Adolescenza o altro?

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Messaggio  Pavely II Sab Gen 09, 2016 11:42 am

annaghiaccio ha scritto:Io non saprei dare una risposta giusta, posso solo dirti ciò che vedo e sento: lui lavora tutti i giorni e dopo il lavoro viene subito a casa, tranne la domenica che si concede (o meglio, mia madre gli concede) la giornata fuori al bar per chiacchierare o fare qualche partita a carte.

(...)

E' sempre felice quando incontra una vecchia conoscenza. Parla e sorride in un modo che non ha mai fatto con me.

Quando ero alle elementari e all'inizio delle medie avrei dato chissà cosa per essere guardata ed ascoltata in quel modo, ed infatti per cercare attenzione davo il massimo a scuola, cercavo di eccellere in ogni materia.
Non fu molto utile, (...)

Il problema è che ho sbagliato approccio con loro (ma cosa potevo saperne a cinque anni e mezzo): di solito i genitori (almeno quelli che conosco) vorrebbero una figlia brava a scuola e che non crei problemi, beh i miei no. Loro adorano mio fratello con due anni in meno di me (non lo dicono ma si vede un sacco) perchè è estroverso, pigro con la scuola, non si preoccupa di nulla e sono Contentissimi quando sanno che viene promosso, anche se la media dei voti fa schifo!

Comunque...forse sto divagando troppo.

Le volte in cui vedevo mio padre con qualche amico "nuovo" erano gli altri padri degli amici di mio fratello, con cui passava il tempo chiacchierando mentre i figli si allenavano o giocavano le partite di calcio. Ora nemmeno quello perchè mio fratello non gioca più.
I papà dei coetanei di mio fratello sono molto più giovani di lui; era già in età avanzata quando ha avuto me, ha fatto baldoria da giovane, lo ammette lui stesso, quindi i suoi "coscritti" hanno figli già adulti adulti, magari anche qualche nipote.

Questo è ciò che fa in sintesi: Casa-Lavoro-Casa-Lavoro-Bar-Casa-Lavoro-Casa-Lavoro-Bar...

In verità, non stai divagando troppo.

Io sono molto più grande di te e posso solo dirti cosa ho imparato dalla vita: all'interno delle relazioni famigliari ci sono dei passaggi da fare prima di arrivare all'amore.

Tento di darti un punto di vista, tu, ti prego, considera che sono solo opinioni personali. Pure, prima di tutto vorrei dirti perché ti rispondo. Da ciò che scrivi emergono punti di contatto tra la tua vita e la mia.

Principalmente: non abbiamo un dialogo con i nostri "padri"; abbiamo (nel mio caso, però, mia madre è venuta a mancare nel 2001) madri che hanno comportamenti decisi; i nostri padri ci hanno avuto in un'età relativamente matura (nel mio caso 32 anni, cosa rarissima negli anni settanta e, comunque, mia madre aveva 39 anni); in nostri padri seguono una routine lavoro-casa-lavoro-casa-domenica 'riposo'... (ma mio padre è andato in pensione nel 1999).

Riassumiamo: tu cerchi un amore, un fidanzato... e dopo i primi momenti senti di allontanarlo e non sai perché.

In un primo momento ti ho scritto di prestare attenzione ai sentimenti di 'rabbia' di tuo padre. Questo punto mi sembra ancora centrale... osserva questo, ti prego: non avere una vita al di là dell'alternanza famiglia/lavoro non è naturale. Aver lasciato tutte le amicizie... è indice di qualcosa che si è rotto e non è, per un uomo, credimi una dimensione naturale.

Sicuramente, tuo padre non manifesta questa rabbia e tu non riesci a vederla. Pure, gli uomini, AnnaGhiaccio, di solito sono liberi, sentono il bisogno di parlare, incontrare, i loro amici o invitarli a casa... stare con loro. La domanda centrale che mi pongo è questa: quante volte tuo padre invita suoi amici da voi? Intendo: non le occasioni sociali che derivano dalle attività extrascolastiche come calcio per tuo fratello o ciò che tu fai nel tuo tempo libero. Intendo: persone che lo cercano... persone che desiderano stare con voi.

Tento di spiegarti il mio stato d'animo: se tu scrivi che tuo padre vive una dimensione di lavoro/famiglia/lavoro/famiglia... mi chiedo se abbia davvero delle amicizie. Sicuramente ne ha (penso alla domenica, al fatto che lui esca e li incontri al bar...). Pure: il fatto che giochi con gli amici al bar mi fa pensare che tu abiti in un piccolo paese, AnnaGhiaccio. Una realtà piccola e, spesso, la dimensione delle piccole comunità è strutturata in modo da non lasciare le persone sole... (è la "legge del bar"). Pure: davvero queste persone sono amici di tuo padre nel modo più completo del termine? Oppure sono solo delle s p l e n d i d e conoscenze?

Tento di spiegarmi e, nel farlo, ti dico una cosa della mia vita: quand'ero piccolo ed ero accanto a mio padre, io l'ho sempre visto ridere e scherzare con gli amici e con i miei famigliari... era, in un certo modo, "l'anima della festa". Ma, in casa, come tuo padre, era (ed è) sempre distratto, guarda sempre la televisione, non mi ha mai chiesto "Come stai?", non mi ha mai guardato... come te, poi, ho commesso l'errore ridicolo di voler conquistare mio padre attraverso lo studio. Che cosa stupida che ho commesso AnnaGhiaccio... pensa: alla fin fine usavo solo questo stratagemma per ottenere un briciolo di affetto da lui. Se penso alla mia vita prima che io conoscessi la mia attuale compagna vedo solo studio... studio...

All'UNiversità, avendo vissuto anni nella Depressione maggiore (era ed è una condizione mentale grave...) mi sono bloccato. Non ho fatto altro che alzarmi la mattina... studiare... pensa: quand'ero adolescente c'erano i sessantesimi per la maturità ed io sono uscito con il massimo... 60/60... fino a 18 anni non ho fatto altro che studiare per essere considerato da mio padre. Che poi - guardo tu - ha sempre preferito i miei fratelli (C. e R.). Che non hanno mai studiato veramente... Io ho un QI di 144. Quindi, se non fossi stato malato mentalmente, avrei potuto fare qualcosa di bello... i miei fratelli, pur essendo intelligenti, non hanno mai voluto studiare veramente (R. si è arruolato in aeronautica a 20 anni e C. fa il bassista... durante le superiori, per spiegarti, ero io a fare la cartella a R. perché lui si dimenticava i libri...).

Io leggo che tu hai commesso, fin da bambina, il mio stesso errore e ci rimango male. Credimi.

Comunque... dopo averti parlato della rabbia di tuo padre... ti ho parlato delle amicizie.

E tu stessa, con una chiarezza straordinaria in una ragazza così giovane, hai notato che qualcosa non va.

Tuo padre è "simpatico" e pure non ha veri amici se non le conoscenze del bar? Sto ipotizzando. Mi chiedo: quante telefonate riceve, a casa, dai suoi amici e, soprattutto, quante ne fa?

Tento di spiegarmi: tu prima dici che lui, al bar, parla con tutti... poi però mi dici che è anziano, che si è molto divertito da ragazzo (come mio padre che mi ha sempre raccontato della sua vita a Grosseto, in Pineta, in Toscana... e cose così...), e che l'età, il fatto di essere 'grande' lo renda solo rispetto ai genitori dei vostri amici.

Non è detto, credimi, che avere sui 50 anni (come penso di tuo padre) significhi essere solo.

QUalcosa... intendo il "gruppo amicale" non è andato.

§

Tento una spiegazione: davvero il suo divertirsi ha prodotto, quand'era ragazzo, vere amicizie?

Oppure, in quel divertirsi, tuo padre ha saputo creare solo relazioni "superficiali" (torno a ripeterti: le realtà piccole incentivano gli incontri... non sono dispersive, sociologicamente parlando, come le grandi città)?

Parli di "commilitoni", di "coscritti"...

Dunque, questa parola mi fa pensare che tuo padre abbia avuto una fase "militare"... e dopo questa?

Al di fuori di questa?

§

C'è un passaggio fondamentale, AnnaGhiaccio, e s a n o che porta un uomo a passare dal gruppo amicale alla paternità.

Cioè: per diventare veramente padri occorre aver vissuto, da ragazzi, la dimensione della "comitiva". Chi è sempre stato "solo" oppure chi ha solo avuto "relazioni amicali superficiali" difficilmente vive il passaggio nella paternità con facilità.

Può sembrarti strano.

Si, lo ammetto...

Pure, io sono convinto che tu percepisca come tuo padre "indossi una maschera" quando è con gli altri.

Una maschera di una persona divertente, con il sorriso e la battuta sempre pronte... tu lo guardi e lo hai guardato fin da bambina.

E sento come ti sia rimasta una domanda: "Chi è veramente quest'uomo?". Tu hai sempre desiderato scendere in profondità dentro di lui, ma la sua "superficialità" ti lascia interdetta: puoi "nuotare" in tuo padre ma non riesci ad "andare a fondo".

§

Tuo padre ha sposato una madre che tu percepisci come autoritaria?

Una madre che prende delle scelte, che dice "cosa fare", che limita la sua libertà?

Mia madre, L., AnnaGhiaccio era abruzzese e aveva un carattere che proietto sulla tua.

Ha lasciato stare il lavoro per occuparsi di noi figli e, forse, questa 'gabbia' l'ha portata a maturare un odio profondo verso mio padre.

MIa madre, negli anni settanta, è stata una femminista. Ti faccio un esempio: mio padre è stato militare e pure, quando in Italia si tennero le manifestazioni dei radicali a favore del divorzio, mia madre porto mio padre al corteo e un fotografo, tra l'altro, scattò un'istantanea di lui in prima fila alla manifestazione pubblicandola, poi, sul Corriere della Sera.

Ne uscì uno scandalo e mio padre fu richiamato all'ordine dal suo superiore (i militari, AnnaGhiaccio, non possono aderire a nessun partito e, in teoria, non possono neanche manifestare a favore di cause politiche).

Mio padre, però, le fece fare tre figli.

E le chiese di lasciare il lavoro per prendersi cura di noi.

E lei lo fece.

E si sentì sola.

§

Così mi chiedo anche questo... mi chiedo se tua madre si senta sola.

Se, a parte il lavoro e la casa, abbia le sue amicizie (quante volte, ti sto dicendo, si apre la porta di casa per far entrare amici della vostra famiglia? Quante volte i tuoi genitori invitano amici a cena e quante volte escono assieme perché invitati?).

§

Ti dico che impressione ho di te.

Sicuramente, sei una ragazza estremamente intelligente.

E nel dirtelo vorrei condividere con te, un'ultima cosa.

Nel 2011, ho iniziato un percorso di riconoscimento di una identità autistica lieve (al tempo si chiamava Asperger).

Nel 2014 sono andato in Ospedale (Santo Spirito in Sassia, a Roma) e ho fatto una visita psichiatrica per capire se questa identità, questa "diagnosi", fosse vera e lo psichiatra mi ha, appunto, diagnosticato una forma autistica.

A dicembre dello scorso anno, ho chiesto l'invalidità e avrò una risposta a Marzo.

§

Questo "non provare sentimenti d'amore costante" per una persona... caratteristica unita all'età dei genitori, alla vita, all'intelligenza ed altro... mi fa pensare che ci sia qualcosa di comune in ciò che scrivi (penso al tuo Nick... AnnaGhiaccio) e me.

Io mi sono innamorato, per la prima volta, e veramente a 36 anni.

Prima, credimi, l'amore non era così centrale... e quindi, si, sentivo il sentimento 'erotico' ma pure me ne tenevo in distanza...

§

L'autismo femminile è molto diverso da quello maschile.

Tento di spiegarmi: di solito le ragazze possono benissimo avere delle amiche, "apparire" normali, parlare fluentemente, essere molto intelligenti.

Pure, di solito, hanno "interessi penetranti", raccolgono informazioni attorno ad un nucleo forte per il solo piacere di farlo, tengono a distanza, emotivamente, le persone... fondamentalmente, si sentono a disagio nelle feste e se chiedi loro la preferenza tra un rave-party e un'uscita a due con un'amica rispondono, sempre, l'ultima opzione... (dico: uscire con un'amica).

Ma sono tantissime le cose che le contraddistinguono...

Ad esempio: di solito è comunissima una selettività alimentare (a volte, si incontrano profili di Anoressia)...

Oppure, è comunissimo un amore infinito per la natura (cioè, in un grande parco naturale, le vedi quasi sorridere).

Spesso, si incontrano fantasie feticistiche (vai a sapere perché).

E, cosa comunissima, hanno sempre creato rapporti univoci con un'"amica del cuore": dico un'amica del cuore alla volta...

Nel caso di Autismo femminile c'è sempre una figura di una mamma decisa, una "bambina" a volte capricciosa, una donna che prende molte decisioni e a cui il marito la dà vinta (di cui il desiderio delle figlie, a volte, e erroneamente, di ricercare ragazzi freddi e autoritari... come a compensare una figura paterna che percepiscono come sbagliata).

Ma, torno a ripeterti, le caratteristiche sono centinaia...

§

Ipotizzo: e se la freddezza che provi abbia "tratti" dell'autismo lieve (tipo Asperger) femminile?

La tua intelligenza mi fa immaginare... (ti prego: immaginare... considera il verbo) una possibilità in tal senso.

Pure: è chiaro che posso sbagliare.

Perché sto usando solo la logica strutturale... sto solo ragionando a mente fredda.

§

Ma a parte il puro ragionamento...

Mi dispiace per il dolore che provi.

Mi dispiace per un ragione che non so dirti.

E di certo ti auguro, davvero, ogni bene... Ti auguro, cioè, di capirti e di capire.

Di capire la ragione del tuo dolore, le paure, che hai.

C'è, voglio dirti, il desiderio di saperti serena ed è strano.

Strano, perché non ho la minima idea di chi tu sia.

Però, vorrei dirti, nel chiederti di resistere, che... (no, ho dimenticato ciò che stavo dicendo).

Niente: dai... tieni duro.

Credo che tu stia per iniziare un percorso di conoscenza di te stessa.

Ed è positivo.

Forse, mi rende felice che tu lo stia iniziando adesso.

Ecco, era questo ciò che stavo dicendo... mi rende felice l'idea che tu stia facendo i tuoi passi per superare, ora, il tuo disagio e le tue paure.

Dai...

Ti incoraggio, ce la puoi fare, non mollare.


Pavely II

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Messaggio  annaghiaccio Sab Gen 09, 2016 4:55 pm

@newnew

Hai ragione dovrei apprezzare di più quello che fa, so che ci sono famiglie che se la passano molto peggio di me, io gli voglio un bene dell'anima in fondo, non lo dimostro mai però. Mi sento una perfetta stro**a egoista dicendo queste cose infatti, ed era proprio questa la causa del mio crollo: non mio padre ma il fatto che mi sentissi continuamente in colpa per qualunque cosa, per quello che dicevo o addirittura che pensavo; credevo di essere una specie di "mostro", di essere nata cattiva (anche se in realtà scegliamo noi se vivere alla luce o nell' ombra). Ho sempre pensato di riuscire ad essere Felice e a bastarmi da sola (un po' superbamente), ma la verità è che non è così. Una persona a me molto cara e alla quale devo molto mi ha detto che "impariamo ad amare quando impariamo a lasciarci amare"; è per questo che non riuscivo ad essere felice, avevo la pretesa di fare tutto da sola, non volevo aiuti, non accettavo di aver bisogno di una mano.
Io non pretendo che mio padre mi dica "ti voglio bene" o mi chieda "come stai", dico solo che sarebbe bello, e ancora più bello sarebbe che questa cosa non mi spaventasse e agitasse.

@Pavely

In effetti non viene mai nessuno dei suoi amici, raramente capita che inviti a casa un suo collega di lavoro, padre di un amico mio e di mio fratello, con la sua famiglia. Non riceve chiamate e non ne fa. Ha più di 50 anni, tipo, 10 in anni in più.
La verità è che non lo conosco bene, ma allo stesso modo non posso dire di conoscere al 100% mia madre.

Non so che altro dire, letteralmente sono senza parole

annaghiaccio

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Messaggio  Pavely II Mer Gen 13, 2016 5:51 pm

annaghiaccio ha scritto:@newnew

Hai ragione dovrei apprezzare di più quello che fa, so che ci sono famiglie che se la passano molto peggio di me, io gli voglio un bene dell'anima in fondo, non lo dimostro mai però. Mi sento una perfetta stro**a egoista dicendo queste cose infatti, ed era proprio questa la causa del mio crollo: non mio padre ma il fatto che mi sentissi continuamente in colpa per qualunque cosa, per quello che dicevo o addirittura che pensavo; credevo di essere una specie di "mostro", di essere nata cattiva (anche se in realtà scegliamo noi se vivere alla luce o nell' ombra). Ho sempre pensato di riuscire ad essere Felice e a bastarmi da sola (un po' superbamente), ma la verità è che non è così. Una persona a me molto cara e alla quale devo molto mi ha detto che "impariamo ad amare quando impariamo a lasciarci amare"; è per questo che non riuscivo ad essere felice, avevo la pretesa di fare tutto da sola, non volevo aiuti, non accettavo di aver bisogno di una mano.
Io non pretendo che mio padre mi dica "ti voglio bene" o mi chieda "come stai", dico solo che sarebbe bello, e ancora più bello sarebbe che questa cosa non mi spaventasse e agitasse.

@Pavely

In effetti non viene mai nessuno dei suoi amici, raramente capita che inviti a casa un suo collega di lavoro, padre di un amico mio e di mio fratello, con la sua famiglia. Non riceve chiamate e non ne fa. Ha più di 50 anni, tipo, 10 in anni in più.
La verità è che non lo conosco bene, ma allo stesso modo non posso dire di conoscere al 100% mia madre.

Non so che altro dire, letteralmente sono senza parole

Leggevo la tua risposta a NewNew...

E volevo, oggi, specialmente oggi, dirti che quando avevo 18 anni, tante volte, mi sono rispecchiato nelle emozioni che descrivi.

§

leggo la tua risposta sui temi della 'socialità'.

Mi colpiscono due cose.

La prima è che scrivi come tu sia rimasta 'senza parole': cioè questo periodo, così duro, in cui scopri te stessa, è così difficile che ti lascia stremata... e questa cosa mi dispiace. E, proprio considerato quanto sia difficile... volevo incoraggiarti, farti forza, dirti che ce la puoi fare, che non devi mollare.

La seconda cosa si riallaccia a una cosa che scrivi a newnew: nessun essere vivente deve essere solo.

Tento di spiegarmi: io ho fatto Giurisprudenza.

E in Giurisprudenza, si studia diritto penale.

E in diritto penale, certo, si ragiona su come sanzionare "chi si comporta male"... (scrivo questa frase quasi sorridendo).

Provo ad essere semplice: la condanna è la solitudine.

La condanna che si commina ad una persona che ha sbagliato è la solitudine: tu commetti un crimine, lo Stato se ti giudica colpevole di quello hai commesso ti dirà: "Io ti costringerò a rimanere sola per tanti e tanti anni...".

La solitudine è una punizione. No... meglio... la solitudine è LA punizione.

Qualsiasi essere umano, se lasciato solo, muore e prima che ciò accada sente la morte nascere dentro di sé.

§

Tu hai pensato di essere cattiva.

E mentre lo scrivi, mi chiedo: chi è stato il MAGISTRATO che ha emesso questa sentenza. E dopo che l'ha emessa, su quali basi giuridiche ha fondato il suo giudizio?

Qual è stato il giudice che ha detto: "AnnaGhiaccio è cattiva"?

Vedi: quando leggo queste frasi, spesso, mi chiedo come sia andato il processo. Chi ha testimoniato, ad esempio, a tuo favore; quali prove sono state portate in aula; quale avvocato ti ha difesa.

Perché prima di arrivare alla sentenza "AnnaGhiaccio è cattiva" sei stata difesa da qualcuno? Chi ha parlato a favore di Anna? E se nessuno a parlato a tuo favore, se non hai avuto nessun avvocato che ha tentato di intercedere per te, perché è accaduto?

§

La mia idea è che questa sentenza "AnnaGhiaccio è cattiva" può essere oggetto di un giudizio di revisione.

Sorrido... è chiaro che sto usando delle metafore.

Ciò che ti sto dicendo è che c'è un parallelismo tra i studi giuridici e la psicologia.
\
Uno psicologo è una persona che rivede un processo: che osserva di nuovo le prove... che cerca l'innocenza e, spesso, la trova.

Non sei cattiva, Anna, ne sono profondamente convinto. E non perché tu non possa esserlo. Ma perché solo tu puoi rileggere le carte di ciò che è accaduto. Solo tu puoi considerare l'"appello", solo tu puoi ripercorre i giorni che hanno portato a questo giudizio così drastico.

La mia speranza e la mia convinzione è che tu possa dimostrare la tua innocenza.

E capire chi ti ha giudicato.

§

Sto tentando di dirti che i genitori non hanno il diritto di giudicare i propri figli.

Esattamente: in diritto - non ti annoierò con i dati - un magistrato, ad esempio, non può istruire un processo se suo figlio, per ipotesi, è un ladro.

Un magistrato non può tenere un'udienza per giudicare i suoi famigliari. Perché?

Perchè AnnaGhiaccio, la legge ci dice che li ama e che questo amore non lo renderà imparziale.

Cioè: un magistrato non deve né amare né odiare un imputato. Se accadesse, se ne avesse le prove, per ragioni naturali, può chiedere di essere esentato da questo giudizio...

Se odi e ami la persona che devi giudicare, non puoi più pronunciarti.

Devi - questo dice la legge - astenerti.

I genitori, quindi, non giudicano i propri figli.

Possono e devono educarli.

Ma, ti prego, osserva la differenza che esiste tra il giudizio e l'educazione.

La frase "AnnaGhiaccio è cattiva" non è un gesto educativo verso te stessa, è un gesto giuridico.

E qual è la differenza?

La differenza è la solitudine.

La cosa che ti dicevo un istante fa...

Chi è solo, non apprende.

§

Può apparirti strano, perché hai 18 anni, perché sei giovane: ma effettivamente... perché esiste la scuola? Perché si insegna a 'classi' di ragazze e ragazzi.

Ciò accade, proprio perché da soli non si impara nulla.

Anche i "geni" hanno avuto maestri.

(Sorrido... può apparirti strano ma è così...).

La 'grande rivoluzione educativa' del diciannovesimo secolo... la spinta che ha portato a tanti progressi nel campo della tecnica e del sapere è stata data proprio dalla diffusione straordinaria delle scuole. Finquando, le scuole erano fenomeni di élite, il sapere non ha mai proceduto velocemente...

(Ma questo è un altro discorso).

§

Ciò che voglio dirti è che nessun genitore ha il diritto di far sentire sua figlia, sola.

Se accade, è un errore.

Non sto dicendo altro che questo... se accade, è un errore.

E dietro questa frase, lo sento, c'è una grande profondità (io te la sto solo indicando...).

§

AnnaGhiaccio: resisti.

Volevo semplicemente dirti questo.

Pavely II

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Messaggio  annaghiaccio Lun Gen 18, 2016 9:47 am

E' molto interessante la metafora che utilizzi, proverò a risponderti allo stesso modo, per intenderci.

Dunque, la sentenza era "Annaghiaccio è cattiva", i deputati in aula che hanno appoggiato tale giudizio sono stati mia madre, alcuni "amici" o meglio splendide conoscenze e talvolta io stessa.

I difensori ci sono stati, diversi, ma abbandonarono la causa perchè non riuscivo a fidarmi completamente di loro (o meglio del loro giudizio imparziale) dunque non raccontavo tutta la verità, oppure ero io che chiedevo di non occuparsi più di me, oppure ancora se ne andavano perchè per loro era un processo troppo difficile e lungo e avevano altri problemi da risolvere.

A me sembra di giocare un ruolo ambiguo, rappresento sia l'accusa, sia la difesa, sia il giudice...a volte nello stesso momento:
- l'accusa prende per valide le argomentazioni esposte dalla madre e dagli amici, anche perchè sono persone vicine ad Annaghiaccio che la osservano bene;
- la difesa è sempre attiva, anche se non ha sostenitori, crede che (anche se l'imputata fosse colpevole) lei abbia il diritto di poter cambiare, di essere migliore;
- il giudice la dichiara colpevole, quindi Annaghiaccio è cattiva, sarà nata così? Lo è diventata crescendo? chi lo sa, sta di fatto che ogni cosa che tocca si distrugge, per evitare ciò le sarà vietato creare legami d'affetto troppo stretti, dovrà pensare almeno venti volte prima di parlare o agire analizzando le varie possibili conseguenze, dovrà evitare di esprimere le emozioni troppo forti in presenza di altre persone e cercare quindi di controllarsi sempre. Di per sè queste sono già delle punizioni, infrangendo una di queste regole, subentra il senso di colpa che per me è peggio delle torture elencate prima messe assieme.

Resisto.

annaghiaccio

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Messaggio  Pavely II Lun Gen 18, 2016 5:23 pm

annaghiaccio ha scritto: [...]

[...] i deputati in aula che hanno appoggiato tale giudizio sono stati mia madre, alcuni "amici" o meglio splendide conoscenze e talvolta io stessa.

I difensori ci sono stati, diversi, ma abbandonarono la causa perchè non riuscivo a fidarmi completamente di loro (o meglio del loro giudizio imparziale) dunque non raccontavo tutta la verità, oppure ero io che chiedevo di non occuparsi più di me, oppure ancora se ne andavano perchè per loro era un processo troppo difficile e lungo e avevano altri problemi da risolvere.

A me sembra di giocare un ruolo ambiguo, rappresento sia l'accusa, sia la difesa, sia il giudice...a volte nello stesso momento:
- l'accusa prende per valide le argomentazioni esposte dalla madre e dagli amici, anche perchè sono persone vicine ad Annaghiaccio che la osservano bene;
- la difesa è sempre attiva, anche se non ha sostenitori, crede che (anche se l'imputata fosse colpevole)  lei abbia il diritto di poter cambiare, di essere migliore;
- il giudice la dichiara colpevole, quindi Annaghiaccio è cattiva, sarà nata così? Lo è diventata crescendo? chi lo sa, sta di fatto che ogni cosa che tocca si distrugge, per evitare ciò le sarà vietato creare legami d'affetto troppo stretti, dovrà pensare almeno venti volte prima di parlare o agire analizzando le varie possibili conseguenze, dovrà evitare di esprimere le emozioni troppo forti in presenza di altre persone e cercare quindi di controllarsi sempre. Di per sè queste sono già delle punizioni, infrangendo una di queste regole, subentra il senso di colpa che per me è peggio delle torture elencate prima messe assieme.

Resisto.

Ho notato una cosa.

In questo messaggio, scrivi come la sentenza sia stata pronunciata da tua 'madre' e da 'alcuni amici' e, talvolta, da 'te stessa'.

Osservi come queste 'amicizie' si siano allontanate: hai tentato di parlare del dolore che hai dentro, hai tentato di trovare le parole e loro sono andati via, non hanno potuto aspettare, la vita, il lavoro, gli amori, gli attimi felici, le incombenze quotidiane li hanno costretti ad allontanarsi da te e tu ti sei sentita sola.

Mancare di fiducia, non trovare le parole, chiedere di essere lasciati soli, è un comportamento tipico dell'infanzia e i genitori e gli amici - se adulti - lo sanno perfettamente: no, non si lascia solo un bambino. Non si lascia mai solo un bambino, specialmente, quando prova vergogna per il suo dolore, quando non lo capisce, quando non sa spiegare ciò che sente, quando le parole per le emozioni si smarriscono e si piange soltanto.

Proprio in quel momento, chi è adulto, non va via. Non giudica, sorride con delicatezza, dà un abbraccio, rimane. E la sua semplice presenza comunica tenerezza, affetto, forza, protezione. Ed è proprio in quell'esserci dell'adulto, che il bambino trova il vocabolario per acquietare l'anima, per smettere di vivere il dolore, per trovare conforto, come una persona che riesce a riposare, come una persona che sa di essere difesa, come una persona che può permettersi di dormire perché c'è chi veglia, c'è chi pronto a donare la vita per lui.

I grandi non vanno via davanti al dolore di un ragazzo.

Rimanere però significa assumere una posizione chiara: se sono un genitore, non posso giudicare mio figlio.

Se sono una madre - è questo il tuo caso - non posso emettere sentenze: nell'errore, sarò accanto a mia figlia; nel percorso di redenzione e di comprensione, le sarò vicina; nella paura, sarò riparo; nell'odio, risoluzione; nella rabbia, pace.

Tu scrivi come tua madre abbia emesso una sentenza e come tu non possa aver fatto altro che tentare di accettarla. Osservi, Anna, come tu pochi messaggi fa abbia esordito parlando di tuo padre? Di come tu non riesca a fidarti di lui? Di come lui sia distante? Di come tu attibuisca i tuoi problemi con i ragazzi alla sua distanza?

Dal tuo ultimo messaggio emerge questo: una madre che emette una sentenza. La presenza di 'amicizie/splendide conoscenze' (è... stranissima come espressione... e nasconde molta parte della risposta al dolore che provi) che scrivono come "Anna è cattiva". Il che mi porta a riflettere: se interpreto bene le tue parole (e non so se sono capace di farlo...), vorrei dirti che mi colpisce moltissimo e mi fa m a l e leggere ciò che scrivi.

Tu hai scrittoche tua madre ha emesso una sentenza e tu le hai voluto credere.

Ti prego: scorri di nuovo ciò che ci hai scritto: se tua madre ha vestito la toga di magiastrato e ha emanato la sentenza "Anna è cattiva" non hai accennato ad un padre che era in aula e si è opposto a tua madre.

Non scrivi che tuo padre è stato avvocato difensore verso tua madre. Non scrivi che lui ha arringato chi ha assistito al giudizio dicendo, in modo chiarissimo: "Anna è innocente". No. Tu scrivi di una madre che ha emanato una sentenza, di a m i c i che lo hanno fatto... e non c'è l'uomo/padre in aula. Non accenni a lui.

Non è soltanto una dimenticanza.

Ne sono convinto. Non è soltanto il fatto che hai scritto velocemente e non ci hai fatto caso.

No, non può essere questo... in verità, io, Pavél, credo che quest'uomo non ti abbia difeso da tua madre.

§

Il che mi porta a riflettere sui sentimenti che legano tua madre a tuo padre. Di queste emozioni, so che le conosci perfettamente.

E so che molta parte del tuo comportamento verso i ragazzi è, appunto, una eco di questa relazione: che è un errore... perché è una relazione tra i tuoi genitori, non è la t u a relazione, non sei tu, sono loro, non è Anna... non può essere Anna.

Con il tempo, ti sei fatta convinta che 'Anna è cattiva', Anna "distrugge ogni cosa che tocca".

Dunque: Anna deve essere punita: le è vietato di creare legami d'affetto troppo stretti, dovrà 'pensare' prima di parlare o agire, dovrà evitare emozioni troppo forti, controllarsi sempre.

Tu stessa dici che queste sono 'punizioni': se si infrangono subentra un secondo livello di punizione: la colpa.

§

Il pensiero che hai elaborato, credo, è un pensiero masochista: un pensiero profondamente sbagliato.

Dalle tue parole - l'unica cosa che sappiamo di te - abbiamo un coniuge forte che punisce un coniuge debole, abbiamo un coniuge 'magistrato' che giudica e un coniuge che non c'è quando vengono pronunciate queste parole terribili: queste figure genitoriali lasciano un messaggio di dolore.

Ti proibisci una relazione con i ragazzi perché c'è un fuoco, una pressione, masochista dentro il tuo cuore: tu stessa dici che le strategie che usi per controllarti, sono 'punizioni'. E non ti accorgi, forse, che NELLA DEPRESSIONE il masochismo ha dinamiche particolarissime che, data la tua giovane età, non so quanto tu possa comprendere o accettare o superare.

Cos'è il masochismo in psicologia? Il termine è legato ad una idea di freddezza, di controllo, di regole, di strutture ordinamentali, di bellezza, di forma, di cultura. Il masochismo nasce come formazione psicologica conseguente a posizioni infantili: il corpo non si accetta e non è accettato adulto e, dunque, punisce lo stesso percorso di collocazione dell'adolescenza: abbiamo un corpo desiderato (infantile) e un corpo non identificato (adulto).

La persona masochista pronuncia regole, chiede controllo, chiede strutture e comprende le forze profonde che le percorrono, comprende di parlare in modo particolare, sente di essere 'verboso', a volte odia le sue stesse parole e si impone il silenzio (in questo senso, Anna, sarebbe anche importante che tu provassi a sfogliare il capolavoro di Manganelli, Hilarotragoedia, forse, dopo "Il freddo e il crudele" di Deleuze, uno dei dieci libri che hanno saputo parlare del masochismo come nessuno ha saputo mai... tenendo però in considerazione che il linguaggio manganelliano è, davvero, al primo impatto, assurdo, noioso, distorto, incomprensibile, liberatorio).

Durante una dinamica masochista, la persona desidera che il corpo adulto sia imbrigliato in una struttura forte, fatta di sottomissione, che permetta al corpo bambino di emergere e vivere: accanto ad una Anna adulta c'è una Anna bambina in cui è collocato l'affetto, la felicità, la gioia fisica, l'amore. Solo negando il corpo adulto, è possibile emergere - è chiaro STO IMMAGINANDO, STO SOLO IPOTIZZANDO - in ciò che è dono positivo.

Tento di spiegarmi con un esempio: una delle forme di masochismo più chiare è l'anoressia.

Nell'anoressia, con una fortissima forza di volontà, una donna smette di mangiare: due corpi, corpo/bambino e corpo/adulto si confrontano e il s e c o n d o viene punito, distrutto, per far rivivere il primo.

Il 'vero' dolore sarebbe il punire il primo corpo: ad esempio, una cosa che un masochista non accetterebbe mai è la sottrazione dei suoi "giocattoli". Oggetti che, data l'età adulta di chi li possiede, in psicologia vengono definiti "feticci".

Abbiamo persone adulte che "giocano" con oggetti, che si procurano dolore e vogliono persone che lo somministrino, chiedono di vivere una esperienza di "regressione" e di aderenza ad un alter ego che dica come vestirsi, cosa mangiare, cosa fare, dia ordini...

Ora: far convivere due corpi nello stesso istante, impone un DESIDERIO ALTISSIMO DI CONTROLLO.

§

La persona masochista è una persona contrattuale.

E' una persona che stabilisce delle regole (le 'regole del gioco') e sta malissimo se una persona le infrange.

Nella vita reale, le regole sono molto più 'fluide' e gli adulti strutturano le regole attorno ad una tolleranza che un masochista non tollera.

Un masochista, ad esempio, soffre se una persona non parla correttamente, in modo forbito, se non dice determinate parole e se, soprattutto, a sua volta, è una persona che gioca.

Il partner di una persona masochista deve essere 'controllabile'. Soprattutto: deve essere sempre presente, non può e non deve allontanarsi. Deve realizzare una ritualità definita nei minimi dettagli (si dice essere 'carnefice masochizzante'). Deleuze spiega proprio come un masochista non costruirebbe mai una relazione con una persona sadica.

La persona sadica - mi viene in mente la prosa di Landolfi in tanti suoi libri, soprattutto 'Rien va' - è una persona che infrange le regole, che non tollera, non vede, non percepisce la dimensione infantile. La persona sadica non gioca, non ha feticci, non tollera che qualcuno possa dire: "Fai così...". la persona sadica è una persona che desidera la solitudine, che si sente libera, è una forza ctonia, primigenia, informe, mutevole, astratta.

La persona sadizzante (è questo il termine migliore) è una persona che non tollera le forme, che non può essere fermata, che tende a rappresentare emozioni, che agisce su più piani, che crea interazioni, che non ripete i suoi gesti più volte: è una persona con tratti surreali, in cui la struttura cede, frana, non può essere garantita, in cui c'è un vena distruttiva, che tende a sporcare, che cerca nuove forme di bellezza e non accetta quelle presenti, che non tollera il passato e costruisce il futuro, che vive di futuro.

Il carnefice e la vittima sadizzanti creano una relazione in cui tutto deve essere distrutto, sporcato, in cui nulla può ripetersi, in cui l'improvvisazione è sovrana, in cui la fuga è eletta, in cui di discorsi si destrutturano, in cui il dolore è linguaggio e in cui tutto deve perdersi, secondo un processo shivaista, per essere rigenerato.

Se il masochismo è inverno; il sadismo è estate.

Se il maoschismo è forma; il sadismo è surrealismo.

Se il masochismo è controllo; il sadismo è libertà da ogni norma.

§

Ora: inconsciamente, Anna, io penso che tu ti muova su di un binario masochista.

E, ad esempio, io penso che tu crei una distanza dai ragazzi proprio perché la relazione con una persona non masochista non è strutturata: non ha quelle regole, del linguaggio, del corpo, dell'espressione che tu stessa ti imponi.

Il modo con cui hai identificato in tua madre una Giudice che ha pronunciato una sentenza di condanna mi porta a pensare che in te si siano formate queste posizioni e di come tu - ovviamente - le DEBBA SUPERARE.

§

Ora: io so che resisterai e so che le supererai.

E superandole, supererai anche la depressione che accompagna questi tuoi giorni...

§

Solo rivolgendoti ad un amico, ad una persona capace di capirti, potrai fare passi avanti... si, ne sono assolutamente convinto.

Pure: so che dovrai confrontarti con la 'contrattualità'.

Con il bisogno che hai di 'regole', per 'non implodere'.

Con il tempo, imparerai che numerose regole possono essere 'flessibili' e che non accadrà nulla se queste si infrangeranno...

Imparerai che non rispettando le regole a pieno, potrai COMUNQUE essere felice.

E che anzi quella felicità avrà un sapore particolare...

Una sapore di cui, Anna, ti innamorerai.

§

Comunque... se ti va... solo se ti va...

Puoi dirci cosa significhino per te le regole?

E puoi dirmi se ciò che ti ho detto è sbagliato? Se in esso c'è qualcosa che può apparirti utile?



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Messaggio  annaghiaccio Mar Gen 19, 2016 1:48 pm

Si capisce che hai un' ampia esperienza e una vasta cultura.
Mi ritrovo molto in ciò che dici, mio padre non si è mai espresso, forse avrei dovuto chiederglielo...

Proprio qualche settimana fa un ragazzo (che ho frequentato per una settimana e con il quale sono uscita solo due volte per i motivi già espressi nei messaggi precedenti) mi ha definita masochista perchè tentavo di spiegargli che non fosse lui il problema ma fossi io.
Non mi sono mai definita masochista, forse perchè non avevo ben chiaro cosa volesse dire, però se la descrivi con le parole: controllo, regole, forma, contratto..

Grazie per i titoli consigliati, darò un'occhiata senz'altro!

Cosa sono per me le regole?
Sono qualcosa che mi creano sicurezza e stabilità, mi tranquillizzano. Sono regole che mi sono imposta da sola e che ogni tanto impongo agli altri, non per il mio benessere però. Ad esempio, mia madre è una persona che si agita subito, per qualunque cosa, se non le mostrassi che io sono calma e che non ha senso agitarsi tanto si innervosirebbe ancora di più, per questo chiedo a mio fratello di non farle vedere che è preoccupato, nemmeno di scherzare sul motivo della sua ansia. O ancora, da piccoli tipo a 5-6 anni quando andavamo al centro commerciale e vedevo un giocattolo che desideravo tanto (magari visto in tv) non lo chiedevo MAI se notavo nervosismo dalla voce o dalla sua espressione e suggerivo a mio fratello di fare lo stesso perchè non volevo si arrabbiasse.

Ci sono stati momenti in cui mi sono lasciata andare e "perdevo il controllo". Ho provato a fidarmi o meglio ad affidarmi ad un amico che conoscevo da tempo: potevo dirgli tutto, esprimere le mie emozioni più forti e sembrava capirmi, era bellissimo.

Dopo tre mesi di discorsi profondi e scambi di opinioni, io aiutavo lui e lui aiutava me, io cominciavo a stancarmi di dirgli sempre che stavo male; pensavo che si annoiasse. C'erano giorni in cui sentivo che se avessi liberato ciò che provavo sarei esplosa facendogli male ed era la cosa che più mi spaventava, gli volevo troppo bene; iniziava però anche a darmi fastidio che qualcuno avesse il controllo su di me (probabilmente non era proprio così ma era quello che sentivo) cioè mi sembrava di dipendere da lui per le volte in cui non stavo bene o avevo un problema, come se io non fossi più in grado di rialzarmi da sola, ciò mi terrorizzava, e se un giorno lui non ci potesse essere?
Quindi ho ripreso il controllo di tutto, di conseguenza mi sono allontanata da lui.

Sento che ogni volta che mollo le redini possa succedere qualcosa di brutto. Di solito piango appunto, se non controllo le mie emozioni mi sento in colpa per non-so-bene-cosa e rischio di farmi male fisicamente per non sentire ciò che ho dentro (è successo solo un paio di volte ma ero veramente disperata).

Ciò che voglio dire è che le regole mi servono per sopravvivere. Le ho costruite per facilitare il mio adattamento ai modelli e alle aspettative degli altri perchè sentivo, e ogni tanto anche ora, che quando tentavo di adattarmi era come se volessi entrare in una scatola stretta, come se mi si piegassero le ossa e faceva male. Con queste regole riesco a stare a distanza dalle persone, non serve entrare nella loro scatola.

Cerco un ragazzo al quale io possa cedere il controllo di me, con il quale non debba sempre trattenermi nel parlare o nel muovermi o nelle espressioni del viso come con il resto del mondo. Qualcuno che io possa amare liberamente e soprattutto dal quale mi lasci amare senza paranoie.


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Messaggio  Pavely II Mer Gen 20, 2016 12:55 pm

Dal tuo messaggio, emerge una parola chiave: ansia.

Il quadro che emerge: una madre ansiosa, un padre che fugge, tu e tuo fratello che vivete accanto a queste emozioni così difficili.

Per non perdere la tua forma, per non perdere la vita, per non avere crisi profonde, devi importi regole: regole che immagino come corde che ti permettono di non cadere, corde che ti permettono di rimanere sulla parete.

Vorrei provare a dirti il mio punto di vista sull'ansia. Da dove nasce? Perché tua madre è ansiosa?

Personalmente, credo che l'ansia nasca dalla tensione e per tensione intendo il Controllo psicomotorio sul corpo.

A livello emotivo, AnnaGhiaccio ogni persona prova odio. Puoi dire che l'odio sia il figlio di una madre terribile: la rabbia.

Osserva la 'temperatura' di questo emozioni e osserva come si vada verso un carattere freddo... rabbia... odio... tensione... per poi risalire verso una temperatura più calda... ansia, gioia, dolore...

L'ansia non è controllo: una persona ansiosa è una persona che sta liberando il centro esatto del potere: è una persona che si muove, che si agita, che alza la voce, che grida o parla sottovoce, che respira in modo affannoso, che chiede di essere abbracciata.

Odio.... tensione... ansia...

Ti scrivo per dirti questo: l'ansia è madre della gioia.

Cioè: ogni volta che un essere umano prova gioia, prima è stato ansioso.

Non ti parlo solo dello studente che supera un esame, di un giocatore che vince una partita o di chi, finalmente, riceve la notizia attesa.

Ti parlo anche del piano corporeo, del piacere, della gioia: osserva tutte le volte che hai provato un godimento corporeo. Magari perché tua mamma ha cucinato proprio la cosa che ami, magari perché una persona a cui vuoi bene ti ha dato un abbraccio, magari perché hai potuto comprare quel libro desiderato o hai trovato quel capo di abbigliamento che ti fa stare così bene con te stessa o, anche, la pulizia del corpo o un piumone caldo o un camino acceso...

Gli attimi prima di provare qualsiasi piacere fisico sono attimi d'ansia. Ansia, quando aspettiamo al ristorante che arrivi il cameriere con il nostro piatto; ansia quando attendiamo la telefonata della persona amata; ansia quando dobbiamo andare in un posto e saliamo in macchina; ansia quando stiamo finendo un progetto al lavoro e sta venendo bene e sono gli ultimi momenti e ti auguri che finisca quanto prima e sai che sarà così, sai come, a progetto finito, tutto sarà stupendo.

AnnaGhiaccio: il problema fondamentale è che però la "ruota delle emozioni" può fermarsi. Può cioè accadere che l'ansia diventi così forte, la tensione corporea così dolorosa, da non poter generare la gioia. Questo accade quando il girare di questa ruota che ognuno di noi porta nel cuore, inverte il suo senso di marcia. Così... l'ansia invece di evolvere in gioia va t o r n a verso l'emozione che l'ha generata la tensione corporea e la tensione stessa si muove verso l'emozione che l'ha mossa: l'odio.

L'odio genera tensione corporea. Ma può accadere che questa stessa emozione, questo sentimento, ritorni ad esso. E nella misura in cui è un s u p e r a m e n t o del meccanismo doloroso che porta con sé, è - nell'economia dell'anima - un guadagno. Tua madre odia. Mentre rifletto su questo, mi chiedo perché... forse, odia - a sua volta - i suoi genitori. Qualcosa, una intuzione quasi sicuramente sbagliata, mi porta a immaginare come sia stato il rapporto tra tua madre e i tuoi nonni: quanto amore tua nonna abbia dato a sua figlia, quanta sicurezza tuo nonno abbia saputo trasmettergli.

Io ho 40 anni e il doppio dei tuoi anni. Alla mia età ho osservato, sempre più spesso, che le donne tendono a scegliere un marito che rispecchi lo schema famigliare in cui sono cresciute. Cioè: molto probabilmente tua madre ha un forte desiderio di controllo verso tuo padre, lo vorrebbe sempre vicino a sé, tende a porre a lui dei limiti e tuo padre si allontana, cerca di fuggire, non c'è veramente né per lei né per te. E questa cosa ti fa soffrire... come mi figuro, come IMMAGINO, che sia stato tuo nonno materno? Io me lo figuro come un nonno distante, con pochissime parole, a volte anaffettivo, e mi pare di vedere tua nonna che ne soffre, che sente di perderlo, che sa di amarlo e è consapevole di come sarebbe terribile che lui non ci fosse e, pure, questo marito che la fa soffrire così tanto è li e lei lo sente con libero ma di una libertà che potrebbe costringerla nella solitudine.

Il terrore di tua nonna di perdere il marito riverbera nel desiderio di tua madre di perdere tuo padre? Così come questo "copione" si rispecchia in te? Tu senti come le persone vadano via e senti come questa lontananza sia ragione di odio. Se le persone non sono MOLTO presenti, non sono SEMPRE li, allora ne nasce un odio profondo e l'odio genera una dolorosa tensione e la tensione genera ansia e questa ansia è terribile da vivere... (Dio mio, si). Io immagino una nonna, una madre e una Anna che hanno paura di perdere le persone che amano. Tu, per non soffrire, allora, cosa fai? Per non vivere nell'ansia dolorosa che hai visto nella tua famiglia materna come ti comporti? Secondo il mio punto di vista, allontani le persone. E' questo un gioco particolare: se io ti allontano subito, ho delle certezze; se io ti allontano subito, non proverò più ansia del tuo abbandono; se io ti allontano subito non sentirò più il mio corpo teso quasi come canne al vento; se ti allontano subito non sarò lasciata sola.

Hai tentato di fidarti di un "amico": hai capito come fosse bello abbandonarsi completamente a lui (era un amore?). Poi, però, ti il "copione" di tua nonna e di tua madre si è riattivato: "Gli uomini lasciano le donne se queste non riescono a controllare la situazione". Norme. Regole. Cultura materiale di un controllo fondamentale: per non permettere all'uomo di andare via occorre che questi accetti delle regole: essere sempre reperibile, essere sempre pronto al dialogo, essere sempre pronto all'ascolto. Questo desiderio iper-normativo però ti fa stare male: chi è l'uomo che fondamentalmente dirà si a queste tue richieste? CHi è l'uomo che accettare di rispondere a questo desiderio di controllo? Per non dover dipendere da questa paura abbandonica, allora, fai la prima mossa e te ne vai.

E pure, ciò che vorresti, è proprio un ragazzo della tua età che capisse questo copione famigliare. Quello che vorresti è proprio un ragazzo che capisse la sofferenza che ti da "controllare" e "controllarti". Capire il sistema di regole che, emozionalmente, ti sei imposta. Un ragazzo a cui "abbandonarti", un ragazzo da amare senza paranoie, un ragazzo che ci sia e che ti dia sicurezze. E la domanda che dobbiamo farci è: esistono ragazzi così? Ragazzi estremamente calmi, posati, che non urlano, che sanno farti ridere quando occorre, che sanno farti sentire protetta e sicura?

Il problema di fondo, qui, sono le regole.

Le regole sono il meccanismo che 'rallenta' la 'ruota delle emozioni'.

Le regole portano l'ansia alla tensione e, quindi, all'odio. Da cui il meccanismo 'masochista' di cui ti parlavo nel precende messaggio e che devi, secondo me, ASSOLUTAMENTE, superare.

Tendere all'odio contiene un'economia masochizzante pericolosa: l'odio genera dalla rabbia e questa, a sua volta, è generata dalla paura. Ma la paura, AnnaGhiaccio, è figlia dell'amore: qualsiasi paura tu possa avere, imparerai crescendo come questa sia possibile solo dove manchi l'amore.

C'è un percorso quindi che porta l'ansia all'amore attraverso l'inferno dell'odio e della rabbia. Se si riesce a passare questi scogli, si approda all'amore. Ragionamento che è, però, innaturale. L'amore dovrebbe nascere dalla felicità. E dovrebbe lasciarci alle esperienze della paura, quelle paura che dobbiamo superare, che possiamo superare, che ci rendono migliori (superare una paura è sempre un modo di crescere, credimi).

Occorre infrangere le regole che dai e che ti dai.

La via che vuoi percorrere - un ragazzo a cui cedere il controllo - non mi appare giusta: e non è giusta proprio perché è masochista: implica, ad esempio, quello che nel Bondage si intende per Power exchange.

Nella AltSex - sessualità alternativa - del Bondage e per chi la sceglie esistono le persone che formano una relazione in cui un Partner prende le scelte e regola - in modo preciso, puntiglioso, ossessivo - ogni più piccolo aspetto della persona sottomessa.

Ad esempio: come vestire, cosa mangiare, cosa fare, quando parlare, quando dormire... spesso, in questo bordeline lifestyle i 'sottomessi' (bottom, in inglese) indossano in casa un collare (sic!) e così via... è un qualcosa che richiama l'educazione inglese, è un fenomeno più diffuso di cui pensi.

In sessuologia, questa forma masochizzante è spesso scelta da persona che vivono un elevato tasso di ansia sociale, lavorativa, personale: molti dirigenti inglesi, ad esempio, nella loro vita privata, cedono il 'controllo' alla propria moglie o ad un amante (che chiamano "signora", Mistress). Ciò che ottengono, sul piano emotivo, è proprio il completo abbandono dell'ansia e della tensione, l'esperienza dell'odio e e della rabbia e della paura (dimensione masochistica) per approdare, dopo ogni giornata, all'amore... (è la ruota delle emozioni che gira al contrario).

§

L'ansia, AnnaGhiaccio, è qualcosa di positivo: prova a cercare su internet cosa sia l'eustress.

Si può vivere: le responsabilità, gli stress, i momenti critici sono fasi della vita di ognuno di noi.

Cercare di superarli con un percorso masochizzante, cedendo il controllo ad una persona, per creare un contesto emotivo che annulli questi momenti... è sbagliato.

Io so che prenderai coscienza di come - nella parte femminile della tua famiglia - ci sia stato e ci sia un copione che si sta ripetendo. Nel momento in cui lo capirai, potrai parlarne.

E parlandone, lo supererai. E sarà bellissimo quando accadrà.

§

Io ti chiedo: ha senso ciò che ho scritto?

SOno riuscito a spiegarmi? A dirti come io consideri un errore profondissimo far girare all'opposto le emozioni del tuo cuore e approdare all'amore "dal basso", per annullare l'ansia e non invece partendo dalla felicità? (Come ogni amore dovrebbe nascere?)

Un abbraccio.

Forza, so che reisterai.

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Messaggio  annaghiaccio Gio Gen 21, 2016 4:35 pm

Ha molto senso tutto ciò che dici. Ansia appunto è una parola che rispecchia pienamente il clima in casa mia.

Non so molto su mia nonna materna, vive lontano da noi, l'ho vista solo una volta quando avevo due anni, ma so che mia madre se n'è andata di casa a 15-16 anni perché non voluta da mia nonna (penso per ragioni economiche e perché aveva un carattere che evidentemente andava a scontrarsi con quello di sua madre). Mio nonno non l'ho mai conosciuto, né quello materno né quello paterno, purtroppo.

Voglio spezzare questa catena, uscire da questo circolo vizioso.

Io non mi definisco una persona ansiosa, proprio perché cerco sempre di controllarmi. Quasi fossi stata addestrata a farlo; fin da piccola non potevo far vedere che avevo paura o che ero tanto triste o arrabbiata con qualcuno perché venivo (sgridata), cioè partiva una predica nella quale mia madre spiegava qualcosa (che non c'entrava nulla) e alla fine io avevo torto e lei ragione, la mia tristezza, rabbia o paura erano prive di una vera motivazione secondo lei, SEMPRE! Quindi dopo anni passati così mi sono convinta che davvero non avesse senso provare quelle emozioni, ho imparato a non mostrarle, a giocarci e ora non so più come liberarle senza troppa violenza.
Un piccolo vantaggio ce l'ha però: quando ci sono verifiche e interrogazioni a scuola sono tranquillissima, concentrata, così come per l'esame per la patente, non avevo un briciolo di tensione.
Questa viene fuori quando mi devo relazionare con qualcuno, di solito del sesso opposto, anche per trovarsi per un banalissimo caffè, e non è per la paura di non piacere (spesso sono troppo superba e sicura di me) anzi è perché temo che a me non piaccia lui.

Come faccio a smettere di essere masochista?
Non so come fare per svincolarmi da quel modello di comportamento che "il giudice" (ovvero io stessa) ha stabilito per me, perché è l'unico riferimento che ho. Sono sempre stata così, sono cresciuta così, storta probabilmente, come un albero, la corteccia e il legno sono difficili da raddrizzare.

Sinceramente, io credo davvero di poter risolvere questo masochismo ma la cosa mi spaventa tantissimo, anzi mi terrorizza. E' come se dovessi non essere più me o almeno una gran parte di me.

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Messaggio  Akinator Gio Gen 21, 2016 5:11 pm

annaghiaccio ha scritto:Buonasera a tutti,
sono una ragazza di 18 anni e mi sono registrata per ascoltare un parere diverso dal mio dato che a voce mi risulta più difficile rispetto a comunicare attraverso uno schermo.
Ho dei problemi con i ragazzi come, d'altro canto, la maggior parte delle adolescenti, ma non capisco se sia un problema legato alla crescita o a qualcosa che riguarda me strettamente. Cerco di spiegarmi con qualche esempio. Può capitare che mi piaccia un ragazzo, magari parecchio, scopro che prova lo stesso e decidiamo di conoscerci meglio; dopo circa una settimana sento qualcosa che non va, tipo un fastidio allo stomaco, un mix fra l'agitazione e il disagio e decido di chiuderla lì prima che il ragazzo si leghi troppo. Mi è capitato più volte, sempre la solita storia, credevo fosse per il fatto che corressi troppo io o troppo lui quindi provavo a rallentare ma non era questo il problema; forse chiudevo troppo presto, mi sono data tempo quasi un mese ma mi sembrava di prendere in giro quel povero ragazzo perchè non riuscivo a provare nulla tranne il disagio.

In parte è normale, nel senso che non esiste attrazione senza disagio, in quanto l'attrazione è una rottura di un equilibrio... d'altra parte se quello che provi è soltanto disagio, allora potrebbe essere che c'è qualcosa che non va.

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Messaggio  Pavely II Gio Gen 21, 2016 6:01 pm

Provo a risponderti, perché mi scrivi come "Ha molto senso tutto ciò che dici".

§

Vorrei dirti che mi ha molto colpito, davvero, che tu abbia visto tua nonna quando avevi due anni.

Soprattutto perché - tecnicamente - a parte le foto di questo incontro, non puoi ricordare nulla di quei giorni.

Da ciò che scrivi emerge che tua nonna è viva. Pure, non la vedi. Hai 18 anni e non la vedi: scrivi: "Vive lontano da noi".

Questo aspetto è, davvero, innaturale AnnaGhiaccio. E' terribile. Mi chiedo perché tu non prenda la macchina o il treno e la vada a trovare.

Trovo stranissimo che tu non ti muova in prima persona per andare incontro a questa donna anziana. E se non lo fai, forse, è a ragione di tua madre; forse, sto IPOTIZZANDO, lei ti fa capire come starebbe male se tu lo facessi?

Ma cosa c'è di male se una nipote va a trovare sua nonna? Mi sento, un poco, come una persona che guarda una eclissi lunare, un cielo in cui manca la parte più luminosa, un cielo che si scopre mancante della sua parte più essenziale.

Perdonami, è una cosa che mi colpisce tantissimo e che, forse, mi fa male. Mi chiedo: "Ma AnnaGhiaccio sente il bisogno di questa nonna?". E' una domanda che ti faccio e se vuoi rispondere, ecco, sarebbe per me importante... ma se la domanda è intima... e ti fa male farlo... ti prego... non rispondere.

Se sottolineo questo punto è solo perché rimango fermo, quasi immobile, ad osservarlo. Mi chiedo cosa tu possa provare verso questa donna nell'andarla a trovare. Mi chiedo cosa accadrebbe se ci andassi con tua madre. Se riuscissi a ricomporre il loro rapporto. E mentre penso questo... più che il tuo mondo, penso a quello di tua mamma.

Come fa una donna come tua madre a non portare tuo fratello e te dalla nonna. Quale crimine terribile può aver commesso questa donna per non poter vedere più i nipoti? Cercando una ragione scrivi "per ragioni economiche". Pure, tua madre si è sposata. E quindi i problemi economici non sussistono più... tu stessa, mi sembra di capire, eccelli negli studi... e penso che a tuo fratello e a te non manchi nulla di materiale.

Non ti immagino "ricchissima" ma non ti immagino neanche povera. Soprattutto: perché tuo padre non ha fatto nulla per sedici anni per riavvicinare tua madre a tua nonna materna? Hai visto tua nonna quando avevi due anni... dunque i tuoi genitori ti hanno cresciuta da piccolissima senza il suo aiuto. Non c'è stata una nonna che si è "trasferita" da voi. Non c'è stata una nonna che ha aiutato la figlia a prendersi cura di te...

Mi sembra di essere in ginocchio, in un bosco, mentre osservo un tramonto su di una foresta. Mi sembra di essere li, di chiedermi la ragione di questi sentimenti di odio. Ti ricordi ciò che ti ho detto: "L'odio genera tensione e la tensione genera ansia?". Da ciò che hai scritto emerge come, ancora oggi, tua madre odi tua nonna? E' una IPOTESI plausibile? Potrebbe essere possibile, mi chiedo? Non posso sapere la risposta. E' solo una domanda aperta.

§

Scrivi come tua madre ti abbia sempre "sminuita" nelle tue emozioni.

E come lo abbia fatto durante la tua adolescenza, in modo particolare.

Probabilmente, tua nonna deve aver compiuto la stessa cosa con lei. (Ancora una IPOTESI).

Tua nonna deve aver sminuito tutte le emozioni di tua madre. Ora, forse, tua madre si è innamorata di un uomo più grande di lei...

Tua nonna deve averla sgridata e repressa... deve essere stata autoritaria con lei... e lei ha voluto fuggire, appena ha potuto, ha voluto scappare da una madre che non ascoltava le sue emozioni.

E paradossalmente, forse, è la stessa cosa che ha compiuto con te. Ci penso in questo pomeriggio di gennaio... l'odio genera tensione e la tensione genera ansia. L'ansia di tua madre. Ansia che non rivela alcuna gioia ma che si ferma in sé stessa, in un dolore che non riesce a risolvere.

Per risolvere il suo dolore, tua madre dovrebbe parlare del suo odio. Delle ragioni che l'hanno spinta ad allontanarsi... a fuggire, ad andare via. Ma è difficilissimo parlare dell'odio. Ed è difficile perché è un'emozione. E' come l'amore. Nessuna poesia può compiutamente parlare l'amore, descriverlo, spiegarlo.

Le emozioni possono solo essere vissute, magari ad occhi chiusi, magari con un viso teso o con un sorriso, magari con un movimento di danza o una desiderata immobilità. QUesto percorso, però, riverbera in te. Riverbera in quella "superbia" che senti di possedere quando ti trovi per un "banalissimo caffé".

§

Mamma ansiosa e papà assente, papà con cui non puoi parlare.

Molte ragazze che vivono un percorso "masochizzante" hanno questo schema.

Mi viene in mente il racconto "Bad behaviour" di Mary Gaitskill, scrittrice americana femminista.

Dovrebbe essere contenuto in "Oggi sono tua", Einaudi editore, fascia di prezzo medio-bassa (10, 12 euro se ricordo bene).

Prova a sfogliarlo se vai in libreria. Dal racconto è stato tratto un film - Secretary - qui interessante solo per illustrare l'"ansia" della madre della protagonista (Lee/Maggie Gyllenhaal) Joan (una straordinaria Lesley Ann Warren) e l'assenza del padre Burt (un "alcolista" Stephen McHattie).

Il film non parla di masochismo (come si potrebbe pensare) ma di autolesionismo. Il racconto ha senso ma, in parte, lo ha anche il film: la sceneggiatura del film infatti è stata affidata ad una donna, Erin Wilson, a mio parere, molto talentuosa. Quindi, prendendo le dovute distanze, può essere l'inizio di una riflessione.

L'ansia è madre della gioia, AnnaGhiaccio. Ma la gioia, osserva, è madre del dolore. Tento di spiegarmi: prendi il dolore, questo sconosciuto. Quand'è che il dolore può essere descritto? Quand'è che proviamo dolore? In parte, certo, quando viviamo un danno fisico. (Ad esempio: ci facciamo male... sbattiamo contro qualcosa, non so).

Pure: avere un danno fisico significa attivare una "nocicezione", uno stimolo "nocicettivo". Il dolore è, a mio parere, se posso esprimere il mio punto di vista, qualcosa di diverso. E indica l'assenza della gioia. Indica ciò che proviamo quando il "ricordo" della gioia si spegne. Se mi dovessero chiedere come io quantificherei il dolore, io punterei il dito verso le persone in 'astinenza'.

Persone che desiderano disperatamente qualcosa e non possono averla perché quel qualcosa ha dato loro gioia fisica (tossicodipendenze, certo... ma anche le emozioni che l'amore, la felicità, l'affetto ci possono dare). Quando non riceviamo più ciò che ci dà gioia fisica, AnnaGhiaccio, la gioia finisce e subentra l'EMOZIONE del dolore. Allora, cosa fa il corpo per non provare più questa sensazione?

Si ferma nella sensazione dell'Ansia.

Non permette all'Ansia di generare Gioia.

Non permette all'Ansia di smettere, di finire.

Ad esempio: se tua madre perdonasse - veramente - tua nonna... allora proverebbe una gioia grandissima.

Ma non so se ciò potrà veramente accadere... (davvero 'sta storia che l'hai vista quando avevi 2 anni... mi è incredibile).

Il percorso masochizzante inizia proprio quando si impedisce all'ansia di liberarsi nella gioia. Quando la si trattiene e si è f e l i c i di farlo.

Cosa accade se una persona non può esprimere gioia fisica (ad esempio: l'orgasmo in sessuologia)? Succede che gioia e dolore si fondono, si avvicinano all'Ansia, chiedono di nascere, chiedono di esistere ma un "blocco" non permette loro di venire alla luce (Ansia).

Qual è la contropartita che la persona ottiene in questo gioco dinamico? Se sali il corso delle emozioni fino all'origine ti accorgi che all'inizio abbiamo Affetto, Felicità, Amore. Emozioni dolci e astratte. Non fisiche. Ma essenziali. Chi si blocca nell'ansia è quindi una persona alla ricerca della felicità, dell'amore, dell'affetto e per fare questo "ferma" l'orgasmo, il godimento, la gioia.

So che può apparirti un discorso assurdo e, pure, molto di questo meccanismo, ad esempio, è alla base del cristianesimo.

(Ti prego: io sono cristiano e non esprimo pregiudizi o opinioni... sto solo facendo un discorso logico, puramente logico...).

§

Ci chiedi come risolvere i percorsi masochizzanti.

Se la cosa ha senso - e Dio solo sa se solo tu puoi saperlo se il mio ragionamento ha senso (mi ripeto: mi permetto di risponderti perché tu esordisci con un "Ha molto senso tutto ciò che dici") - (scusa il gioco di parole) l'unica cosa che puoi fare è fermarti sull'aspetto intellettivo.

La domanda che devi porti è: "Sono intelligente?".

Ti dico la mia percezione: si, sei molto intelligente.

E penso questo perché hai passato l'esame per la patente con la massima tranquillità, perché non hai paura delle interrogazioni, perché ami studiare e, sono convinto, ami leggere.

Non so la città in cui abiti (ti immagino in un paese del sud). Pure: sono assolutamente convinto che nel luogo in cui vivi, ami la cultura. (Lo capisco dalla tua prosa: ad esempio, metti la virgola davanti al 'ma'... non sbagli minimamente la punteggiatura e questo è indice di una persona che legge molto).

Cos'è l'intelligenza?

Ovviamente, non è l'eccellenza in una facoltà (tipo fare radici quadrate a mente o citare intere pagine o altre amenità).

Ma è la capacità di integrare le varie funzioni mentali: ad esempio l'astrazione con il linguaggio, il calcolo con il giudizio, le emozioni con la memoria e così via.

In te, c'è una capacità elevatissima di integrare le fuzioni mentali. Il che mi danno un quadro di una persona, ad esempio, che potrebbe riuscire molto bene all'Università (tipo: farai l'Università? E' una domanda...).

§

Ad un certo momento capirai come le emozioni (ansia... gioia fisica, dolore... amore, felicità...) e le percezioni (gusto, olfatto... etc etc) generino l'intelligenza.

Il tuo "autocontrollo" permette alle emozioni di fare il loro lavoro.

Permette di imbrigliarle, renderle produttive.

Pure: e se questo autocontrollo le stia facendo lavorare "troppo"?

Eccoti seduta ad un tavolino con un ragazzo...

Di la dal suo fisico... cosa mi dice - dico a me, Pavely, - che tu non lo consideri "stupido"...?

Questa è una domanda diretta: ti è mai accaduto di considerare un ragazzo della tua età - ragazzo con cui dovresti stare - 'stupido'?

Ti è mai accaduto di desiderare un ragazzo che sia anche 'stimolo intellettuale' per te? Che ti faccia scoprire, film, libri, riviste, eventi d'arte, opere d'arte...?

Quando prendi un "banalissimo caffé" con un ragazzo può accadere che tu giudichi in primo luogo la sua intelligenza?

§

Tutte le ragazze che hanno vissuto un processo masochizzante, spesso, hanno sviluppato una intelligenza superiore... Uno schema che però non si concretizza nella vita...

Osserva come le emozioni generino l'intelligenza, l'integrazione delle funzioni mentali.

Io immagino che tu sia una ragazza colta (ad esempio: se fai il quinto superiore: qual è la tua media? Speri in un 100/100 per la maturità?).

Pure: con il tempo imparerai che questa intelligenza così alta è FRAGILE.

E' fragile perché in tutte le emozioni che provi ne mancano due fondamentali: gioia fisica e dolore.

La gioia fisica e il dolore NON POSSONO ESSERE GESTITE.

E il processo masochizzante vuole, al contrario, gestirle, renderle razionali, renderle contrattuali.

Essendo "prima della cognizione", le emozioni devono fluire libere e non devono essere razionalizzate: la gioia deve nascere spontanea... non deve essere "voluta". Non può essere "voluta".

Ma chi è in un processo masochista, al contrario, avendo coscienza di come gioia e dolore siano i due unici tasselli mancanti nel fluire delle emozioni, crede di poterli gestire.

§

E' un discorso difficile.

E il fatto è che, sono sicuro, lo capirai con il tempo.

Il masochismo ha un errore di fondo: le emozioni non possono essere gestite ma sono accettate.

L'ansia, ad esempio, non la puoi gestire. La puoi solo usare per produrre gioia. Ti è data l'arte rara di condurla alla gioia... ma non la puoi fermare, non la devi fermare, non puoi mai fermarla.

§

Sei una ragazza AnnaGhiaccio.

Con il tempo, imparerai tante cose.

Ti staccherai da questo forum (nulla ti vieta di mantere contatti...) e andrai incontro alla vita.

Certo, ciò sarà possibile se il rapporto tra tua madre e tua nonna si risolverà... se capirai la dinamica delle emozioni... se capirai tantissime cose di te.

Ma rimane questo: ti auguro ogni bene, AnnaGhiaccio.

Ti auguro di resistere, di realizzare i tuoi sogni.

§

Sicuramente, andrai incontro alla vita... io vorrei, qui, trasmetterti tanta positività e darti un forte incoraggiamento.

§

Se passerai di qui...

Dopo la scuola, (se fai il quinto), andari all'Università?

E se si... quale facoltà sceglierai?









Pavely II

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Messaggio  mazzonrocky Ven Gen 22, 2016 6:00 pm

Annaghiaccio, quando non sei direttamente convolto in un problema (come per me, con il tuo), sembra a volte che questo problema risolvibile con facilità, come se bastasse un suggerimento... Ma non voglo darti un suggerimento, voglio fare una considerazione.
Io penso che uno dei problemi di noi persone sensibili sia che ci facciamo troppe seghe mentali. Cerchiamo sempre di capire cosa vogliono davvero dire gli altri, cosa pensano di noi, che tipi di persone sono, perchè si comportano così ecc. Soprattutto da giovani abbiamo una grandissima paura di sbagliare. non abbiamo ancora capito se siamo belli o brutti, molto intelligenti oppure intelligenti così così. Siamo sempre frenati da qualcosa. Io credo ch dobbiamo imparare a lasciarci un pò andare, senza correre rischi, con l'intelligenza che non ci manca.... non stiamo a cercare sempre il pelo nell'uovo! Le evoluzioni del pensiero quando sono eccessive diventano involuzioni. Credimi (esortazione che per la verità detesto...) problemi con i genitori (o uno di essi), con la loro inadeguatezza, con loro assenza empatica e protettiva, ne hanno o ne hanno avuti il 90% delle persone. Tuo papà è un bravo cristo, e tu lo sai e lo dici. Se fosse più vicino a te, con il cuore e con la mente, sarebbe meglio, certo. Ma comunque è un bravo cristo. Quello che parlava di scopate eccetera deve essere un tuo coetaneo un pò cretinetti. C'è il rischio di incontrarli certo, ma basta poi non sposarli.

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Messaggio  annaghiaccio Ven Gen 22, 2016 6:42 pm

@Pavely
Non vedo mia nonna da quando avevo due anni perché dovrei prendere un aereo, eviterei di dirti esattamente la nazione in cui è se non ti spiace, dico solo che servirebbero 20 ore di volo. Non ne sento la mancanza, né il bisogno sinceramente, non l'ho mai davvero conosciuta quindi non ho dei ricordi che mi facciano sentire nostalgica. Mia madre è andata a trovarla recentemente, dopo l'ultima volta che è stata con me, ma non penso si odino a vicenda. Non so nulla del rapporto che hanno, capisco solo che si vogliono bene a distanza (si chiamano su skype ogni tanto, quindi hanno una specie di contatto). Ho scoperto di voler tanto bene a mia madre proprio allontanandomi da lei con la sua partenza; è triste come cosa perché ho bisogno di perdere o quasi le persone per capire che infondo le amavo..
Ho, invece, perso di recente la nonna paterna, a lei si che ero legata, anche se non ha mai mostrato molto affetto come nonna (come d'altro canto mio padre) legata nel senso che rappresentava una parte bella della mia infanzia, a casa sua ho i ricordi più belli che svariano fra immagini, suoni, odori e profumi.

A volte mi capita di giudicare un ragazzo in base alla sua cultura, soprattutto per l'interesse che esprime verso ciò che fa nella vita. Ho conosciuto ragazzi veramente belli esteriormente, gentilissimi, rispettosi magari che però non provavano interesse per nulla, NULLA! Non avevo nuovi argomenti di conversazione, non pretendevo e non lo pretendo tutt'ora di trovare un ragazzo dalla cultura vastissima in ogni campo, ci mancherebbe, mi piacerebbe però se avesse anche una sola passione, ma che sia vera: un ragazzo al quale brillino gli occhi mentre parla del suo sogno, che sia il calcio o un altro sport, la fotografia, la pittura, i film, la musica..

Sono molto lusingata per l'aggettivo "intelligente", davvero, purtroppo non amo leggere, vivo al nord Italia e sono cristiana anch'io; mi piacciono la cultura e imparare, tanto.
Si, auspico di uscire con 100/100 (troppo ambiziosa?) e il prossimo anno mi piacerebbe studiare fisica all'università nonostante stia frequentando un istituto d'arte...

Se le emozioni non posso gestirle allora che cosa ho fatto per questi anni? Credevo di essere capace di controllarle, era solo un' auto-convinzione?

Grazie per l'incoraggiamento, per la fiducia e per il tempo che dedichi per rispondermi  flower


@Akinator
In realtà di solito il disagio prende il posto dell'attrazione. Comunque grazie per l'opinione e l'interessamento Smile


@mazzonrocky
L'ho pensato molto spesso e un po' lo penso tutt'ora di crearmi tante tante paranoie, volevo capire se sono dovute alla mia età, alla mia sensibilità, alla mia famiglia o a tutte queste cose messe assieme. Non do la colpa a mio padre, assolutamente, né a mia madre, le mie sono solo osservazioni che cerco di dare il più apaticamente possibile per far chiarezza in me senza sentirmi in colpa per ciò che sto dicendo.
Per ora non cerco un ragazzo, né una storia da una botta e via ma tanto meno una relazione seria; se capita ben venga eh, ma evito di farmi problemi su questo argomento, cerco di concentrarmi sullo studio Wink
Grazie per la condivisione!

annaghiaccio

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Messaggio  merla Ven Gen 22, 2016 8:00 pm

annaghiaccio ha scritto:

Se le emozioni non posso gestirle allora che cosa ho fatto per questi anni? Credevo di essere capace di controllarle, era solo un' auto-convinzione?


Sì esatto. Era un'autoconvinzione, che per altro non sei l'unica ad avere ed è anche tutto considerato abbastanza compatibile con la tua età. ;-)

Le emozioni si vivono e si attraversano, e tra l'altro si impara e si cresce proprio attraversandole. Oltrettutto vivendole e accettandole per quel che sono, si impara invece a gestire le proprie reazioni ad esse e a scegliere le reazioni più adeguate.
Direi innanzitutto che non viviamo in un tipo di società particolarmente propedeutico a questo lavoro su se stessi, quindi gli aspetti emotivi e l'importanza dell'intelligenza emotiva e relazionale, sono spesso sottovalutati. In ogni caso, un'emozione va presa come una sensazione del tutto naturale e inevitabile nella relazione tra se stessi e l'esterno. Allo stesso modo in cui se inciampando e prendendoti una storta, sentiresti male a una caviglia, non c'è nessuna ragione per pensare di poter gestire quello che provi quando ti succede qualcosa di brutto, di bello, che ti spaventa, o che desideri.

Il tuo thread, sostanzialmente, racconta di una sorta di tuo "congelamento" nel momento in cui stringi delle relazioni, più o meno intime (esulando dalla questione strettamente sessuali) con dei ragazzi che ti piacciono. Oltre a essere una mia interpretazione, non è irragionevole pensare che sia una questione sostanzialmente di paura: le reazioni primitive e innate alla paura sono la fuga o la paralisi. Un'altra reazione tutto considerato "secondaria" (nel senso di non diretta) potrebbe essere la rabbia.

Forse potrebbe aiutarti tenere in considerazione che provare paura di fronte a un'altra persona e all'incontro è qualcosa di perfettamente naturale e che succede a tutti: anche magari risolte questioni non indispensabili come la paura del rifiuto, la paura di fidarsi o aspettative magari un po' alte rispetto al contesto, in sé qualsiasi forma di intimità (di nuovo non solo sessuale, qualsiasi forma) è naturalmente qualcosa che si desidera e che spaventa. Inevitabilmente nel contatto con l'altro, investi qualcosa di te e inevitabilmente senti la paura di perdere questo qualcosa. Questo succede a tutte le età e a tutte le persone (eccetto forse i guru? chi lo sa Smile) e, anche se qualcuno non ammette di provarla, tutti provano un minimo di paura prima di qualsiasi contatto umano. Solo che alcuni hanno imparato a gestirla.
Insomma....forse non lo ritieni possibile, ma tu potresti, per esempio, uscire con un ragazzo che ti piace, provare questa sensazione di paura e il conseguente "congelamento", ma se fossi in grado di esserne consapevole e di riconoscerne la ragione, non coinvolgere in nessun modo (o magari in modo soltanto limitato) in questa tua sensazione il ragazzo con cui esci, perché sai che ti interessa e sai che questa tua reazione in realtà c'entra poco con lui e molto con te. Non ti sto dicendo di fingere eh, ma solo che se imparando a sentire le proprie emozioni anziché rifiutarle, si può interagire in un modo più efficace con l'esterno e con gli altri perché si impara a non confondere cause esterne ed interne.
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Messaggio  Pavely II Sab Gen 23, 2016 10:43 am

AnnaGhiaccio, io penso che Merla abbia pienamente ragione.

L'idea che un essere umano possa controllare le emozioni è un'autoconvinzione.

Come ti dice Merla è naturalissimo che alla tua età tu possa pensarlo. Tutti noi, penso, anche solo per un attimo, lo abbiamo creduto.

Le emozioni, davvero, si vivono e nella loro vita cresciamo, ci avviciniamo a noi stessi, scoprendoci dopo ogni attimo, imparando a conoscerci.

Vorrei scusarmi con te per non aver capito il legame che stringe tua madre a tua nonna. Ci scrivi come si vedano e parlino su Skype. E come lei sia andata, da poco, a trovarla.

Non sapevo, non immaginavo, che lei fosse così distante da voi. E anche adesso, ora che sono davanti a questo schermo, mi chiedo la ragione, comunque, che vi abbia privato di una diversa vicinanza.

Questa nonna è in un altro continente. Forse, parla una lingua diversa. Pure: quando ho scritto dei legami che avvicinavano voi - tua madre, tu - ho pensato a come fosse possibile andarla a trovare una volta l'anno.

Ma non è accaduto, non accade. Vedi tua madre parlare con lei, così mi chiedo cosa provi quando accade. Se ti avvicini allo schermo, se la saluti, se lei ti sorride (e parlando di depressione, credimi, è importante). Poi, mentre PENSO questo, mi chiedo quanto io sia indiscreto...

Non ti sto chiedendo nulla della tua vita privata. Rispettare l'intimità, penso, sia tutto. Rispettare le distanze, davvero, è una virtù rara, importante. Bella. Sto solo condividendo con te, cosa provo leggendo i tuoi post, leggendo cosa scrivi sul forum, cosa provi. Cerco, cioè rispondendoti, di leggermi.

Arrivare a me stesso. Ti faccio un esempio: tu sei un'artista e desideri fare la facoltà di Fisica e pensi che a questa asserzione possiamo (posso) reagire con stupore. No. Per varie ragioni. Ad esempio: la figlia di mia cugina - F. - segue i corsi di Fisica a Roma. Si è diplomata al liceo classico e il padre è un docente di Storia dell'arte.

So le difficoltà che incontra (ad esempio, al secondo anno, deve fare cose tipo il Lemma di Ito per studiare la teoria cinetica dei Gas, lemma che ha la particolarità di poter generare un integrale che non ha alcun significato geometrico... e pensare un integrale senza questo è molto difficile da capire per chi non ha studiato matematica....) e so anche la passione che ci mette.

Poi, nella mia famiglia, scorre, nelle nostre vene, una storia di autismo, di introversione, di passione per le scienze. Se studierai fisica, so che sarai felice. E questo mi da pace.

§

Vorrei provare a spiegarti come IO PENSO NASCANO le emozioni.

Se ci riesco, in minima parte, forse, posso darti un indizio per farti intuire come sia 'impossibile' controllarle razionalmente.

Il punto di partenza è il nostro corpo e ciò che facciamo. Per poter agire usiamo verso di esso due funzioni: il controllo e la qualità psicomotoria.

Per controllo psicomotorio si intende il nostro tempo di reazione nel mettere in campo un comportamento. Possiamo essere 'lenti' - diminuiamo allora la spontaneità e la gestualità, ci muoviamo e parliamo piano - o possiamo essere 'veloci' - tensione interiore grandissima, comportamenti e cognitività eccessiva, inquieta, che può portare, ad esempio, a picchiettare contro il pavimento, torcersi le mani, muoverle nervosamente.

Per qualità psicomotoria si intende la funzione che mettiamo in campo per creare le giuste sequenze di comportamenti non verbali: l'andatura, la coordinazione tra mani e occhi, l'afferrare qualcosa, nuotare, salutare, fare di sì con il capo...

Madre Natura - chiamiamola così - fa in modo che il corpo dei neonati e dei bambini sviluppi fin da subito queste due polarità: tutti i bambini cercano la giusta 'velocità' nel fare qualcosa e la giusta 'appropriatezza': cancellando quelle 'sequenze' che non sono utili alla sopravvivenza, riscrivendole più volte, imparando giorno dopo giorno cosa può portare alle emozioni e cosa invece ostacola la loro nascita.

Per un bambino è difficilissimo non poter scrivere "in prima persona" la grammatica e il significato delle sequenze psicomotorie, la loro velocità, il loro senso. Gli adulti mostrano loro i temi principali: come si afferra una palla, come si sorride, quando si può correre e giocare, quando occorre stare seduti. E spesso i bambini discoordinano i due poli: così ad esempio quando la Qualità impone un determinato 'tempo' può accadere che il controllo non segua (e allora vedrai i bambini sbuffare, agire i piedini, guardare in alto, sfarfallare con le mani).

Puoi paragonare il controllo psicomotorio all'arte di suonare il piano.

Esistono determinate "sequenze" e il "tempo giusto".

Ora, chiediti: come mai un musicista comunica "emozioni"?

La musica - da un lato puramente tecnico - è una sequenza di gesti ad un tempo esatto (controllo psicomotorio): in sé perchè genera emozioni?

La risposta è da ricercare nelle percezioni.

Cioè: per "vedere", ad esempio, e per "capire" ciò che vedi, AnnaGhiaccio, devi mettere in campo sequenze psicomotorie (tipo "andare a vedere", "aprire gli occhi..."). (La cosa vale per la vista come per ogni altra percezione).

Per percepire veramente, però, devi "capire" ciò che stai percependo. Ad esempio: torni a casa e vedi tua madre. Per "vedere tua madre" però devi capire chi è tua madre. Chi è quella donna che stai guardando. E questo, AnnaGhiaccio è possibile solo a patto di provare emozioni.

Cosa distingue tua madre da una sedia?

Se tu avessi delle percezioni "pure" non capiresti la differenza.

Cerchiamo un filo logico: sequenze corporee (velocità/qualità)... percezioni. E nel mezzo le emozioni.

Le emozioni sono ciò che ti permette di "capire" ciò che percepisci. Se tu non potessi attingere dall'universo delle emozioni non potresti dire di percepire a pieno nulla.

Una persona perfettamente senza emozioni non è capace di distinguere la moglie da un cappello (per usare una metafora abbastanza abusata).

Le emozioni, quindi, sono prima delle percezioni (che, va detto, non sono da intendersi nell'ottica del puro processo fisiologico, è ovvio).

§

Le percezioni, AnnaGhiaccio, sono il punto di partenza per la cognizione e il ragionamento.

(Anche se prima della cognizione vera e propria c'è la stazione intermedia del pensiero: momento in cui il controllo e la qualità che prima si applicava a tutto il corpo si applica ora alla mente: ma questo è un altro discorso).

Se pensi di controllare, capire, essere consapevole del tuo comportamento stai esercitando una forma delicata di cognizione che si chiama Insight (vedersi dentro).

Ma l'insight non è ciò che hai applicato a te stessa e alle tue emozioni.

Cioè: tu puoi controllare il tuo comportamento.

E controllando il tuo comportamento puoi impedire a determinate emozioni di nascere.

§

Tento di spiegarmi.

Se io metto una persona in carcere, non gli permetterò di generare le sequenze di emozioni fondamentali come l'affetto, la felicità, l'amore.

Controllare il 'corpo' di una persona, immobilizzarla, impedirle di abbracciare e baciare chi ama, impedirle di correre, impedirle di ridere, di parlare impedisce alla persona la nascita NATURALE delle emozioni.

Pure: SE UN ESSERE UMANO E' VIVO ANCHE MOVIMENTI MINIMI GENERANO EMOZIONI.

La specie umana ha sempre immobilizzato e fermato e imprigionato le persone perché farlo equivale a poter gestire le emozioni dell'odio e della rabbia.

Osserviamo la logica: partendo dalla "camicia di forza" - una specie di strumento di tortura esistito fino al millenovecento e che impediva ai folli di muoversi - arrivando alle carceri, gestire i "movimenti corporei" puri delle persone permette di non far vivere completamente determinate emozioni.

§

Pure: le emozioni, AnnaGhiaccio, sono talmente libere che anche movimenti minimi possono generarle.

Di solito, sequenze "piacevoli" - abbracciare, accarezzare, baciare, sorridere... - vengono associate alla felicità... altre sequenze - alzare la voce, alzare le braccia, avere i muscoli del viso tesi - vengono associate alla rabbia e all'odio.

Queste "partiture" rimangono nella memoria.

E la sequenza: memoria-sequenze psicomotorie-emozioni rimangono scritte nel nostro DNA psichico.

E' un po come un musicista che deve suonare... "prima" ricorda... poi suona e facendolo prova emozioni.

Questa sequenza è IN OGNI NOSTRO GESTO.

Ora: tu possiedi già la GRAMMATICA DEI GESTI.

Cioè: tu sai che baciare equivale ad amare.

Bacio (sequenza psicomotoria) ---> Amore.

Tu hai appreso come ad esempio dare uno schiaffo non può essere espressione del sentimento d'amore.

§

Prendiamo quest'ultima frase.

Può accadere nella vita che la scrittura psicomotoria porti ad una errata scrittura delle emozioni: cioè, ad esempio, una persona apprende - osservando gli adulti che ha visto attorno ad essa quand'er* piccol* - che uno schiaffo può significare emozione:amore.

Di solito, gli psicologi fanno proprio questo: devono ricostruire le giuste armonie. Devono spiegare al/alla paziente come determinati gesti indichino determinate emozioni.

E può accadere, allora, che uno psichiatra incontri un* ragazz* che si sente "controllat*", "ferm*".

So che può apparire strano: ma spesso questa persona afferma che sta "controllando" ciò che è.

In verità, si tratta alle volte di questo: le sequenze controllo psicomotorio-emozioni sono rare, sbagliate, non coerenti con quelle più diffuse.

§

Ad esempio: tu dici che tuo padre è stato "anaffettivo".

Quindi, tu crescendo non hai potuto "scrivere" ad esempio la sequenza 'abbraccio paterno:amore'.  

Se fossi ad un pianoforte, non so, ti suonerei tipo Sol maggiore/Do settima per darti capire.

Non conosci a pieno questa armonia. Le sequenze che hai scritto (e che torno a ripeterti: non puoi mica controllarle... le puoi solo accettare e puoi solo lavorarci su...) non sono comuni.

Ancora: è come con la musica. Ci sono pezzi che funzionano e pezzi che non funzionano. Ad esempio: se io ti facessi ascoltare un pezzo in Mi minore e uno in Sol maggiore capiresti la differenza.

In Italia, i pezzi in Mi minore sono associati alla tristezza, quelli in Sol maggior alla felicità.

Ma può accadere, per i casi della vita che tu associ il Sol maggiore alla tristezza (perché no?).

Ma questo lavoro... questo accadere... non tocca la cognizione e quindi la tua volontà.

§

Le sequenze che creano le emozioni, AnnaGhiaccio non possono essere scelte volontariamente.

Ad esempio: da bambini piccolissimi, siamo "pagine bianche" che imitano le sequenze dei genitori e da questi ricevono il senso.

Se una mamma, ad esempio, non accarezza, non bacia, non abbraccia mai suo figlio e questi, per mangiare, deve stare in silenzio e sorridere probabilmente non capirà il nesso bacio:amore.

Da adulti, ugualmente, proviamo e riproviamo queste sequenze...

Il significato che daremo loro, però, sarà legato alla nostra indissolubile identità. Ad esempio: per me la Giga in rondeau dalla Suite in Mi minore di Rameau è la felictà. Per altri, non sarà così.

§

Ad esempio: nell'ambito dell'AltSex ci saranno persone masochiste che legheranno l'Arte dell'essere sculacciat* al piacere fisico.

Questo perché, ad esempio, la madre dava gesti d'affetto dopo queste punizioni.

Oppure: ci saranno persone che scambieranno i gesti d'ansia - come l'essere sempre presenti, il dedicare molto tempo... - per una forma d'amore.

Sequenze.

AnnaGhiaccio, queste sequenze non possiamo controllarle.

Possiamo solo scriverle e riscriverle... cercando ESPRESSIONI ARTISTICHE.

§

Arte è appunto questo: cercare nuove sequenze psicomotorie per esprimere emozioni.

Osserva: controllo psicomotorio... emozione.

L'opera d'arte non è il solo oggetto che l'artista compie: è la sequenza che ha messo in campo.

Penso a Pollock, ancora... e alle emozioni di smarrimento, perdizione, complessità che aveva dentro...

Ciò che gli artisti fanno, ogni essere umano fa.

Pure: così come la razionalità non può spiegare a pieno l'arte così tu non puoi controllare le tue emozioni.

§

Sto tentando di dirti questo... PUOI CONTROLLARE LE TUE SEQUENZE CORPOREE... MA NON LE TUE EMOZIONI.

Puoi stare ferma, puoi non muoverti, essere lenta... ma ciò che controllerai sarà sempre il tuo corpo... non la sequenza corpo-emozioni.

Puoi anche, al limite, impedire ogni forma d'arte.

Puoi chiuderti in casa o compiere sempre le stesse sequenze.

Ma ciò che controllerai è sarà sempre il tuo corpo.

In psichiatria si dice: "Non inizierai a suonare" (You won't play).

§

Finisco dicendoti questo: un assioma della Scuola di Palo Alto (psicologia) ci dice che questo non può accadere.

Semplicemente: tutti gli esseri umani si muovono.

E muovendosi generano emozioni.

Si, davvero, AnnaGhiaccio l'unica cosa che puoi fare è controllare il tuo corpo e le sue sequenze.

MA LE EMOZIONI VIVRANNO SEMPRE LIBERE...

E potrà accadere che gesti MINIMI... come appoggiare la matita in un certo modo generino, ad esempio, FELICITA'.

§

Si, perché quello che capirai è questo: il cervello umano attribuisce le emozioni ai comportamenti, QUALSIASI ESSI SIANO, che metti campo.

E le attribuisce al massimo grado.

Il pensiero. "FACCIO MENO COSI' PROVO MENO EMOZIONI" E' SBAGLIATO.

Semplicemente, è come se suonassi il pianoforte sempre in sordina.

E come se non usassi mai la pedaliera.

Puoi farlo.

Puoi non usare mai forza nel suonare.

Ma non puoi smettere di suonare.

(Anche un semplice sguardo trasmette emozioni...).

§

Qualsiasi cosa tu faccia, allora, associerai le emozioni ai comportamenti che hai.

§

So di essere stato lungo...

Spero che il ragionamento possa essere utile anche a qualcun'altro...

§

Sento che sei più serena in questi giorni.

Stai resistendo.

E' importante.

Pavely II

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