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Messaggio  beppo Mar Ott 23, 2012 1:55 am

Salve a tutti del forum.
Stasera non ho voglia di andare a letto, come mi capita spesso, ma mi è venuta voglia invece di sfogarmi un po.
Non avendo nessuno che possa capire questo mio sfogo che io voglia disturbare, ho pensato bene di iscrivermi e fare un po di "stream of consciousness".
Non perche ritenga che qualcuno mi possa dare un consiglio veramente utile (per quanto sarei lieto di venire sorpreso) ma giusto per darmi l'alibi di non parlare solo a me stesso.
Un po come un confessionale o il divanetto di uno psicologo vecchio stile, ma senza bagaglio religioso e decisamente piu economico.

Dicevo appunto che non ho voglia di andare a letto. Non è che non abbia sonno, casco dal sonno anche se ufficialmente "soffro di insonnia". E' solo che in qualche modo ogni notte per me rappresenta una resa, la fine di una giornata e quindi un giorno in meno da vivere ed un passo in più verso la fine, non intendendo solo la fine ultima della mia vita, ma man mano di ogni aspetto di quello che faccio.
E cosi ogni notte cerco di rimandare per quanto possibile il momento in cui mi rechero a letto, in modo da essere abbastanza esausto da crollare addormentato subito, senza dover affrontare la spirale delle riflessioni.
Il momento peggiore, se non sono abbastanza svelto, è quando sto comnciando a cadere nel primo dormiveglia, abbasso le difese che ho creato per tenere la fredda consapevolezza razionale del tempo che scorre lontana dalla piena realizzazione emotiva del "Tempo Che Scorre", se quello che sto dicendo ha un senso per chi legge, e il pugno di angoscia che mi colpisce è sufficiente per svegliarmi completamente gemendo per la sofferenza. Letteralmente.

Questo è un fenomeno che mi ha accompagnato per tutta la vita, sin da quando ero un bambino molto piccolo. Ho sempre avuto una vivida immaginazione, ed una tendenza a guardare non solo al momento presente, ma guardare sempre al futuro, per pianificare, progettare, pensare alle conseguenze etc. etc. Da bambino avevo cominciato a guardare al futuro, cercando di immaginarmi come sarebbe stato il momento inimmaginabilmente lontano in cui avrei chesso, guidato un'automobile, sarei andato prima alle medie, poi alle superiori poi all'università, in cui avrei avuto una ragazza, un lavoro, una casa. E la mia immaginazione era sufficiente a farmi vivere, anche solo per pochi istanti, in quel lontano futuro. Il problema è che lo sguardo continuava a spostarsi avanti, ed ovviamente sappiamo tutti come va a finire la storia di ciascuno.
Ed ormai ho imparato il trucco di vivere in anteprima, ancora ed ancora, quegli ultimi momenti che arriveranno inevitabilmente, in ogni loro variante. E per qualche motivo quel luogo ultimo continua ad esercitare una spossante attrazione, attirando il mio sguardo. Un po come il vecchio detto della lingua che batte sempre dove duole il dente.

Oh, giusto per chiarire, non è che abbia esattamente paura della morte, al di la di quei momenti di angoscia notturna. Sono piu o meno giunto a patti con la sua inevitabilità e per quanto non corteggi il rischio, neanche lo evito ad oltranza. Per un certo periodo, giusto per provare se era qualcosa che mi potesse dare una smossa, ho anche provato qualche sport estremo.
E' semplicemente che l'idea di questo limite inevitabile rende vana qualsiasi cosa. E la cosa avvelena un po ogni aspetto della mia vita.
Non ho avuto obiettivamente una vita sfortunata, anzi, ogni volta che ho voluto veramente qualcosa non ho avuto grandi problemi ad ottenerla, pero ho rapidamente scoperto che tutto quanto ottengo sa sempre di cenere, tanto che abbia combattuto per ottenerlo quanto se mi sia caduto tra le braccia, tanto se sia un egoistico piacere materiale quanto un'altruistico gesto di cambiamento in meglio del mondo.
Per un certo periodo ho anche avuto delle ambizioni, e chissa se avessi speso sforzi sufficenti avrei anche pottuto concretizzarle, od almeno dire di averci provato, ma di fronte alla visione di quanto valga ottenere qualche grande risultato in una piu ampia prospettiva, le mie energie e le mie ambizioni sono svaporate rapidamente.
Ogni tanto rimpiango cio che avrebbe potuto essere, ma non veramente.

Mi ricordo una vecchia vignetta dei Peanuts che, da bambino, mi restò impressa a fuoco perche catturava esattamente come mi sentivo e mi sono sempre sentito.
In questa vignetta c'è Sally, la sorella di Charlie Brown, che sta saltando la corda da sola tutta contenta. All'improvviso si ferma, fa una faccia triste e scoppia a piangere. Pronto arriva a Charlie Brown a chiedere cosa sia successo, e lei gli risponde, piu o meno: "Non so, stavo saltando la corda ed andava tutto bene quando all'improvviso tutto mi è sembrato cosi... futile".

Buonanotte gente, grazie per l'orecchio virtuale.

beppo

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Messaggio  crisalide Mar Ott 23, 2012 5:52 pm

Bella dissertazione, nella quale mi ci ritrovo esperienzialmente.
Il sottoscritto oscilla tra settimane di fortisima depressione ad altrettante in cui c' è proprio questo senso di vuoto esistenziale.
Curiosa coincidenza, poi, che questo tuo scritto sia apparso proprio mentre mi interessavo a Viktor Frankl e il suo concetto di nevrosi noetica, roba su cui ti invito a googlare, poichè mi sa che ti ci ritroveresti anche tu come me.

Ma dimmi, hai mai anche tu ipotizzato che del volontariato può forse compensare la futilità di cui sopra?

crisalide

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Messaggio  beppo Mar Ott 23, 2012 7:03 pm

Si, ci ho pensato ed anche provato per un po, fintantoche sono stato in grado.

Almeno nel mio caso, non ha avuto nessun effetto positivo di lungo termine, anzi il contatto diretto e personale con le disgrazie altrui in qualche occasione ha scatenato episodi di angoscia particolarmente forti.
Fortunatamente ho abbastanza perfezionato il mio scudo emotivo in modo che, nel momento dell'emergenza e della necessita, continuavo a funzionare normalmente rimandando a poi la crisi, per cui non ne ha mai fatto le spese nessuno.

Comunque, grazie per la segnalazione su Frankl. A prima vista sembra un personaggio interessante, leggero senza dubbio qualcosa.

beppo

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Messaggio  beppo Mar Ott 23, 2012 7:07 pm

Una piccola nota sul mio scudo emotivo: non so quanto sia comune in altra gente questa tecnica, ma è la mia salvezza e la mia maledizione.

Da un lato mi mantiene pienamente funzionale nella vita e nei rapporti sociali, la maggior parte della gente mi considera perfettamente normale, magari un po originale e distaccato, ma con connotazioni generalmente positive.

Dall'altro significa che ho sempre tenuto tutti, ma proprio tutti, a distanza. Chi segue questo forum sa in questo momento piu di quello che mi passa per la testa di qualsiasi altra persona. Del resto, come provare ad aprirsi, quando tutte le volte che ci ho provato ho visto solo sconcerto, incomprensione, o anche peggio, compassione.

Non è l'orgoglio a fermarmi, o almeno non solo, non ho in genere problema ad ammettere le mie debolezze ed i miei difetti. E quando ho avuto problemi di salute non ho mai avuto problemi ad ammettere i miei malanni ed accettare l'aiuto che mi veniva offerto per passare il momento difficile.
Ma di fronte a questo qualcosa si ribella. Forse a qualche livello classifico come vergonognoso l'ammettere una debolezza mentale, o irrazionali le mie angosce.

Anche per decidere di venire qua su internet mi c'è voluto un bello sforzo. Detesto suonare cosi lamentoso e petulante, soprattutto quando c'è chi sta veramente peggio di cosi. Pero avevo, ed ho veramente, del veleno dentro che necessita di essere un po spurgato, e ho deciso di vedere se la relativa anonimità di internet unita ad un pubblico che quantomeno sa di cosa sto parlando sia una possibile soluzione.

Del resto ho gia provato tante altre cose. Magari prima o poi qualcosa funziona.

beppo

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Messaggio  merla Mar Ott 23, 2012 8:54 pm

beppo ha scritto:

Dall'altro significa che ho sempre tenuto tutti, ma proprio tutti, a distanza. Chi segue questo forum sa in questo momento piu di quello che mi passa per la testa di qualsiasi altra persona. Del resto, come provare ad aprirsi, quando tutte le volte che ci ho provato ho visto solo sconcerto, incomprensione, o anche peggio, compassione.


La mia esperienza di scudo emotivo mi ha convinto che, almeno nel mio caso, spesso era proprio il mio scudo emotivo ad attribuire agli altri o a indurre negli altri un certo tipo di reazioni. Insomma a livello più o meno conscio, ero io stessa a richiamarlo.
Questo per dire che lo scudo emotivo crea problemi anche di altro genere a volte, non soltanto crea distanza ma falsa spesso i feedback percepiti.
Proprio in questo forum, non a caso, molto spesso sono stati portati episodi di solitudine e anche di senso di inadeguatezza o di mancanza di risposta dal mondo esterno, fino a casi estremi in cui sia di solitudine che di feedback negativi a senso unico, che, boh, sfiorano l'impossibilità statistica se non altro.
Quindi insomma, la presenza di uno scudo emotivo spesso crea molte più difficoltà di quante se ne credono.

Qualcosa di Frankl ho letto anch'io, non strettamente sulla logoterapia perché argomento troppo tecnico per i miei gusti, ma sia sull'esperienza del lager sia sulla "ricerca di senso".

Per quanto riguarda la problematiche esistenziali, io credo (e forse mi sbaglio) che - forse a livelli di consapevolezza diversi - siano comuni sostanzialmente a tutti. Sicuramente in un quadro depressivo rischiano di essere una trappola mortale. Diciamo che, razionalmente, forse il gap si può risolvere prendendo atto che è un problema di tutti, che a volte si realizza in una ricerca spirituale (nel senso più ampio del termine) e personale di ciascuno.
Al tempo stesso siamo biologicamente determinati per aver voglia di vivere pertanto io credo che quanto le questioni esistenziali vanno a intaccare o a giustificare la mancanza di voglia di vivere, in realtà ci stiamo solo facendo fregare dalla nostra mente.
L'eventualità dell'assenza di un "senso ultimo" in realtà non ci impedisce di vivere bene, e star bene, anzi in una personalità ottimista questa eventualità motiva per vivere bene e stare bene. Una sorta di epicuro da bar, per capirsi.

Insomma, secondo me la mente mente, e per giustificare a noi stessi un atteggiamento depressivo, crea questa trappola che è senza soluzione per impedirci di uscire dall'angoscia.
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Messaggio  crisalide Mar Ott 23, 2012 10:06 pm

Interessante ipotesi la tua, Merla.

Ma dicci beppo, puoi descrivere meglio verbalmente come funziona il mecccanismo che ti permette di rimandare i "malori" ad un poi?

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Messaggio  beppo Mer Ott 24, 2012 1:24 am

Beh, Merla, la tua ipotesi è abbastanza centrata.
Sono consapevole quanto il problema della vacuità esistenziale non sia mia esclusiva, ma anzi sia stato sublimemente descritto ed analizzato con una profondità ed una saggezza al di la di qualsiasi cosa potrei sperare di fare da alcuni dei più grandi pensatori ed artisti della storia dell'umanità.
Il problema non è la vacuità dell'esistenza in se, è l'ossessione per essa che si è in qualche modo insediata nella mia mente e che continua a riportarmi su quei sentieri malsani avvelenando le gioie che potrei avere e la bellezza che comunque c'è nel mondo.

E' un po come se una parte di me giocasse il ruolo di quell'omino che gli antichi romani affiancavano ai generali in trionfo, il memento mori per impedire che si montassero troppo la testa, solo che a sorpresa in un qualsiasi momento della mia vita.

Quando sto risolvendo un problema, affrontando una situazione difficile o spiacevole non si preoccupa di farsi vivo, ma sto vivendo un qualche momento di soddisfazione, piacere, contentezza, raramente manca all'appello. E appunto come dicevo, il momento più terribile è il primo dormiveglia. Forse perché abbasso finalmente le difese, invece di una semplice puntura velenosa subisco un vero e proprio assalto.

Questo risponde in parte anche a quale sia la mia tecnica per rimandare le crisi. Non saprei descrivere esattamente come faccio, l'ho imparata sin da bambino. In quanto bambino "strano", naturalmente goffo, che leggeva tanto e libri non solo per bambini, aveva un sacco di strane idee e si interessava di cose che a nessun altro interessavano, ero un bersaglio naturale per lo sfottio dei miei coetanei. Fortunatamente ero anche molto più grande e grosso di loro, per cui il bullismo non ha mai avuto la dimensione fisica che avrebbe potuto rendermi poi rabbioso, amareggiato o violento, come ho visto succedere ad altri. Però ho imparato a diventare freddamente razionale a volontà, a chiudere ogni mia risposta emotiva in un angolino e ad assumere invece un ruolo da interpretare con studiata consapevolezza.
Quando entro in quello stato, per un certo periodo non sento assolutamente niente, posso quasi guardare le mie azioni come se fossi un'altra persona che si osserva dall'esterno.
Ho letto descrizioni abbastanza simili di gente che si sente come mi sento io in quei momenti quando si verifica qualche lutto molto grande, o in situazioni di estrema emergenza, quindi deve essere un qualche meccanismo mentale normalmente presente, che in qualche modo ho imparato ad attivare quasi a volontà.

Nella vita pratica e professionale è un tratto molto utile, a parte un periodo particolarmente cupo ai tempi dell'università, in cui per un po per qualche motivo avevo perso il trucco, e durante il quale ho sofferto orribilmente, non ho mai avuto grossi problemi ad azionare la modalità automatica e fare quello che deve essere fatto in quel momento. Se necessario riesco anche a passare per una persona ragionevolmente sociale e far figurare di starmi divertendo, purché la cosa non si prolunghi troppo (mantenersi sotto controllo assoluto *è* molto stancante).

Nella vita relazionale (sia sentimentale che amicale) è ovviamente assolutamente distruttivo: le persone che vengono imbrogliate dal mio ruolo sono attratte dalla mia apparente sicurezza, solidità, forza, e per loro (e non sono solo interpretazioni, in un paio di occasioni mi è stato detto papale papale) uno sguardo al vero me equivale quasi ad un tradimento. Per quelli invece che non si fanno imbrogliare, beh, sono sufficientemente bravo da far si che non capiscano cosa esattamente c'è che non va, ma sanno che in qualche modo suono falso e si tengono ben alla larga.



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Messaggio  merla Mer Ott 24, 2012 3:00 pm

Beh già inquadrare il fatto che si tratta di un'ossessione mi sembra decisamente un passo avanti. Smile

Da una parte il fatto è che le questioni esistenziali, di fatto sono neutre se analizzate da un punto di vista razionale, ai fini di attivarsi o ai fini della progettualità.
È un dato di fatto che tutti dobbiamo morire, tutti lo sappiamo e in compenso non sappiamo quando, ed è anche un dato di fatto che la maggior parte degli essere umani si dedicano a diverse attività fondamentalmente per trovare delle gratificazioni o per sfuggire da una qualche forma di sofferenza.
Un discorso puramente statistico porterebbe quindi a dire che i ragionamenti esistenziali in sé non giustificano l'assenza di voglia di vivere.
Infatti (e mi ripeto lo so, sono noiosa) tutti sappiamo che dobbiamo morire, non c'è bisogno di essere filosofi o di avere una certa cultura, e se anche magari nella nostra società il pensiero della morte viene tutto considerato rimosso è certo che ci sono milioni (molto più facilmente miliardi) di persone in questo momento che per tipo di vita, cultura, difficoltà quotidiane, età convivono ogni giorno con il pensiero della morte. E questo non impedisce loro di mangiare, dormire, gratificarsi, lavorare, pensare e adoperarsi per il futuro.
Infatti, quando si riesce ad analizzare la questione della futilità o meno della vita da un punto di vista puramente razionale, si è costretti ad ammettere che questa è perfettamente neutra da un punto di vista motivazionale, dipende tutto da come la guardi.
È invece molto facile cadere nell'errore (e non sto dicendo che sia il tuo, ma è un errore possibile) di sopravvalutare il proprio distacco e quindi di ritenere le proprie riflessioni completamente avulse dalla sfera emotiva.
Personalmente lo credo possibile in pochissime persone oppure con lunghi esercizi di meditazione, altrimenti la sfera emotiva influenza tantissimo proprio la direzione da dare alle riflessioni.
Nel senso, se io non ho voglia di vivere, al di là della trappola di cui sopra, oppure non riesco a dare un senso progettuale alle mie azioni, è molto facile che a livello inconscio induca un tipo di riflessione volta a rimarcare la futilità dell'esistenza.
Paradossalmente, questa riflessione sulla futilità, in maniera subdola, rivela un'utilità molto forte perché è in grado di creare un autoinganno e di bloccare terribilmente qualsiasi iniziativa e qualsiasi gratificazione.

Vedi quello che scrivi, ad esempio sul togliersi la vita (vale a dire che si tratta di punto a cui comunque si arriverà per cui non c'è bisogno di avvicinarlo) vale anche per qualsiasi gratificazione e progetto, che sono entrambi per loro natura transitori. Quindi se riesci ad applicare il ragionamento alla vita, a livello cognitivo sei certamente in grado di applicarlo a qualsiasi altro ambito.

Il problema è evidentemente l'ossessione, che va affrontata come un'ossessione e non la si può risolvere in termini, di nuovo, cognitivi.
A ragionarci sopra, in realtà, tu alimenti la tua angoscia, che forse arriva da un'altra parte, da altri vissuti (nel mio caso, ad esempio, la stessa angoscia era data da vissuti molto concreti) e da altri problemi, e forse non la puoi risolvere in termini razionali.
Personalmente, avevo e in parte ho, un problema di distacco emotivo simile al tuo, anche se per vissuti diversi.
Sicuramente la capacità di distaccarsi è un'ottima difesa in determinati contesti, però rischia, se abusata, di diventare un automatismo per cui uno non sente veramente più, non sente la sofferenza ed ha in un certo senso anche difficoltà a sentire le gratificazioni e le sensazioni piacevoli.
Ed è possibile che poi, visto che le sofferenze ci sono in ogni caso e fanno male in ogni caso, queste tornino, sotto forma di ossessioni, sotto forma di panico, sotto forma di allergie, depressioni, malattie psicosomatiche ecc. ecc. ecc.
L'altro aspetto è che il distacco non permette di imparare a superare le cose: il dolore è fisiologico, e ha uno scopo, fino biologico, come la convalescenza, la stanchezza, la paura ecc. ecc. Quindi un eccessivo distacco può anche far sì che i traumi che inevitabilmente viviamo, non vengano superati mai e rimangano lì congelati.

Nella vita relazionale... boh. tanto gli altri non puoi cambiarli, quindi se non ti va bene puoi solo far leva su te stesso. Smile
merla
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