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Messaggio  Anna dulleyes Ven Giu 02, 2017 8:53 pm

Vent'anni e quattro psicologi e mi sono dovuta documentare da sola porco cane. Ovviamente in italiano non c'è quasi niente, è tutto in inglese. Lo scrivo qui perchè sembra una cosa abbastanza comune e penso possa essere utile anche ad altri. Ok, oggi mi si è stravolta la vita.
Si chiama "sindrome dell'impostore", e a quanto pare il mio è un caso parecchio grave, ma già sapere che i miei deliri derivano da un disturbo preciso ne riduce parecchio la credibilità, e credo sia abbastanza per decidermi a non prenderli come verità dogmatiche e ricominciare a lottare.

La sindrome dell'impostore (impostor syndrome) è come una voce nella testa che per ogni cosa che fai, specie quando serve mettere in gioco le proprie presunte abilità o competenze, salta su e si mette ad urlare "Ma scusa, chi diavolo ti ha dato il diritto di farlo? A chi hai chiesto il permesso? Ah, beh, perchè pensi di saperlo fare? Certo, come no! Dottore? Ma quando mai tu saresti un dottore? Sì, hai la laurea, ma che vuol dire? Pensi davvero di essertela meritata? Di sapere quello che c'e da sapere, di avere le competenze? Non so neanche come ci sei arrivato alla laurea, imbroglione! Falso! Quanto pensi che ci voglia prima che ti scoprano?"
Non si riconoscono i successi evidenti, si oscilla dalla speranza di avere capacità superiori alla norma e ambizioni altissime e perfette... alla totale negazione di qualsiasi pregio, alla convinzione di essere stupidi, buoni a nulla, falsi, e al senso di colpa per le ambizioni che ci sono passate per la testa. E ci si impedisce di perseguirle credendo che sia la cosa assolutamente più giusta da fare, o temendo oltremodo il fallimento più disastroso. Non si riesce ad interiorizzare i propri successi, sembrano non appartenerci, immeritati. Eppure in cuor nostro sentiamo di voler dare il massimo, di voler strafare. Per questo in quello che facciamo ci impegniamo al massimo, non dormiamo la notte se necessario. Per questo e perchè crediamo che la nostra incompetenza possa essere compensata triplicando l'impegno, così ci sentiamo un po' più meritevoli di rappresentare il ruolo che ricopriamo e in più speriamo che nessuno ci "scopra". Ma dura poco, perchè la voce torna presto a farsi sentire, svalutando i risultati che otteniamo e ricordandoci che non siamo degni della posizione che abbiamo guadagnato e che prima o poi, ovviamente, qualcuno ci scoprirà, e allora chissà cosa potrà succedere... pale

A quanto pare ho questo problema da sempre, e sono arrivata a credere di essere falsa in qualsiasi cosa che faccio, anche nei sentimenti, nel vivere, nel desiderare, nel voler fare del bene, nello stesso pensiero di essere falsa! In qualsiasi cosa, deliro, faccio ragionamenti paradossali che si contraddicono da soli e ne deduco che ho il dovere di uccidermi! E tutto a causa di... QUESTO??? Adesso che ho trovato tutto scritto in una cavolo di pagina web, mi... mi si è stravolta la vita.
Ha tutto improvvisamente senso.
Non so se sono stata un po' confusionaria, sono un po' sconvolta, ma spero che questo possa essere utile a qualcun altro.
Baci
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Messaggio  merla Sab Giu 03, 2017 10:44 am

Ciao Anna,

io credo che si tratti di un insieme di atteggiamenti molto comune tra le persone fragili: io stessa, se la cosa ti consola in qualche modo, che ho il doppio dei tuoi anni, una professione da quasi 17 anni, consolidata, un reddito adeguato, e tutta una serie di riconoscimenti pratici da colleghi e clienti, continuo a chiedermi molto spesso se in realtà non sia tutto un caso e se chi mi apprezza sul lavoro non stia semplicemente prendendo un grosso abbaglio, magari perché gli sono simpatica.
E noto lo stesso atteggiamento in altre persone che conosco, piene di doti, che stentano a riconoscerle e questo a volte è acuito dalle loro fragilità. Devo anche dirti che in generale chi dubita di se stesso mi è sempre sembrato anni luce più intelligente rispetto a chi non lo fa o lo fa di meno, soprattutto perché in genere prima di far danno, ci pensa. Si tratta più che altro di una questione di misura, per riuscire a dubitare senza rovinarsi la vita e si tratta di imparare a conviverci, vale a dire diventare consapevoli della tara che si mette su ogni cosa, in modo da darle il peso giusto e non farsi influenzare eccessivamente; imparare a far questo è un lavoro di pazienza, che richiede il suo tempo. Ma il "dubbio" è qualcosa che io difenderò sempre. Smile

Detto questo, ti ho scritto per un altro motivo: nell'ambito di un percorso personale, qualsiasi input può essere utile e, in un certo senso, attribuirsi questo o quel problema piuttosto che questa o quella definizione può dare nuova luce alla visione di se stessi o alle cose. Nel corso degli anni io mi sono definita prima ansioso-depressa, poi borderline, codipendente e molto altro ancora per arrivare oggi a sentirmi vittima di una famiglia profondamente inadeguata e disturbata e di una serie di circostanze sfortunate. Ognuna di queste definizioni mi è servita ad arricchirmi di punti di vista e strategie nuove e a cogliere strutture e difese psicologiche che andavano cambiate/smontate o rinforzate e non ho la più pallida idea di come mi definirò domani.
Tuttavia, stai attenta a non usare queste prese di coscienza per mettere in discussione tout-court le tue figure di aiuto, perché in quel caso diventano un'arma a doppio taglio. Una psicoterapia si fonda molto più sull'opportunità di creare una relazione di fiducia e molto meno sulle competenze, le diagnosi e le definizioni: il terapeuta non "deve" sapere tutto né, alla fine dei conti, saperne più di te, il terapeuta è colui che ti accompagna là dove tu vuoi e puoi andare, niente di più, e per fare questo non c'è bisogno che sia perfetto, come tu non hai bisogno di essere perfetta e non ne ha bisogno nessun altro.
Buone cose. Smile
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Messaggio  Anna dulleyes Sab Giu 03, 2017 11:55 am

Sì merla, hai ragione. Sono d'accordissimo col fatto che il terapeuta non possa avere la palla di cristallo e che un nome come "borderline" o "ansiosa" non porti in sè la cura. Anche io ho esplorato davvero tante strade e punti di vista, ma non sono mai arrivata a focalizzare il problema nel suo insieme, fino a ieri. La mia delusione nei confronti dei terapeuti a cui mi sono rivolta è stata data più dal fatto che, sindrome o non sindrome, nessuno è stato in grado di rispondere coerentemente al mio bisogno e a raccapezzarsi su quale fosse il problema. Io portavo i pezzi del puzzle che non riuscivo a mettere insieme, e loro li incasinavano ancora di più. Secondo uno il mio problema è che sono troppo fragile per reggere le situazioni stressanti. Ma che vuol dire? Questo andava solo a riconfermare i miei deliri. Un po' come l'altro che mi ha detto che con il mio comportamento stavo cercando attenzioni: un'altra riconferma pazzesca. E invece su quel sito tutti i pezzetti erano messi nel giusto ordine e aveva tutto senso. Per me essere inserita in un quadro clinico preciso ha anche un significato importante: il mio problema mi spinge a credere di stare fingendo qualsiasi cosa, quindi anche di avere un problema. Vederlo esposto lì, nero su bianco, mi ha dato quella conferma che cercavo che i miei deliri erano effettivamente tali, e non "la verità che mi faceva comodo ignorare". Erano tutti scritti lì, uguali e identici ai miei, e tutti sintomi di questo disturbo. Improvvisamente ho avuto la prova convincente che se non avessi creduto a queste idee che avevo in testa non sarebbe successo niente, nessun disastro, nessun oltraggio, affronto o disonore, nessuno sarebbe morto o uscito pazzo. Perchè qualcuno che conosceva molto bene quei pensieri e sapeva bene cosa fossero li aveva scritti lì e riconnessi ad un disturbo psicologico preciso. Disturbo, non verità. Improvvisamente da dogmi si sono trasformati in nemici. Ieri mi volevo uccidere e oggi no. Nessuno era mai riuscito a capire questo mio bisogno, nonostante avessi provato più volte a spiegarlo.
E comunque scusa, non voglio sminuire, so che il problema è molto comune, ma è come l'ansia. Tutti ce l'abbiamo entro un certo livello. Ma di solito questa "sindrome dell'impostore" è relegata all'ambito lavorativo, o comunque della realizzazione personale. E già così fa soffrire e rovina la vita. A livello normale si chiama dubbio ed autocritica, ed è positiva, a livelli un po' alti è scomoda, a livelli alti paralizza. Ora sinceramente, non voglio fare la vittima, ma penso che il mio livello sia oltre l'alto, perchè non ho ancora incontrato nessuno che si senta in colpa fino a volersi uccidere perchè sta con il suo uomo ma non si considera una persona che abbia le competenze per amare, in grado di essere definita una "compagna". O perchè ha fatto un regalo a qualcuno, perchè non si sente meritevole di essere considerato un "donatore", o peggio "generoso" e pensa di avere avuto secondi fini malvagi. E che non mangia perchè non si sente in diritto di avere fame. Che si sente una farsa di essere umano, che se è arrivato a 20 anni di età è solo per una fortuna smisurata e immeritata, perchè se qualcuno avesse scoperto quello che veramente è lo avrebbe già eliminato. Ho sentimenti simili persino quando scelgo la password del computer o lo shampoo al supermercato, e non "spesso", ma costantemente. In più non me lo chiedo, lo sento martellare in testa come la voce della verità. E non sono solo idee che mi balenano così, il senso di colpa è fortissimo, davvero, ogni volta penso che per quello che sono mi dovrei uccidere. Così non si vive proprio.
Comunque quello che ho intenzione di fare adesso è parlare di questa cosa col mio terapeuta, e, anche se sento che con questa consapevolezza è cambiato tutto e forse potrei anche farcela da sola, non è questo il motivo per rifiutare l'aiuto di una figura professionale. Spero di non ricevere un'altra delusione, perchè altrimenti cambio psicologo, davvero, perchè questo me ne ha dette di cotte e di crude oramai, e se martedì esco di nuovo dalla seduta stando peggio di prima dovrò rendermi conto che lui sarà uno psicologo bravissimo, ma non adatto a trattare il mio tipo di problemi.
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Messaggio  Anna dulleyes Sab Giu 03, 2017 11:57 am

comunque grazie mille per la risposta e per il parere che mi hai dato Smile
Sì, ora si tratta di trovare la giusta misura, grazie tante
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Messaggio  merla Gio Giu 08, 2017 8:11 am

Anna dulleyes ha scritto:
E comunque scusa, non voglio sminuire, so che il problema è molto comune, ma è come l'ansia. Tutti ce l'abbiamo entro un certo livello. Ma di solito questa "sindrome dell'impostore" è relegata all'ambito lavorativo, o comunque della realizzazione personale. E già così fa soffrire e rovina la vita. A livello normale si chiama dubbio ed autocritica, ed è positiva, a livelli un po' alti è scomoda, a livelli alti paralizza. Ora sinceramente, non voglio fare la vittima, ma penso che il mio livello sia oltre l'alto, perchè non ho ancora incontrato nessuno che si senta in colpa fino a volersi uccidere perchè sta con il suo uomo ma non si considera una persona che abbia le competenze per amare, in grado di essere definita una "compagna". O perchè ha fatto un regalo a qualcuno, perchè non si sente meritevole di essere considerato un "donatore", o peggio "generoso" e pensa di avere avuto secondi fini malvagi. E che non mangia perchè non si sente in diritto di avere fame. Che si sente una farsa di essere umano, che se è arrivato a 20 anni di età è solo per una fortuna smisurata e immeritata, perchè se qualcuno avesse scoperto quello che veramente è lo avrebbe già eliminato. Ho sentimenti simili persino quando scelgo la password del computer o lo shampoo al supermercato, e non "spesso", ma costantemente.

Ciao Anna,

ci ho messo alcuni giorni prima di risponderti per diverse ragioni, in parte mie personali, in parte perché in effetti sì, benché tu non lo volessi, mi sono sentita sminuita. Non ho voluto metterci le tende e risponderti a caldo, semplicemente perché girovago in questo forum (e in generale purtroppo nel malessere psichico) da tanti anni e l'obiezione che non potrei capire perché non sto abbastanza male (o perché la mia depressione è endogena e non esogena [o viceversa], o perché non sono abbastanza sola o insonne o non ho avuto abs attacchi di panico ecc. ecc. ecc.) è decisamente ricorrente e spesso ha il tempo che trova, quindi ritengo che, quando riesco, sia meglio farmi passare almeno in parte il fastidio e non rispondere a caldo.
Se ti può consolare, comunque, ogni regalo che faccio a qualcuno (compresi i regali di circostanza e cortesia), io mi sento subdola e manipolativa. Credo di essere brava a farli lo stesso, nonostante, ogni tanto, un inevitabile grado di goffaggine. Per il resto non credo sia il caso di mettermi a fare classifiche di malessere: a me non serve a niente, e tu sei vuoi puoi leggerti i miei vecchi post, dove a grandi linee c'è la parte di storia che ho desiderato condividere e farti le tue valutazioni.

In ogni caso, ho scelto di quotare questa parte perché in realtà (e c'entra anche con la premessa) volevo invitarti a pensare che forse ti sbagli: tu credi di non conoscere nessuno che provi quello che provi tu. Io però credo che forse, invece, conosci qualcuno che non riesce ad avere una relazione o che regali non ne fa ed è fortemente probabile che tra questi qualcuno ci siano delle persone che non si sentono degne di avere una relazione né di fare dei regali, anche perché provano sensazioni molto simili a quelle che provi tu, ma o non ne te lo dicono, perché si vergognano, oppure dal momento che, proprio come scrivi tu, con tante sensazioni dolorose "non si vive" mettono in atto tali e tanti meccanismi di rimozione da imputare queste difficoltà ad altri fattori, magari esterni.
Non leggere, per favore, questa considerazione come un'accusa di vittimismo perché non è quello il senso con cui la scrivo. La scrivo per invitarti, in generale, a prendere in considerazione quello che ti viene detto, scritto, e raccontato, nel merito e non necessariamente alla luce dell'autorevolezza che attribuisci all'interlocutore, ovvero ti invito, se vuoi, a mettere in atto un atteggiamento speculare a quello che ti proponevo nei confronti delle tue figure di aiuto, vale a dire di non mettere in discussione l'autorevolezza di tali figure solo alla luce del fatto che ciò che ti viene detto, non aderisce a quello che credi di aver bisogno di sentirti dire.
Entrambi gli atteggiamenti, mettere in discussione tout court i contenuti per una presunta mancanza di autorevolezza e mettere in discussione una relazione di aiuto per degli scambi dissonanti, hanno come principale ed evidente conseguenza di farti perdere delle occasioni di cogliere degli spunti, che magari da qualche parte vanno davvero a toccare, altrimenti probabilmente ti lascerebbero indifferente, e di costruire delle relazioni nutrienti, che invece crescono "anche" perché fondate sulla capacità di gestire le dissonanze.

Buone cose
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