissima fanciulla pensando che si fosse sentita male, ma inutilmente; infine, infiammato dalle sue bellezze, la prese fra le braccia e l'adagiò sul letto, la baciò e le diede tutto il suo amore. Poi lasciandola là distesa fece ritorno al suo palazzo, e per un bel po' di tempo non ripensò più a quello che era successo.

Talia dopo nove mesi partorì due creature, un maschio e una femmina, splendenti di bellezza come oro e gemme, che furono curati da due fate apparse nel palazzo, che li attaccarono ai seni della mamma.
Un giorno che i gemelli volevano poppare, non trovando il capezzolo presero in bocca il dito di Talia, e tanto succhiarono che fecero uscire la lisca di lino.
Allora a Talia parve di svegliarsi da un lunghissimo sonno, poi vide accanto a sé quelle due bellissime creature, tutta contenta diede loro il suo latte, e li teneva cari come la sua stessa vita.
Talia non capiva cosa le fosse successo, si trovava tutta sola in quel palazzo con i suoi gemelli, mentre le servivano da mangiare senza che potesse vedere chi glielo portava, quando il re si ricordò della bella addormentata.
Tornò a caccia, e arrivato davanti al palazzo entrò per vederla, e siccome la trovò risvegliata con quei due bambolottini così belli e gioiosi, fu felice come non era mai stato prima.
Raccontò a Talia chi era e come erano andate le cose, così si conobbero e si vollero subito bene, e passarono insieme un po' di giorni. Poi la lasciò sola, promettendole che sarebbe tornato per portarla con sé, e andò nel suo reame, dove nominava di continuo Talia e i suoi figli, tanto che mentre mangiava aveva sulle labbra Talia, Sole e Luna, così aveva chiamato i bambini, e non si svegliava né si addormentava se non pronunciando il loro nome.
La regina, vedendo che era stato tanto tempo lontano per la caccia, aveva avuto qualche sospetto, e sentendo che non faceva altro che chiamare Talia, Sole e Luna, divenne furiosa per la gelosia. Chiamò il suo segretario e gli disse:
"Stammi a sentire, bello mio, non ti conviene rifiutare quello che ti chiedo, perché se mi dici di chi è innamorato il re ti faccio arricchire, e se me lo nascondi ti faccio ammazzare".
Il segretario da una parte era impaurito, dall'altra avido di ricchezza e, dimenticandosi di aver mai sentito parlare di onore, di giustizia o di fedeltà al re, le raccontò tutto quello che voleva.
Allora la regina gli ordinò di andare da Talia a dirle che il re voleva i bambini a palazzo.
Talia ne fu contenta e mandò Sole e Luna col segretario, che li mise nelle mani della regina, e lei, che era più velenosa di una vipera, comandò al cuoco di scannarli e cucinarli in varie salse per farli mangiare al re.
[cuoco cucina] Ma il cuoco per fortuna era di cuore tenero, e vedendo quei due bei bambolottini ne ebbe pietà, così, dopo averli affidati a sua moglie perché ne avesse cura, preparò al loro posto due capretti secondo cento ricette.
Quando arrivò il re, la regina tutta soddisfatta fece servire in tavola, e mentre il re mangiava di gusto, esclamando:
"Oh, com'è buono questo! Che squisitezza quest'altro!", lei ogni volta gli diceva:
"Mangia, che mangi la carne tua!".
Il re a un certo si rannuvolò e le disse: "Lo so che mangio la mia carne, perché io sono il re ed è tutta roba mia, mentre di tuo qui non c'è nulla";
poi si alzò e andò a fare una girata in campagna per farsi passare la rabbia.

Ma alla regina ancora non bastava quello che aveva fatto, e così ordinò al segretario di andare a chiamare Talia con la scusa che il re l'aspettava.
Talia contenta si preparò e partì subito, piena di desiderio di vedere il re, e non sapeva che andava in bocca alla sua nemica.
Appena arrivò davanti alla regina, questa con una smorfia crudele e con voce perfida e beffarda le disse:
"Ah! Ah! Ben arrivata signorina sgualdrinella! Sei tu allora la cagnetta che ha abbindolato il re, tu sei la smorfiosa che voleva tenerlo tutto per sé! E' da te madamigella porcellina che passa tanto tempo! Sei arrivata al tuo tribunale, perché ora io ti darò la punizione che ti meriti!".
Talia cominciò a chiedere scusa, dicendo che non era colpa sua, che il re aveva preso le sue proprietà mentre lei era incantata, ma la regina non volle ascoltarla.
Accese il grande rogo che aveva fatto preparare nel cortile del palazzo e diede ordine che ce la mettessero a bruciare.
Vedendo che le cose si mettevano male, Talia si inginocchiò davanti alla regina e le disse:
"Ti prego, dammi almeno il tempo di levarmi questi bei vestiti che indosso".
Non per pietà, ma perché le piacque l'idea di prendersi quegli abiti ricamati d'oro e di perle, la regina le rispose:
"E va bene, spogliati".
Allora Talia cominciò a spogliarsi lentamente, e ad ogni parte del suo abito che si toglieva gettava un grido, così, quando si era già levata il mantello, la giacchina e la gonnella, al momento di levarsi la sottoveste gettò l'ultimo strillo, e la presero e la stavano mettendo sul rogo dove la regina voleva trasformarla in un mucchietto di cenere, quando accorse il re, e trovandosi di fronte a quella scena ordinò che nessuno si muovesse. Volle sapere cos'era successo, e quando chiese dei suoi bambini, la regina crudele gli disse:
"A questo non metterai rimedio, perché te li ho fatti mangiare e ti sono anche piaciuti tanto".
Il re credette d'impazzire, e piangeva e gridava:
[sul rogo] "Poveri agnellini miei, allora sono stato io il vostro lupo mannaro! Com'è possibile che non abbia riconosciuto le vostre ciccine che ho tanto accarezzato? E tu, perfida strega rinnegata, come hai potuto essere più feroce delle bestie selvatiche? Ma io non ti concederò il tempo di chiedere perdono per i tuoi peccati!".
E diede ordine che la regina fosse bruciata sul rogo che aveva fatto preparare per Talia, con lei fece bruciare anche il segretario suo complice e comandò che bruciassero anche il cuoco che aveva tagliuzzato e cucinato i suoi bambini. Ma il cuoco si buttò ai suoi piedi e disse:
"Signore, sarebbe un rogo la ricompensa per il servizio che ti ho reso? Così mi fai festa, mentre arrostisco legato a un palo? E' questa la buona posizione che mi fai avere, in gratella con la regina? Mi aspettavo qualcosa di meglio per aver salvato le tue creature disobbedendo a quel cuore di pietra che voleva fartele mangiare!"
A sentire queste parole il re rimase attonito, e pensava che fosse un sogno, perché non riusciva a credere a quello che gli dicevano le sue orecchie. Poi si rivolse al cuoco e gli disse:
"Se è vero che hai salvato i miei bambini, sta sicuro che ti farò smettere di girare lo spiedo, e ti darò il potere di girare il mio cuore, perché voglio accontentarti in tutti i tuoi desideri, e ti darò un premio tanto grande che sarai l'uomo più felice del mondo!".
Mentre il re diceva queste parole, la moglie del cuoco che aveva visto suo marito in pericolo portò Sole e Luna, e il re li abbracciò insieme a Talia, e piangendo di gioia non riusciva a saziarsi di baciarli e accarezzarli.
Dopo aver assegnato una ricca rendita al cuoco e averlo nominato primo gentiluomo del palazzo, il re sposò Talia, che visse sempre felice e contenta col marito e i figli, dopo aver sperimentato che anche dormendo si può aver fortuna.
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Messaggio  Pavely Ven Apr 03, 2009 11:23 pm

Favola per bambini fantastica.

(E' una favola tradizionale abruzzese).

Il principe ama, fà sesso, con Talia nel sonno e l'abbandona.

Il padre sposa la figlia. Uccide la moglie... (quindi incesto).

Ci sono crudeltà immani...

Incredibile...

Mi chiedo: come si può raccontare una fiaba così ad un bambino?

Smile
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Messaggio  lunatica Sab Apr 04, 2009 2:26 pm

Ma dove sono finite le caste fiabe di una volta Very Happy ?
lunatica
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Messaggio  Pavely Sab Mag 09, 2009 4:15 pm

un ragazzo di nome Paolo.

...

(Scrivi, se ti và, il tuo c'era una volta...)
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Messaggio  merla Sab Mag 09, 2009 6:38 pm

scusa ma questo che sarebbe?
Depressione, Off-Topic, Facce da forum o cheeeeee?

la parola Razionalizzazione in che lingua è? swahili?
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Messaggio  canterel II Sab Mag 09, 2009 6:56 pm

potrebbe essere un germe di LE NOSTRE PROSE.
o di ENUMERAZIONI.

C'era una volta a botte.
canterel II
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https://www.youtube.com/watch?v=RIOiwg2iHio

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Messaggio  merla Sab Mag 09, 2009 7:40 pm

non c'è anche un FIABE?

starà a chi di dovere illuminarci sul senso intrinseco
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Messaggio  Pavely Sab Mag 09, 2009 9:08 pm

Scusa... è che anch'io non sapevo dove metterlo.

Il fatto è che stò rileggendo Dahl e le sue bellissime fiabe-romanzo.

Allora mi chiedevo: siamo ancora capaci di inventare storie?
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Messaggio  merla Sab Mag 09, 2009 9:13 pm

Bene allora finisce in fiabe.
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