Due di uno
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Due di uno
L’arte vera è sempre attuale, ha sempre qualcosa da comunicarci. Il “Doppio ritratto” è un dipinto a olio su tela attribuito a Giorgione, databile al 1502 circa.
Già assegnato a Sebastiano del Piombo o a Dosso Dossi, oggi il quadro è riferito con riserva a Giorgione da Castelfranco. Nell'opera sono ritratti due giovani, uno in primo piano, l'altro è retrocesso. Ambedue sono rivolti verso lo spettatore, rispettivamente con una posa frontale e una ruotata verso sinistra. Lo sguardo del giovane alle spalle è indagatore, quello dell’uomo in primo piano è meditabondo. La figura in primo piano poggia la testa reclinata sulla mano destra, mentre con la sinistra regge un frutto, un melangolo, un'arancia selvatica dal sapore acre a simboleggiare l’indole dolce-amara del melanconico. Il gioco di ombre mette in risalto l’orlo dorato della veste, emblema dei beni materiali caduchi.
In questa intensa opera alcuni possono leggere il loro essere: si immedesimano nel giovane introspettivo e mesto, con gli occhi fissi nel vuoto, il gomito appoggiato al parapetto in un languore venato di disperazione. Le mani, dalle dita sottili ed affusolate esprimono una natura nervosa, sensibile, come i lineamenti leggermente angolosi del volto sulle cui guance è un velo di barba. Capelli ondulati, su cui poggia un cappello di feltro nero, ricadono sugli omeri.
La bellezza del quadro è soprattutto nel gioco di sguardi che non si incontrano cui fa da contrappunto il “dialogo” delle luci e delle ombre, con i riflessi che accendono lo scollo delle camicie, i volti, il frutto, mentre campiture grigio-nere indugiano sulla colonna a rilevarne la convessità e sugli abiti.
Colpisce in particolare l’attitudine del giovane effigiato alle terga dell’accidioso: egli, il naso pronunciato e le labbra carnose, sembra mosso da curiosità ma pure esprimere quasi un rimprovero nei confronti dell’amico. Sono due amici, eppure non dialogano. Sono due amici, eppure non si comprendono. Sono due amici, eppure sono distanti, perché la vera amicizia è solitudine, è trovare nell’altro solo il sostegno della propria fragilità. I due sodali sono uno, perché l’unità si disperde nel molteplice.
L’ambientazione è sobria, lo spazio è scandito da una prospettiva quasi schiacciata ad accostare i due personaggi nella vicinanza-distanza: soltanto un parapetto, una colonna, una parete, un’apertura dove s’intravedono la linea dell’orizzonte ed un cielo nuvoloso, cupo. La natura non offre alcun conforto: dominano il silenzio e la reciproca estraneità, pur in un’implicita condivisione dello stesso destino.
Giorgione – o chi per lui – ha saputo immortalare la condizione umana: il fatale isolamento dell’io, l’impossibilità di uscire da sé stessi, anche e soprattutto quando, per così dire, ci si incarna nel prossimo.
http://www.museoradio3.rai.it/dl/portali/site/articolo/ContentItem-450efd17-8e34-488c-8e8d-dfede7055b39.html
Già assegnato a Sebastiano del Piombo o a Dosso Dossi, oggi il quadro è riferito con riserva a Giorgione da Castelfranco. Nell'opera sono ritratti due giovani, uno in primo piano, l'altro è retrocesso. Ambedue sono rivolti verso lo spettatore, rispettivamente con una posa frontale e una ruotata verso sinistra. Lo sguardo del giovane alle spalle è indagatore, quello dell’uomo in primo piano è meditabondo. La figura in primo piano poggia la testa reclinata sulla mano destra, mentre con la sinistra regge un frutto, un melangolo, un'arancia selvatica dal sapore acre a simboleggiare l’indole dolce-amara del melanconico. Il gioco di ombre mette in risalto l’orlo dorato della veste, emblema dei beni materiali caduchi.
In questa intensa opera alcuni possono leggere il loro essere: si immedesimano nel giovane introspettivo e mesto, con gli occhi fissi nel vuoto, il gomito appoggiato al parapetto in un languore venato di disperazione. Le mani, dalle dita sottili ed affusolate esprimono una natura nervosa, sensibile, come i lineamenti leggermente angolosi del volto sulle cui guance è un velo di barba. Capelli ondulati, su cui poggia un cappello di feltro nero, ricadono sugli omeri.
La bellezza del quadro è soprattutto nel gioco di sguardi che non si incontrano cui fa da contrappunto il “dialogo” delle luci e delle ombre, con i riflessi che accendono lo scollo delle camicie, i volti, il frutto, mentre campiture grigio-nere indugiano sulla colonna a rilevarne la convessità e sugli abiti.
Colpisce in particolare l’attitudine del giovane effigiato alle terga dell’accidioso: egli, il naso pronunciato e le labbra carnose, sembra mosso da curiosità ma pure esprimere quasi un rimprovero nei confronti dell’amico. Sono due amici, eppure non dialogano. Sono due amici, eppure non si comprendono. Sono due amici, eppure sono distanti, perché la vera amicizia è solitudine, è trovare nell’altro solo il sostegno della propria fragilità. I due sodali sono uno, perché l’unità si disperde nel molteplice.
L’ambientazione è sobria, lo spazio è scandito da una prospettiva quasi schiacciata ad accostare i due personaggi nella vicinanza-distanza: soltanto un parapetto, una colonna, una parete, un’apertura dove s’intravedono la linea dell’orizzonte ed un cielo nuvoloso, cupo. La natura non offre alcun conforto: dominano il silenzio e la reciproca estraneità, pur in un’implicita condivisione dello stesso destino.
Giorgione – o chi per lui – ha saputo immortalare la condizione umana: il fatale isolamento dell’io, l’impossibilità di uscire da sé stessi, anche e soprattutto quando, per così dire, ci si incarna nel prossimo.
http://www.museoradio3.rai.it/dl/portali/site/articolo/ContentItem-450efd17-8e34-488c-8e8d-dfede7055b39.html
Ultima modifica di Oudeis il Mer Apr 29, 2020 11:20 pm - modificato 1 volta.
Oudeis- Numero di messaggi : 246
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Località : Como
Re: Due di uno
Grazie a Te.
ciao
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Oudeis- Numero di messaggi : 246
Data d'iscrizione : 25.02.19
Località : Como
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