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Messaggio  clinamen Sab Set 12, 2015 2:16 am

Ho deciso di postare quando capita, un po' per necessità di un pubblico, un po' per ozio, qualche stralcio di riflessione e brevi racconti.

Riflettendo con voi sulla natura dei "concetti generali"

All'interno dell'esperienza diretta e immediata che facciamo delle cose del mondo, non si presentano mai casi d'identità tra gli enti conosciuti: tra loro vi è sempre una differenza spaziale e temporale. Ad esempio, due sassi per quanto ci appaiano simili nei loro attributi, risulteranno sempre, oggetti occupanti rispettivamente due posizioni spaziali e temporali diverse: possiamo trovarne uno a destra dell'altro, oppure sopra o sotto, davanti o dietro; e di certo, non è possibile che l'uno occupi nel medesimo momento lo spazio che occupa l'altro. Lo stesso vale per ciò che consideriamo essere l'uomo: per le ragioni suddette, ogni individuo, portando con sé le proprie irripetibili e insostituibili particolarità - macroscopiche o microscopiche -, rappresenta un fenomeno unico e identico solo a se stesso. Detto ciò però, si solleva un legittimo quesito: sulla base di quale presupposto, ognuno di noi, concepisce un concetto generale, come quello di "Uomo", il quale però non è riscontrabile all'interno della nostra esperienza?



clinamen

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Messaggio  Robin93 Dom Set 13, 2015 3:21 pm

Ciao Clinamen, che tanto mi ricordi la filosofia della natura degli epicurei per questo nome.

Ti risponderei per come avrebbe fatto il vescovo e filosofo Berkeley, empirista del 1700.
Lui avrebbe detto che il principio di astrazione è stato da sempre un grande errore dell'uomo.
Così come non si può parlare del "colore" astratto dalle sue singole esistenze empiriche, come rosso, giallo, verde, ecc., così non si può parlare di "Uomo" astraendolo dalla molteplicità di uomini particolari considerabili solo singolarmente.

Non esiste alcun presupposto per stabilire cosa sia "Uomo", esso è solo un concetto generale mentale-linguistico. Per come avrebbe detto Aristotele nella sua Logica, l'Uomo è un genere che, per definirsi ha necessità di una differenza specifica che ne specializzi l'essere.
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Messaggio  marion crane Lun Set 14, 2015 7:40 pm

Ciao clinamen.
Mi viene da rispondere alla tua domanda (forse in parte provocatoria) in questo modo: quando la mente compie una generalizzazione, estrae somiglianze da numerosi casi particolari, mette insieme aspetti sensibili particolari che diversi oggetti hanno in comune, questo ci permette di riconoscere immediatamente tutti quegli oggetti che presentano il complesso di quelle stesse caratteristiche particolari. Secondo me quindi (ma potrei dire una cavolata enorme) concepiamo dei concetti generali per semplificare e organizzare la realtà. Non ho risposto del tutto o forse per niente, alla tua domanda, anche perchè non ho le competenze per farlo. Aggiungo, senza dilungarmi troppo, che il linguaggio gioca un ruolo fondamentale in tutto questo: dobbiamo comunicare e per farlo è forse necessario unificare e semplificare le cose del mondo in concetti.
Cosa ne pensi? E se posso, ti rigiro la domanda: sulla base di quale presupposto ognuno di noi concepisce un concetto generale, il quel però non è riscontrabile all'interno della nostra esperienza? immagino ti sarai dato una risposta.

marion crane

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Messaggio  clinamen Sab Set 19, 2015 12:12 pm

Scusatemi. Presto risponderò alle vostre domande. Intanto, come promesso, un po' di tettine:

[...]Sognò il Drago che divorava un San Giorgio nudo e in erezione, mentre la sua farmacista di fiducia che quella mattina gli aveva venduto una scatola di Prozac, si masturbava di nascosto dietro una colonna del Partenone. C’era anche Socrate ad assistere alla scena, il quale, accortosi dell’attività misteriosa della piacente ragazza, chiedeva in giro, a peni mastodontici, che cosa stesse facendo. Loro rispondevano portandogli degli esempi. Ma lui voleva la definizione, il concetto, e questa volta assicurando di non essere per nulla ironico. Sconvolto, decise di chiedere anche al suo discepolo, Platone. Ma, Platone, trasformatosi magicamente in un cigno, non potendo parlare in greco antico, cercava di spiegarsi starnazzando, causando ancora più dubbi e disagio in Socrate. Il drago, una volta finito con San Giorgio, andò da Socrate e gli disse di lasciare perdere, e che probabilmente era meglio che smettesse di porre a tutti quella scomoda domanda, perché altrimenti sarebbe stato accusato d’empietà e preso per un testa di rapa. Ma Socrate, il quale era famoso per avere la bocca larga, e non solo per Alcibiade, iniziò a domandare a tutti di ciò che aveva visto. Nessuno si dimostrò comprensivo, tranne – fatto strano - Trasimaco, il quale tentava di spiegargli che in natura le cose vanno in un certo modo, e dicendogli che forse sarebbe dovuto uscire un po’ di più la sera invece di chiedersi che cosa fossero le cose, poiché per colpa di questo suo domandare, un giorno, qualcuno avrebbe deciso di inventare le teorie del complotto a danno dei massoni che per diritto di natura dovevano governare il mondo. Ma lui non capiva, o forse non voleva capire, tant’è che furono costretti a portarlo in tribunale, e mentre veniva deriso da tutti con il pene in mano, il giudice che era un uomo ben più saggio di Socrate, lo condannò a morte e gli consigliò che se davvero voleva dimostrare di essere tanto Buono e intelligente, avrebbe dovuto risparmiare il lavoro al boia, suicidandosi onorevolmente con una dose di 400mg di cicuta. Ed è così che nacque la filosofia. Ed è così che Socrate morì sapendo di non sapere. Ed è così che il Drago, mentre si stava riprendendo dalla dipendenza di eroina che gli aveva causato quel tossico di San Giorgio, ripensando ai consigli che aveva dato a Socrate, guardò il soffitto e disse “gliel’avevo detto a quel demente.”

clinamen

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Messaggio  marion crane Lun Set 21, 2015 6:07 pm

Cos'è ? l'hai scritto tu? un po' una caduta di stile. Perchè hai scritto questo racconto, qual'è il senso?
Non capisco perchè l'hai postato sotto questa discussione.

marion crane

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