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Messaggio  Anonimo7 Gio Gen 02, 2020 1:06 pm

Cosa c'è di bello nella vita adulta che può attirarmi? Che soddisfazioni ci saranno se avrò un lavoro? Non capisco cosa dovrebbe farmi continuare a studiare...

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Messaggio  corolla Gio Gen 02, 2020 6:15 pm

Se non ti va di studiare puoi smettere ma ciò non toglie che prima o poi un lavoro dovrai trovarlo lo stesso.

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Messaggio  Anonimo7 Gio Gen 02, 2020 9:59 pm

Per quanto riguarda alle due domande invece?

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Messaggio  corolla Ven Gen 03, 2020 1:04 am

Non penso ci siano risposte univoche, ognuno trova le sue gratificazioni, e in genere è probabile che si debbano mettere in conto una serie di fallimenti e delusioni prima di arrivarci. In ogni caso non capisco bene il senso della domanda, in quanto diventare adulti è inevitabile, quindi è meglio darsi da fare per adattarsi a questa condizione nel miglior modo possibile invece di fantasticare di poterla scansare.

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Messaggio  suggestione Sab Gen 04, 2020 8:53 pm

Ho 51 anni e di bello c'è poco da dire, però il consiglio che ti do è questo. STUDIA TANTO, FAI L UNIVERSITÀ, I MASTER E DIVENTA UNA GRAN MENTE. il resto non conta un cazzo. Sesso divertimento amore. FATTI UNA POSIZIONE, STUDIA PIÙ LINGUE POSSIBILI. CIAO
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Messaggio  Anonimo7 Mer Feb 12, 2020 10:27 am

Quello che voglio dire è che, non voglio fare come tanti che hanno un lavoro per paura di finire come i barboni. Perchè vorrei, se è possibile, essere attirato da qualcosa che mi piace e non spinto da qualcosa che mi fa paura

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Messaggio  merla Mer Feb 12, 2020 5:21 pm

Credo che, per riuscire a dare spazio alle proprie passioni, sia necessario accettare e convivere con certe paure, imparando a depotenziarle.
Non è semplice, secondo me, soprattutto se ci si guarda intorno. Di fatto viviamo in una delle società più ricche del mondo, con un livello di benessere mai raggiunto nella nostra storia, ma al tempo stesso siamo un mondo stanco e spaventato, con scarse prospettive e pochissima immaginazione.
Il benessere, invece di essere una base su cui appoggiarci per creare una società migliore, ha generato ingiustizie, competizione e la paura, molto spesso rimossa, di perdere questo stesso benessere.

Non so se può aiutarti pensare che in realtà chiunque può, in un modo o nell'altro, sperimentare uno stravolgimento di vita tale da portarlo a vivere come un senza tetto, che siano problemi economici, suoi o di sistema, di salute fisica o mentale, catastrofi, rivoluzioni o chissà che altro.
Nessuno prevede il futuro, né chi si muove sulla scorta delle proprie paure, né chi si dedica a un'attività in funzione dei propri desideri; si può dare uno spazio ragionevole alle paure e ai desideri, senza pretendere per forza di esaudire i secondi (che comunque possono e devono dare una direzione) e senza pretendere neanche di acquietare del tutto le prime, perché non è possibile.

Per dirti, io faccio un lavoro autonomo, da vent'anni, che mi piace e con cui, per ora, guadagno abbastanza bene, più di quanto guadagnino la maggior parte dei miei colleghi. Fino ad adesso, professionalmente, sono riuscita nel tempo e in linea di massima a indirizzare il mio lavoro nella direzione che volevo, sia da un punto di vista di soddisfazioni personali sia da un punto di vista economico.
Tutto bene, quindi. Ciononostante io non riesco mai a sentirmi economicamente al sicuro e ogni volta che c'è un fisiologico calo dell'andamento del lavoro, io mi vedo senza casa e senza piatto minestra, perché questa è un'insicurezza che mi porto dentro e che niente mi può togliere. Ci convivo e cerco di adottare un distacco ragionevole quando devo fare delle scelte, lavorative o di vita, in modo da non darla vinta a lei. Da ansiosa non ho trovato molto di più o di meglio da fare. Smile
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Messaggio  Anonimo7 Mer Feb 12, 2020 6:30 pm

C'è da dire anche che non ho mai provato a vivere da solo, e quindi non ho mai sperimentato quella libertà che tanti dicono...
Come fai a fare un lavoro autonomo se sei molto ansiosa? Non è per farmi i fatti tuoi, ma perchè sono abbastanza ignorante di come si vive il lavoro. O almeno spero di esserlo, perchè le esperienze che ho avuto finora sono state terribili.

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Messaggio  merla Mer Feb 12, 2020 7:35 pm

Ma guarda, il fatto e quello che volevo dirti è che la mia ansia (e non solo la mia) prescinde dalla situazione contestuale. È vero che il mio lavoro è soggetto a delle oscillazioni fisiologiche durante l'anno o dovute a mie scelte, tuttavia avendo diversi committenti, in settori diversificati, di paesi diversi, complessivamente non subisce queste grandi oscillazioni.
Oltretutto io ho molto più margine di azione di un dipendente, perché se voglio posso dedicarmi a qualcosa di nuovo o posso investire più tempo nel trovare nuovi clienti o semplicemente, se mi trovo in difficoltà economiche, posso decidere di lavorare di più e accettare più lavori.
In realtà, ho molto più controllo della mia situazione professionale di quanto non ne abbia un dipendente che faccia il mio stesso lavoro; l'ansia che io sento non è proporzionata con la mia realtà.

Poi cmq il mio lavoro mi permette di lavorare quando voglio e dove voglio e non implica un titolare. Questo per me vale la sopportazione dell'ansia, anche se fosse proporzionata con la realtà. Smile
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Messaggio  anthea Mer Apr 15, 2020 10:30 pm

Quando arrivi a 50 anni inizi a tirare molte somme.
Io mi sono lasciata condizionare per buona parte della vita e la colpa è solamente mia.
Avevo dei talenti, ma per timore ed inerzia non li ho mai coltivati. Quindi non saprò mai se perseverando in essi, avrei potuto viverci.
Ora mi accontento di coltivarli come passioni personali.

E' una buona cosa che tu non voglia trovarti un lavoro qualunque solo per sbarcare il lunario, perchè spesso poi quel lavoro ti si appiccica addosso sotto il nome di "esperienza" e sei fottuto.
Il mio lavoro onesto e discretamente retribuito mi fa campare degnamente, ma è solo un lavoro. Adesso che ho 50 anni conto il tempo che mi manca per andare in pensione, e dato che avrò ancora minimo 13 o 14 anni, mi sento male!
Questo Covid mi fa capire che sto benissimo a casa, non mi manca per nulla il lavoro.

Fai esperienze, vai all'estero... Che non ha effetto solamente per imparare le lingue, ma soprattutto ti permette di scoprire altre realtà e altri modi di essere e di pensare.

Come dice Merla, questa società è improntata sul danaro, sul potere, sul guadagno... ma, almeno per me, queste cose non attirano più. Vorrei avere un lavoro che mi soddisfa e di cui andare fiera e vorrei lavorare per me stessa. Perchè così potrei sentire mio il frutto delle mie fatiche. Forse poi entrerei nella spirale del business, ma con il senno odierno penso proprio che non mi succederebbe.

Quindi sì. Sogna e lavora con fatica. Senza fatica non si ottiene nulla di buono, checchè ne dica questa società coi suoi influencer e star dell'ultima ora. Se saprai lavorare sognando, forse riuscirai ad ottenere quello che cerchi.
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Messaggio  Anonimo7 Sab Mag 09, 2020 2:36 pm

Io comunque questa cosa del "realizza te stesso", oltre che a non capirla, la vedo come un mito... dicono: "guarda dentro di te che cosa vuoi fare nella vita", eccetera... dentro di me cosa? Quale condizionamento devo individuare come mio "io interiore"? Se uno da piccolo ha imparato a fare il falegname da un padre che ama, allora il suo "io" gli dirà che è portato per fare il falegname, e quando avrà 60 anni e suo padre sarà morto, lui comunque "rivive" le situazioni con suo padre a mo' di flashback quando taglierà il legno... ma si convincerà che è il legno che gli piace, indipendentemente da suo padre...sì, come no. Quindi solo guardando i condizionamenti positivi del passato posso decifrare quale sarà il lavoro che "fa per me", e se uno non ne ha, fatti suoi.

La società è fatta così, prima ti fa diventare razionalissimo, poi ti deprimi perchè non ti dai pace coi dettami degli altri, poi per guarire dovresti lasciarti andare all'irrazionale, all'animalità interna; ma non troppo, altrimenti al lavoro non puoi andar d'accordo con nessuno, poi se ti sbattono le porte in faccia non devi pensarci (quindi pensare razionalmente), poi se pensi troppo razionalmente non puoi innamorarti e quindi butterai via la tua vita...

Per oggi è tutto, linea allo studio Laughing

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Messaggio  diamanda Ven Set 04, 2020 5:04 pm

Il guaio è questo. Vedi come va la vita. Vedi che lavorare non da la felicità. Neanche l'amore da la felicita. E neppure le amicizie. E neppure i soldi. E quindi a che serve tutta questa recita? Adattamento alla società. Fin da piccoli ci dicono che siamo qua e dobbiamo fare come ci dicono di fare. E noi tutti a obbedire. Chi scappa è perduto. Perduto o libero? Boh. La libertà ha sempre un prezzo. Ma intanto noi siamo in gabbia come leoni e dobbiamo accontentarci di questo sopravvivere stupido? Io sono stanca.

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Messaggio  Anonimo7 Mer Gen 20, 2021 12:05 am

eppure
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una lettura recente mi suggerisce che il problema sta nella scarsa speranza di essere trovato appetibile dalle ragazze, perchè uno che non fa sesso e non si sente in grado di essere all'altezza degli altri, poi nel lavoro mica ha voglia di andare avanti

magari essere normale o psicotico, invece mi tocca essere nevrotico

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Messaggio  canterel II Ven Gen 22, 2021 7:07 pm

La psicosi mi sembra piuttosto faticosa.
Certamente percepire un bene centrale e molto desiderato come irraggiungibile o irrimediabilmente perduto riduce le forze, e sottrae motivazioni estrinseche o indirette anche in altri ambiti della vita. Oltre a focalizzarsi, se possibile, su motivazioni intrinseche (cioè, in questo caso, strettamente dipendenti dal lavoro in sé, quindi la qualità del lavoro, lo stile personale e la creatività, o il valore dei suoi prodotti ecc), credo sia importante per la salute anche cercare un adattamento al lutto nella dimensione in cui si sente la mancanza e il fallimento, una capacità di trovare bellezza e dignità residua nelle cose che non hanno funzionato, o che non funzionano più, che sono fragili, limitate, percepite come impossibili o irrecuperabili, o comunque che non resistono alla difficoltà delle circostanze attuali. La bellezza delle rovine, delle lontananze, o la bellezza dei problemi, una certa tonalità del sublime, forse permette a un'attrazione di continuare a esercitare in qualche modo un influsso benefico anche quando si percepisce l'oggetto attraente come inattingibile.
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Messaggio  Anonimo7 Sab Gen 23, 2021 12:28 pm

Nella psicosi c'è innocenza perduta, onnipotenza bambinesca, non c'è divinità, perdono, Stato... Anche se gli psicologi ci dicono che soffrono non è che devo crederci con atto di fede
La bellezza di essere una rovina la lascio volentieri agli altri (senza offesa).

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Messaggio  Anonimo7 Sab Gen 23, 2021 12:34 pm

Per il resto ok, in sostanza devo farmi una ragione di quello che sono stato
Ma poi nell'approccio con gli altri mica posso essere una tabula rasa, boh...

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Messaggio  canterel II Sab Gen 23, 2021 1:49 pm

Anonimo7 ha scritto:Nella psicosi c'è innocenza perduta, onnipotenza bambinesca, non c'è divinità, perdono, Stato... Anche se gli psicologi ci dicono che soffrono non è che devo crederci con atto di fede
La bellezza di essere una rovina la lascio volentieri agli altri (senza offesa).

Perdonami, faccio fatica a spiegarmi ma cerco di esprimere proprio il genere di considerazioni che mi sono di aiuto quando mi trovo in una situazione analoga a quella che mi sembri descrivere tu. Non voglio certamente liquidare il discorso con due metafore un po'stucchevoli.

Sulla psicosi: sì, esiste un discorso sull'innocenza, la sovranità, la libertà della psicosi, ma mi sembra un po' troppo romantico e non fa i conti con il fatto che una persona psicotica, proprio come tutte le altre, sperimenta un succedersi di stati e di esperienze e deve sforzarsi di tenerli insieme per vivere. Entrare e uscire da stati di beatitudine, stati di esaltazione, distorsioni percettive, ecc, stati in cui  si codifica l'esperienza in un modo che diventa incomprensibile agli altri, ma anche a se stessi, un momento dopo, può essere molto faticoso, e talvolta è terrificante, specialmente se non si ha la fortuna e la capacità di costruire intorno a sé una rete di sostegno, anche informale, che sia efficace nelle sue funzioni e che abbia un volto sufficientemente umano. Rischia di favorire vissuti di grave solitudine. Per me non è questione di credere alla sofferenza riferita dallo psicologo, ma a quella riferita o manifestata direttamente dal soggetto.

Venendo alla parte più strampalata del mio intervento di ieri: se riesco a mantenere un rapporto con l'oggetto perduto, mi è più facile vedere le rovine come qualcosa che non si mangia l'interno della mia persona e della mia mente, ma come qualcosa che sta comunque fuori, davanti a me, nell'orizzonte, che posso comunque cercare, frequentare, e con cui posso ancora entrare in qualche modo in una comunicazione colorata affettivamente, che non annienta tutta la mia curiosità e tutti i miei desideri. Trovo belle le rovine se riesco ad assumere il punto di vista del turista o dell'archeologo o del cercatore, per i quali le rovine restano oggetti esterni e interessanti e non si riducono a simboli di una desolazione con cui si è costretti a identificarsi senza residuo.

Quindi ho provato proprio a parlarti di un atteggiamento o di un'inclinazione che mi è servita tante volte ad allontanare la percezione e il timore di "essere una tabula rasa", o di essere immediatamente riconosciuto dagli altri come un essere monco, senza viscere o senza storia. Considero che in realtà molte persone portano con sé vuoti e fallimenti importanti: percepisco intensamente i miei, ma quelli degli altri intorno a me spesso non sono così vistosi, e anche quando mi capita di scorgere i vuoti degli altri, questo non riduce affatto la mia propensione a interessarmi a loro, a collaborare e a interagire con loro e magari ad affezionarmi.
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Messaggio  Anonimo7 Sab Gen 23, 2021 4:32 pm

Quando ho parlato di psicosi, l'ho fatto in una frase lunga una riga, ho fatto un riassunto dei riassunti: con psicosi non intendo prettamente quella moderna, ma in senso ampio la follia o l'estasi. Riconoscersi di sentire voci che non esistono deve fare schifo, sono d'accordo. Ma, appunto, il problema è proprio che escono da questi stati e c'è una schiera di gentaglia (in camice o no) che ti fa sentire, direttamente o indirettamente, sbagliato.
Non è una visione romantica che presuppone solo innocenza, c'è anche terrore... però sta vita che ho mi pare peggio.

Mi proponi di alienarmi alle rovine, ma mi pare di prendermi in giro... Le vedo dall'esterno per 1 secondo ma poi la mia identità torna subito. Poi il fatto che tanto non mi scoprono, che tanto non sanno e non me lo leggono in faccia ok però se evito dei discorsi, o faccio ragionamenti di un certo tipo, o dico come svolgo le mie giornate, prima o dopo c'è lo sgamone

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Messaggio  canterel II Dom Gen 24, 2021 7:18 pm

va bene, non è la psicosi l'oggetto di questo thread e le sofferenze delle persone sono assoluti, non è neanche mia intenzione paragonarle e cercare un criterio per stabilire qual è la più intensa.

Se il discorso delle rovine diventa un discorso dell'identità, devo anche ammettere che non sono molto bravo a parlare dei processi di identificazione e che ho verso il concetto di identità lo stesso sospetto venato di nervosismo che mi prende quando il discorso verte sulla "natura".
Ci tengo solo a chiarire che quando propongo di assumere un punto di vista per combattere una serie di percezioni e di atteggiamenti che provocano sofferenza e stallo, non lo faccio con la fiducia che basti immaginare cose nuove per sbarazzarsi facilmente e rapidamente di uno stato di cose percepito e riconfigurare allegramente la propria realtà. Parlo di strategie che adotto con fatica, per compensare o attenuare realtà e percezioni dolorose, nel tentativo di interrompere le catene di effetti che queste percezioni hanno sul mio modo di agire e di pensare. L'immaginazione non fa miracoli e non è una forza sempre disponibile, e non è neppure necessariamente indipendente dalle determinazioni che influiscono sulle altre mie facoltà. Però è un attrezzo che posso muovere per tentare piccoli progressivi adattamenti, ed è un mezzo a cui spesso, ad esempio, gli istruttori o i consulenti di varie discipline fanno ricorso quando cercano di far acquisire ai loro interlocutori/allievi/consultanti determinate abilità pratiche (muoviti come se... prova a pensare di...) per cui non si può indicare direttamente un'istruzione e conviene cercare di costruire dei comandi analogici in base alla propria esperienza.

p.s.
non c'entra nulla, ma l'altro giorno parlavi di una tua lettura che ti ha ispirato le recenti riflessioni, e volevo ricordarmi di chiederti, se ti va, di indicarmi il riferimento bibliografico (sono sempre molto curioso delle letture degli altri).
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Messaggio  Anonimo7 Mar Feb 23, 2021 2:22 pm

Ragazzi, veramente, io penso sempre di essere nel torto e dunque lavorativamente è un handicap. Il torto e la ragione sono basilari nei rapporti lavorativi, che sono della stessa famiglia dei rapporti economico-razionali; quindi niente discorsi che la ragione e il torto non esistono, si danno ai matti e altri discorsi che non c'entrano. Chi qualche volta ha avuto ragione (perchè gliel'hanno data i genitori) allora dentro di lui pensa che possa averla anche in futuro perchè li ha interiorizzati. Queste persone si sentono sicure quando vanno in giro perchè hanno i genitori interiorizzati, chi va in giro con l'ansia è spacciato.

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Messaggio  anthea Dom Feb 28, 2021 7:24 pm

Pertanto cosa deduci?
Che poverino sei fottuto perchè tu, solo e unico nell'universo sei un soggetto ansioso a cui la mamma è il papà non hanno fatto le carezze da piccolo?
Oppure ne hanno fatte troppe?

Quindi se ti ritroverai a 50anni che non hai combinato nulla, puoi sempre dire che è colpa dei genitori, oppure della società, oppure che sei troppo buono per questo mondo.....

Ma tu vuoi una scusa per essere infelice, oppure vuoi realizzare qualcosa nella vita?
Nel primo caso vedrai che ne troverai a migliaia, anche senza chiedere agli altri, nel secondo caso.... beh... è dura. Però stimolante. Ricordati che il tempo scorre... e anche molto in fretta.
Mentre tu ti perdi in seghe mentali.
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Messaggio  Anonimo7 Lun Mar 01, 2021 10:17 am

allora anthea,
qua siamo in un forum di aiuto reciproco, non ti permettere minimamente di scrivere certe cose. Queste banalità credi che non le abbia mai sentite? Davvero? Guarda che 50enni come te con la tua mentalità ne trovo a bizzeffe.

Se sei in questo forum avrai qualche fragilità, quando la esporrai agli altri credi che sia difficile risponderti: ma dai, non è niente, ma guarda te questa che problemi, continua con le seghe mentali, troppe poche botte ti hanno dato i tuoi, e altre ciance assortite?

Se non hai altro modo di aiutare che scrivere quello che hai scritto, evita.

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Messaggio  canterel II Lun Mar 01, 2021 11:25 am

@Anonimo7
@anthea

scusate l'intervento volante,
vi prego di non litigare.
Sono certo che Anthea abbia parlato perché mossa dall'intento di aiutare.
Penso però anche che determinati atteggiamenti, del tipo franco e schietto e impietoso per stimolare (impietoso nella forma per esser pio nei fatti), possano eventualmente aiutare la persona che li assume verso se stessa (e anche allora, non saprei, ho scritto "eventualmente").
Proiettare sugli altri lo stesso tipo di tensione agonistica che ci si è risolti ad adottare verso i propri obiettivi e problemi, invece, difficilmente serve ad aiutare un altro, anzitutto perché non si può calare tale tensione dove l'altro non l'abbia già introdotta spontaneamente, se non a prezzo di sembrare effettivamente indisponibili a prendere sul serio l'altro e il suo vissuto.
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Messaggio  canterel II Lun Mar 01, 2021 10:32 pm

vorrei aggiungere qualcosa al mio scarno contributo di oggi in questo thread, e in particolare vorrei spezzare una lancia, per certi versi, in favore delle seghe mentali.
Ammettendo il rischio che una sega mentale possa corrispondere ad un atteggiamento talvolta ricorsivo, improduttivo, e non troppo efficace, occorre però considerare che l'impronta ecologica di una persona dedita alle seghe mentali è di gran lunga inferiore a quella di chi risponde al proprio disagio con atteggiamenti magari volti a incidere immediatamente sulla realtà, con dispendio di risorse materiali e processi di combustione che devono arrivare a rappresentare soluzioni o aggiustamenti materiali del proprio problema, come ad esempio attraverso forme di acquisto compulsivo, frequenza di corsi dedicati allo sviluppo del potenziale umano (con costi pecuniari e di spostamento e logistica che implicano forme di inquinamento), e altre azioni socialmente impegnative che più o meno direttamente esauriscono le risorse dell'ambiente per dare al soggetto la sensazione che qualcosa si muova (sensazione che spesso genera dipendenza e richiede la replica di altri costosi rituali per rispondere nel tempo al ritorno dello stesso disagio). Sdoganare un maggior senso diffuso di legittimità delle seghe mentali renderebbe forse la nostra una società più lenta nei suoi processi ma potenzialmente più resistente allo stress e più indisponibile a farsi signoreggiare dagli stimoli che generano lo stress.

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Messaggio  merla Mar Mar 02, 2021 8:14 pm

Anonimo7 ha scritto:Ragazzi, veramente, io penso sempre di essere nel torto e dunque lavorativamente è un handicap. Il torto e la ragione sono basilari nei rapporti lavorativi, che sono della stessa famiglia dei rapporti economico-razionali; quindi niente discorsi che la ragione e il torto non esistono, si danno ai matti e altri discorsi che non c'entrano. Chi qualche volta ha avuto ragione (perchè gliel'hanno data i genitori) allora dentro di lui pensa che possa averla anche in futuro perchè li ha interiorizzati. Queste persone si sentono sicure quando vanno in giro perchè hanno i genitori interiorizzati, chi va in giro con l'ansia è spacciato.

Tornando a bomba, "spacciato" è esagerato.

È vero che una persona sicura di sé, probabilmente fa meno fatica di una persona molto incerta.
Però fare meno fatica o di soffrire di meno non vuol dire fare meglio o fare di più, vuol dire solo fare meno fatica.
Il fatto di sentirti "in torto" e la consapevolezza che hai, se no non scriveresti, di non essere sempre davvero in torto è l'occasione per farti delle domande, e per ancorare ragione e torto, come qualsiasi altra opinione, e di coltivare il dubbio in funzione di qualcosa di più solido delle tue percezioni.
Non è che io voglia fare l'apologia del disagio, tuttavia è vero a volte le persone molto sicure di se stesse e delle proprie opinioni, sono anche tagliate con l'accetta. Senza bisogno di essere stupidi, magari a volte sfugge loro l'esigenza di rivoltarsi come un calzino e probabilmente gli sfuggono anche tanti punti di vista. Se sei sicuro, stai bene dove stai; invece se sei incerto, hai voglia di andare da un'altra parte e magari ogni tanto ci arrivi.
Mi piace molto di più invece fare l'apologia del dubbio che per me è una delle massime espressioni di intelligenza.

Pensa che, invece, avere come collega, come allievo, come superiore o generalmente come interlocutore sul lavoro qualcuna (il mio obolo alla parità di genere nel linguaggio) che è convinta di avere sempre ragione. Non ti passa più.
Non ti passa più neanche se hai un amico convinto di aver sempre ragione.
Quindi dovendo scegliere tra i due estremi, io opterei senza alcun indugio per pensare di aver sempre torto, piuttosto che sempre ragione. Preferirei far più fatica ma essere meno insopportabile per chi mi circonda.

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