Base sicura

Vorrei chiedervi cosa succede quando uno perde tutto (in Italia). Ammettiamo che non ha nessun affetto e nessun soldo, è costretto a fare il clochard? Quali sono i diritti minimi garantiti (se ci sono)?

Bella domanda, grazie, io purtroppo non ho studiato ma mi dai uno stimolo ad approfondire quando ne avrò l'occasione. "Nessun affetto e nessun soldo" implica spesso il radicarsi di problemi e difficoltà anche relazionali e psicologiche, che potrebbero rendere molto difficile per la persona la ricerca di aiuto e l'impiego di risorse potenzialmente accessibili. E' un fenomeno complesso e credo legato a diversi fattori. Dovrebbe esserci di solito un evento (o magari una serie di eventi) traumatico o catastrofico che forza la situazione (dissesto economico, perdita del lavoro o di un patrimonio, disgregazione della famiglia), e però a volte ci sono anche, azzarderei, componenti di scelta (anche se scelta forzata, tra opzioni che risultano penose, difficili) di ritiro sociale e di isolamento.

I diritti minimi, anche qui non ho studiato: direi quelli legati alla cittadinanza, i diritti umani, i diritti che tutelano determinate categorie di soggetti (es. minori non accompagnati, malati di mente, ecc). Spero davvero di riuscire ad approfondire presto l'argomento, e leggerò con molto interesse chiunque abbia qualcosa da postare in questo thread. Per il momento aggiungo solo che trovo penosa e inquietante la tendenza recente ad accanirsi contro la povertà visibile nelle strade (e in definitiva quindi contro le persone povere e marginali) dimostrata da molte amministrazioni di tutti i colori politici, nonché iniziative private con il beneplacito delle istituzioni (di destra o "sinistra", vabbè, taccio perché mi si serra un nodo in gola...) con quello spicilegio di cazzatine ad uso propagandistico come il daspo urbano, le misure a tutela del decoro, l'abuso di strumenti preventivi come le barriere architettoniche anti-barbonismo (le panchine con i bozzi, quelle assurdità lì...), eccetera.

canterel II ha scritto:"Nessun affetto e nessun soldo" implica spesso il radicarsi di problemi e difficoltà anche relazionali e psicologiche, che potrebbero rendere molto difficile per la persona la ricerca di aiuto e l'impiego di risorse potenzialmente accessibili.

cioè uno che non ha affetti e soldi non ha la forza per andare alla caritas? non capisco, scusami

La Caritas offre aiuti molto facilmente accessibili, immagino che Canterel si riferisse a misure di sostegno più complesse e consistenti (ad esempio reddito di cittadinanza, servizi di assistenza sociale, edilizia popolare) per usufruire dei quali è necessario un percorso burocratico complicato o l'accesso ad informazioni che potrebbero risultare difficoltosi in alcuni casi.

corolla ha scritto:La Caritas offre aiuti molto facilmente accessibili, immagino che Canterel si riferisse a misure di sostegno più complesse e consistenti (ad esempio reddito di cittadinanza, servizi di assistenza sociale, edilizia popolare) per usufruire dei quali è  necessario un percorso burocratico complicato o l'accesso ad informazioni che potrebbero risultare difficoltosi in alcuni casi.

Grazie corolla, certamente la mia ipotesi vale soprattutto per i servizi più strutturati. Ma in realtà intendo dire (consapevole di non avere ancora studiato e di poter dire sciocchezze...) che ci può essere una componente di ritiro sociale nella storia di chi rimane completamente senza risorse, che porta le persone ad evitare anche risorse un po' più accessibili. Faccio un esempio: ricordo che durante lo scorso inverno, in seguito ad alcuni casi di morti per il freddo, è nata una discussione attorno alla proposta della sindaca di Roma di utilizzare una misura come il TSO per obbligare i senzatetto ad accettare il ricovero nelle strutture dove c'erano letti disponibili.

Ecco il link:

https://www.ilmessaggero.it/roma/news/clochard_morti_freddo_ricoveri_raggi_roma-4235646.html

I complessi rapporti tra la persona che ha oggettivamente bisogno di aiuti materiali e le forme in cui questi aiuti sono eventualmente resi disponibili vano indagati a livello micro, secondo me, osservando anche cosa succede sul piano psicologico e della comunicazione.

Sicuramente Canterel. Se si mantiene la capacità   (o la volontà)  di cercare aiuto non si arriva al punto da rimanere senza risorse. Evidentemente interviene un qualche ostacolo che lo impedisce. A questo proposito mi viene in mente un film molto bello, "Senza lasciare traccia" https://www.badtaste.it/recensione/senza-lasciare-traccia-la-recensione/342217/

Come mi ero ripromesso di fare, anche se non ho potuto dedicarvi molto tempo, ho cominciato a cercare materiale per studiare un po' il tema del thread. Non ho trovato una guida "for dummies" come speravo, ma una comoda (si fa per dire) Encyclopedia of Homelessness, in due volumi per quasi un migliaio di pagine, a cura di tale antropologo David Levinson, che pare abbia studiato sul campo le vite degli homeless negli Stati Uniti a partire dagli anni settanta.
Per cominciare sono andato alla voce "Italy" e ho letto le tre pagine corrispondenti. Il testo non è recentissimo (edizione del 2004) e anche i documenti utilizzati per l'articolo sull'Italia sono tutti stati pubblicati in un periodo compreso tra il 1993 e il 2002.
Riassumendo, l'articolo (a firma di Antonio Tosi, sociologo del Politecnico di Milano ed esperto in materia di politiche abitative ed esclusione sociale) sottolinea il carattere multidimensionale del problema delle persone senza casa, che implica anche una difficoltà nella definizione univoca del costrutto di "homeless" e dei profili delle persone interessate dal problema, e una difficoltà nel costruire di conseguenza dei modelli di intervento e dei servizi adatti a rispondere ai bisogni. Il ritratto più tipico della persona senza casa corrisponderebbe a quello della persona "senza fissa dimora", connotato da stadi avanzati di emarginazione, desocializzazione, perdita di abilità, frequente associazione con il disagio psichico o problemi di dipendenza. Tuttavia, accanto a questa definizione più ristretta, l'articolo segnala già a partire dagli anni novanta la presenza statisticamente significativa di altri profili, nei quali l'esclusione dal mercato degli alloggi o la mancanza di una casa non si accompagna, o si accompagna in misura minore, alle caratteristiche sopra elencate. Si parla, per esempio, di nuove tendenze come la visibilità di donne homeless (laddove tradizionalmente per molto tempo avrebbe resistito una capacità della società e delle strutture famigliari di mascherare il fenomeno proteggendo in qualche modo le donne e trovando più facilmente una sistemazione abitativa per loro), l'aumento di migranti senza casa che possono trovarsi in tale condizione in una fase di passaggio verso l'integrazione, la presenza di situazioni in cui la mancanza di una casa è determinata strettamente dalla povertà, senza l'influenza dei problemi tipicamente associati.
I fattori concorrenti alla diversificazione dei profili e alle nuove tendenze del fenomeno sono fatti risalire ai problemi strutturali delle società industrializzate, alla rottura dei legami sociali tradizionali, alla crisi della famiglia, all'insicurezza generale nel mercato del lavoro e alle tensioni nel mercato degli alloggi.
Tra le caratteristiche specifiche del più tradizionale profilo del "senza fissa dimora" (emergenti dal confronto con altri gruppi sociali che vivono problemi di povertà) si citano un più profondo grado di isolamento, una minore presenza di reti supportive, un peggiore stato di salute (in particolare a causa di alcol, droghe e problemi psichici), una minore frequenza di attività lavorative e un maggiore ricorso a lavori precari e irregolari e all'elemosina. Significativamente, il gruppo senza fissa dimora sarebbe connotato anche da un minore ricorso ai servizi.
Nelle storie di vita ricorrono eventi come l'allontanamento dalla famiglia o la frammentazione traumatica del nucleo famigliare, disoccupazione per lunghi periodi, alcolismo, esperienze in carcere, esperienze in reparti psichiatrici, istituzionalizzazione durante l'infanzia, povertà estrema della famiglia di origine.

L'articolo sostiene che in Italia vi sia una separazione troppo netta tra politiche sociali e di welfare e politiche abitative, e un carico ancora troppo sbilanciato sulle iniziative di enti privati di beneficienza e amministrazioni locali, dando luogo a servizi poco integrati e poco omogenei a livello nazionale.
Cercherò di documentarmi ancora e soprattutto di trovare fonti più recenti. Ciao