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Messaggio  laura15 Dom Mag 06, 2012 7:05 pm

Perché mi va sempre tutto storto?”: la profezia che si autoavvera e il potere delle proprie “predizioni”
a me questa cosa mi riguarda molto non sò voi Smile!
settembre 11, 20115 Comments
A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, psicologa psicoterapeuta a Roma.
La sfortuna sembra perseguitarvi, la iattura si accanisce senza lasciarvi tregua… e voi iniziate a pensare che oramai tutto è destinato a fallire e che tutto ciò che toccate diventa cenere. Pensate e rimuginate sui fallimenti tralasciando tuttavia un particolare di certo non poco rilievo: quanto ci mettete del vostro per far andare tutto storto? O meglio, siete proprio sicuri che ve ne capitino di tutti i colori senza che voi siate in minima parte responsabili?
Per rispondere a queste domande è necessario partire da lontano e dal quello che Rosenthal nel 1968 definì “Effetto Pigmalione”, noto anche come “Effetto Rosenthal”. Nel 1948 Gordon e Durea durante uno studio, fornirono i risultati di alcuni test in cui emergevano i QI dei loro alunni ad inizio anno. Tali test erano stati manipolati ad hoc, cosicchè alcuni ragazzi risultassero più intelligenti di altri. A fine ricerca si evidenziò come gli alunni a cui era stato “profetizzato” di essere intelligenti avevano una media di voti molto più alta rispetto ai loro compagni e ai loro stessi risultati dell’anno scolastico precedente. Cosa era successo? Il rendimento dei ragazzi era stato molto condizionato dalle aspettative degli insegnanti nei loro confronti: questi ultimi infatti, col loro comportamento, avevano favorito il rendimento di alcuni alunni rispetto ad altri: si erano infatti rivolti più spesso ai ragazzi verso cui nutrivano aspettative più elevate, lasciando loro più tempo per fornire le risposte, assumendo, in termini generali, un atteggiamento di fiducia e mostrandosi più pazienti, mentre nel caso degli alunni “ meno dotati intettettivamente” addirittura avrebbero potuto ostacolare il rendimento scolastico con un atteggiamento che comunicava sfiducia e scarsa stima.
I meccanismi psicologici alla base dell’Effetto Rosenthal, detto anche “Effetto Pigmalione” (dal nome del re di Cipro che, dopo aver colpito la statua di una donna bellissima se ne innamorò desiderando a tal punto di renderla umana che Afrodite lo esaudì), sono gli stessi che fanno si che, quando un ragazzo appena conosciuto non ci chiama iniziamo a “profetizzare” sul perchè, finendo con il predisporci alla lite che molto probabilmente si verificherà quando lui telefonerà, il più delle volte ignaro del nostro meccanismo.
Se quindi una persona crede di non piacere ad un’altra, sarà proprio a causa di questa supposizione che si comporterà in maniera ostile e suscettibile, generando intorno a sé quel clima di sfiducia e disprezzo che si aspettava sin dall’inizio: avrà così ottenuto la prova del fatto che “aveva ragione” e che la sua convinzione era dunque ben fondata. Si tratta quindi di un circolo vizioso: le aspettative della persona A portano alla creazione di particolari comportamenti di A stessa nei confronti di B. essi però genereranno come conseguenza dei comportamenti di B verso A che porteranno A a confermare le proprie aspettative.
Ma cosa fa si che questo si verifichi?
L’uomo sin dalla nascita cerca di dare un “significato alla realtà” così da potersi orientare nel quotidiano, generare aspettative e pianificarne continuamente lo svolgimento, attraverso azioni, obiettivi e quant’altro: di conseguenza è continuamente soggetto alle profezie che si auto-avverano, sia che vengano “generate” da loro stessi (auto-inganno) e sia che vengano generate dagli altri (etero-inganno).
La costruzione della realtà da parte dell’individuo è mediata da schemi acquisiti attraverso il processo di costruzione ed elaborazione dell’esperienza, sotto l’influenza di tre fattori fondamentali: i criteri di somiglianza, la motivazione ed il contesto.
Secondo il primo criterio la decisione di attribuire un’azione o una persona nuova ad una categoria piuttosto che ad un’altra dipende dalla somiglianza con esperienze passate: più la somiglianza è forte, più la categorizzazione è veloce e quindi meno “mediata” dalla riflessione. Vi siete appena lasciati e incontrate una persona che mostra interesse per voi e voi ne siete in qualche modo attratti? la prima cosa che fate è “paragonarla” al vostro ex cosicchè cercate di “categorizzarla” subito come persona da frequentare o meno; cosa ci guadagnate nel fare questo e cosa ci perdete? Di certo guadagnate tempo che teoricamente potreste perdere e vi evitate l’eventuale dolore di un’altra storia che finisce; ma quello che in realtà perdete è molto di più: perdete la possibilità di conoscere realmente la persona che avete di fronte, la possibilità di stare bene di nuovo e soprattutto perdete la possibilità di conoscere altre parti di voi ( cosa che avviene in ogni incontro con persone nuove).
Passando poi al secondo criterio, quello della motivazione, esso fa si che i giudizi socialmente condivisi possano essere accantonati dai giudizi auto gratificanti, ovvero si può modificare la percezione sociale per rinforzare i propri obiettivi ( percezione motivata). Così le motivazioni e gli stati d’animo possono influenzare le strategie utilizzate per risolvere i problemi. In poche parole, se quello cui vado incontro per me è gratificante, nonostante non sia socialmente riconosciuto come tale, sono comunque motivato a portare la mia scelta sino in fondo.
Infine va valutato l’effetto del contesto in cui l’azione ed il giudizio si verificano. L’individuo, come abbiamo detto, ha l’esigenza di dare un senso alla realtà che lo circonda, confrontandola con esperienze e ricordi e categorizzando tutte le informazioni disponibili: in quest’operato il contesto gioca il ruolo fondamentale di guida dei comportamenti, dando le informazioni di ciò che va fatto e di come va fatto in determinate circostanze. Se da un lato tuttavia questo agevola e funge da euristica, ovvero da una sorta di scorciatoia mentale, dall’altro rischia di ignorare informazioni utili, atte a una formulazione più obiettiva delle condizioni. In poche parole è come se una situazione, visto il contesto, debba andare “in un certo modo”, imprigionando la mente in una fissità funzionale fatta di stereotipi, pregiudizi e aspettative, che non consentono di formulare né di vagliare ulteriori ipotesi.
C’è quindi una soggettività della percezione che porta inevitabilmente ad autoingannarsi: non vedo ciò che vedo, ma ciò che in quel momento voglio vedere (influenzato da tutto ciò che abbiamo appena menzionato) e allora, come dice Watzlawick, se mi autoinganno, tanto vale che io lo faccia in modo utile, convincendomi che il bicchiere è mezzo pieno anziché mezzo vuoto, oppure di essere simpatico e di ricevere, così, sorrisi in risposta al mio: la profezia che si autoavvera funzionerà quindi, al positivo, innescando un circolo virtuoso anziché vizioso. Questo ovviamente non significa che possiamo cambiare il corso delle cose, ma semplicemente che possiamo modificare il nostro approccio agli eventi poiché è da noi che parte la lettura della realtà: non facciamoci imprigionare da frasi del tipo “Mi va sempre tutto storto!”, oppure “Tanto lo so come andrà a finire..”, non predisponiamoci al negativo poiché questo già innescherà in noi dei pensieri e dei comportamenti che prepareranno il terreno affinchè quel negativo ipotizzato accada. A tal proposito ricordo le parole di un medico, parole che ripeto spesso anche ai miei pazienti “A pensare in negativo si fa sempre in tempo”, una frase che fa riflettere come in effetti, a pensare in negativo, non ci si guadagni poi molto, se non negatività. Molti sostengono che pensare all’ipotesi peggiore li prepari all’eventualità che poi potrebbe verificarsi, quando in realtà è solo un meccanismo per mettere a tacere l’ansia di fondo legata all’impossibilità di controllare una situazione.
Iniziate dunque a pensare e ad agire in positivo, come se foste…, come se il mondo fosse…, come se gli altri fossero… vedrete che anche voi capirete che il tempo passato a pensare al negativo è stato in realtà tempo non perso, ma impiegato nel modo sbagliato: iniziate allora sin da adesso ad utilizzare il vostro tempo per trovare la vostra dimensione ed il vostro benessere grazie alla profezia che si autoavvera.
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Messaggio  laura15 Dom Mag 06, 2012 7:10 pm

sembra banale, soprattutto la parte finale dell'articolo.......La trovo estremamente difficile come soluzione a meno che uno si autoinganni...
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Messaggio  suggestione Mar Mag 08, 2012 8:40 pm

In quanto buddista, e nutrendo profonda fede negli insegnamenti del Budda, sostengo fermamente che le cause che noi poniamo nel nostro cuore poi si manifesteranno nella nostra vita, quindi ne siamo responsabili.

Quando cambiamo le nostre cause interne il mondo attorno a noi cambia.

Praticare per credere!!!! Very Happy Very Happy
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Messaggio  laura15 Ven Giu 08, 2012 10:49 am

suggestione ha scritto: In quanto buddista, e nutrendo profonda fede negli insegnamenti del Budda, sostengo fermamente che le cause che noi poniamo nel nostro cuore poi si manifesteranno nella nostra vita, quindi ne siamo responsabili.

Quando cambiamo le nostre cause interne il mondo attorno a noi cambia.

Praticare per credere!!!! Very Happy Very Happy

Mi hanno invitato più di una volta ai loro incontri ultimamente, tra un lavoro ed un altro ho intenzione di andare...!! Smile)
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Messaggio  Numb Lun Giu 11, 2012 1:38 pm

L'avevo letta anch'io questa cosa ...
Ci sono alcune falle, però ...

" [...] I meccanismi psicologici alla base dell’Effetto Rosenthal, detto anche “Effetto Pigmalione” (dal nome del re di Cipro che, dopo aver colpito la statua di una donna bellissima se ne innamorò desiderando a tal punto di renderla umana che Afrodite lo esaudì), sono gli stessi che fanno si che, quando un ragazzo appena conosciuto non ci chiama iniziamo a “profetizzare” sul perchè, finendo con il predisporci alla lite che molto probabilmente si verificherà quando lui telefonerà, il più delle volte ignaro del nostro meccanismo.
Se quindi una persona crede di non piacere ad un’altra, sarà proprio a causa di questa supposizione che si comporterà in maniera ostile e suscettibile, generando intorno a sé quel clima di sfiducia e disprezzo che si aspettava sin dall’inizio [...] "

Ci può anche stare .... peccato che se uno non richiama perché effettivamente non gli frega una mazza, il ragionamento salta ... chi ci garantisce che la profezia non si stia già avverando da sè????? Forse si sta già avverando da sé e noi stiamo solo velocizzando la cosa ....

" [...] e allora, come dice Watzlawick, se mi autoinganno, tanto vale che io lo faccia in modo utile, convincendomi che il bicchiere è mezzo pieno anziché mezzo vuoto, oppure di essere simpatico e di ricevere, così, sorrisi in risposta al mio: la profezia che si autoavvera funzionerà quindi, al positivo, innescando un circolo virtuoso anziché vizioso [...] "

In pratica dovrei arginare la profezia che si autoavvera illudendomi di cose che non sono, col rischio di quintuplicare la delusione .... preferisco colore a picco da sola a questo punto ...

Numb

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Messaggio  laura15 Lun Giu 11, 2012 7:17 pm

Numb ha scritto:L'avevo letta anch'io questa cosa ...
Ci sono alcune falle, però ...

" [...] I meccanismi psicologici alla base dell’Effetto Rosenthal, detto anche “Effetto Pigmalione” (dal nome del re di Cipro che, dopo aver colpito la statua di una donna bellissima se ne innamorò desiderando a tal punto di renderla umana che Afrodite lo esaudì), sono gli stessi che fanno si che, quando un ragazzo appena conosciuto non ci chiama iniziamo a “profetizzare” sul perchè, finendo con il predisporci alla lite che molto probabilmente si verificherà quando lui telefonerà, il più delle volte ignaro del nostro meccanismo.
Se quindi una persona crede di non piacere ad un’altra, sarà proprio a causa di questa supposizione che si comporterà in maniera ostile e suscettibile, generando intorno a sé quel clima di sfiducia e disprezzo che si aspettava sin dall’inizio [...] "

Ci può anche stare .... peccato che se uno non richiama perché effettivamente non gli frega una mazza, il ragionamento salta ... chi ci garantisce che la profezia non si stia già avverando da sè????? Forse si sta già avverando da sé e noi stiamo solo velocizzando la cosa ....

" [...] e allora, come dice Watzlawick, se mi autoinganno, tanto vale che io lo faccia in modo utile, convincendomi che il bicchiere è mezzo pieno anziché mezzo vuoto, oppure di essere simpatico e di ricevere, così, sorrisi in risposta al mio: la profezia che si autoavvera funzionerà quindi, al positivo, innescando un circolo virtuoso anziché vizioso [...] "

In pratica dovrei arginare la profezia che si autoavvera illudendomi di cose che non sono, col rischio di quintuplicare la delusione .... preferisco colore a picco da sola a questo punto ...

Sono in accordo con la parte 1) ossia che se uno parte predisposto male.....insomma si dà la zappa sui piedi (per farla breve)
il punto 2) è più semplicistico...(e non piace neanche a me) nel senso che la soluzione è soggettiva ognuno ha la sua tecnica di cambiamento...
Capita uno che non richiama.... perchè gliene frega una mazza!....bisogna vedere il perchè non gliene frega una mazza, inoltre non è neanche sempre così necessario saperlo!! il problema non è sempre concentrato su una persona(noi), potrebbe essere anche l'altro ad avere dei problemi no?
il bicchiere non dovrebbe essere nè mezzo pieno nè mezzo vuoto....il bicchiere và riempito di ciò che sei, non illudendoti di ciò che non sei!!
e non riponendo troppe aspettative sugli altri.
gli altri non sono infallibili! poi se vogliamo dare l'importanza agli altri e potere decisionale sulla nostra vita, tanto da farci cambiare umore...
non ne usciamo più

...quella cosa dell'autoinganno è una merdata!!!...lo dico anche nel messaggio sopra.
uno deve essere se stesso sempre....con l'autoinganno risulti ancora più falso ...Watzlawick bah! un geniaccio Smile
laura15
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Messaggio  Numb Mar Giu 12, 2012 3:20 pm

laura15 ha scritto:
...quella cosa dell'autoinganno è una merdata!!!...lo dico anche nel messaggio sopra.
uno deve essere se stesso sempre....con l'autoinganno risulti ancora più falso ...Watzlawick bah! un geniaccio Smile

lol!

vero! .. Smile

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Messaggio  laura15 Mar Giu 12, 2012 4:45 pm

Numb ha scritto:
laura15 ha scritto:
...quella cosa dell'autoinganno è una merdata!!!...lo dico anche nel messaggio sopra.
uno deve essere se stesso sempre....con l'autoinganno risulti ancora più falso ...Watzlawick bah! un geniaccio Smile

lol!

vero! .. Smile


apò che ho trovato:
cacchio che curriculum..
... bounce


Paul Watzlawick
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
(EN)
« The belief that one’s own view of reality is the only reality is the most dangerous of all delusions »
(IT)
« La credenza che la realtà che ognuno vede sia l'unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni »
(Paul Watzlawick, La realtà della realtà[1])


Paul Watzlawick
Paul Watzlawick (Villach, 25 luglio 1921 – Palo Alto, 31 marzo 2007) è stato uno psicologo e filosofo austriaco naturalizzato statunitense, eminente esponente della statunitense Scuola di Palo Alto, nonché seguace del costruttivismo, derivante dal pensiero relativista del costruttivismo filosofico. Inizialmente di formazione psicoanalitica junghiana, successivamente fu tra i fondatori e tra i più importanti esponenti dell'approccio sistemico. Lavorò a lungo al Mental Research Institute e fondò il Centro di Terapia Strategica di Arezzo insieme a Giorgio Nardone.
Indice [nascondi]
1 Biografia
2 Contributi
2.1 Pragmatica della comunicazione umana
2.2 Change: la formazione e la soluzione dei problemi
2.3 Il linguaggio del cambiamento
2.4 La realtà inventata
3 Note
4 Bibliografia
5 Voci correlate
6 Altri progetti
7 Collegamenti esterni
Biografia [modifica]

Figlio di un direttore di banca, nacque nel 1921 a Villach, in Austria, dove si diplomò nel 1939. Nel 1949 conseguì le lauree in Lingue moderne e Filosofia all'Università "Ca' Foscari" di Venezia con una tesi su Dostoevskij; l'anno seguente frequentò l'Istituto Carl Gustav Jung di Psicologia analitica a Zurigo, dove nel 1954 conseguì il diploma di analista.
Coltivando un appassionante interesse per la filosofia orientale e buddhista (in particolare per la filosofia Zen[2]), Paul decise di partire per l'India, rimanendovi per un intero anno. Pur senza intaccare il fermo rigore scientifico ed espositivo, le idee e le concezioni filosofiche di quelle culture permearono sottilmente nelle opere più mature di Watzlawick, che fece ricorso occasionale a koan o a concetti filosofici buddhisti per meglio spiegare alcuni passaggi delle sue teorizzazioni.
Tornato in Occidente si recò in America, dove dal 1957 cominciò ad insegnare alla Temple University di Philadelphia e all'Università di El Salvador, presso la cattedra di Psicoterapia. Fu nel 1960 che si stabilì a Philadelphia per studiare l'approccio terapeutico di John Rosen, presso l'Istituto di Analisi Diretta. In occasione di una conferenza sulla Teoria della Comunicazione ebbe l'opportunità di conoscere Don D. Jackson durante l'esposizione del suo nuovo approccio alla terapia familiare. Fondatore del Mental Research Institute (MRI) e vincitore di diversi premi, Jackson era considerato all'epoca uno dei migliori psichiatri americani[3][4], anche per l'importante contributo che insieme a Gregory Bateson, John Weakland e Jay Haley aveva dato alla comprensione della patogenesi della schizofrenia, con il concetto di doppio legame. Watzlawick colse dunque l'occasione per chiedergli il permesso di recarsi a Palo Alto, in California, per studiare i metodi e le ricerche del gruppo. Sfortunatamente l'MRI e la Scuola non disponevano dei fondi per sostenere il lavoro di nuovi studenti[5], ma Jackson rispose che se questa condizione gli fosse andata bene Paul si sarebbe potuto recare da loro in qualsiasi momento. Fu così che Watlzawick guidò attraverso gli Stati Uniti per recarsi fino a Palo Alto e, dopo un periodo di studi di tre mesi, nel 1961 ottenne il ruolo di ricercatore associato al Mental Research Institute, dove lavorò con il gruppo di Gregory Bateson e Don D. Jackson dedicandosi allo studio della pragmatica della comunicazione umana[5][6]. Di lì a poco pubblicò alcuni scritti inerenti ai rapporti tra comunicazione e interazione, tra cui A Review of the Double Bind Theory (1963), dove analizzava tutti i più importanti contributi americani ed europei al concetto di doppio legame cinque anni dopo la sua teorizzazione, e An Anthology of Human Communication (1964), in cui trattò alcuni punti fondamentali della comunicazione umana ripresi più avanti nella sua opera principale. Se già la formazione junghiana aveva allontanato Paul da una posizione deterministica tipica della psicoanalisi più ortodossa, il suo trasferimento a Palo Alto segnò l'abbandono di una concezione individualistica del comportamento umano, per un approccio interazionale basato sullo studio della comunicazione.
Nel 1967, assieme a J.H. Beavin e D.D. Jackson, pubblicò una pietra miliare della psicologia mondiale: "Pragmatica della comunicazione umana"[7][8][9]. Watzlawick era ormai fortemente convinto che l'esistenza umana avesse sempre e comunque un aspetto relazionale e contestuale e, con uno stile chiaro e concreto dei processi mentali, cominciò a spiegare i percorsi che portano l'individuo a costruire la propria realtà[5]. Nello stesso anno, Jackson creò il "Progetto di Terapia Breve" del MRI sotto la direzione di Richard Fish. Assieme a prestigiosi nomi quali Arthur Bodin, Jay Haley, John Weakland, Virginia Satir e Jules Riskin, Paul Watzlawick fece parte dei membri originari del progetto[6] e fu membro fondatore del Centro di Terapia Breve[5], pubblicando nel 1974 "Change. Sulla formazione e la soluzione dei problemi" (assieme a Fisch e Weakland) e nel 1977 "Il linguaggio del cambiamento", dove illustrò il proprio approccio clinico e terapeutico. Queste opere risentono fortemente dell'influenza di Milton Erickson, medico di Phoenix destinato a diventare il rivisitatore dell'ipnoterapia moderna, che da un ventennio era stato avvicinato dal gruppo di Palo Alto per studiarne le originali tecniche di intervento. A partire da questi studi, anche grazie ad autori quali Jay Haley, Ernerst Rossi, John Weakland e successivamente Paul Watzlawick, fu costituito il background di quel metodo psicoterapeutico conosciuto come approccio strategico[6][5].
Abile didatta, nel 1976 Paul divenne professore associato del Dipartimento di Psichiatria e Scienza del Comportamento all'Università di Stanford[10][11]. L'ottica dei suoi insegnamenti era quella di una comprensione non patologizzante del comportamento umano, lontana dalle premesse di base della psichiatria dell'epoca. L'accostamento alle idee costruttiviste fu dunque una naturale conseguenza del suo pensiero, fino a che nel 1978 decise di invitare il cibernetico e costruttivista radicale Heinz von Foerster come principale oratore a un convegno dell'MRI, portando su di lui l'attenzione della comunità dei terapeuti familiari. Fu un modo per porre una base epistemologica costruttivista alla terapia breve[6], consolidata negli anni successivi collaborando con autori quali Jon Elster, Ernst von Glasersfeld, David Rosenhan e Francisco Varela, e con opere quali "La realtà della realtà" (1976) e "La realtà inventata" (1981).
Continuando il suo spirito di ricercatore e didatta, esercitò anche la professione di psicologo clinico in California dal 1969 al 1998, quando smise di vedere pazienti[9].
Vittima fin dai primi anni '90 di crescenti complicanze dovute al Morbo di Alzheimer, si ritirò dall'MRI sul finire del 2006 in seguito a un aggravamento e morì nella sua abitazione di Palo Alto il 31 marzo 2007 in pace e senza soffrire, dopo una piacevole serata passata con la moglie Vera ascoltando musica italiana. Secondo le sue volontà, il suo corpo è stato donato alla scienza per fini di ricerca. Oltre alla moglie ha lasciato le figliastre Yvonne di Morgan Hill e Joanne di Kansas City, nonché la sorella Maria Wünsch ancora residente a Villach, e il nipote Harold[8][9][11].
Conoscitore di cinque lingue e dotato di un piacevole senso dell'umorismo, Watzlawick non si abbassò mai a toni sgradevoli e inopportuni, venendo ricordato come un uomo di "un'eleganza oltre il tempo" e dai modi gentili e generosi[5]. Fu sua la celebre battuta sul DSM III che, con l'eliminazione dell'omosessualità dai disturbi psichiatrici in seguito alle forti pressioni sociali e scientifiche dell'epoca, aveva fatto sì che milioni di persone nel mondo fossero state "curate" con un tratto di penna[12]: con essa Watzlawick sottolineò l'inaffidabilità e la pericolosità di forme di etichettamento e classificazione, in special modo nell'ambito psichiatrico. Massimo studioso della pragmatica della comunicazione umana, delle teorie del cambiamento e del costruttivismo radicale, nonché figura di spicco dell'approccio sistemico e della terapia breve, ha scritto circa una ventina di libri e oltre centocinquanta tra articoli e saggi tradotti in più di ottanta lingue, diffondendo nel mondo l'approccio allo studio della comunicazione e dei problemi umani della Scuola di Palo Alto.[8][9].
Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti in Europa e in America[9], tra cui la Outstanding Teacher Award della Psychiatric Residency Class dell'Università di Stanford nel 1981, le lauree honoris causa alle Università di Liegi e Bordeaux nel 1992, la Medal for Meritorious Service di Vienna nel 1990 e l'Honorary Medal di Carinthia nel 1993.
Autori come Heinz von Foerster, Mara Selvini Palazzoli e Giorgio Nardone hanno esplicitamente riconosciuto il tributo dovuto a Watzlawick, sia come fonte di ispirazione che come diffusore dei loro nomi e idee[9]. In Italia, Giorgio Nardone si è ispirato all'approccio di Watzlawick per l'elaborazione di alcuni assunti della terapia breve strategica, fondando con lui il Centro di Terapia Strategica di Arezzo.
Contributi [modifica]

Watzlawick portò numerosi contributi allo studio della mente. Sebbene sia ricordato soprattutto per essere l'autore principale di "Pragmatica della comunicazione umana", pietra miliare della psicologia che si occupa degli effetti pratici della comunicazione e che, accanto agli studi di Bateson e del gruppo di Palo Alto, introduce l'approccio sistemico alla psicologia, sono stati fondamentali i suoi contributi più diretti alla psicoterapia, con libri come "Change. La formazione e la soluzione dei problemi" e "Il linguaggio del cambiamento. Elementi di comunicazione terapeutica". Inoltre, con "La realtà inventata" riunisce una serie di autori che, con i loro scritti, portano incisivi contributi alla teoria costruttivista.
Pragmatica della comunicazione umana [modifica]
Nel 1967 Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin e Don D. Jackson, pubblicano "Pragmatics of Human Communication. A Study of Interactional Patterns, Pathologies, and Paradoxes", che riporta appunto gli studi condotti al MRI sugli effetti pragmatici che la comunicazione umana ha sui modelli interattivi e sulle patologie, con una disamina del ruolo dei paradossi comunicativi.
"Due tesi sono centrali in questo libro: 1) il comportamento patologico (nevrosi, psicosi, e in genere le psicopatologie) non esiste nell'individuo isolato ma è soltanto un tipo di interazione patologica tra individui; 2) è possibile, studiando la comunicazione, individuare delle 'patologie' della comunicazione e dimostrare che sono esse a produrre le interazioni patologiche".[13]
Gli autori aprono il testo con due capitoli tesi a sistematizzare le conoscenze relative alla teoria della comunicazione. La conclusione del primo pone degli importanti presupposti teorici:
il concetto di scatola nera: gli autori fanno notare la paradossale autoreferenzialità di discipline come la psicologia e la psichiatria, i cui studiosi studiano la mente con la propria mente. Oltre ai limiti che ciò comporta, l'impossibilità, da un lato, di vedere "il lavoro" della mente e ciò che realmente accade in essa, e il concentrarsi, dall'altro, unicamente sulle informazioni in entrata e con i risultati di questo "lavoro", portò gli studiosi degli anni '40-'50 (spesso riconducibili a una matrice comportamentista), ad usare il concetto di "scatola nera". Watzlawick e soci adottarono questa visione, sostenendo che anche se non si "escludono interferenze con quanto si verifica 'realmente' all'interno della scatola, le cognizioni che se ne possono trarre non sono indispensabili per studiare la funzione del dispositivo nel sistema più grande di cui fa parte", in modo tale che "non abbiamo bisogno di ricorrere ad alcuna ipotesi intrapsichica (che è fondamentalmente indimostrabile) e possiamo limitarci ad osservare i rapporti di ingresso-uscita, cioè la comunicazione" (tr. it. p. 36).
consapevolezza e non consapevolezza: tenendo comunque conto dell'importanza di stabilire se un comportamento sia consapevole, inconsapevole, volontario, involontario o sintomatico, gli autori mostrano come in realtà sia rilevante il "significato" che ad esso viene dato. "Se a qualcuno viene pestato un piede, per lui è molto importante sapere se il comportamento dell'altro è stato intenzionale o involontario. Ma l'opinione che si fa in proposito si basa necessariamente sulla sua valutazione dei motivi dell'altro e quindi su una ipotesi di ciò che passa dentro la testa dell'altro", ipotesi che si dimostra essere "una nozione oggettivamente indecidibile" e che quindi "esula dai fini che si prefigge lo studio della comunicazione umana" (p. 37). Si noti come ciò vale sia nell'attribuzione di significato ai comportamenti nella vita quotidiana, sia nello studio scientifico della mente.
presente e passato: riconoscendo senza dubbio il ruolo del passato sul comportamento attuale, nel corso del primo capitolo gli autori mostrano la fallacia e l'assenza di oggettività nel rievocare eventi, unitamente al fatto che "qualunque persona A che parli del suo passato alla persona B è strettamente legata alla relazione in corso tra queste due persone (e ne è determinata)" (p. 37). L'indagine del passato viene ritenuta inattendibile; si preferisce l'osservazione diretta della comunicazione nel suo qui-e-ora (hic et nunc), che permette l'identificazione di modelli di comunicazione utili da un punto di vista diagnostico e per la messa a punto delle più appropriate strategie terapeutiche.
causa ed effetto: conclusione logica del precedente presupposto teorico è che le cause di un disturbo perdono importanza, mentre gli effetti ne acquistano notevolmente. Difatti, gli effetti che sintomi o disturbi complessi hanno sul contesto, sul sistema in cui si esprimono, fanno assumere al sintomo/disturbo il ruolo di "regola del gioco" (inteso come sequenze di comportamento governate da regole, in linea con la matematica Teoria dei Giochi) giocato in quel particolare contesto. "In genere, riteniamo che il sintomo sia un comportamento i cui effetti influenzano profondamente l'ambiente del malato. A questo proposito si può enunciare una regola empirica: dove resta oscuro il perché? di un comportamento, la domanda a quale scopo? è possibile che dia una risposta valida" (p. 38).
la circolarità dei modelli di comunicazione: gli autori attingono alla cibernetica (la disciplina che studia i processi di autoregolazione e comunicazione degli organismi naturali e dei sistemi artificiali) adoperando il concetto di "retroazione", secondo cui "parte dei dati in uscita sono reintrodotti nel sistema come informazione circa l'uscita stessa" (p. 24). Ci troviamo così in sistemi aperti in cui il comportamento a determina b che torna ad influenzare a; ma allora è a ad aver determinato b o viceversa? "È patologica la comunicazione di una data famiglia perché uno dei suoi membri è psicotico, o uno dei suoi membri è psicotico perché la comunicazione è patologica?" (p. 39). Diviene perciò privo di senso parlare del principio o della fine di una catena di eventi: "non c'è fine né principio in un cerchio" (p. 38).
la relatività delle nozioni di "normalità" e "anormalità": infine gli autori mostrano come un comportamento acquisisca un senso specifico all'interno del contesto in cui si attua; "sanità" e "insanità" perdono così il loro significato, poiché ciò che è sano in un contesto può non esserlo in un altro, e l'osservatore può giudicare un dato comportamento come "normale" o "anormale" a seconda della sua ottica preconcetta. "Ne consegue che la 'schizofrenia' considerata come una malattia incurabile e progressiva della mente di un individuo e la 'schizofrenia' considerata come l'unica reazione possibile a un contesto di comunicazione assurdo e insostenibile (una reazione che segue, e perciò perpetua, le regole di tale contesto) sono due cose del tutto diverse" (p. 39).
I presupposti teorici elencati nel primo capitolo del libro aprono la strada a quelli che, ancora attualmente, vengono considerati i fondamentali assiomi della comunicazione umana:
L'impossibilità di non-comunicare
Livelli comunicativi di contenuto e di relazione
La punteggiatura della sequenza di eventi
Comunicazione numerica e analogica
Interazione complementare e simmetrica
Change: la formazione e la soluzione dei problemi [modifica]
Concetto chiave di questo libro è quello di "tentata soluzione", che raggruppa tutti gli sforzi effettuati per risolvere un problema che in realtà non fanno altro che mantenerlo o crearne uno ex novo.
Il linguaggio del cambiamento [modifica]
Qui vengono analizzati gli elementi di comunicazione terapeutica, secondo un'impostazione di terapia breve ad approccio strategico.
La realtà inventata [modifica]
In questo libro verranno dati importanti contributi alla teoria costruttivista.


Mesà che allora ha scritto l'articolo dopo l'attacco di Morbo di Alzheimer!!! Very Happy bounce



laura15
laura15

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https://youtu.be/iV1JESENrD0

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