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Messaggio  clinamen Lun Ago 31, 2015 4:47 pm

Salve a tutti,

Ho 23 anni e da tre anni circa e penso di potermi ritenere a pieno titolo un membro della numerosissima schiera dei depressi del pianeta terra. Vi narrerò dettagliatamente del mio iter sperando, non tanto di ricevere compassione, quanto un proficua condivisione di esperienze, e perché no, raggiungere una maggiore consapevolezza di questo stato d'animo.

Partirò dal principio.

Quattro anni fa fa vivevo l'ultimo periodo di una relazione di coppia con Sara, durante il quale cambiai parecchio rispetto al principio: mi sentivo più forte, privo di debolezze particolari, più ricco e più sicuro di ciò che pensavo; e in particolar modo, incredibilmente euforico: l'alta considerazione che avevo di me stesso, basata soprattutto sull'idea di avere grandi doti intellettuali che trovavo rispecchiate nell'alto rendimento scolastico, mi portò ad assumere un atteggiamento più disinvolto anche nelle relazioni sociali - atteggiamento derivato probabilmente dal successo di quella relazione di cui mi sentivo totalmente padrone e, sul suo finale, piuttosto indifferente nei confronti dei sentimenti di Sara. Divenni scontroso, arrogante, e iniziai addirittura ad offenderla sottilmente e senza accorgermene del tutto; tuttavia il fatto di riuscire a dispiacerla mi faceva sentire in una posizione di dominio che alimentava, in maniera perversa, il mio ego. Si dice che l'amore consista in un sentimento di totale dipendenza dall'altro, tant'è che alcuni, tra quelli che non vengono corrisposti, preferiscono la morte ad una vita a metà; io iniziai a sentirmi totalmente indipendente da Sara che frequentavo sempre meno e senza la quale, mi accingevo a progettare la mia vita. Non mi decidevo a lasciarla poiché avrei dovuto a rinunciare ad un' abitudine che era, nel bene o nel male, parte della mia vita e come ho già detto, da essa riuscivo ancora a trarre qualche perversa soddisfazione. Durante questo periodo andai in gita scolastica a Benfica, durante la quale iniziai a manifestare quelli che ritengo essere i primi segnali del mio disturbo. Strinsi un legame con la mia compagna di classe Veronica per la quale sentivo unicamente una forte attrazione sessuale; ma il nostro rapporto si manifestò sin dall'inizio piuttosto conflittuale: litigavamo spesso poiché non riuscivo assolutamente a tollerare certi suoi tratti caratteriali - immaginavo che lo stesso valesse per lei nei miei confronti sebbene, suppongo, ci desse meno peso. Tuttavia volevo a tutti i costi dimostrare le mie presunte potenzialità e la capacità di riuscire in tutto e con tutti (avevo un'altissima stima di Sara e se ero riuscito ad entrare in sintonia con lei, pensavo di potercela fare con chiunque), tanto da volere avere conferma anche da lei (da qualcuno che, in parte, disprezzavo!); così non badavo troppo ai suoi sentimenti se non a ciò che poteva rispecchiare un mio successo, e di conseguenza anche a ciò che lo metteva in discussione. Ed è quest'ultima cosa con cui entrai disastrosamente a fare i conti: capitava che non riuscivo, nel mio egocentrismo e nella mia ingenuità, assolutamente a capacitarmi di come non riuscissi a gestire e capire fino in fondo quel carattere permaloso che non voleva rispecchiare l'idea di me - un'idea lentamente creatasi, appunto, attraverso la delicata fase adolescenziale. Sentivo di volerla cambiare, plasmarne il comportamento a mia immagine e somiglianza, e in qualche modo "salvarla" da quello che per me era un modo totalmente sbagliato di pensare e comportarsi; il fine ultimo di questa volontà era quello di poterle dimostrare, dimostrandolo così anche a me stesso, che ciò che ero, o che pensavo di essere, era l'unico modo giusto di essere. Ma questo tentativo fu destinato a fallire, facendomi prendere, in minima parte, coscienza di una mia possibile inettitudine: cominciai così a dubitare di me stesso; e nel farlo, meditando a vuoto, provavo un lieve senso di vuoto misto a disperazione e talvolta, in rari momenti, mi abbandonavo, piangendo, all'infelicità peggiore: quella dell'inconsapevolezza. Vi apparirà forse ridicolo sviluppo degli eventi; e così appare a me oggi, ma al di là di queste vicende un po' sciocche per un occhio adulto, vi chiedo di prestare attenzione soprattutto allo sviluppo del mio stato d'animo.
Nonostante fossi solitamente propenso all'abnegazione, questa volta non volli reprimere il mio istinto, poiché fu uno dei pochi mezzi attraverso il quale riuscì ad ottenere una vittoria con Veronica: tradì Sara e una volta tornato, mosso perlopiù da un astratto senso del dovere, operato semplicemente per rinvigorire il mio ego con una sana dose di "correttezza", la lasciai. Piansi a lungo: non m'importava e non mi vergognavo assolutamente di ciò che avevo fatto, piuttosto provavo una sensazione di perdita tragica derivata da un mio amore del dramma; non ero infelice per la chiusura del sipario bensì galvanizzato. Decisi dopo qualche giorno, per un curioso senso di responsabilità che volli assegnarmi, di fare visita a Veronica chiedendole, con un discorso pieno di belle parole e romanticherie in cui non credevo, di vederci ancora: iniziammo così a frequentarci e ad avere una relazione. Volli provare soprattutto per i motivi sopracitati. Da qui in poi iniziarono concretamente a svilupparsi i primi veri sintomi. Le prime volte che ci vedevamo passavamo dei piacevoli momenti, leggeri, fino alla frivolezza (stranamente non litigavamo); dopo il terzo dei nostri incontri, rincasando, mentre pensavo al tempo trascorso assieme, non provavo nulla - ogni attimo ricordato mi risultava totalmente indifferente, privo di significato emotivo o sentimentale. Pensai inizialmente che il problema fosse legato a lei; forse "non era la persona giusta" come si suol dire in questi casi. Ma invece di mollare continuai testardamente a volerci trovare qualcosa; qualcosa con cui nutrire il mio ego e che non trovai mai. Alle volte mi chiedeva perché avevo scelto lei: io rispondevo per dimostrarle e dimostrarmi qualcosa, ma lei non trovava soddisfacente nessuna spiegazione. La mia identità tremava ed infine crollò del tutto. In fondo, come si è potuto capire, vivevo un momento di totale insicurezza: credevo di sapere chi ero, quando invece fagocitavo ogni immagine che dall'esterno mi veniva restituita; e così fagocitai anche la sua insoddisfazione nei miei confronti, per la quale fui troppo sensibile e l'ebbi troppo a cuore. Questo alimentò la carenza di valore che iniziavo ad assegnare a tutta la mia vita, ad ogni suo minimo ambito: la scuola, l'amicizia, la famiglia e tutte quante le mie passioni. Tutto incominciò a deteriorarsi lentamente con il mio stupore e di fronte alla mia impotenza. Non riuscivo a capacitarmi di cosa stesse capitando.
Una mattina, svegliandomi da un sogno opprimente, sentii come un fulmine trapassarmi il petto: qualcosa si ruppe inesorabilmente - lanciai un grido; mi sentivo stanco e intorpidito, come se avessi corso, senza mai smettere, per trecento vite. I problemi con Veronica si accumulavano e diventai sempre più irritabile; ma proseguii per inerzia, perdendomi nel vuoto delle mie sensazioni stanche e dei miei pensieri vuoti. Sentivo spegnermi lentamente; dentro di me bruciava la fiamma gelida dell'insoddisfazione e tutto attorno a me, specchio della mia aridità, faceva capolino un deserto incolore: non provavo più nulla nei confronti di nessuno, men che meno di Veronica nonostante per un po' provai a convincermi del contrario, mentendomi; ogni mio affetto per esseri umani e per le cose del mondo si estinse gradualmente in un calvario senza fine. Incominciai così, incapace in tutto, privo d'interessi, a rivolgermi ad uno psicologo. Ma, anche lì, non ci trovavo significati; parlavo senza capire ciò che dicevo, e qualsiasi domanda uscisse dalla sua bocca mi risultava priva di nessi con la realtà. Non esistono soluzioni quando non si crede nel potere magico dell'interpretazione: ogni sillaba era uguale all'altra, e i periodi che mi sforzavo a scandire con meticolosità, gusci vuoti. Diedi la maturità e mi lasciai con Veronica senza sapere il perché - trovai un qualsiasi motivo per togliermela d'impaccio. Durante l'estate decisi speranzoso di andare da uno psichiatra che mi prescrisse una, due, tre terapie a base di antidepressivi. Non miglioravo, non mi facevano nessun effetto. Deluso, ma con le ultime forze, decisi di cavarmela da solo, e di adattarmi a ciò che la vita era diventata per me: l'indifferenza nei confronti di tutto e di tutti, una spirale infinita di delusioni che provavo per quest'indifferenza, un'unità non correlabile con nessun altro elemento del mondo salvo che con la mia ipotetica cura. Ne trovai una all'università: divenni amico - per loro - di alcune persone che oggi, ovviamente, venuto a galla il mio stato, ho perso tutte; riuscì a dimostrarmi in grado di affrontare lo studio il quale tuttavia affrontai con uno sforzo metafisico, sisifeo. Avevo trovato cose per le quali fingevo, e fingo tutt'ora, di essere stimolato: dissimulo interessi che veramente non ho per continuare a vivere! Così, per necessità ho dovuto incominciare a concepire il mio stato d'animo non tanto come una malattia, ma come una responsabilità: perché tanta sofferenza in un solo individuo? Perché è male soffrire? E' fondata la tesi per cui ciò che arreca dolore è male? Perché non vivere fino in fondo questo stato di cose? Il suicidio! Quante volte al giorno penso al suicidio! Cioran diceva che l'idea del suicidio è tale da poterci rendere liberi! Possiamo scegliere tra il tutto e il niente. Ma questa cosa non mi consola, poiché se ben ci rifletto sopra, il depresso conosce in qualche modo la morte; il depresso è in parte già morto. Il depresso vive una dimensione intermedia tra la vita e la morte, per cui sia la scelta dell'una che dell'altra, conoscendole entrambe, è disprezzabile: è' per questo che non sappiamo mai scegliere tra una cosa o l'altra.

"Dovunque vada, lo stesso senso di non appartenenza, di gioco inutile e idiota, di menzogna, non negli altri, ma in me: fingo di interessarmi a cose di cui non m'importa niente, recito costantemente un ruolo per ignavia o per salvare le apparenze; ma non partecipo: ciò che mi sta a cuore è altrove. Proiettato fuori dal paradiso, dove potrei trovare il mio posto, una casa? Deluso, mille volte deluso. C'è in me qualcosa come un osanna folgorato, inni ridotti in polvere, un'esplosione di rimpianti.
Uno per cui quaggiù non c'è patria."



Concludo
qui.

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Messaggio  alias Lun Ago 31, 2015 6:03 pm

Direi che il dono della sintesi sia una dote che ti appartiene... hai mai pensato di contattare la Mondadori? Te lo consiglio, magari ci strappi un contratto.







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Messaggio  clinamen Lun Ago 31, 2015 6:16 pm

Già provato. Mi hanno regalato una settimana di terapia sistemico-relazionale.

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Messaggio  canterel II Lun Ago 31, 2015 7:22 pm

alias ha scritto:Direi che

alias, questo forum è pieno zeppo di muri di testo. facci pace.
considera poi che scrivere tre parole in croce al solo scopo di sbertucciare non produce alcun effetto di maggior leggerezza rispetto ad un muro di testo.
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https://www.youtube.com/watch?v=RIOiwg2iHio

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Messaggio  merla Lun Ago 31, 2015 7:36 pm

clinamen ha scritto:Ma questa cosa non mi consola, poiché se ben ci rifletto sopra, il depresso conosce in qualche modo la morte; il depresso è in parte già morto. Il depresso vive una dimensione intermedia tra la vita e la morte, per cui sia la scelta dell'una che dell'altra, conoscendole entrambe, è disprezzabile: è' per questo che non sappiamo mai scegliere tra una cosa o l'altra.

Io non credo sia così.. Smile

Il "depresso" se proprio dobbiamo chiamarlo così, molto spesso non riesce a portare al livello di consapevolezza le proprie emozioni, un po' spinto in questa gabbia dal timore più o meno presunto di non essere in grado di attraversarle.
E molto spesso, tanto più se sostenuto in questo sforzo da un grado culturale medio-alto, si perde in razionalizzazioni, appoggiandosi più meno strenuamente a varie filosofie o correnti di pensiero se non religioni o forme di spiritualità per supportare l'impianto razionale in cui si attorciglia.

Forse è più semplice pensare che noi siamo naturalmente dotati di istinto di sopravvivenza e che siamo fatti di corpo, mente ed emozioni: esattamente come un ferita ci fa provare dolore, allo stesso modo è psichicamente "naturale" e "sano" rifiutare l'idea della morte o più in generale rifiutare moti distruttivi. Con questo non voglio seccare in tre frasi millenni di filosofie e di movimenti spirituali, ma intendo soltanto dire che per gestire sul serio il proprio pensiero razionale e indirizzarlo occorre avere un ottimo equilibrio psicofisico: non è salubre "non provare nulla" (e non essendo sano inevitabilmente inficerà il proprio pensiero razionale) quando si parla di morte, o quando finisce una relazione, mentre è segno di grande consapevolezza (e forse è l'unico modo per gestire seriamente certi argomenti) sapere cosa si prova, sapere il perché, e imparare a valutarne (fino magari anche a escludere) l'influenza sulle proprie considerazioni di altro carattere. È poco realistico che ciò accada in un "depresso", che per la definizione stessa di disagio, non riesce a gestire la propria emotività.

In sintesi, potresti provare a fare una psicoterapia più fisica e meno interpretativa o magari un percorso tipo yoga, mindfulness o simili, insomma qualcosa che ti porti in contatto emotivo con te stesso e magari anche con l'altro. Dei miei anni di terapia ti posso assicurare che c'è stata molta poca interpretazione (perché ero decisamente lucida, anche se poi qualcosa va sempre portata alla luce) e in compenso molta relazione. E sicuramente tutti i momenti in cui c'è stata maggiore crescita sono stati sul piano emotivo.
Magari potresti dedicarti anche a qualcosa di fisico, dal giardinaggio al trekking passando per la palestra molto dura, ma con metodo, senza aspettative nei confronti del risultato e senza chiederti il perché.
Agire per agire e sentire per sentire. Sei giovane, di tempo per razionalizzare ne hai. Metti il cervello in pausa. Smile
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Messaggio  Numb Mar Set 01, 2015 7:34 pm

Per certi versi sono nei tui stessi panni. Capisco la rabbia, ed il resto che dici. Infatti penso che faccio prima ad andare in garage ed accendere il motore della macchina. Non so che altro dire. spero che a te vada meglio di me Smile in bocca al lupo

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Messaggio  clinamen Mar Set 01, 2015 9:13 pm

@Merla: Sono d'accordo che, in parte, il mio sia un problema legato alla sfera emotiva: ho sempre avuto difficoltà a gestire e a esprimere tante emozioni - soprattutto per mie intime preoccupazioni legate ai rapporti sociali, molti dei quali, a causa del mio temperamento ho perso rovinosamente. Oltre al fatto che sin da piccolo sia sempre stato molto incazzato - rabbia che con gli anni, giocoforza, ho dovuto reprimere - ho vissuto, poco prima di trovarmi in questo stato, un periodo di forzatissima astinenza sessuale: le ragazze con le quali sono stato avevano problemi evidenti con il sesso, per cui, per anni, mi sono costretto a rispettare questo loro problema. Ma più non scopavo e più m'incazzavo; più m'incazzavo e meno scopavo: così ho smesso anche d'incazzarmi e ho praticato con esiti fallimentari una sorta d'ascesi schopenhaueriana. Ma non è servito un cazzo. Così la volontà della specie ho iniziato a sfogarla su youjizz. Fanculo alla specie. Ma questa è un'altra storia. Molte cose non le ho affrontate in maniera abbastanza matura, come per esempio il brusco e improvviso distacco da alcune persone, e forse per questo, pago dazio.

Non credo sia tanto una questione di timore o di paura - probabilmente lo è stato solo in principio; in questi ultimi tempi non mi sono fatto scrupoli per cercare di capire che cosa effettivamente trascuravo. Ho studiato tanto e mi sono liberato quasi del tutto, del peso dei giudizi di valore altrui i quali, in più casi, hanno condizionato le mie scelte personali.
Non è propriamente vero che "non provo nulla": ho usato la parola "nulla" in un senso negativo, e cioè, ciò che provo (angoscia, insoddisfazione, talvolta un'ansia tale da costringermi all'ospedale) divora quell'altra parte di emozioni che invece "apre","slancia" e mi renderebbe piacevole una qualsiasi attività. Condivido l'idea che per trattare di alcuni argomenti sia necessario un buon equilibrio psicofisico e che per utilizzare a 360 gradi la propria razionalità sia preferibile disporre di tutta la gamma di emozioni che un soggetto è in grado di provare; ma non ti sto parlando dell'amore e delle sue declinazioni, ma di ciò che trova i suoi contenuti nella mia personale esperienza emotiva.
Credo che "naturalizzare" alcuni tratti caratteristici dell'essere umano sia sicuramente funzionale ad un convincimento "utile" per continuare a vivere, ma non per questo, tali convincimenti risultano essere assolutamente veri e, soprattutto, applicabili ad ogni caso particolare. Ma non voglio divagare troppo. Grazie per la risposta. Terrò conto delle tue parole.

Oggi mi disprezzo per una questione d'incapacità. Provo a fare ciò voglio, ma non riesco. Sento una stanchezza "a priori" che mi impedisce di portare a termine qualsiasi azione che richieda una sforzo maggiore di bere una bottiglia di birra, cibarmi di veleno preconfezionato, o lamentarmi di qualsiasi cosa. Sono un vegetale. 

@Alias: mi piacciono sia il sarcasmo che lo scetticismo. Ma non capisco cosa vuoi dimostrare, e in che modo, in questa sede, possa rivelarti "utile".

@Numb: spero non per avvelenarti di monossido! Wink Sei vuoi fare quattro chiacchiere possiamo parlare anche in privato.

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Messaggio  deultimo Mer Set 02, 2015 12:42 am

clinamen ha scritto:Salve a tutti, Ho 23 anni e da tre anni circa e penso di potermi ritenere a pieno titolo un membro della numerosissima schiera dei depressi del pianeta terra.

Ciao clinamen e benvenuto,
oppure ti dovrei chiamare giovane Werther. Scusa se ci scherzo su, giusto per alleggerire, ma sul serio, lo hai mai letto il celebre romanzo di Goethe?
Secondo me sei in una fase di transizione, stai rinsavendo. Primo: coltivi il dubbio, che è un sanissimo esercizio che ci è stato tramandato da antichi saggi greci. Dico antichi, ma anche Tsipras non scherza, in quanto a dubbio.
Secondo: mantenere il fallo sempre eretto comporta un dispendio eccessivo di energie che infine svuota tutto di senso. E' bene che ti sia rilassato, il sintomo depressivo non è che il termometro di questo tuo cambiamento di stato: dalla rigidità del ghiaccio alla liquidità. Che non è mai indolore, alcune cristalli di ghiaccio non vogliono saperne di sciogliersi. (Forse però era più giusto flussometro o densimetro, piuttosto che termometro).
Innanzitutto, mio caro, (ti chiamo così perchè potresti essere mio figlio, o quasi), l'amore non è ciò che definisci, quello si chiama rapporto sadomasochistico, ove vi è un dominante ed un dominato. Certo l'amore presenta una componente anche di questo genere, ma non è o non dovrebbe costituire l'asse portante, al limite una traversina.
Il tuo problema è che non sai dominare te stesso per eccessivo concentrato di rabbia e di aggressività. E l'energia in eccesso che prima contribuiva a mantenere eretto il tuo fallo narcisistico che ora si è sgonfiato (è infatti l'aria che lo gonfia sempre), è rifluita come un'onda anomala ed ora ti travolge.
Il problema della regolazione della rabbia forse si può risolvere con un bel sacco da boxe appeso al soffitto. Sul serio, ci hai pensato? Oppure continua a scrivere scrivere e scrivere. La logorrea è cmq uno sfogo. Una passione... devi trovare una passione che non sia il sesso o le donne, una passione solitaria che non abbisogni di relazioni umane, persino nascosta agli altri, che sia solo tua. Non dico la poesia, ché è roba passatista, ma che so, il ballo, il kung fu il karate, la bicicletta, il canottaggio, il nuoto, insomma hai un'ampia possibilità di scelta vista l'età giovanile.

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Messaggio  clinamen Mer Set 02, 2015 1:48 am

Se masturbarsi è una passione, forse è l'unica che ho; e ci si può masturbare in vari modi, ad esempio, leggendo Goethe. Sì, lessi il Werther tanti anni fa e mi piacque molto. Anche oggi leggo tanto e scrivo altrettanto; ma, di solito, lo faccio analiticamente, e non capisco fino a che punto possa piacermi. Entrambe le cose sono un misto tra un "divertimento", nel senso pascaliano del termine - lo faccio per distrarmi - e una forma di autoterapia liberatoria.

Non credo di starmi riprendendo. L'ho creduto svariate volte nel corso di questi tre anni, ma ogni volta, dovevo rimangiarmi tutto.
Ci sono dei momenti - i rarissimi in cui mi sento bene e per i quali credo di riprendermi - durante i quali mi capita di prendere improvvisamente coscienza di ciò che sono stato negli ultimi tre anni: rimango completamente atterrito perché ho l'impressione di aver vissuto in una specie di sogno; una vita falsa, finta, nel senso che nonostante fossi cosciente, è come se in quel lasso di tempo che ricordo, non fossi veramente io ad essere presente. Mi sale l'ansia e se non chiamo qualcuno in grado di calmarmi, finisco all'ospedale. Le prime volte chiamavo i medici e loro mi rispondevano che sarebbe andato bene se mi fossi calato un po' di dosi di questo e di quello. Oggi non li chiamo più. Non chiamo più nessuno perché non mi sento capito, così finisco all'ospedale. Quando arrivo al pronto soccorso però, la vista di tutta quella moria di gente, mi fa perdere tutte le speranze, così in un certo senso mi calmo perché anche se fossi l'individuo con più bisogno d'aiuto, prima o poi, farei la fine di quei vecchi attaccati al respiratore; il pensiero che il mio dolore è così insignificante da poterlo trovare ovunque e in forme peggiori, mi tranquillizza. Così ripiombo in quello stato di "nullificazione" in cui le mie uniche attività sono quelle di perdere tempo, mangiare, fumare, leggere, scrivere, e a volte, passeggiare come una mummia, in attesa della prossima presa di coscienza che mi rigetterà in mezzo ad un branco di morenti. Forse dovrei vivere in un ospizio.

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Messaggio  deultimo Mer Set 02, 2015 11:31 pm

clinamen ha scritto:
Così ripiombo in quello stato di "nullificazione" in cui le mie uniche attività sono quelle di perdere tempo, mangiare, fumare, leggere, scrivere, e a volte, passeggiare come una mummia, in attesa della prossima presa di coscienza che mi rigetterà in mezzo ad un branco di morenti. Forse dovrei vivere in un ospizio.

Guarda che non sei mica l'unico. Il fatto è che tu rincorri la tua immagine grandiosa anche quando tenti di nullificarti. Non vuoi nullificarti come un uomo, ma come un grande filosofo, magari come un buddha. E poi non sei il tipo della nullificazione, hai sbagliato strada. Devi accettare il fatto che si può intraprendere qualsiasi attività senza l'assillo della competizione per arrivare a mete irraggiungibili, anzi nulle perché false. Comincia razionalizzando i tuoi rapporti recenti come fossero quelli di un altro, come se non ti riguardassero affatto. Scrivi di te, ma in terza persona, come se tu fossi il narratore di un personaggio di fantasia. Ci hai già provato qui, ma ci eri dentro fino al collo e ci sei ancora. Analizza da freddo osservatore razionale. Allora vedrai che Sara era per te uno specchio del tuo falso sè grandioso. Ma anche Sara la vedevi con la tua lente grandiosa, hai deificato una ragazza normalissima, credo persino insignificante, e solo perché tu volevi essere tre gradini sopra, ovvero dio. Ma poi lo specchio si è incrinato, e quando raggiungi una vetta non puoi che scendere, non si può salire ancora. E tu sei sceso a Veronica che, secondo me, aveva invece un bel caratterino, altro che Sara. Ti sei perciò ritrovato dalla vetta a fondo valle in un batter d'occhio, dal tutto al nulla. Ma l'immagine grandiosa, o almeno qualcosa, te la sei trascinata anche nel nulla, ed ecco che ti appelli alla filosofia difficile, anzi impossibile, della nolontà (ovvero non volontà). Purtroppo o per fortuna non sei il tipo della nolontà, del bonzo buddista che sta sotto l'albero a meditare, ed ecco che oggi ti ritrovi ancora più in basso, praticamente in un fosso nella valle. Insomma, noialtri siamo incapaci a vivere nel mondo, siamo analfabeti inesperti del mondo, intendo quello reale degli uomini non dei buddha o dei superuomini (la nolontà nullificatrice e la volontà di potenza non sono che due facce della stessa medaglia, sono due immagini divine). Dobbiamo prima prendere coscienza (dolorosa) che noi siamo solo uomini gettati nel mondo degli uomini e poi cominciare a sgambettare in qualche modo come i bimbi di un anno, sapendo che sbatteremo la faccia a terra più volte, sapendo che arriveremo per un bel po' sempre per ultimi. Ma gli ultimi saranno i primi. Ciao.

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Messaggio  clinamen Gio Set 03, 2015 2:43 am

Grazie deultimo. Nonostante tu non mi conosca, e per questo, tu non creda fino in fondo ai tuoi giudizi, mi hai presentato sotto una luce diversa dei pensieri che io stesso ho fatto. Ma non so quanto mi appartengano e fino a che punto siano giusti: ho la costante impressione di non essermi mai presente e per questo non riesco a comprendere fino a che punto ciò che penso sia "corretto" o meno. Se scegliessi qualcos'altro rispetto a ciò che sto provando a fare in questo periodo della mia vita, non sarebbe una scelta mia; non rappresenterebbe qualcosa che ho scelto unicamente per mia volontà. Il punto è che quando scelgo qualcosa sento di farlo sempre in relazione agli altri e mai per un totale interesse personale: non so che cosa voglio. Anche quando scrivo, ho la sensazione di "mancarmi", di non dire la "verità" su me stesso, perché non so chi sono e cosa realmente desidero. Mi sembra di non esistere come entità "originale" e "autentica" ma sempre come un prodotto causato da qualcos'altro che non sono.

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Messaggio  deultimo Gio Set 03, 2015 12:37 pm

clinamen ha scritto: Mi sembra di non esistere come entità "originale" e "autentica" ma sempre come un prodotto causato da qualcos'altro che non sono.

Sì, in effetti è così, vale anche per il sottoscritto, il nostro sé è fragile, incompleto ed immaturo. Non abbiamo accesso alle nostre emozioni, ai nostri scopi e desideri, figuriamoci se da questo punto di vista riusciamo ad empatizzare con gli altri. Ciò che ci differenzia, almeno secondo me, è il carattere, il mio molto introverso mi costringe a crearmi un mondo tutto mio che è totalmente avulso dalla cosiddetta realtà. Questi due mondi non si intersecano mai. Perciò non faccio soffrire le persone proiettando su di loro i miei problemi. Anch'io ho un immagine grandiosa di me, ma dal punto di vista relazionale essa è innocua in quanto tende ad evitare i contatti umani fino all'isolamento totale. Anche sulla vita da larva ci somigliano, ed anche sulla masturbazione. Secondo me la cosa migliore per non cadere in un gorgo senza fine è frammentare l'energia in tante piccole attività, persino banali. Così ci si può difendere dal sentimento di coercizione che ci pervade fino al midollo. Così per evitare che il fallimento dell'unica attività, o scopo o desiderio, che dovrebbe confermare la nostra unica immagine grandiosa ci faccia crollare l'universo addosso. Quando ti stanca l'attività A, passi alla B, poi dalla B alla C, ecc. Per esempio il sottoscritto fa circa venti minuti di palestra in casa. Ma non ho un orario fisso né la faccio tutti i giorni, e così anche le altre attività. Non programmo niente, quando sento che mi va di farne una, la faccio. Poi, ovviamente, sto davanti al Pc, spesso cammino, altre volte leggo, dovrei prendermi a breve anche una bicicletta, la sera cucino quando mi va se no formaggio ed un pomodoro, le pulizie le faccio quando voglio, se mi va la birra prendo la birra se no il vino, ecc. Lo sai cosa rispose un saggio a chi gli chiese cos'era per lui la felicità? quando ho fame mangio, quando ho sonno dormo.Io sulla fame non ho problemi, ma sul sonno ho qualche problemino. Con queste piccole attività impariamo l’alfabeto delle nostre emozioni e dei nostri desideri. Dobbiamo partire dal piccolo.

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Messaggio  clinamen Ven Set 04, 2015 4:09 am

deultimo ha scritto:Questi due mondi non si intersecano mai.

x1: perchè non vuoi farli intersecare? Temi che l'uno possa crollare per l'altro?

deultimo ha scritto:Anch'io ho un immagine grandiosa di me, ma dal punto di vista relazionale essa è innocua in quanto tende ad evitare i contatti umani fino all'isolamento totale.

x2: perché non vuoi esporla? Perché non vuoi farla entrare in "competizione" con gli altri? Da dove la vergogna di mostrare la propria intimità ad un'altra persona?



Diceva un tale: "L'inferno sono gli altri". Perché dagli altri, senza averlo mai scelto, abbiamo ricevuto tutto e non passa giorno che non ci chiedano il conto: ci hanno messo al mondo, ci hanno insegnato a camminare, a mangiare, a procreare, a dare un nome alle cose, e da loro abbiamo compreso quale fosse, e qual è tutt'ora, il nostro ruolo all'interno della società (anche l'eremita può essere tale solo in relazione agli altri) perché gli individui non ne sono il presupposto bensì il risultato.
Probabilmente la morte non esisterebbe se non avessimo visto qualcuno morire; o se qualcun altro non ce l'avesse raccontata. E io non dovrei alloggiare saltuariamente in un pronto soccorso.
E Pensa che buffo: anche quando vuoi giudicarti "oggettivamente" e "razionalmente", in maniera indipendente, lo puoi fare solo immedesimandoti in un osservatore esterno, il quale tuttavia, poiché il modo con il quale formuli giudizi non l'hai imparato da solo, tale osservatore non risulterà mai e poi mai veramente imparziale.
Secondo me, la maggior parte dei nostri problemi è di carattere sociale: percepiamo tutto ciò come un'intima ingiustizia (soprattutto quando non riusciamo ad ottenere ciò che dagli altri vogliamo, desideriamo e speriamo) dalla quale però vorremmo liberarci. Ma come? Come essere indipendenti da tutti gli altri se non abbiamo neanche scelto di essere al mondo? Accettando l'ingiustizia: si può essere indipendenti solo comprendendo di non poterlo essere; e lo stesso vale, più genericamente, per la stessa decantata libertà.
Si smette di capire ciò che si vuole quando per paura dell'ennesima delusione o per pigrizia, si decide più o meno consapevolmente di smettere di ascoltare la "voce" (che sebbene la si senta in noi non la possediamo; anzi tutt'altro: è lei a possederci) che ci spinge verso la cosa "giusta".
In un certo senso, da questo punto di vista, stimo anche i peggiori criminali: fanno quello che sentono di dovere fare. Alcuni di loro sono lucidissimi e consapevoli, e seppure riconoscano che moralmente i loro gusti non vengano accettati, decidono di non ignorarsi anche a costo di perdere la propria "libertà". Perché non accettarsi anche se si viene ritenuti "peggiori" individui sulla faccia della terra? Sai quanti "onesti" posti di lavoro creano? Bisognerebbe accettarlo. Vabbè. Sto divagando.
Secondo me, in fondo, desideri vivere e aprirti al "mondo degli uomini", ma non hai troppo coraggio ad ammetterlo. Forse perché non vuoi staccarti dall' "immagine grandiosa" che hai di te stesso? Forse perché temi di rivelarti totalmente incapace? E nel mondo delle donne il problema si accentua? Mi chiedo: perché hai sentito l'esigenza di cercare questo forum, iscriverti, parlare con degli sconosciuti raccontandogli dettagli così intimi - ammesso che siano veri - della tua persona?
(Perdona la schiettezza, non voglio sembrarti arrogante, sono solo molto curioso).

clinamen

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Messaggio  deultimo Ven Set 04, 2015 10:24 am

clinamen ha scritto:
Mi chiedo: perché hai sentito l'esigenza di cercare questo forum, iscriverti, parlare con degli sconosciuti raccontandogli dettagli così intimi - ammesso che siano veri - della tua persona?
(Perdona la schiettezza, non voglio sembrarti arrogante, sono solo molto curioso).

Ciao clinamen, interessante la tua analisi sull'indispensabilità dell'altro, e condivisibile al 100%.
Parto dalla fine. Devo essere sincero, ho trovato questo forum per puro caso, non l'ho affatto cercato né ho sentito l'esigenza di cercarlo perché semplicemente non sapevo dell'esistenza di questo forum, né di simili. Il sottoscritto da anni scrive nei blog più disparati discutendo delle cose più diverse: di politica, di filosofia, di scienza, di società, di sesso, ecc. ma mi sono accorto ad un certo punto che in qualunque post di qualsiasi argomento c'era sempre qualcosa di me, di personale o del mio umore contingente. E allora mi sono detto, dopo aver trovato per caso questo forum, tanto vale scrivere di me, approfittando ovviamente dell'anonimato, perché se è vero che voi siete sconosciuti per me, vale anche a parti rovesciate, anch'io sono uno sconosciuto per voi. Ciò è molto rassicurante e liberatorio, ho infatti notato sempre che ci si lascia più andare liberamente a raccontare di se stessi, fino all'impudicizia inimmaginabile per qualcuno, quando le orecchie che ascoltano sono di perfetti sconosciuti che appartengono ad un altro mondo rispetto al nostro, un mondo parallelo che non potrà mai incrociarsi con il nostro. Vi può essere anche il caso della botola che si apre sul tuo mondo ma che dura poco perchè per forza di gravità si richiude subito. Per es. l'incontro di un perfetto sconosciuto sul treno che sai di vedere una sola volta nella vita. D'altronde è un po' come la psicoanalisi: racconti tutto, o meglio molto, al tuo psicoanalista perchè sei rassicurato dal fatto che la tua voce non uscirà mai da quelle quattro mura. Caro mio, qui mi psicoanalizzo da me con la gentile collaborazione di altri. Ma so che non è cosa unilaterale, non sono così egocentrico. E poi, più banalmente, devo parlare con qualcuno, e di me. D'altronde, non sono l'unico qui, va' a leggerti molti titoli dei post del forum principale.
Veniamo al nocciolo. Il mio problema non è che sono indipendente, anzi è l'esatto contrario: io sono dipendente. Il fatto è che sono dipendente dalle stesse relazioni di sempre. Per rapportarsi con gli altri si deve aver maturato una certa indipendenza o autonomia dagli altri, cosa che, per un ragione o per l'altra, non è accaduto al sottoscritto. La sana "dipendenza" dai vari contesti relazionali o ambientali è possibile ad una personalità libera, indipendente. Sembra un paradosso, ma è così: io vivo apparentemente da indipendente perchè sono sostanzialmente un dipendente. L'immagine grandiosa di me è il surrogato necessario di una personalità nulla, è una maschera che serve a me, per darmi quel senso di autonomia personale che non ho, ma che purtroppo o per fortuna non ha alcun impatto nella realtà, né può averlo, non più di una maschera di carnevale a ferragosto. Sulle donne, la cosa è di una banalità disarmante: il sottoscritto non ha rapporti con donne, ad eccezione di quelle fondamentali di sempre. La relazione con donne per me è impossibile pur essendo eterosessuale. Quando parlo di personalità pare una cosa da nulla perchè magari qualcuno pensa che sia possibile in qualche modo riprogrammarla con la volontà. Ma io intendo la personalità come una struttura psicosomatica, non solo psicologica, nel mio caso rigidissima, sulla quale la volontà non può nulla, non più della scia di una nave che vorrebbe aprire le acque del mare. Non è solo una questione di testa, si attivano i cosiddetti marcatori somatici, il corpo risponde con la psiche, sono una cosa sola. Ciao e grazie.

deultimo

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