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Messaggio  OrangeLeaf Ven Nov 10, 2017 4:42 pm

Ciao a tutti! Come da titolo, la mia perplessità è proprio sul come si faccia ad andare avanti dopo un periodo davvero.... nero. Proverò a spiegare la mia storia senza annoiare, sfogarmi mi aiuterà.

Sono una ragazza piuttosto giovane, poco più che ventenne, da svariati anni sto con il mio ragazzo.
La nostra è stata una storia fin da subito "adulta" e pesante, capisco solo ora (dopo esserci passata anch'io) che i problemi dei nostri primi anni, in sostanza metà relazione, non erano dati da una sua cattiveria o insensibilità di fondo ma da suoi profondi dolori personali... che ora non sto qui a specificare.
Non essendo un medico non mi azzardo a usare la parola "depressione", ma secondo me siamo lì... e quindi io, adolescente, ho supportato in tutto una persona in estrema difficoltà per anni, soffrendo della sua aggressività verbale o totale passività e abbandono, reprimendo di continuo la mia personalità e desideri a favore della sua perché "ne aveva più bisogno".
Quando ne è uscito abbiamo cominciato a costruire davvero la nostra storia (lui pentito e pieno di vergogna per l'atteggiamento precedente) ma io, via via che mi riprendevo, ho cominciato a pormi delle domande.... era giusto sopportare questa fatica già così piccola? era giusto continuare a spronarlo quando magari semplicemente non era la persona giusta? Così ci sono stati un paio di momenti di crisi (mia) e allontanamenti con lui che sempre mi ha rincorsa per riconquistarmi, ora concentrato a 100 sulla relazione e sentendosi in difetto per avermi fatta soffrire (e quindi allontanata) prima. Alla fine non ci siamo mai separati, qualcosa mi ha sempre tenuta legata a lui.
Fino allo scorso inverno.
E' stato come implodere e poi esplodere. E' stato come se la me giovane, adolescente, spensierata, egoista, sepolta da anni, si fosse mangiata la me seria,posata, razionale, remissiva.
In apparenza forse cattiva, in realtà soffrivo come non mai. Mi sono riempita di impegni al punto da non farcela più, dimagrendo a vista d'occhio, ammalandomi, scappando dai contatti sociali. Con lui spesso sgarbata, accusandolo di starmi addosso e non capire i miei impegni, passione fisica da me negata.
Gli amici, quelli di una vita, non hanno letto il mio rinchiudermi in casa come un grido d'aiuto, ma come un rifiuto nei loro confronti. Così, dopo avermi pugnalata alle spalle, se ne sono andati tutti.
L'unico da cui mi sentivo capita era un altro ragazzo, con uno stile di vita opposto al mio. Cioè spensierato, egoista, irrazionale. Forse ha fatto vivere un po' la me sepolta da anni, ma per il resto non ha fatto altro che approfittarsi della mia fragilità mettendomi in imbarazzo in pubblico, ossessionandomi di messaggi, remando contro la mia riconciliazione con gli altri amici "noiosi".
Giunta a questo punto mi hanno aiutato 5 mesi di psicoterapia in cui in sostanza ho capito quello che ho scritto finora...

Alla fine è arrivata la resa dei conti con il mio ragazzo in cui entrambi ci siamo "vomitati addosso" il dolore provato nell'ultimo anno e discusso di come ricucire la nostra relazione.
Stavolta ho avuto davvero la sensazione di avercela fatta, di aver capito cosa devo fare per stare bene con lui e me stessa. Sembra una sciocchezza, ma è come se da questa via crucis fosse uscita una me nuova che ha imparato a far convivere ambo le parti (razionale e irrazionale), coniugando impegno e svago, senza sobbarcarmi troppo degli altri. Mi sono riscoperta anche innamoratissima. Sopravvivere a un anno di depressione mi ha in un certo senso resa adulta e concentrata.

Il problema?
Soffro.
Soffro perché sono sola. Ad esclusione di lui, gli amici che consideravo fratelli se ne sono andati. Non li ho mai trattati male, semplicemente avevo smesso di essere sempre disponibile e cucciolosa, perché soffrivo nel vedere la mia relazione e la me di sempre sgretolarsi.... ma non l'hanno capito, anzi.
Soffro perché lui ha sofferto da cani a causa mia, perché mi ha vista soffrire, non accettare il suo aiuto e vedere invece che mi sentivo capita da uno che in confronto a lui non vale nulla.
Soffro perché se mi riguardo indietro vedo tutto nerissimo e mi vedo completamente alla deriva, sola, e mi vergogno di aver perso così il timone... mi vergogno all'idea dei conoscenti e parenti che mi hanno vista così fragile e debole, mi vergogno all'idea di quel che possono aver pensato, mi vergogno di essere stata capricciosa, di aver perso la bussola. Mi vergogno anche se questo mi dà oggi maggior consapevolezza e maturità.
Vorrei cancellare tutto con un colpo di spugna, vorrei trasferirmi a 100 km e non rischiare più di incontrare nessuno che mi ha vista triste, persa e di 40kg.

Quand'è che si accettano i propri errori e si va avanti?

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Messaggio  canterel II Ven Nov 10, 2017 8:48 pm

quand'è che si accettano i propri errori?
mi sembra una bella domanda e secondo me sono appunto le domande che segnano le tappe, non tanto le risposte.

nella mia personale esperienza, la domanda "quand'è che si accettano gli errori" non può avere una risposta generalizzata ma segna una fase evoluta. a livelli più bassi o per così dire meno elaborati metto mostri finali più portati a scatenare rabbia o paura piuttosto che la vergogna.

la vergogna è una brutta bestia anche perché è meno socializzata di altre emozioni negative e perciò chi la prova più facilmente si sente solo mentre è investito da questa emozione. a maggior ragione quindi vale il consiglio di ricordare che in realtà la vergogna pervade completamente il sociale, anche se non è quasi mai pronunciata. ce la smazziamo più o meno tutti insomma, anche se in modalità suddivisa piuttosto che condivisa.

io penso che vada gestita con un po' di affettuosità e di umorismo, e verso il bestione (la parte che si sente evoluta e che giudica) e verso la parte svergognata, oltre che certamente con un vaglio razionale e realistico, flessibile, umano.
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Messaggio  OrangeLeaf Mer Nov 15, 2017 10:04 am

Mi rendo conto infatti che la vergogna è il sentimento che provo nei momenti di "massima lucidità", quando riesco a guardarmi indietro quasi con occhio esterno, o comunque come se in parte avessi accettato la cosa e maturato tutto il contorno.

Sono però facile preda di ansia e paura e la cosa mi preoccupa perché non si tratta di semplice preoccupazione ma proprio di ansia vera, angoscia, che sento anche fisicamente.
I casi in cui si manifesta più facilmente sono:
- Frequentare luoghi dove so che potrei incontrare le persone che non voglio vedere: batticuore, mal di stomaco, visualizzo nella mia testa situazioni drammatiche, concentrazione annebbiata. Razionalmente poi, recuperata la calma, realizzo che molto probabilmente a quelle persone non gliene può fregar di meno di me, o comunque non siamo in un telefilm per adolescenti dove la persona vista in difficoltà viene indicata con scroscio di risa e frecciatine dolorose.
- Ogni piccola tensione con il mio ragazzo: se in un messaggio, una telefonata, un abbraccio, capto mena tenerezza del solito, ecco che vado in ansia, penso che no, non sia più intenzionato a superare quel periodo nero, che non me lo merito. Contemporaneamente faccio il possibile per celargli la mia ansia perché, sempre irrazionalmente, temo rispostacce da "te la sei cercata" che mi farebbero stare peggio. Quando poi recupero lucidità, capisco che non è successo niente ma che magari è solo stanco o arrabbiato con altri.

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Messaggio  alinea Mer Nov 15, 2017 11:14 am

Io dico che hai già fatto troppo per capire gli altri, adesso devi pensare a te stessa. Se i rapporti con le persone che ti circondano ti danno tensione e sofferenza, devi momentaneamente accantonarli. Lo so che si prova il terrore della solitudine, del non farcela da soli, ma pensaci bene: tu hai GIA' affrontato tutto da sola, senza rendertene conto e sobbarcandoti responsabilità più grandi di te. Quindi non devi aver paura di nulla. Pensa solo a star bene con te stessa e , in questo hai ragione, a divertirti. ne hai il diritto e non sei cattiva se lo desideri
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